N. 235 SENTENZA 19 giugno - 15 luglio 1997

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Imposte  in genere - Immobili appartenenti ai benefici ecclesiastici
 - Esonero dall'INVIM decennale o  periodica  indipendentemente  dalla
 loro  destinazione  - Estensione delle esenzioni agli istituti per il
 sostentamento del clero quali  successori  dei  benefici  estinti  in
 tutti  i  rapporti  attivi  e  passivi - Mancata applicabilita' della
 disciplina alle comunita' ebraiche  -  Differenziazione  giustificata
 dalla natura di enti strumentali ad hoc della Chiesa cattolica quanto
 agli  istituti  per  il  sostentamento  del  clero  e dalla natura di
 comunita' sociale quanto alle comunita' ebraiche - Non fondatezza.
 
 (Legge 16 dicembre 1977, n. 904, art. 8, terzo comma; legge 20 maggio
 1985, n. 222, art. 45).
 
 (Cost., artt. 3, 8, 19, 20 e 53).
 
(GU n.30 del 23-7-1997 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Giuliano VASSALLI, giudice, prof. Francesco GUIZZI,
 prof. Cesare MIRABELLI,  prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo
 VARI,  dott.  Cesare  RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA,  prof. Gustavo
 ZAGREBELSKY,  prof.  Valerio  ONIDA,  prof.  Carlo  MEZZANOTTE,  avv.
 Fernanda  CONTRI,  prof.  Guido  NEPPI  MODONA,  prof.  Piero Alberto
 CAPOTOSTI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  degli artt. 8, terzo
 comma, della legge 16  dicembre  1977,  n.  904  (Modificazioni  alla
 disciplina  dell'imposta  sul  reddito  delle persone giuridiche e al
 regime  tributario  dei  dividendi  e  degli  aumenti  di   capitale,
 adeguamento  del  capitale  minimo  delle  societa'  e altre norme in
 materia fiscale e societaria) e 45 della legge 20 maggio 1985, n. 222
 (Disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici  in  Italia  e  per  il
 sostentamento   del  clero  cattolico  in  servizio  nelle  diocesi),
 promosso con ordinanza emessa il 23 febbraio 1996  dalla  Commissione
 tributaria  di  primo  grado  di  Venezia  sul ricorso proposto dalla
 comunita' ebraica di Venezia contro l'Ufficio del registro di Mestre,
 iscritta al n. 594 del registro ordinanze  1996  e  pubblicata  nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  26, prima serie speciale,
 dell'anno 1996;
   Visto l'atto di costituzione della  comunita'  ebraica  di  Venezia
 nonche'  l'atto  di  intervento  dell'Unione delle comunita' ebraiche
 italiane;
   Udito  nell'udienza  pubblica  del  10  dicembre  1996  il  giudice
 relatore Gustavo Zagrebelsky;
   Uditi  gli  avvocati  Giuliano  Tabet  e  Massimo  Luciani  per  la
 comunita' ebraica di Venezia e per l'Unione delle comunita'  ebraiche
 italiane.
                           Ritenuto in fatto
   1.  - Nel corso di un giudizio tributario proposto avverso l'avviso
 di liquidazione dell'INVIM  straordinaria  per  il  1991,  introdotta
 dall'art. 1 del decreto-legge 13 settembre 1991, n. 299 (Disposizioni
 concernenti   l'applicazione  nell'anno  1991  dell'imposta  comunale
 sull'incremento di valore  degli  immobili  di  cui  all'art.  3  del
 decreto  del  Presidente  della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 643, i
 versamenti  dovuti  a  seguito  delle  dichiarazioni  sostitutive  in
 aumento  del reddito dei fabbricati e l'accertamento di tali redditi,
 nonche'  altre  disposizioni  tributarie  urgenti),  convertito,  con
 modificazioni,  nella  legge  18  novembre 1991 n. 363 - giudizio nel
 corso del quale si lamentava  il  mancato  riconoscimento,  da  parte
 dell'ufficio   finanziario,   del   diritto  all'integrale  esenzione
 dall'imposta  derivante  dalla  natura   del   ricorrente   di   ente
 ecclesiastico  civilmente  riconosciuto  ai  sensi della legge8 marzo
