N. 452 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 dicembre 1996

                                N. 452
   Ordinanza emessa il 26 novembre 1996, 17 dicembre 1996 e 4 febbraio
 1997 dal  tribunale  di  Bologna  sull'istanza  proposta  da  Perdomi
 Gabriele nei confronti della Nuova Blitz S.a.s. ed altra
 Fallimento  -  Societa'  commerciali  insolventi  -  Dichiarazione di
    fallimento - Termine - Decorrenza - Cessazione  dell'impresa  solo
    dopo la liquidazione di ogni rapporto, nonostante la gia' avvenuta
    cancellazione dal registro delle imprese e il passaggio di un anno
    da   tale   formalita'   -   Disparita'  di  trattamento  rispetto
    all'impresa individuale - Lesione del diritto di difesa.
 (R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 10).
 (Cost., artt. 3 e 24).
(GU n.29 del 16-7-1997 )
                             IL TRIBUNALE
   Ha emanato  la  seguente  ordinanza  sulla  istanza  di  fallimento
 proposta  da  dott. proc. Gabriele Perdomi, elettivamente domiciliato
 in Bologna, presso e nello studio dell'avv. Sandro Callegaro, in  via
 Morandi  n.  4, il 16 febbraio 1996, al n. 160/1996 a carico di Nuova
 Blitz S.a.s. e dell'accomandataria Maria Giuseppina Piazzi;
   Visto il verbale dell'udienza del 28 ottobre 1996 e dato atto della
 successiva  memoria  difensiva  della accomandataria Piazzi dep. il 6
 novembre 1996;
   Visti  gli  atti  della  istruttoria  prefallimentare  e   ritenuta
 acquisita  la prova dell'avvenuta cancellazione (il 31 dicembre 1994)
 della societa' debitrice dal registro delle imprese (v.  cert.  Canc.
 comm.    del  22  gennaio  1996), come confermato all'udienza dall'ex
 socia accomandataria, senza che altri indizi, forniti dall'istante  o
 sollecitati   all'acquisizione   officiosa,  siano  stati  indotti  a
 smentita della circostanza;
   Dato atto che il  credito  azionato  dall'istante,  originariamente
 sorto  da  una prestazione professionale impagata pari a poco piu' di
 630 mila lire e di altre 510 mila lire circa per  il  rimborso  delle
 spese  di  legale  domiciliatario,  deriva  da  un decreto ingiuntivo
 emesso il 9 febbraio 1995 e non seguito, nonostante la sua successiva
 esecutorieta', da  alcun  atto  adempitivo;  la  procedura  esecutiva
 mobiliare  intentata  a carico della Blitz S.a.s. e' invero risultata
 infruttuosa (per chiusura dei locali, v. all. del 6 settembre 1995) e
 parimenti priva di capienza e' stata anche l'espropriazione  promossa
 direttamente a carico della socia illimitatamente responsabile;
   In  esito  all'istruttoria  e'  peraltro  emerso  che  una  residua
 titolarita' di  diritti  espropriabili  permane  in  capo  alla  sola
 Piazzi,  attualmente  occupata con modesto reddito mensile (circa 800
 mila lire) non assoggettato a pignoramento e marginale  capacita'  di
 saldo,  enunciata  in lire 100 mila mensili; altri beni, ad eccezione
 di un'automobile personale del 1980, non sono stati riscontrati;
   Nonostante la modestia del credito esposto, pur contestato  per  la
 parte  concernente il computo finale comprensivo delle spese e dunque
 maturato sino a quasi 5 milioni, appare  difficile  una  comparazione
 con  la  residua  suscettibilita'  di  garanzia patrimoniale invocata
 dalla socia, essendo del tutta esclusa la solvibilita'  del  soggetto
 societario:
     a)  Osserva  tuttavia questo Collegio che, secondo l'orientamento
 di c.d. diritto vivente seguito in sede di legittimita' (v.  da  ult.
