N. 483 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 aprile 1997
N. 483 Ordinanza emessa il 28 aprile 1997 dal pretore di Ancona sez. distaccata di Fabriano nei procedimenti penali riuniti a carico di Cristalli Fabio ed altro Processo penale - Responsabilita' civile - Citazione da parte dell'imputato - Mancata previsione - Disparita' di trattamento rispetto al potere d'intervento del responsabile civile (a cui non corrisponde alcuno speculare potere di chiamata dell'imputato) e rispetto a quanto previsto nel processo civile - Lesione del diritto di difesa - Violazione del principio di buon andamento dell'amministrazione della giustizia. (C.P.P. 1988, art. 83). (cost., artt. 3, 24 e 97).(GU n.35 del 27-8-1997 )
IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza, letti gli atti dei procedimenti penali riuniti e rispettivamente a carico di Montanari Lino (n. 7155/95/A r.n.r.) e di Cristalli Fabio (n. 5608/1994 r.n.r.); Rilevato che i due procedimenti riguardano un'imputazione di omicidio colposo per entrambi gli imputati, in relazione a concorrenti condotte colpose con le quali i predetti Cristalli e Montanari, alla rispettiva guida dei loro veicoli, avrebbero provocato l'incidente stradale dal quale e' derivata la morte di Isidori Maria Chiara; che, avvenuta la costituzione di parte civile dei familiari della vittima, il difensore di Fabio Cristalli, con nota del 18 aprile 1997, osservava come l'art. 83 c.p.p. consente solo alla parte civile, e non all'imputato che pure vi avrebbe interesse, di citare nel processo penale il responsabile civile, il che comportava che a mente degli artt. 538 e 540 cpp, il Cristalli stesso si vedeva esposto alle conseguenze economiche di un'eventuale sentenza di condanna nonostante avesse ottemperato alle previsioni della legge n. 990/1969, e che pertanto l'omessa previsione per l'imputato di citare il responsabile civile appariva in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost.; che pertanto la difesa del Cristalli preannunciava di sollevare il problema di costituzionalita', con eccezione che reiterava ed argomentava all'odierna udienza, in sede di questioni preliminari ex art. 491 c.p.p.; Tanto premesso, questo pretore, in punto di rilevanza della questione, osserva innanzitutto che non appare decisiva la circostanza che, a seguito della pronuncia della Corte costituzionale n. 453 del 17 novembre 1992, sussista un termine per la citazione del responsabile civile, che e' lo stesso previsto dall'art. 555 comma 3 c.p.p., per cui in ogni caso vi sarebbe l'inutile decorso del predetto termine per citare il responsabile civile. Infatti, e' evidente che, non essendo prevista dalla legge la possibilita' per l'imputato di citare il responsabile civile, non poteva l'imputato stesso in alcun modo attivarsi in tal senso, talche' la restituzione nel termine di cui all'art. 175 c.p.p. ben potrebbe essere richiesta a seguito dell'ipotizzata declaratoria di incostituzionalita' della norma denunciata. Va ancora osservato che, circa la valutazione di non manifesta infondatezza, la questione e' gia' stata sottoposta al vaglio della Corte, la quale ha emesso sentenza n. 38 del 16 febbraio 1982 in relazione ad analoga questione sollevata dal pretore di Milano nella vigenza del c.p.p. del 1930 (la posizione della Corte e' stata, poi, sostanzialmente ribadita con la pronuncia n. 120 del 18 giugno 1982). Nel dichiarare l'infondatezza della questione, la Corte ha osservato che la presenza del responsabile civile nel processo penale e' collegata ad un oggetto del tutto diverso da quello cui e' preordinato il processo penale, cosicche' la regolamentazione riflette la diversita' delle situazioni, aderendo al carattere dell'azione civile, azione ch'e' subordinata alle scelte della parte lesa la quale puo' liberamente rivolgere la propria domanda o verso il solo imputato o anche nei confronti del responsabile civile. Ha anche sottolineato che l'imputato, invece, non ha, come tale, richieste di natura civilistica da avanzare in sede penale mentre semmai potra' rivalersi "nei limiti consentiti" nei confronti del responsabile civile in via di regresso ove abbia adempiuto l'obbligazione di risarcire il danno derivante dalla sentenza di condanna. Tale assetto, secondo la Corte, risultava assolutamente rispettoso del principio di uguaglianza, essendo la diversita' di disciplina giustificata dalla diversita' delle situazioni. Debbono essere inoltre considerate con molta attenzione le considerazioni conclusive della Corte, secondo cui l'illegittimita' dell'art. 28 c.p.p. del 1930 "nella parte in cui disponeva che nel giudizio civile o amministrativo l'accertamento dei fatti materiali che furono oggetto di un giudizio penale fosse