 1989, n. 101 (Norme per la regolazione dei rapporti tra  lo  Stato  e
 l'Unione   delle   comunita'  ebraiche  italiane)  -  la  Commissione
 tributaria di primo grado di Venezia ha sollevato, con ordinanza  del
 23  febbraio  1996,  questione  di  legittimita'  costituzionale,  in
 riferimento agli  artt.  3,  8,  19,  20  e  53  della  Costituzione,
 dell'art.  8,  terzo  comma,  della  legge  16  dicembre  1977 n. 904
 (Modificazioni alla disciplina dell'imposta sul reddito delle persone
 giuridiche e al regime tributario dei dividendi e  degli  aumenti  di
 capitale,  adeguamento  del  capitale  minimo  delle societa' e altre
 norme in materia fiscale e societaria) "in via autonoma ed in  quanto
 richiamato"   dall'art.  45  della  legge  20  maggio  1985,  n.  222
 (Disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici  in  Italia  e  per  il
 sostentamento del clero cattolico in servizio nelle diocesi), nonche'
 dello  stesso  art.  45  della  legge  n.  222  del 1985, applicabile
 all'INVIM straordinaria per l'anno 1991 in  base  al  rinvio  di  cui
 all'art.  1,  comma  8,  del decreto-legge 13 settembre 1991, n. 299,
 convertito,  con modificazioni, nella legge 18 novembre 1991, n. 363,
 entrambe le norme "nella parte in cui  dichiarano  esenti  dall'INVIM
 periodica  i  soli  immobili  appartenenti ai benefici ecclesiastici,
 agli Istituti diocesani ed all'Istituto centrale per il sostentamento
 del clero,  quale  che  ne  sia  la  destinazione  ed  utilizzazione,
 escludendo   invece   dall'agevolazione  quegli  stessi  immobili  se
 appartenenti ad istituzioni aventi personalita' giuridica e dotazione
 patrimoniale  che  siano  espressione  o  emanazione  di  confessioni
 religiose ammesse dallo Stato e diverse dalla religione cattolica".
   Nell'ordinanza  di  rimessione  si  sostiene,  in  primo  luogo, la
 rilevanza delle questioni per il fatto che un'eventuale decisione  di
 accoglimento   -  dalla  quale  deriverebbe  la  reclamata  esenzione
 generale  per  tutti  gli  immobili  di  appartenenza  -   renderebbe
 superfluo  accertare,  nel  giudizio  principale,  se gli immobili in
 questione siano destinati all'esercizio delle attivita' istituzionali
 dell'ente  ricorrente  (in  questa  sola  ipotesi  configurandosi  la
 esenzione specifica di cui all'art. 25, secondo comma, lettera c) del
 decreto  istitutivo  dell'INVIM  n.  643 del 1972); quindi si afferma
 l'ammissibilita' della richiesta di una sentenza additiva in tema  di
 agevolazioni    tributarie   poiche',   secondo   la   giurisprudenza
 costituzionale (sentenze nn. 108 del 1983 e 86 del 1985), sarebbe  la
 stessa  ratio  dei  benefici,  illegittimamente accordati ad una sola
 categoria di soggetti, ad esigere una siffatta estensione.
   Nel merito il giudice rimettente rileva che, all'origine, gli artt.
 3 e 25, secondo comma, lettera c) del d.P.R. 26 ottobre 1972, n.  643
 (Istituzione dell'imposta comunale sull'incremento  di  valore  degli
 immobili)  in  tema  di  INVIM  decennale  non  introducevano  alcuna
 differenza tra confessioni religiose per  il  regime  degli  immobili
 facenti  parte  dei  rispettivi patrimoni da assoggettare al tributo.
 Successivamente l'art. 8, terzo comma, della legge n. 904 del 1977 ha
 disposto l'esenzione  dall'INVIM  periodica  di  tutti  gli  immobili
 appartenenti  ai benefici ecclesiastici, indipendentemente dalla loro
 effettiva destinazione e quindi anche se locati a terzi.  In  seguito
 l'art.  45  della  legge  n. 222 del 1985 ha esteso tale agevolazione
 anche agli immobili posseduti dagli Istituti per il sostentamento del
 clero, nonostante fosse,  nel  frattempo,  cessato  il  regime  delle
 congrue.