 Cass.  19  giugno  1996,  n. 5679), i menzionati presupposti di fatto
 dovrebbero condurre in ogni caso  alla  dichiarazione  di  fallimento
 senza alcuna valorizzazione della portata precettiva, pur formalmente
 enunciata anche per le societa', dell'art. 10 l. fall.; l'insolvenza,
 certamente  acclarata, della societa' Blitz S.a.s. costituisce invece
 un requisito che non puo' essere reso coincidente, sia pur  sotto  il
 limitato   profilo   della  permanenza  di  un  rapporto  passivo  da
 estinguere, con la "vita" ovvero "non estinzione  sostanziale"  della
 societa'  stessa,  quasi  in  termini abroganti della possibilita' di
 applicare, appunto anche alle societa'  (e  come  mai  escluso  dalla
 stessa  giurisprudenza  di legittimita'), la citata norma di chiusura
 di cui all'art. 10 1.fall.; tale convincimento, tuttavia,  non  trova
 spazio  applicativo se la decorrenza del termine dell'anno promana da
 un evento (la liquidazione,  anche  dal  lato  passivo,  di  tutti  i
 rapporti   giuridici)   non   invece   richiesto  per  l'imprenditore
 individuale.
   La  relativa  ultrattivita' (cioe' dopo la cessazione dell'impresa)
 delle norme fallimentari rinviene infatti  nel  limite  temporale  un
 elemento  che  si  aggiunge  alla cesura gia' immanente alla unitaria
 concezione   "economica"   dell'imprenditore   commerciale    offerta
 dall'art.    2082  c.c.: l'accesso alla procedura concorsuale, con le
 conseguenze  anche  sanzionatorie  affliggenti   il   titolare,   non
 sopravvive,  di  regola, alla scomparsa dell'identita' funzionale dei
 beni costituiti in azienda.  Il limite dell'anno di cui  all'art.  10
 1.fall.  assolve,  per converso, alla concorrente funzione di evitare
 che, in frode ai creditori, il patrimonio di  garanzia  si  sottragga
 alla responsabilita' per debiti in virtu' di un'iniziativa volontaria
 di liquidazione, libera nel nostro ordinamento;
     b)   La   maggiore   vivacita'   interpretativa  si  appunta  sul
 significato da attribuire alla nozione di  "cessazione  dell'impresa"
 per  sfociare, come noto, in autentica contrapposizione ricostruttiva
 in ordine all'estensione del concetto nel  campo  degli  imprenditori
 collettivi.
   Pur  dunque  subendo  l'influenza  della  tipologia  di  insolvente
 fallibile la predetta condizione oscilla tra l'effettiva interruzione
 del processo produttivo ed anche  la  dissoluzione  in  se'  del  suo
 titolare  colto  nella  sua veste di imprenditore commerciale: le due
 nozioni infatti, ancorche'  non  coincidenti  in  ambito  societario,
 possono  essere  partitamente espresse anche con riguardo al singolo,
 quando  si  ravvisi  il  materiale  esaurimento   dell'esercizio   di
 un'attivita'  e  l'inizio  di  un'altra  ovvero l'acquisizione di una
 condizione economico-professionale estranea all'ambito dell'art. 2082
 c.c.
   Si puo' tuttavia rilevare che  il  saldo  legame  con  l'insolvenza
 postulato  dalla  norma  accentua, nell'interpretazione criticata, la
 cennata  difficolta'  di  censimento:  la  distinzione  delle   varie
 attivita' d'impresa proprie, anche per sequenza temporale diacronica,
 del  medesimo soggetto puo' inerire a diversi regimi delle rispettive
 iniziative ma non vulnera l'unicita' della  figura  di  imprenditore,
 essendo  sufficiente che la dichiarazione di fallimento avvenga entro
 l'anno dalla cessazione dell'esercizio  di  una  delle  attivita'  di
 impresa,  perche'  egli  risponda  in  forma  concorsuale di tutte le
 obbligazioni assunte sia in attivita'  non  imprenditoriali,  sia  in
 attivita'  imprenditoriali  precedentemente  esercitate ed in ipotesi
 esaurite. A cio' non puo' non pervenirsi dato che la norma non  fissa
 una  nozione  di  insolvenza  diversa  da  quella  di  cui all'art. 5
 1.fall.: il fallimento appartiene alle reazioni  ordinamentali  verso
 l'imprenditore  incapace  di fronteggiare i suoi debiti, qualunque ne
 sia la natura.