vincolante nei confronti di coloro che rimasero ad essi estranei perche' non posti in condizione di intervenirvi, e' stata riconosciuta in base alla fondamentale esigenza della garanzia del contraddittorio; esigenza che appariva chiaramente elusa e che, invece, nella specie, non sussiste, date appunto la gia' delineata natura civile e la possibilita' di esperire contro di lui le eventuali azioni di regresso da parte dell'imputato"; Analogo criterio e' stato seguito, sempre secondo la motivazione che si sta richiamando, in relazione alla dichiarazione di illegittimita' dell'art. 27 c.p.p. 1930, con la quale veniva "riconosciuta la lesione del diritto di difesa del responsabile civile.... in quanto produceva conseguenze di irreparabile gravita' giacche' investiva la posizione del responsabile civile nella sua totalita', precludendogli ogni possibilita' difensiva in ordine ai fondamentali elementi ora accennati, mentre la mancata partecipazione dello stesso al giudizio penale non opera limitazioni di tal natura nei confronti dell'imputato, che, si ripete, non ha in quella sede pretese da far valere contro di lui"; Infine, particolarmente rilevante appare l'ultima osservazione della Corte nella richiamata sentenza, secondo la quale "ne' ... il possibile formarsi di giudicati contrastanti puo' costituire lesione del diritto di difesa dell'imputato, non incidendo tale eventualita' sulla possibilita' di far valere in giudizio le proprie ragioni e di farsi assistere dal difensore, nel che appunto si sostanzia il diritto stesso". E' utile prendere le mosse da tale ultima osservazione. Non puo', ovviamente, discutersi il fatto che il possibile formarsi di giudicati contrastanti (responsabilita' affermata o negata nel processo penale in comparazione alla responsabilita' affermata o negata, in ordine allo stesso fatto, nel processo civile in cui sia parte il responsabile civile) non incida in alcun modo sul diritto dell'imputato di difendersi in ordine all'azione (penale) spiegata contro di lui per stabilire o meno nel processo penale, la sua responsabilita' (penale). Ma, proprio perche', laddove vi sia costituzione di parte civile, l'imputato deve difendersi, nel processo penale, non solo dell'imputazione che gli viene rivolta ma anche sulla domanda civile che, corrispondentemente, gli viene intentata, il suo diritto di difesa non puo' subire lesioni neppure limitatamente ai suoi interessi civili, che non di rado, anzi, assumono un rilievo pratico pari se non superiore a quello di essere mandato assolto dall'accusa. E sotto tal profilo, non puo' considerarsi sicuramente appagante il circoscrivere l'indagine circa gli effetti del possibile contrasto di giudicati (sull'azione civile) prendendo quale punto di riferimento l'ambito della difesa penale dell'imputato. Per intanto, va osservato che l'imputato, nel caso di condanna penale e conseguente condanna al risarcimento dei danni ed eventuale provvisionale, sara' tenuto al pagamento anche di ingenti somme, mentre il responsabile civile rimasto estraneo al processo non sara' tenuto che in una fase successiva ed eventuale. In particolare, nel campo dell'assicurazione obbligatoria di cui alla legge n. 990 del 1969 e successive modifiche e integrazioni, si appalesa in maniera esemplare la contraddizione del sistema. Una volta avvenuta la costituzione di parte civile, l'impresa assicuratrice, quale responsabile civile, potra' decidere di intervenire volontariamente nel processo, secondo una sua libera scelta, mentre l'imputato/assicurato non ha un corrispondente potere di chiamare l'impresa assicuratrice ai fini di essere manlevato nei confronti della domanda di risarcimento danni avanzata nei suoi (soli) confronti dalla parte civile. E cio' non puo' non configurare un'indubbia disparita' di trattamento processuale, assolutamente non giustificata da alcuna diversita' di posizioni. Ma altre considerazioni debbono doverosamente farsi, proprio in relazione alla tipica figura di responsabile civile ch'e' costituita dall'assicuratore per r.c.a. Colui che ha subito danno in relazione alla circolazione di autoveicoli per i quali e' obbligatoria l'assicurazione, puo' scegliere se esercitare direttamente l'azione nei confronti dell'assicuratore ex art. 18 1egge 990/1969 ovvero presentare la normale azione aquiliana nei confronti dell'autore dell'illecito. Nel primo caso abbiamo un'ipotesi di litisconsorzio necessario ex lege, che trova il fondamento nell'art. 23 della citata legge. Nel secondo caso, dottrina e giurisprudenza sono ormai giunte alla conclusione (tranne qualche isolata voce di dissenso) che non sussiste alcun litisconsorzio con l'assicuratore, cosicche' la sua presenza nel processo civile e' meramente