   A   quest'ultimo  riguardo  ricorda  che  la  Corte  di  cassazione
 (sentenza n. 5 del 1991) ha precisato che l'esenzione in  parola  non
 era  accordata solo allo scopo di sollevare lo Stato dalla necessita'
 di versare ai titolari del  beneficio  supplementi  di  congrua,  dal
 momento che tale esenzione riguardava anche gli immobili di "benefici
 ricchi",  per  i quali non si poneva alcun problema di corresponsione
 di somme congruate da parte dello  Stato.  E  cio'  perche',  secondo
 quella  giurisprudenza,  la  ratio  della esenzione era ed e' tuttora
 rinvenibile  "nell'intento  dello   Stato   di   favorire   il   buon
 funzionamento  degli organi fondamentali della Chiesa cattolica".  Ma
 in un ordinamento ispirato  al  pluralismo  delle  confessioni  e  al
 principio  della  loro parita' nei confronti dello Stato, l'interesse
 al buon funzionamento degli organi e delle istituzioni che perseguono
 fini  di  religione  e  di  culto  non  puo'  che  essere  "di   tipo
 indifferenziato  e  indiscriminato",  per  cui le norme di esonero in
 favore di alcuni soltanto di quelli violano i principi costituzionali
 relativi all'interesse dello Stato di favorire il fenomeno religioso;
 interesse,   che   si  puo'  realizzare  anche  mediante  sovvenzioni
 indirette, quale l'esonero totale da un tributo di tipo  patrimoniale
 (appunto,    l'INVIM   periodica)   "degli   immobili   destinati   a
 investimento", se appartenenti a formazioni sociali e istituzioni che
 siano espressione di qualsiasi confessione religiosa.
   Quanto  al  tertium  comparationis  che  si  invoca  al   fine   di
 ristabilire    l'eguale    trattamento    tra    soggetti   omogenei,
 nell'ordinanza si precisa che non  e'  di  ostacolo  a  una  siffatta
 operazione  la  particolare  natura  delle  disposizioni  cui  si  fa
 riferimento, poiche' la norma di derivazione pattizia non puo' creare
 situazioni privilegiarie  in  settori  nevralgici  della  uguaglianza
 formale,  della  liberta'  e della parita' di trattamento di tutte le
 confessioni religiose e dell'eguale obbligo di contribuzione ("ovvero
 esonero")  a  parita'  di  capacita'  contributiva;  tutti  principi,
 questi, riconosciuti come supremi dell'ordinamento e non suscettibili
 di deroghe, nemmeno da parte di norme di derivazione pattizia.
   2.  - Con atti di identico contenuto, si e' costituita la comunita'
 ebraica di Venezia, parte del giudizio a quo e ha  chiesto  di  poter
 intervenire  ad  adiuvandum  nel  giudizio  davanti  a  questa  Corte
 l'Unione delle comunita' ebraiche  italiane,  nella  veste  di  "ente
 rappresentativo della confessione ebraica nei rapporti con lo Stato e
 per le materie di interesse generale dell'ebraismo".
   2.1.  -  Entrambi i soggetti hanno sottolineato, in primo luogo, la
 ammissibilita' delle prospettate  questioni,  correttamente  riferite
 alle norme di esonero e non a quelle impositive del tributo (artt.  3
 e  25,  quinto  comma,  lettera  a),  del d.P.R. n. 643 del 1972), in
 relazione alla  circostanza  che  l'esenzione  totale  dall'INVIM  e'
 riservata  soltanto  agli  immobili  della Chiesa cattolica, anche se
 locati a terzi. Per  questo  peculiare  profilo  e'  inevitabile  che
 questioni di legittimita' costituzionale con simile contenuto abbiano
 ad  oggetto proprio le norme derogatorie, le quali - come ha rilevato
 la dottrina -  assumono  a  un  tempo  la  qualita'  sia  di  tertium
 comparationis   (consistente   nella   situazione  di  vantaggio  per
 determinati soggetti), sia di  norme  denunciate  proprio  in  quanto
 illegittimamente  escludono  dal  proprio  ambito  altre categorie di
 soggetti.  Ne' puo' deporre per l'inammissibilita' delle questioni la
 considerazione che l'esenzione  e'  prevista  a  favore  di  benefici
 ecclesiastici che ormai sono destinati all'estinzione (art. 28, primo
 comma,  della  legge  n. 222 del 1985), perche' cio' avviene solo con
 l'emanazione del decreto di erezione del corrispondente Istituto  per
 il  sostentamento  del clero, il quale succede a tutti gli effetti al
 beneficio estinto (quarto comma, art. 28, cit.); il che significa che
 la   normativa   tributaria   censurata,   sorta   per   i   benefici
 ecclesiastici, si applica necessariamente agli enti che a questi sono
 succeduti,  come  si  ricava testualmente dall'art. 45 della legge n.
