N. 409 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 febbraio 1996- 2 giugno 1997
N. 409 Ordinanza emessa il 16 febbraio 1996 (pervenuta alla Corte costituzinale il 2 giugno 1997) dal tribunale di Taranto nel procedimento civile vertente tra Marino Giovanni e il comune di Manduria Espropriazione per pubblica utilita' - Criterio per la determinazione delle indennita' espropriative per la realizzazione di opere da parte o per conto dello Stato o di altri enti pubblici (media tra il valore dei terreni ed il reddito domenicale rivalutato, con la riduzione dell'importo cosi' determinato del quaranta per cento) - Estensione di detto criterio di valutazione anche alla misura dei risarcimenti dovuti in conseguenza di illegittime occupazioni acquisitive - Ingiustificata deroga al principio civilistico dell'integrale risarcimento del danno da parte dell'autore dell'illecito - Irrazionale e ingiustificata equiparazione delle espropriazioni regolari e delle ablazioni sine titulo - Incidenza sul principio di imparzialita' e buon andamento della p.a. (D.-L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5-bis, convertito con modificazioni in legge 8 agosto 1992, n. 359, modificato dalla legge 28 dicembre 1995, n. 549, art. 1, comma 65). (Cost., artt. 3 e 97).(GU n.28 del 9-7-1997 )
IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza in ordine alla causa in primo grado iscritta al n. 4262 r.g. 1991, riservata per la decisione all'udienza del 2 febbraio 1996, causa proposta da Marino Giovanni (dott. proc. Giuseppe Fanelli), attore, contro il comune di Manduria, convenuto contumace. Oggetto: risarcimento danni. Fatto e diritto I. - Con atto di citazione, ritualmente notificato in data 18 giugno 1991, Marino Giovanni conveniva in giudizio il comune di Manduria, esponendo: che, con decreto n. 11698 del 1 giugno 1985, il sindaco del comune convenuto aveva disposto l'occupazione d'urgenza di un suolo di sua proprieta' sito in Manduria, in vista dell'esecuzione di lavori di sistemazione di strade interne; che l'immissione in possesso era avvenuta il 23 giugno 1985; che, nonostante la completa realizzazione dell'opera pubblica, non era mai stato emanato il decreto di esproprio. Su tali premesse in fatto, chiedeva che il comune di Manduria fosse condannato a risarcire il danno provocato dalla radicale trasformazione del fondo. Nella contumacia del comune convenuto, veniva espletata consulenza tecnica d'ufficio. Chiariva il consulente che il suolo del Marino e' situato in una zona con destinazione edificatoria e che l'opera pubblica era stata ultimata nel 1987. Precisate le conclusioni all'udienza del 27 maggio 1993, la causa veniva riservata per la decisione all'udienza del 2 febbraio 1996. All'udienza collegiale il procuratore dell'attore depositava memoria con la quale denunciava l'illegittimita' costituzionale dell'art. 5-bis del d.-l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, cosi' come modificato dall'art. 1, comma 65, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, in relazione agli artt. 3, 24, 42 e 97 della Costituzione. II. - Ritiene il collegio che, nella specie, la pretesa risarcitoria sia fondata. La circostanza che l'atto di citazione sia stato notificato al comune di Manduria pochi giorni prima della scadenza del quinquennio dalla data dell'immissione in possesso non osta all'accoglimento dell'istanza. Il tribunale ritiene, infatti, conformemente al proprio orientamento, che la domanda di risarcimento dei danni cagionati dalla radicale trasformazione del suolo con sua irreversibile destinazione alla realizzazione dell'opera pubblica possa essere decisa, in senso favorevole all'attore, anche in pendenza del termine di occupazione legittima (trib. Taranto, 3 marzo 1993). Nel caso di specie, peraltro, il periodo di cinque anni di cui all'art. 20, secondo comma, della legge 22 ottobre 1971, n. 865, e' sicuramente decorso al momento della decisione, senza che risultino intervenuti provvedimenti di proroga. Ne consegue che, anche a voler seguire l'orientamento tradizionale, e' sopravvenuto in corso di giudizio il fatto costitutivo della pretesa risarcitoria. Come e' noto, secondo un autorevolissimo insegnamento dottrinale, al quale il collegio ritiene di aderire, in tali casi, il principio, secondo il quale la legge deve attuarsi come se cio' avvenisse al tempo della domanda, soffre un'eccezione, per un'evidente esigenza di economia dei giudizi. III. - La determinazione dell'ammontare del risarcimento del danno in caso di cd. occupazione acquisitiva ha costituito oggetto di innovazione normativa, a seguito dell'approvazione dell'art. 1, comma 65, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, che ha modificato il comma 6 dell'art. 5-bis del d.