N. 365 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 aprile 1996- 23 maggio 1997

                                N. 365
  Ordinanza   emessa   il   18   aprile  1996  (pervenuta  alla  Corte
 costituzionale il 23 maggio 1997) dal pretore  di  Bari  sul  ricorso
 proposto  dal Germano Tommaso contro la Cassa nazionale di previdenza
 ed assistenza degli avvocati e procuratori.
 Avvocato e procuratore - Previdenza forense  -  Obbligo  contributivo
    per  i  soggetti  gia'  titolari di altra pensione previdenziale -
    Violazione  del  principio  di  uguaglianza   sotto   il   profilo
    dell'uguale   trattamento   contributivo   degli  avvocati  liberi
    professionisti che non usufruiscono di altra forma  di  previdenza
    obbligatoria   e   degli  avvocati  titolari  di  altra  posizione
    previdenziale  -  Incidenza   sulla   garanzia   previdenziale   -
    Riferimento  alle  sentenze  della  Corte  costituzione  nn. 132 e
    133/1984 di non fondatezza di analoghe questioni ritenute superate
    dal giudice rimettente per effetto del nuovo quadro normativo.
 (Legge 20 settembre 1980, n. 576, art. 22).
 (Cost., artt. 2, 3 e 38).
(GU n.26 del 25-6-1997 )
                              IL PRETORE
   Ha emesso la seguente ordinanza sciogliendo la riserva  di  cui  al
 verbale  che  precede,  osserva:  la prima questione che deve formare
 oggetto della presente  disamina,  deve  riguardare  l'ammissibilita'
 della  prospettazione di una questione di legittimita' costituzionale
 nella fase di urgenza, cosi' come dedotto dalla  difesa  della  cassa
 convenuta.
   Tale  tesi,  che si fonda su un precedente orientamento della Corte
 costituzionale (vedasi sentenza del 22 dicembre 1989, n. 579 in  Foro
 Italiano 1990, I, 1097) non puo' essere condivisa in quanto la stessa
 Corte  costituzionale,  con  la  sentenza del 12 ottobre 1990, n. 444
 (vedasi Foro Italiano 1991, I, 721 e  segg.)  si  e'  discostata  dal
 proprio  precedente  orientamento  affermando  che "e' ammissibile la
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 15,  terzo  comma,
 legge  30  lugio  1973,  n.  477,  sollevata  dal TAR nella camera di
 consiglio per la sospensiva degli atti impugnati in via provvisoria e
 temporanea fino alla ripresa del giudizio cautelare, dopo l'incidente
 di  costituzionalita'".    Come  si  legge  nella  parte motiva della
 succitata  sentenza,  "il  Presidente  del  Consiglio  dei   Ministri
 eccepisce   preliminarmente   l'inammissibilita'   della   questione,
 limitatamente ai casi in cui la stessa e' stata sollevata dal giudice
 rimettente in sede cautelare: sostiene l'avvocatura dello  Stato  che
 la  sospensione degli atti impugnati, disposta dal giudice stesso con
 separato provvedimento, sia pure temporaneamente "fino alla camera di
 consiglio successiva alla restituzione  degli  atti  da  parte  della
 Corte   costituzionale",   avrebbe   ormai   comportato,  secondo  la
 giurisprudenza  di  questa  Corte  l'avvenuto  esercizio  del  potere
 cautelare  da  parte  del  giudice  a qui con conseguente irrilevanza
 della questione.
   L'eccezione non puo' essere accolta.
   Premesso che l'indicata vicenda processuale si e' verificata in tre
 dei quattro giudizi a quibus, come meglio specificato in narrativa, e
 che, pertanto, la questione andrebbe comunque esaminata nel merito in
 relazione all'altro giudizio (in cui la  stessa  e'  stata  sollevata
 nella  fase  di  merito)  va osservato che questa Corte ha dichiarato
 (vedi da ultimo, sentenza n. 579 del 1980,  Foro  Italiano  1990,  I,
 1097)  l'inammissibilita'  di questioni sollevate in sede di giudizio
 cautelare dopo l'accoglimento della relativa  istanza  da  parte  del
 giudice, e cio' per l'avvenuto esaurimento di ogni potesta' in quella
 sede,  con  conseguente  irrilevanza  della questione ai fini di quel
 giudizio.