   Per  l'imprenditore  individuale,  dunque,  la  fine   dell'impresa
 procede  da  una ricognizione in fatto dell'arresto di ogni attivita'
 tipizzante quella o altre attivita' economiche comunque riconducibili
 all'art.   2082 c.c.: se  e'  riconosciuto  non  essere  di  ostacolo
 all'applicazione  della  norma  l'omessa  denunzia  di  cessazione al
 registro (un tempo) ditte della camera di commercio  (Trib.  Cagliari
 18  maggio  1992,  Giur.it 1992,I,2,524) il carattere intrinsecamente
 "commerciale" degli atti e' rivelato  dalla  obbiettiva  connotazione
 speculativa  contraddistinguente  le  singole  operazioni, siano esse
 della stessa natura di quelle della  gestione  caratteristica  (Trib.
 MiIano   12   marzo   1992,   Fallimento  1992,645)  ovvero  di  mera
 liquidazione  (Trib.  Civitavecchia  27   gennaio   1989,   Dir.fall.
 1990,II,254,  piu'  cambiali  ed assegni) e, nella stessa ipotesi ma,
 con risalto al carattere equivoco del titolo astratto e, dunque,  per
 l'esonero   dal   fallimento,   Trib.   Roma   22  luglio  1981,  ivi
 1982,II,166),    anche    compiute    allorche'    nel     patrimonio
 dell'imprenditore  non  vi  siano  piu'  beni idonei ad assicurare il
 funzionamento della relativa impresa (Trib.  Udine  21  giugno  1984,
 Dir.fall. 1985,II,216).
   La  cessazione  opera  in  termini  oggettivi,  vale  a  dire  "per
 qualunque causa": cio' ha spiegato l'equiparazione, negli effetti  di
 certezza  che  la  norma  mira  a garantire, del sequestro preventivo
 penale d'azienda (decidente non in se' ma in quanto  non  seguito  da
 atti  d'impresa:   Trib. Orvieto 30 maggio 1994, Fallimento 1995,306)
 alla alienazione  a  terzi  del  nucleo  costitutivo  dei  beni  gia'
 tipizzanti  l'attivita'  (Trib.  Cosenza  28  luglio 1982, Fallimento
 1983,685). La  materialita'  dell'arresto  dell'esercizio  d'impresa,
 piuttosto  che la dissoluzione del bene-azienda, sorregge altresi' la
 casistica in cui il requisito negativo e'  dimostrato  quale  effetto
 raggiunto  in  concreto anche al di la' della previsione contrattuale
 dismissiva e della astratta opponibilita' ai terzi;
     c) Tale ultima considerazione reintroduce la problematicita'  del
 quadro  probatorio:  non  vigono  in  materia regimi di opponibilita'
 legale connessa alla pubblicita',  ne'  puo'  ascriversi  significato
 confessorio  alle  dichiarazioni rese dall'imprenditore, ben potendo,
 tuttavia, essere  dichiarato  il  fallimento  se,  maturata  in  sede
 istuttoria (anche a seguito di informazioni acquisite ex officio) una
 articolazione    indiziaria   normalmente   connotante   l'attualita'
 dell'esercizio  (es.    il  mantenimento  della  partita  I.V.A.,  la
 iscrizione  al  registro  delle imprese, la pendenza dei contratti di
 servizio, la mancanza di altra occupazione reddituale, l'intestazione
 della licenza o concessione abilitante, la sussistenza delle  insegne
 e dei mezzi pubblicitari statici) il fallendo non riesca a fornire la
 prova  positiva  della  effettiva  cessazione  postulata dall'art. 10
 1.fall. I creditori istanti e l'ufficio procedente,  invero,  possono
 dire assolta l'iniziativa a sostegno della indicazione necessaria del
 legittimato  passivo all'azione fallimentare una volta instaurata una
 presunzione semplice che, ex  art.  2729  c.c.,  integri  i  dati  di