-l. 11 luglio 1992, n. 333, convetito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359. Il citato sesto comma e' oggi cosi' formulato: "Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano in tutti i casi in cui non sono ancora stati determinati in via definitiva il prezzo, l'entita' dell'indennizzo e/o del risarcimento del danno, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto". Ritiene il collegio che tale norma sia applicabile alla specie sottoposta al suo esame. L'impiego della congiunzione disgiuntiva "o" esprime la chiara volonta' legislativa di rendere operante la disposizione anche nei casi in cui l'attore domandi esclusivamente la condanna del convenuto al risarcimento del danno. A cio' si aggiunga che il criterio stabilito dall'art. 5-bis assume come primo parametro di riferimento, per effetto del rinvio all'art. 13, terzo comma, della legge 15 gennaio 1885, n. 2892, il valore venale del fondo. Ne discende che l'attuale comma sesto dell'art. 5-bis non contempla ogni danno, variamente ricollegato al procedimento ablatorio, ma solo il pregiudizio che si concreti nella privazione, per fatto illecito, della proprieta' del fondo. Tale disciplina, applicabile al caso di specie per le suesposte considerazioni, non si sottrae al dubbio di legittimita' costituzionale, in relazione ai parametri e (anche al di la' della prospettazione della parte istante) per le ragioni che seguono. 1. - Violazione dell'art. 3 della Costituzione per irragionevole equiparazione di situazioni disomogenee. Come e' noto, nel caso di illegittima occupazione di un suolo privato da parte della pubblica amministrazione, per la costruzione di un'opera pubblica, la giurisprudenza ormai consolidata ritiene che la radicale trasformazione del fondo, la quale riveli l'irreversibile destinazione di questo alla realizzazione dell'opera, comporta l'acquisto del fondo stesso, a titolo originario, in favore della pubblica amministrazione, e l'insorgere del diritto al risarcimento del danno in favore del proprietario illecitamente privato del proprio diritto dominicale. Senza ripercorrere le argomentazioni tecnico-giuridiche che hanno condotto all'individuazione del fondamento dell'istituto (delineate con estrema precisione nelle due sentenze, rese dalle sezioni unite dalla Corte di cassazione, 26 febbraio 1983, n. 1464 e 10 giugno 1988, n. 3940), ai fini che qui rilevano, e' necessario valutare le motivazioni di tipo pratico-razionale, poste a base dell'equita' (Corte cost. 28 febbraio 1992, n. 74), che sostanziano l'occupazione acquisitiva. La S.C., nel respingere l'obiezione, secondo la quale la fattispecie estintivo-acquisitiva in oggetto conduce a premiare l'operare scorretto della pubblica amministrazione, ha precisato che tale argomento, oltre a non considerare la pratica impossibilita', per il privato, di ottenere la restituzione del fondo, in esito a un giudizio di ottemperanza, trascura le conseguenze economiche della vicenda, caratterizzata da un ristoro piu' completo per il proprietario e da maggiori oneri per l'ente occupante (Cass. 3940/1988 cit.). Infatti, mentre l'indennita' di esproprio non rappresenta un'integrale riparazione della perdita subita dal proprietario, ma il massimo del contributo garantito all'interesse privato, tenuto conto dell'interesse pubblico che l'espropriazione mira a realizzare, il risarcimento del danno non puo' mai essere inferiore al valore del bene. Al maturare di un debito risarcitorio ben superiore a quello indennitario si correla la responsabilita', nei confronti dell'ente