   Ma nei  casi  in  esame  la  situzione  e'  diversa.  Accertata  la
 rilevanza  (e  la  non  manifesta  infondatezza  della  questione  di
 costituzionalita'  a  fini  della  decisione   sospensiva,   il   TAR
 contemporaneamente  all'ordinanza  di  remissione  a questa Corte, ha
 disposto, con  separato  provvedimento,  la  sospensione  degli  atti
 impugnati  in  via  provvisoria  e  temporanea  fino alla ripresa del
 giudizio cautelare dopo l'incidente della  costituzionalita':    tale
 pronunzia  non  hadeterminato, per la sua natura meramente tecnica ed
 integrale,   l'esaurimento   del   potere   cautelare   del   giudice
 amministrativo,  con  la  conseguenza  che la proposta questione dove
 ritenersi tuttora fornita del requisito  della  rilevanza".  Si  deve
 tener  conto,  d'altra  parte,  che  la  fase  cautelare del presente
 procedimento non puo' considerarsi esaurita  atteso  che  il  decreto
 emesso inaudita altera parte il 18 marzo 1996, ai sensi dell'art. 669
 sexies  (nel  testo introdotto dall'art.   74 della legge 26 novembre
 1990, n. 353) deve ancora essere oggetto della  necessaria  revisione
 (che  puo'  condurre  alla  conferma,  modifica  o revoca del decreto
 stesso) ai sensi del secondo  comma  dello  stesso  art.  669  sexies
 c.p.c.
   Tanto  premesso,  osserva  il  giudicante,  passando  all'esame nel
 merito della questione, quanto appresso. Non ignora il giudicante che
 l'obbligo di iscrizione alla Cassa di previdenza per gli avvocati che
 siano, nello stesso tempo, docenti universitari, e' stato  affrontato
 dalla  Corte  costituzionale  con  le  sentenze,  ormai remote, dal 4
 maggio 1984, n. 132 e 133 (vedasi  Foro  Italiano  1984,  I,  1782  e
 segg.).    Nelle  suddette  decisioni,  la  Corte  costituzionale  ha
 ritenuto  costituzionalmente  legittimo  l'art.  22  della  legge  20
 settembre   1980,   n.  576,  affermando  che  "i  suddetti  obblighi
 previdenziali  non  sono  legati  alla  esigenza  della divisione del
 rischio  ne'  tantomeno   sono   inseriti   in   una   relazione   di
 corrispettivita'   con  i  benifici  previdenziali  del  sistema,  ma
 costituiscono doveri  di  solidarieta'  nell'ambito  della  categoria
 professionale".  Tali principi, ad avviso del giudicante, non possono
 essere    piu'    considerati    validi     nel     mutato     quadro
 legislativo-previdenziale,  come delineato dal decreto legislativo n.
 509/1994 e dalla legge n. 335/1995. Si e'  verificata,  infatti,  per
 effetto  di  tale  nuova  normativa  una radicale riforma del sistema
 previdenziale forense, imponendo il passaggio dal cosi' detto sistema
 contributivo  e  prevedendo  la  possibilita'   di   una   previdenza
 complementare.  Tale  mutato  quadro normativo comporta una rinnovata
 rilevanza della questione di legittimita' costituzionale della  legge
 20  settembre  1980,  n.  576  atteso  che  detto  obbligo  appare in
 constrasto con i principi  sanciti  dagli  artt.  2,  3  e  38  della
 Costituzione.
   In particolare, si deve sottolineare per il contrasto con l'art.  3
 capoverso della Costituzione che la norma impugnata, nel punto in cui
 impone  il  pagamento  dei  medesimi contributi ai professionisti che
 esercitano soltanto la libera professione e che non  usufruiscono  di
 altra  forma  di  previdenza  obbligatoria  ed  a coloro che, come il
 ricorrente, sono gia' titolari di una posizione previdenziale per  la
 quale   devono   versare  i  contributi  relativi,  si  realizza  una
 ingiustificata disparita' di trattamento in posizioni identiche.
   Tanto considerato in ordine alla non manifesta  infondatezza  della
 questione,  appare  evidente  la  rilevanza  della stessa sia ai fini
 della eventuale convalida del decreto di sospensione emesso  in  data
 18 marzo 1996 sia per il successivo giudizio di merito.
   Si  sospende, pertanto, il presente procedimento fino all'esito del
 giudizio dinnanzi alla Corte costituzionale.
                               P. Q. M.
   Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la  questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  22  della legge 20 settembre
 1980, n. 576 in relazione agli artt. 2, 3 e 38 della costituzione;
   Sospende il presente giudizio e  dispone  l'immediata  trasmissione
 degli  atti  alla  Corte  costituzionale,  disponendo che la presente
 ordinanza sia notificata alle parti in causa, nonche'  al  Presidente
 del  Consiglio  dei  Ministri  e  sia  comunicata ai Presidenti della
 Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, ai sensi dell'art.
 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.
   Cosi' deciso in Bari, il 18 aprile 1996.
                         Il pretore: De Peppo
 97C0639