 tipicita' sociale immanenti all'attualita' dell'impresa individuale;
     d)   L'art.  10  1.fall.  esige,  per  l'insolvenza  dell'impresa
 cessata, che la relativa crisi di  liquidita'  o  produttiva  si  sia
 manifestata  anteriormente  alla  menzionata  cessazione o, comunque,
 entro  l'anno  successivo.  La  chiara  riproposizione  del   lessico
 introdotto  all'art.    5  1.fall.  e la mancata instaurazione (anche
 rispetto al previgente codice di commercio) di un nesso  di  inerenza
 dei   debiti   all'esercizio  dell'impresa  circoscrive  l'indice  di
 riconoscibilita' del requisito:    l'accertamento  del  Tribunale  si
 fonda sulle obbligazioni scadute e non pagate emergenti sia prima che
 dopo il ritiro dell'attivita', proprie dell'impresa o non, relative a
 debiti  anteriori  o  successivi, con l'unico limite dell'anno; oltre
 tale  scadenza  prevale  un  interesse  pubblico  a   non   vincolare
 ulteriormente  alla  garanzia  collettiva il patrimonio del debitore,
 potendo i singoli riprendere iniziative individuali  ovvero  chiedere
 l'affermazione  di altre, concorrenti, responsabilita' (ad es. penali
 o, nel caso di specie, dei singoli soci ex artt. 2312/2315 c.c.);
     e)  La  pronuncia  di fallimento deve intervenire entro il citato
 anno: nessuna sospensione o interruzione puo'  incrinare  l'oggettiva
 decorrenza del termine che, dunque, si palesa coincidente, quale dies
 ad  quem,  con  lo  stesso  deposito della sentenza. Esso opera quale
 onere indiretto gravante sulla parte istante ed altresi' come  limite
 obbiettivo al potere del giudice.
   Per   gli  imprenditori  collettivi  l'orientamento  seguito  dalla
 prevalente  giurisprudenza  assume,  come  premesso,  che  solo   con
 l'effettivo   esaurimento  della  liquidazione  puo'  dirsi  avvenuta
 l'estinzione della societa', cosi' che, permanendo taluni debiti, non
 puo' cominciare a decorrere il  termine  dell'anno  (cfr.  per  tutte
 Cass.  24  luglio  1992,  n. 8924, Fallimento 1993,48,ID. 20 dicembre
 1988, n. 6953, ivi 1989,510,  Trib.    Torino  15  aprile  1994,  ivi
 1994,1297);  la  cancellazione  dal  registro  delle  imprese, evento
 formale, in se' non potrebbe coincidere con il  dies  a  quo  di  cui
 all'art. 10 1.fall., secondo un parallelismo esplicitamente suggerito
 rispetto  all'imprenditore  individuale,  la  liquidazione  della cui
 azienda si differenzia solo  per  l'assenza  di  una  specifica  fase
 codicisticamente tipizzata.
   Corollario    inevitabile    e'    (come   avvenuto)   la   pratica
 inapplicabilita' della stessa preclusione temporale non potendosi mai
 ipotizzare per le societa', comprese quelle di fatto (Trib. Milano 29
 ottobre 1994, Giuri.it.  1995,I,2,160),  un  evento  costitutivo  del
 termine    iniziale,    la    cui   decorrenza   verrebbe   differita
 all'esaurimento dell'ultimo rapporto passivo (Trib. Milano 3  ottobre
 1986, Dir.fall. 1987,II,731), con scomparsa allora dell'insolvenza.
   L'ingresso  alle  diverse  tesi  dottrinali  rivolte  a  restituire
 immaginabile   percorribilita'   circolare   all'art.   10   1.fall.,
 evitandone un'interpretazione abrogativa de jure condito, ha peraltro
 trovato solo occasionali recezioni nella giurisprudenza di merito: il
 dies  ad  quem  e'  stato in genere rinvenuto nella cancellazione dal
 registro delle imprese (App. Milano  29  settembre  1977,  Giur.comm.