di appartenenza, del funzionario cui sia addebitabile la lievitazione del costo dell'opera pubblica. Se queste considerazioni esprimono le ragioni sostanziali della composizione realistica ed equitativa degli interessi in gioco, rappresentata dall'istituto pretorio dell'occupazione acquisitiva, appare fondato il dubbio sulla ragionevolezza e non arbitrarieta' di una disciplina che sceglie di utilizzare, per la liquidazione del risarcimento del danno, il criterio fissato per la determinazione dell'indennita' d'esproprio. Nel caso dell'occupazione acquisitiva non sembra possa venire in questione quella mediazione, legittimata dall'art. 42, terzo comma, della Costituzione e attentamente valutata dalla Corte costituzionale con la sentenza 16 giugno 1993, n. 283 tra l'interesse generale, sotteso all'espropriazione, e l'interesse tutelato dalla proprieta' privata. In effetti, l'equiparazione tra le due ipotesi appare dubbia: il fatto che talora sia affiorata nella giurisprudenza la denominazione "espropriazione sostanziale" per designare l'occupazione acquisitiva (Cass. 11 luglio 1990, n. 7210) non puo' condurre a porre in secondo piano che il dato qualificante della fattispecie e' il comportamento illecito della pubblica amministrazione, la quale, illegittimamente, non solo occupa il fondo del privato, ma vi costruisce l'opera pubblica, in consapevole violazione delle norme che stabiliscono in quali casi e con quali procedimenti la proprieta' di un immobile privato puo' essere autoritativamente sacrificata (Cass., sez. un., 25 novembre 1992, n. 12546). Conferma delle considerazioni che precedono si ritrae dalle stesse argomentazioni svolte dalla Corte costituzionale, con la sentenza 16 dicembre 1993, n. 442: la Corte ha, infatti, chiarito che l'espropriazione legittima e l'occupazione acquisitiva sono fattispecie "assolutamente divaricate e non comparabili", sottolineando come, nel primo caso, il rispetto dei presupposti formali e sostanziali del procedimento costituisce adeguata garanzia per il privato, mentre, nel secondo, la sottrazione al controllo del rispetto di tali requisiti, giustifica le conseguenze piu' gravose per l'ente espropriante. In definitiva, l'equiparazione, sancita dalla norma sospettata di illegittimita', sembra scardinare un sistema il cui equilibrio era fondato, da un lato, sui maggiori vantaggi per il privato, che andavano a compensare la perdita delle garanzie procedimentali, e, dall'altro, sui deterrenti all'adozione, da parte della pubblica amministrazione, di una condotta contra legem. 2. - Violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione. La norma sospettata di illegittimita', in quanto elimina i deterrenti costituiti dal maggiore importo del debito risarcitorio rispetto a quello indennitario e dalla correlata responsabilita' del funzionario, nei confronti dell'ente di appartenenza, si traduce, attraverso una scelta legislativa non agevolmente giustificabile, in un incentivo, per il soggetto pubblico interessato all'acquisizione dell'area, all'adozione di una condotta contra legem, con conseguente violazione del principio di buon andamento e imparzialita' dell'amministrazione. IV. - Tutto cio' considerato e ritenuto che: le esposte riflessioni, nella misura in cui autorizzano il sospetto di violazione delle norme costituzionali citate, assolvono all'obbligo della motivazione in ordine alla non manifesta infondatezza della questione che si intende sollevare; la rilevanza della questione discende dalla ritenuta applicabilita' della norma sospettata di illegittimita' al caso oggetto del presente giudizio.
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5-bis del d.-l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, cosi' come modificato dall'art. 1, comma 65, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, in relazione agli artt. 3 e 97 della Costituzione; Dispone la sospensione del presente giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone, altresi', che a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Taranto, nella camera di consiglio del 16 febbraio 1996. Il presidente: Morelli Il giudice estensore: De Marzo 97C0707