 222  citata  che  estende  quelle   esenzioni   ai   nuovi   soggetti
 dell'ordinamento  della  Chiesa,  non  senza considerare che resta in
 ogni caso, quale beneficio non estinto, la Santa Sede, nella quale si
 concentra un rilevante patrimonio immobiliare della Chiesa  cattolica
 con destinazione locativa.
   Circa  la precedente pronuncia di questa Corte (sentenza n. 410 del
 1988) - nella quale si giustificava il trattamento  tributario  delle
 IPAB discriminato rispetto a quello degli enti ecclesiastici, proprio
 per la "genesi pattizia" della legge n. 222 riguardante questi ultimi
 -  nelle memorie si afferma che l'origine pattizia della fonte di una
 determinata disciplina non  puo'  impedire  il  raffronto  con  altre
 discipline  rinvenibili  altrove, quando le situazioni normative sono
 oggettivamente assoggettate  agli  stessi  valori  costituzionali  di
 riferimento; tale e' appunto il caso delle comunita' ebraiche, la cui
 situazione   oggettiva   e'   equiparabile   a   quella   degli  enti
 ecclesiastici della Chiesa cattolica.
   2.2. - Nel merito si osserva che, a parita' di situazioni di  fatto
 e   di   indici   di  capacita'  contributiva,  gli  immobili  locati
 appartenenti a taluni enti essenziali per l'ordinamento della  Chiesa
 cattolica  godono  di  un  trattamento  tributario  di maggior favore
 rispetto a quello riservato  agli  immobili  appartenenti  agli  enti
 ecclesiastici espressione di altre confessioni religiose che svolgono
 la  medesima  funzione,  tra  l'altro,  di  sostentamento  dei propri
 ministri di culto.  Per una migliore comprensione della questione  la
 comunita'  ebraica, parte del giudizio a quo e l'Unione interveniente
 ricordano che il sistema delle agevolazioni per l'INVIM  decennale  o
 periodica,  sugli  immobili  appartenenti  ad  enti  non  aventi come
 oggetto esclusivo o principale l'esercizio di  attivita'  commerciali
 (c.d.  non  commerciali),  distingue  quelli  destinati all'esercizio
 delle attivita' istituzionali, che  godono  dell'esenzione  integrale
 (art.  25,  secondo comma, lettera c)), e quelli non destinati a tale
 esercizio, che godono della riduzione  d'imposta  del  50  per  cento
 (art. 25, quinto comma, lettera a)).
   La  richiamata  normativa  ha inteso cosi' privilegiare, per quegli
 enti, con la totale esenzione la connessione teleologica  diretta  ed
 immediata  tra l'utilizzazione del bene e la attivita' istituzionale,
 riservando invece  il  minor  favore,  rappresentato  dalla  semplice
 riduzione  d'imposta, alla connessione soltanto indiretta, per essere
 l'immobile  non  utilizzato   direttamente,   bensi'   destinato   ad
 investimento  e  cioe'  alla  produzione  di  un  reddito mediante la
 locazione.  Essendo questo il trattamento indistinto per tutti quegli
 enti, la natura ecclesiastica di alcuni di essi non operava nel senso
 di consentire deroghe e il fine di religione o  di  culto  di  taluni
 enti  rilevava  solo  per  individuare  la  natura  non economica del
 soggetto destinatario delle norme, a differenza  di  quanto  previsto
 invece   dall'art.   25,   secondo   comma,  lettera  g),  il  quale,
 privilegiando  la  natura  ecclesiastica  degli  enti,  ha   disposto
 l'esenzione "degli immobili destinati all'esercizio del culto purche'
 compatibile   con   le   disposizioni   degli  artt.  8  e  19  della
 Costituzione".
   Questo e' stato fino ad un certo momento il regime comune.
   Poi, con una disciplina di diritto singolare, si e' enucleata dalla
 categoria degli enti non commerciali quella di "enti  ecclesiastici..
 espressione o emanazione della Chiesa cattolica", in favore dei quali
 e'  stata  accordata  la  esenzione totale dall'imposta anche per gli
 immobili non destinati direttamente all'esercizio del  culto  o  alle
 altre attivita' istituzionali.
   Nelle  memorie  si ricorda che la Corte costituzionale (sentenza n.