 1978,II,88  in  cui si contesta che, ex artt. 2312 e 2456 c.c., possa
 avere rilevanza la distinzione tra estinzione formale (o  presuntiva)
 e reale; conf. Trib. Varese 21 maggio 1990, Foro Pad. 1991,I,198) non
 sembrando  invece accolto lo stimolo ad approfondire unitariamente la
 nozione  di  cessazione  dell'impresa  nei  suoi  profili  distintivi
 rispetto alla scomparsa del suo titolare (ente o persona fisica).
   Le  maggiori suggestioni interpretative unitarie peraltro procedono
 dalla linea di coerenza che, facendo leva sulla  formale  assenza  di
 una  restrizione soggettiva espressamente posta dall'art. 10 1.fall.,
 vieterebbe di aderire ad un'ipotesi di estinzione inidonea a  rendere
 applicabile  l'istituto del fallimento, pur volendo accogliere, quale
 termine  iniziale,  la  chiusura  delle  operazioni  di  liquidazione
 (coincida o meno con la cancellazione). A tale esito si puo' tuttavia
 pervenire,  per superare un'ingiustificata disparita' di trattamento,
 solo a patto di un chiarimento del giudice delle leggi che sussuma la
 considerazione  "reale"  dell'impresa  societaria  che  non  dovrebbe
 fallire  per  il  solo  "avere  ad  oggetto  attivita'  commerciale",
 occorrendo "l'esercizio effettivo  di  una  tale  attivita'",  dunque
 escludendosi  che  una  societa' (ancora) inattiva possa fallire, ne'
 potendosi sempre affermare che la  cessazione  dell'impresa  coincida
 con  la liquidazione. D'altronde lo stesso art. 10 1.fall. (e pure il
 successivo)  trova  il  suo   presupposto   di   applicazione   nella
 "persistenza di debiti di chi non e' piu' imprenditore".
   All'interno    della    disciplina    societaria   appare   inoltre
 persuasivamente ricordato, dalla stessa dottrina, che la ratio  della
 responsabilita'  sussidiaria  limitata  dei soci ed eventualmente dei
 liquidatori ex art. 2456  o  2312  c.c.  in  caso  di  sopravvenienze
 passive,   precludendo   ai   creditori  della  societa'  di  potersi
 soddisfare sul patrimonio dell'ente, suona conferma che  la  societa'
 piu'  non  esiste; la cancellazione dal registro delle imprese toglie
 dunque azione ai  creditori  sociali,  circoscrive  quantitativamente
 l'ipotesi  del  loro concorso con i creditori particolari, allarga la
 responsabilita' ai liquidatori. Proprio il sistema degli artt. 2312 e
 2456 c.c. confligge con il postulato  di  una  societa'  che  non  si
 estingue  mai  se non ha adempiuto (o comunque fatto cessare) tutti i
 suoi rapporti passivi.
   Nella fattispecie la mancanza  di  sintomi  infirmanti  l'apparente
 chiusura  dell'attivita',  anche  al  vecchio  registro  delle  ditte
 cessata al  31  dicembre  1994,  pur  aggiornata  con  l'ultimo  atto
 pubblicitario  e successivo all'estinzione, cioe' la denuncia di fine
 attivita'  presso  la  CCIAA  (al  4  gennaio   1995),   non   sposta
 l'estraneita'  oggettiva  del  riferimento  temporale:  l'anno di cui
 all'art. 10 1.fall. era trascorso da oltre un mese  con  riguardo  al
 deposito  gia'  dell'istanza  di  fallimento  (16 febbraio 1996) ed a
 maggior ragione esso ora individua  un  conflitto  di  disparita'  di
 trattamento  che una pronuncia di accoglimento in esito alla presente
 istruttoria inevitabilmente recherebbe;
     f) Cosi' definiti i  margini  di  rilevanza  della  questione,  i
 profili di non manifesta infondatezza procedono - sulla traccia della
 altrimenti   vincolante   interpretazione   della  giurisprudenza  di
 legittimita'  -  dall'apparente  contrasto  con  lo  statuto  vivente
 dell'imprenditore  commerciale  singolo,  riguardato  nel suo momento
 estintivo reale e nella sua eguale natura speculativa: la denunciata,
 priva di giustificazione razionale,  diversita'  di  trattamento  non