eventuale. E la ragione di cio' viene fatta risalire all'argomentazione secondo cui la condanna esclusiva del responsabile e' una statuizione completa, mentre la rilevanza del rapporto assicurativo e' solo eventuale e non si pone come indispensabile per il danneggiato attore perche' la possibile chiamata in garanzia giova solo all'assicurato. Si dice ancora che il titolare dell'azione non puo' essere costretto ad estendere, al di fuori di un'espressa previsione di legge, l'ambito dei soggetti processuali oltre il limite minimo di utilita' che egli intende conseguire con la sentenza. Nulla vietera' peraltro, nel processo civile, al danneggiante convenuto, di chiamare in garanzia l'assicuratore. Il danneggiato avra' un titolo giudiziale spendibile tanto contro l'assicurato quanto contro l'assicuratore. Se, poi, il danneggiato non si e' curato di chiedere la chiamata in garanzia, imputet sibi, in ordine alle conseguenze sfavorevoli che da tale mancanza di chiamata derivano. Niente di tutto cio' nella situazione all'esame di questo giudice. Ed infatti, nel caso di condanna dell'imputato al risarcimento danni, la statuizione giurisdizionale potra' essere fatta valere nei suoi soli confronti, per il preciso disposto dell'art. 651 c.p.p., non gia' nei confronti dell'assicuratore non citato ne' intervenuto nel processo. Vero e' che il danneggiante assicurato potra' rivalersi nei confronti dell'assicuratore, agendo contro lo stesso in via di regresso, ma a tal proposito occorre osservare: in tanto egli potra' esercitare tale regresso in quanto, secondo i normali schemi di cui all'art. 1299 c.c., abbia effettuato il pagamento; mentre la sentenza del giudice penale emessa nei termini di cui all'art. 651 c.p.p. ha efficacia di giudicato nei confronti del responsabile civile, il giudizio con il quale il danneggiante spiega la domanda ex art. 1299 c.c. puo' ospitare una serie di contestazioni di cui riesce assai difficile, a priori, specificare i limiti (anzi, se ci troviamo di fronte ad un'obbligazione solidale in senso proprio, a nulla varrebbe la sentenza di condanna civile emessa nei confronti dell'assicurato in sede penale, secondo il principio dettato dall'art. 1306 c.c. cfr. Cass. 26 ottobre 1982 n. 5591, secondo cui i condebitori solidali, i quali non abbiano partecipato al giudizio conclusosi con la condanna di uno di essi, hanno, di fronte al giudicato, veste di terzi rispetto al creditore non meno che nei confronti del coobbligato che agisca in via di regresso). I due notevoli inconvenienti appena accennati potrebbero essere superati (ma solo in relazione alla peculiare ipotesi del responsabile civile individuato nell'assicuratore r.c.a., e non in relazione a tutte le altre svariate ipotesi di responsabile civile) se, partendo dalla qualificazione del vincolo di solidarieta' tra le obbligazioni dell'autore dell'illecito e quelle dell'assicuratore, quale vincolo atipico proprio delle obbligazioni solidali ad interesse unisoggettivo, il ruolo dell'assicurto per r.c.a. venga ad assumere natura sussidiaria, cosicche' debitore "principale" e non solidale in senso proprio e' sempre, in ultima analisi, l'assicuratore. Ma, a prescindere dalla considerazione secondo cui tale costruzione non e' pacifica tra gli interpreti (e varrebbe comunque, come si ripete, solamente per quella specifica figura di responsabile civile costituita dall'assicuratore r.c.a.) ed anche a voler prescindere dalla considerazione secondo la quale non e' comunque questo l'orientamento della Cassazione sul punto (dal momento che e' stato ribadito che, in sede di assicurazione per r.c.a., in ogni caso la sentenza di condanna emessa in un giudizio in cui l'assicuratore non partecipa non puo' essere a lui opposta), se si aderisse ad essa sorgerebbero due ulteriori insormontabili problemi, tra loro strettamente collegati. Il primo problema e' che, in riferimento all'ipotesi dell'assicuratore r.c.a., la norma di cui all'art. 651 c.p.p. verrebbe svuotata di qualsiasi significato: a nulla varrebbe circoscrivere l'ipotesi di efficacia della sentenza penale che statuisce sul risarcimento danni al solo responsabile civile/assicuratore intervenuto nel processo penale, se poi in ogni caso l'assicuratore e' comunque obbligato a corrispondere quanto stabilito a titolo di risarcimento danni in virtu' della sua peculiare veste di vero e proprio debitore principale, secondo la specifica normativa di settore, e non di obbligato in solido secondo i principi generali (se sussista o meno la solidarieta', sia pure in veste atipica, v'e' contrasto in giurisprudenza cfr. Cass. n. 6428 del 27 novembre 1982 e n. 5484 del 13 ottobre 1980). Il secondo problema concerne l'improbabilita' che il legislatore non si sia