 86 del 1985 e ordinanza n. 160 del 1980) ha avuto modo,  in  passato,
 di  esaminare  tale  regime  di favore, trovandone la giustificazione
 nell'interesse pubblico "a prendere parte alla gestione dei  benefici
 ecclesiastici,  appunto perche' congruabili a cura dello Stato" (art.
 3, primo comma, del regio decreto n. 227 del 1931, che da' attuazione
 all'art.  30,  terzo  comma,  del  Concordato del 1929). Peraltro, in
 quella stessa  occasione  la  Corte  preciso'  il  principio  che  la
 sentenza  additiva  in  tema  di agevolazioni tributarie e' possibile
 tutte le volte che la stessa  ratio  dei  benefici,  illegittimamente
 accordati   a   una   determinata   categoria   di   soggetti,  esiga
 un'estensione  del  genere.     Ora  due   circostanze   sopravvenute
 imporrebbero  un nuovo esame della questione: da un canto la Corte di
 cassazione (sez. un. civili n.   5  del  1991)  ha  riconosciuto  che
 l'esenzione,  lungi  dal  giustificarsi  col  sistema delle congrue a
 carico dello Stato, era concessa anche ai benefici ricchi per i quali
 non si poneva alcun problema di integrazione dei relativi  redditi  e
 percio' era accordata al solo scopo di favorire gli enti della Chiesa
 cattolica  in  considerazione  della  loro  rilevanza  sociale, quali
 strumenti idonei a provvedere alle esigenze spirituali dei fedeli. Ma
 se tale e' divenuta la ratio del sistema, il "favor  ecclesiae"  deve
 sorreggere necessariamente tutte le formazioni sociali che perseguono
 gli  stessi  fini  di  religione  e  di  culto,  quali  che  siano le
 confessioni di appartenenza. Ne' la validita' di siffatte conclusioni
 e' scalfita dall'intervenuta estinzione dei benefici ecclesiastici  a
 norma  dell'art.  28,  primo  comma, della legge n. 222 del 1985, sia
 perche' tra i benefici estinti non figura la Santa Sede,  alla  quale
 continua  pertanto  ad  applicarsi  la  disciplina agevolativa di cui
 all'art. 8, terzo comma, della legge n. 904 del  1977,  sia  perche',
 attraverso  un  meccanismo  di  rinvio,  l'agevolazione  in parola e'
 trasferita ai nuovi enti eretti per il sostentamento del  clero,  che
 succedono nella titolarita' dei patrimoni dei benefici ecclesiastici,
 una  volta  avvenuta  la loro estinzione.  Va poi considerato che, in
 seguito all'Accordo del 1984 tra lo Stato italiano e la Santa Sede di
 modifica del Concordato  lateranense,  e'  cessato  ogni  obbligo  di
 finanziamento  del  clero da parte dello Stato, per cui non puo' piu'
 giustificarsi  il  particolare  regime  per  gli  enti  della  Chiesa
 cattolica collegato al sistema delle congrue.
   In  piu',  l'art.  7,  terzo comma, primo periodo, di quell'Accordo
 equipara "agli effetti tributari" gli enti ecclesiastici, aventi fine
 di religione e di culto, a  quelli  aventi  fine  di  beneficenza  ed
 istruzione  e  cio'  non  giustifica  in  alcun  modo  un regime piu'
 favorevole di una categoria di soggetti rispetto all'altra,  presa  a
 raffronto  nella  parificazione  del trattamento proprio agli effetti
 tributari.
   La  norma  agevolativa  in  tema  di  INVIM  decennale  sembrerebbe
 addirittura  "ultra vires" rispetto ai principi del nuovo Concordato,
 si' che una estensione delle  previsioni  ivi  contenute,  nel  senso
 richiesto  dall'ordinanza  di  rimessione,  anche  ad altri soggetti,
 omologhi rispetto a quelli espressamente considerati, non  metterebbe
 in  discussione  i fini concordatari e varrebbe invece a ripristinare
 "l'armonica corrispondenza tra ratio  ed  extensio  della  normativa"
 stessa.   E cosi' come opero' la Corte costituzionale con la sentenza
 n.   440 del 1995 in tema  di  bestemmia,  estendendo  la  protezione
 penale,  originariamente  riservata  alla  sola "religione di Stato",
 agli altri culti per assicurare una tutela  generale  del  sentimento
 religioso   non   discriminatoria,   nello   stesso   modo   dovrebbe
 ristabilirsi la  legalita'  costituzionale  violata  estendendo  agli
 immobili  di  proprieta'  delle  comunita'  ebraiche  il  trattamento
 tributario  riservato  agli  immobili  degli enti ecclesiastici della
 Chiesa non destinati all'esercizio delle attivita' istituzionali.