 puo'  invero  riposare  sulla  presunta speculativita' immanente alla
 sola impresa collettiva (argomento d'altronde  ancora  utilizzato  in
 materia  di  presupposti soggettivi di fallibilita' con riguardo alla
 piccola societa' commerciale) poiche' la norma censurata  (l'art.  10
 1.fall.)  palesemente attiene al regime temporale della pronuncia nel
 presupposto, comune ai due tipi di soggetto, della ammissibilita'  di
 un accesso alle procedure concorsuali; se, conclusivamente, l'art. 10
 1.fall.   viene   ribadito   quale   esistente  per  ogni  figura  di
 imprenditore che, per definizione, e' insolvente (altrimenti  nemmeno
 sarebbe    portato    all'attenzione    istruttoria   del   Tribunale
 fallimentare) contrasta allora sia con l'art.  3  della  Costituzione
 che con l'art. 24 della Costituzione un regime interpretativo cogente
 per  il  giudice  di  merito  e  volto  ad esigere, con la fine della
 liquidazione  e  nonostante  la  cancellazione  dal  registro   delle
 imprese,  l'esaurimento  anche  dei  rapporti passivi della societa',
 cioe' la rimozione -  in  pratica  -  dell'elemento  oggettivo  della
 fallibilita';  gli  elementi di contraddizione con i citati parametri
 costituzionali  non  sono  peraltro  estranei   alla   giurisprudenza
 dell'Alta   Corte   adita   che,   in   materia,   gia'   ha  espunto
 dall'ordinamento il limite presuntivo assoluto  dell'investimento  di
 capitale  attorno  alla  figura  del piccolo imprenditore commerciale
 (con riguardo all'art. 3: v. sent. 22 dicembre 1989, n.  570)  ed  il
 vincolo  alla  declaratoria per debito fiscale (con riguardo all'art.
 24:  v. sent. 9 marzo 1992, n. 89); la caratterizzazione di un regime
 unitario, con accenti di omologia interpretativa oggi non rinvenibili
 sul piano dell'art. 10 1.fall., ben dunque si espone ad un intervento
 di  chiarificazione  restrittiva   della   norma   o   di   rimozione
 dall'ordinamento  di  essa  se,  de  jure  condito,  intesa in chiave
 confliggente  con  tali  valori  costituzionali;  essi  sono  infatti
 vulnerati  processualmente,  dal  punto  di  vista  dell'imprenditore
 collettivo, anche per la  presunzione  assoluta,  non  vincibile  con
 prova  contraria, di essere ancora un soggetto non "cessato" pur dopo
 ogni espletamento delle formalita' (cancellazione dal registro  delle
 imprese)  richieste  dallo  stesso  codice  civile  per  fondare  uno
 spostamento delle responsabilita' non  piu'  riferibili  ad  un  ente
 ancora giuridicamente attivo o sussistente;
                                P. Q. M
   Visti  gli artt. 1, 10 e 22 l.fall., 2312, 2315 c.c., 23 e seguenti
 legge 11 marzo 1953, n. 87;
   Ritenuta d'ufficio rilevante  e  non  manifestamente  infondata  la
 questione  di  costituzionalita'  dell'art. 10 r.d. 16 marzo 1942, n.
 267 nella parte in cui, per la cessazione  dell'impresa  ed  ai  fini
 dell'esenzione  temporale  dal  fallimento con riguardo alle societa'
 commerciali  insolventi,  esso  esige  che,   nonostante   l'avvenuta
 cancellazione  dal  registro delle imprese ed il passaggio di un anno
 da tale formalita', sia altresi' esaurita  la  liquidazione  di  ogni
 rapporto anche passivo;
   Dispone    l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale;
   Sospende il giudizio in corso;
   Ordina che, a cura della cancelleria,  la  presente  ordinanza  sia
 notificata  alle  parti  in causa nonche' al Presidente del Consiglio
 dei Ministri;
   Manda alla cancelleria  di  comunicare  la  presente  ordinanza  ai
 Presidenti delle due Camere del Parlamento.
     Bologna, addi' 5 febbraio 1997
                      Il presidente: De Robertis
 Il giudice relatore estensore: Ferro
 97C0750