posto, in sede di stesura dell'art. 651 del c.p.p., il problema di tale peculiare responsabile civile, costituito dall'assicuratore, e non abbia dato conto di tale peculiarita': in altre parole, appare strano, alla luce dell'importanza e della frequenza dei casi di responsabile civile costituita dall'impresa asicuratrice per r.c.a., nonche' alla luce dell'atteggiarsi del tutto sui generis di tale responsabile civile, che, se fosse stato orientato ad avvallare o non smentire la costruzione dell'assicuratore per r.c.a. quale debitore sempre e comunque (nei limiti contrattuali pattuiti), il legislatore non abbia dedicato nessun accenno a tale particolare aspetto ne' in sede di stesura della norma ne' in sede di relazione. A quest'ultimo proposito, v'e' solo un accenno, nella relazione, al sostanziale recepimento normativo delle sentenze della Corte costituzionale in tema di mancato intervento nel proceso di taluni soggetti, in vigenza del vecchio rito. In conclusione, l'imputato, non potendo citare (o chiedere l'autorizzazione a citare) il responsabile civile: 1. - Ha una posizione processuale sicuramente deteriore rispetto al responsabile civile, il quale puo' scegliere se intervenire o meno, anche se non citato dalla parte civile. 2. - Vede leso il suo diritto di difendersi dalla domanda civile anche chiamando in garanzia il responsabile civile. Si tratta di un vero e proprio diritto e non di una situazione di fatto o di una mera convenienza, dal momento che, in caso di condanna, verrebbe manlevato ex lege facendo stato la sentenza di condana civile anche (e sopratutto) nei confronti dell'assicuratore, che nell'azione di regresso non puo' invece che qualificarsi come coobbligato ex art. 1306 c.c., o al piu', per chi non vede rapporto di solidarieta', terzo comunque estraneo rispetto alla sentenza, che non potrebbe essere direttamente attivata nei suoi confronti, con tutte le gravissime conseguenze (di diritto, e non solo di mero fatto) che cio' comporta. Ritiene questo pretore che in quanto sin qui prospettato possa vedersi il contrasto: con l'art. 3 Cost., violandosi il principio d'uguaglianza dei poteri processuali esercitabili nel processo penale tra l'imputato ed il responsabile civile, non corrispondendo al potere d'intervento di quest'ultimo alcuno speculare potere di chiamata dell'imputato. Cio', tra l'altro, non si giustifica in alcun modo mediante la marginalita' della figura del responsabile civile in quanto, ai fini di subire gli effetti dell'azione civile esercitata dalla parte civile, imputato e responsabile civile hanno ruoli perfettamente equiparabili. Violandosi altresi la parita' di trattamento nella difesa dei diritti di natura civilistica tra l'autore dell'illecito convenuto con domanda nel processo civile e l'autore dell'illecito, imputato nel processo penale, nei cui confronti c'e' costituzione di parte civile, potendo solo il primo chiamare in garanzia il responsabile civile e non esporsi, successivamente alla sua condanna civile nel processo penale, all'alea dell'azione di regresso con le gravi conseguenze sopra prospettate; con l'art. 24 Cost., in quanto l'imputato, cui viene preclusa la chiamata in garanzia del responsabile civile, si trova a dover sopportare da solo le conseguenze civili del reato non solo in sede penale ma, successivamente, anche in sede civile, non potendosi neppure escludere, addirittura, che si trovi perdente nell'azione di regresso (o in altra autonoma azione, se non si accede alla tesi della solidarieta') da lui intentata al responsabile civile. con l'art. 97 Cost., confliggendo sicuramente con il principio di buon andamento dell'amministrazione della giustizia il possibile contrasto di pronunce giurisdizionali appena prospettato, contrasto che non puo' neppure ascriversi ad una fisiologica tolleranza del sistema nel suo complesso, in quanto derivante da norme assolutamente incongrue e neppure necessarie o indefettibili alla differenza tra le funzioni del processo penale e quelle del processo civile.
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 83 c.p.p., nella parte in cui non prevede la possibilita' per l'imputato, nel caso di costituzione di parte civile, di chiamare, o chiedere l'autorizzazione a chiamare, nel processo il responsabile civile, per contrasto con gli articoli 3, 24 e 97 della Costituzione; Sospende il procedimento ed ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che la presente ordinanza sia notificata al presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai presidenti delle due Camere del parlamento, dandosi atto che ne e' stata data integrale lettura in udienza ai fini della notifica alle altre parti. Fabriano, addi' 28 aprile 1997 Il pretore: Marziali 97C0815