   Ne' si potrebbe invocare la sentenza n.  178  del  1996  di  questa
 Corte,  con  la  quale  si  e'  dichiarata  l'inammissibilita' di una
 questione - relativa alla mancata previsione della deducibilita', dal
 reddito ai fini dell'IRPEF, delle elargizioni liberali a favore della
 Congregazione italiana dei testimoni di Geova - per  la  mancanza  di
 una  disciplina  generale  volta ad agevolare la liberta' religiosa e
 per  la  presenza,  invece,  di  distinte   disposizioni   specifiche
 variamente  modulate.    Difatti,  nel caso ora all'esame, esiste una
 sola  disciplina,  denunciata  per  l'omissione,  alla   quale   fare
 riferimento    considerando    che   sia   gli   originari   benefici
 ecclesiastici, sia gli Istituti per il sostentamento del  clero,  sia
 le   comunita'   ebraiche  adempiono  tutti  alla  medesima  funzione
 attraverso l'impiego del patrimonio immobiliare di cui sono titolari,
 finalizzato direttamente  o  indirettamente  al  perseguimento  degli
 scopi  istituzionali connessi al valore costituzionale della liberta'
 religiosa, in tutte le sue manifestazioni.  E' lo stesso principio di
 laicita' che impone  un  pari  trattamento,  proprio  allo  scopo  di
 garantire  quel  pluralismo confessionale e culturale cui la Corte si
 e' riferita nella sentenza n. 203 del 1989; e il pluralismo non  puo'
 essere garantito se una confessione religiosa viene irragionevolmente
 privilegiata.    Infine,  si  fa  notare  che  non  possono ritenersi
 infondate le questioni di legittimita' costituzionale,  solo  perche'
 le  comunita'  ebraiche  avrebbero  dovuto  rivendicare  lo specifico
 trattamento  tributario  in  sede  di  stipula  della  "intesa",  poi
 trasfusa  nella  legge  n. 101 del 1989; difatti, la fonte di origine
 negoziale in argomento e' per sua natura compromissoria  e  non  puo'
 rimproverarsi  ad  una  delle  parti di non avere in quella occasione
 ottenuto quanto era nel suo  diritto  costituzionale  ottenere.    In
 conclusione, se l'interesse pubblico a favorire il fenomeno religioso
 si  estrinseca  anche  nell'adozione  di misure fiscali di favore nei
 confronti degli immobili appartenenti ad enti considerati  essenziali
 nella costituzione gerarchica della Chiesa cattolica, il principio di
 uguaglianza di tutte le confessioni di fronte allo Stato legittima la
 richiesta  di  ricondurre  sotto  la  medesima  disciplina  anche  le
 comunita'  ebraiche,  quali  soggetti  di   riferimento   ed   organi
 fondamentali  della  confessione  di appartenenza; cio', soprattutto,
 avendo riguardo al fatto che per la diffusa propensione dei fedeli ai
 lasciti immobiliari (cosi'  come  avviene  nell'ambito  della  Chiesa
 cattolica)   il   patrimonio  immobiliare  delle  comunita'  ebraiche
 costituisce la loro principale fonte di sostentamento ed esse sono in
 concreto penalizzate da una imposizione tributaria che le  discrimina
 rispetto a organismi aventi gli stessi fini.
   3.  -  In prossimita' dell'udienza la parte e l'interveniente hanno
 presentato  memorie  del  medesimo   tenore,   ribadendo   tutte   le
 considerazioni gia' svolte nei precedenti scritti difensivi.
                         Considerato in diritto
   1.  -  La  Commissione  tributaria di primo grado di Venezia dubita
 della legittimita' costituzionale dell'art.  8,  terzo  comma,  della
 legge  16  dicembre  1977,  n.  904  (Modificazioni  alla  disciplina
 dell'imposta  sul  reddito  delle  persone  giuridiche  e  al  regime
 tributario dei dividendi e degli aumenti di capitale, adeguamento del
 capitale  minimo  delle  societa'  e altre norme in materia fiscale e
 societaria),  che  esonera dall'INVIM decennale o periodica tutti gli
 immobili appartenenti ai  benefici  ecclesiastici,  indipendentemente
 dalla  loro  destinazione, nonche' dell'art. 45 della legge 20 maggio
 1985, n. 222 (Disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in  Italia
 e  per  il  sostentamento  del  clero  cattolico  in  servizio  nelle
 diocesi),  che  estende  tale  esenzione   agli   Istituti   per   il
 sostentamento  del  clero, i quali, per effetto della medesima legge,
 succedono ai benefici estinti in tutti i rapporti  attivi  e  passivi
 (art. 28).
