N. 216 SENTENZA 19 giugno - 3 luglio 1997
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Filiazione - Dichiarazione giudiziale di paternita' o maternita' naturale - Giudizio preventivo di ammissibilita' dell'azione - Mancata previsione di limitazione di detto giudizio all'esame dell'interesse del minorenne Irragionevolezza - Limitazione del diritto dei minori ad ottenere il riconoscimento - Non fondatezza. (C.C., art. 274, primo e secondo comma). (Cost., artt. 3, 30 e 31).(GU n.29 del 16-7-1997 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: dott. Renato GRANATA; Giudici: prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, avv. Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI;
ha pronunciato la seguente Sentenza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 274, primo e secondo comma, del codice civile, promosso con ordinanza emessa il 14 novembre 1995 dal tribunale per i minorenni di Napoli, nel procedimento civile vertente tra Candelmo Tommasina e Petito Francesco, iscritta al n. 331 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell'anno 1996. Udito nella camera di consiglio del 7 maggio 1997 il giudice relatore Fernanda Contri. Ritenuto in fatto Nel corso di un giudizio di ammissibilita' dell'azione per la dichiarazione giudiziale di paternita' naturale, il tribunale per i minorenni di Napoli, con ordinanza emessa il 14 novembre 1995, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 30 e 31 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 274, primo e secondo comma, del codice civile, nella parte in cui non limita il giudizio di ammissibilita' dell'azione di dichiarazione giudiziale di paternita' e maternita' naturale all'esame dell'interesse del minore. Il giudice rimettente, dopo aver premesso che la ratio del giudizio di ammissibilita' in esame deve individuarsi nella necessita' di evitare che siano intentate azioni temerarie o ricattatorie nei confronti della parte convenuta, osserva che la norma non e' piu' rispondente alla funzione cui essa e' preordinata, in quanto le attuali conoscenze scientifiche consentono di raggiungere la certezza assoluta della paternita' biologica. La previsione di una fase preliminare di ammissibilita' dell'azione, nella quale devono essere acquisiti e valutati elementi probatori circa la sussistenza di specifiche circostanze tali da far apparire giustificata l'azione medesima, determina, ad avviso del tribunale rimettente, una irragionevole limitazione del diritto dei minori ad ottenere il riconoscimento, in quanto esso viene ad essere subordinato ad un giudizio, nel quale si ha riguardo non unicamente all'interesse del minore medesimo, bensi' agli elementi di prova che le parti siano state in grado di offrire e alla valutazione degli stessi, con conseguente lesione dei principi costituzionali a tutela dei minori. Considerato in diritto 1. - Il tribunale per i minorenni di Napoli denuncia l'illegittimita' costituzionale dell'art. 274, primo e secondo comma, del codice civile, nella parte in cui non limita il giudizio di ammissibilita' dell'azione per la dichiarazione di paternita' o di maternita' naturale all'esame dell'interesse del minore. Ad avviso del giudice a quo la suddetta norma sarebbe in contrasto con gli artt. 3, 30 e 31 della Costituzione, poiche', oltre a mancare di razionalita', non essendo piu' rispondente alla funzione cui e' preordinata, limita il diritto dei minori ad ottenere il riconoscimento, subordinandolo ad un preventivo giudizio basato su valutazione di prove che non sempre le parti sono in grado di offrire, anziche' esclusivamente sull'esame dell'interesse dei minori medesimi. 2. - La questione non e' fondata. Il tribunale rimettente solleva il dubbio che la previsione di una fase preliminare di ammissibilita', cosi' come oggi configurata, determini una limitazione del diritto del minore al riconoscimento, ritenendo che nel giudizio in esame debbano necessariamente acquisirsi prove testimoniali o documentali di particolare consistenza da porre a sostegno della declaratoria di ammissibilita', tali da provocare grave pregiudizio nel caso di mancato assolvimento al predetto onere. La premessa interpretativa da cui muove il rimettente non sembra pero' tener conto del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimita', pur citato nell'ordinanza di rimessione, secondo il quale, ai fini della pronuncia di ammissibilita' dell'azione in oggetto, non si richiede l'esistenza di prove aventi efficacia piena e assoluta, ma e' ritenuto sufficiente il concorso di elementi anche di tipo presuntivo, che siano potenzialmente idonei "a far apparire l'azione verosimile e non priva di fondamento" (Cass. 3 febbraio 1990, n. 737); tanto che, secondo la situazione concreta, la pronuncia di ammissibilita' puo' essere fondata anche sulle affermazioni della parte ricorrente. Ancora si e' affermato in giurisprudenza che non vi e' alcun obbligo per il giudice di assumere le informazioni del caso, ove egli ritenga di pervenire ad una declaratoria di ammissibilita' in forza delle sole circostanze dedotte. L'applicazione giurisprudenziale della norma censurata esclude quindi che da essa possa derivare il pregiudizio lamentato e di conseguenza esclude ogni censura di incostituzionalita'. 3. - In riferimento, poi, al profilo della pretesa irragionevolezza della norma, che, ad avviso del rimettente, non sarebbe piu' rispondente allo scopo cui e' preordinata, onde il procedimento in esame dovrebbe essere limitato alla mera valutazione dell'interesse del minore al riconoscimento, questa Corte ha gia' avuto modo di affermare che l'esame di tale interesse costituisce una componente essenziale dell'oggetto del giudizio di ammissibilita', non incompatibile con le ragioni di tutela del convenuto, cui e' ispirata la norma stessa, in quanto "la veridicita' del preteso rapporto di filiazione col convenuto, del quale il giudice deve in questa prima fase controllare l'esistenza di seri indizi, e' pure un elemento dell'interesse del minore" (sentenza n. 341 del 1990). E' quindi compito precipuo del tribunale per i minorenni, cui del resto e' stata attribuita la relativa specifica competenza, verificare se la modifica dello status del minore risponda al suo interesse e non sia per lui di pregiudizio; cosi' come contemporaneamente occorre anche verificare, sia pure con sommaria delibazione, la verosimiglianza del preteso rapporto di filiazione, dovendosi garantire il diritto del minore alla propria identita' (sentenza n. 112 del 1997). Il procedimento in esame e' ispirato pertanto a due finalita' concorrenti e non in contrasto tra loro, essendo posto a tutela non solo del convenuto contro il pericolo di azioni temerarie e ricattatorie, ma anche e soprattutto del minore, il cui interesse sta nell'affermazione di un rapporto di filiazione veridico, che non pregiudichi la formazione e lo sviluppo della propria personalita'. I profili di incostituzionalita' dedotti dal giudice a quo sono, per le indicate ragioni, insussistenti.
Per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 274, primo e secondo comma, del codice civile, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 30 e 31 della Costituzione, dal tribunale per i minorenni di Napoli con l'ordinanza in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 giugno 1997. Il Presidente: Granata Il redattore: Contri Il cancelliere: Fruscella Depositata in cancelleria il 3 luglio 1997. Il cancelliere: Fruscella 97C0782