   Le  norme  denunciate  violerebbero  gli articoli 3, 8, 19, 20 e 53
 della  Costituzione,  per  la  disparita'  ch'esse   determinerebbero
 rispetto  alla disciplina tributaria prevista per i beni appartenenti
 a enti di  culti  diversi  da  quello  cattolico.  Tali  beni  e,  in
 particolare, i beni della comunita' ebraica di Venezia, ricorrente di
 fronte  al  giudice  rimettente,  cadono  infatti sotto la disciplina
 dell'art.  25, secondo comma, del d.P.R.  26  ottobre  1972,  n.  643
 (Istituzione  dell'imposta  comunale  sull'incremento di valore degli
 immobili), il quale prevede l'esenzione totale dall'imposta decennale
 sull'incremento di valore degli  immobili  appartenenti  a  enti  non
 commerciali  (tra  i  quali  gli  enti ecclesiastici), solo in quanto
 direttamente   destinati   all'esercizio   delle    loro    attivita'
 istituzionali. I beni immobili aventi finalita' diretta diversa, come
 quelli  destinati  a  produrre reddito, sono invece assoggettati alla
 disciplina del quinto comma, lettera a), del medesimo articolo 25, il
 quale prevede un'esenzione limitata al 50 per cento.  In  questo,  ad
 avviso  del giudice rimettente, starebbe la disparita' di trattamento
 denunciata: l'esenzione totale, in un caso, varrebbe quale che sia la
 destinazione dell'immobile; negli altri casi,  solo  se  vi  sia  una
 destinazione   diretta   ai  fini  istituzionali  dell'ente.  E  tale
 disparita' dipenderebbe incostituzionalmente dalla circostanza che  i
 beni  in  questione  appartengano  a  una  o  a  un'altra confessione
 religiosa.
   2.  -  Preliminarmente,   si   deve   dichiarare   l'ammissibilita'
 dell'intervento  dell'Unione delle comunita' ebraiche italiane, "ente
 rappresentativo della confessione ebraica nei rapporti con lo Stato e
 per le materie di interesse generale dell'ebraismo"  (art.  19  della
 legge  8  marzo  1989, n. 101 - Norme per la regolazione dei rapporti
 tra  lo  Stato  e  l'Unione  delle  comunita'  ebraiche  italiane)  e
 titolare,   nel  presente  giudizio,  di  un  interesse  qualificato,
 divenuto attuale nel momento della proposizione  della  questione  di
 legittimita'  costituzionale, sorta nel corso di un giudizio promosso
 da una comunita' ma  tale  da  potersi  riflettere  sulla  situazione
 giuridica delle altre comunita' e della stessa Unione.
   3.  -  Quanto  al  merito, la questione di costituzionalita' che la
 Corte e' chiamata a risolvere, essenzialmente incentrata sul rispetto
 del principio di uguaglianza in materia religiosa,  rende  necessario
 un  raffronto  tra  discipline  che  coinvolgono disposizioni, alcune
 delle quali inserite in complessi normativi distinti  e  diversi  per
 contenuti,  aventi  base  in  accordi  o  intese  tra  lo  Stato e le
 confessioni religiose.
   La legge 20 maggio 1985, n.  222,  che  regola,  tra  l'altro,  gli
 Istituti  per  il sostentamento del clero cattolico in conformita' al
 protocollo  del  15  novembre  1984  che  approva  le  norme  per  la
 disciplina  della  materia  degli  enti  e beni ecclesiastici - norme
 formulate  dalla  Commissione paritetica istituita dall'art. 7, comma
 6, dell'Accordo del 18 febbraio 1984, che ha apportato  modificazioni
 al  Concordato  lateranense del 1929 tra lo Stato italiano e la Santa
 Sede - all'art. 45 prevede l'applicazione delle disposizioni  statali
 relative   all'imposta   comunale  sull'incremento  di  valore  degli
 immobili  gia'  appartenenti  ai   benefici   ecclesiastici   e   ora
 appartenenti  agli  Istituti  per  il  sostentamento del clero che ai
 primi sono succeduti.
   D'altro canto, la legge 8 marzo 1989, n. 101, che regola i rapporti
 tra lo Stato e l'Unione delle comunita' ebraiche italiane sulla  base
 dell'intesa  sottoscritta  il  27  febbraio  1987, conformandosi alla
 tradizione legislativa in questa materia, contiene soltanto la  norma
 generale dell'art. 27, comma 1, la quale stabilisce che, agli effetti
 tributari,  le  attivita'  delle comunita' ebraiche dirette a fine di
 religione o di culto (la cui definizione e' data dall'art. 26,  comma
 2,  lettera a), sono equiparate a quelle aventi fini di beneficenza o
 di istruzione. Per la disciplina  concernente  il  regime  tributario
 delle  attivita'  diverse da quelle di religione o di culto (definite
 nell'art. 26, comma 2, lettera b), il comma 2 del  medesimo  articolo
 fa  poi  riferimento  alle leggi generali dello Stato.  In entrambi i
 casi, il richiamo della disciplina contenuta nella legge dello  Stato
 non  determina  una  novazione  della  fonte  e una trasformazione in
 normativa pattizia, non essendosi mai dubitato  della  disponibilita'
 della  disciplina  dell'INVIM  da  parte del legislatore statale. Per
 questo,   deve   concludersi   che   nel   presente    giudizio    di
 costituzionalita' si controverte della legittimita' costituzionale di
 norme  legislative  unilaterali  dello  Stato. Queste, tuttavia, sono
 sottoposte  al  giudizio  di   costituzionalita'   in   ragione   del
 particolare  trattamento  tributario  ch'esse  prevedono  per beni di
 enti, rispettivamente,  della  Chiesa  cattolica  e  delle  comunita'
 ebraiche,  cioe'  di  soggetti  la  cui  disciplina ricade pienamente
 nell'ambito delle materie oggetto  di  regolamentazione  pattizia,  e
 quindi  potenzialmente differenziata, secondo gli articoli 7, secondo
 comma, e 8,  terzo  comma,  della  Costituzione.  Il  rispetto  o  la
 violazione   del  principio  di  uguaglianza  da  parte  delle  norme
 tributarie statali devono, percio', valutarsi tenendo necessariamente
 conto delle distinte discipline dei soggetti  destinatari  di  quella
 normativa,   dove  la  distinzione  e'  conseguenza  del  sistema  di
 regolamentazione dei rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose
 voluto dalla Costituzione.
   4. - Alla stregua delle considerazioni che precedono, la  questione
 non e' fondata.
   Il  problema di uguaglianza e' posto, in relazione all'appartenenza
 a enti della Chiesa cattolica ovvero a enti di confessioni diverse da
 quella cattolica di beni immobili della stessa  natura  e  aventi  la
 medesima  destinazione,  nei termini di un trattamento tributario che
 si asserisce ingiustificatamente  diverso.  Questa  impostazione  non
 puo'  essere  accolta. Essa comporta una valutazione della disciplina
 tributaria  di  determinati  beni  considerati  in  se',  separata  e
 indipendente dalla disciplina stabilita bilateralmente che riguarda i
 soggetti,  cioe'  le  diverse  confessioni  religiose,  cui tali beni
 afferiscono:  una valutazione che non puo'  ritenersi  corretta.  Gli
 Istituti per il sostentamento del clero - diocesani, interdiocesani e
 centrale  -  sono enti ecclesiastici dotati di personalita' giuridica
 civile, creati, in sostituzione del precedente sistema incentrato sui
 benefici (artt. 21 e seguenti della  legge  n.  222  del  1985),  con
 l'unico   scopo  di  assicurare,  in  conformita'  al  loro  statuto,
 attraverso erogazioni  in  misura  determinata  periodicamente  dalla
 Conferenza  episcopale italiana, il congruo e dignitoso sostentamento
 del clero che svolge  servizio  in  favore  della  diocesi  (nonche',
 accessoriamente,   di   sovvenire   alle  necessita'  di  coloro  che
 abbandonano la vita ecclesiastica senza avere altre fonti sufficienti
 di reddito  e,  eventualmente,  di  svolgere  funzioni  previdenziali
 integrative  autonome  per  il  clero  stesso).    Tali  Istituti, in
 relazione al compito suddetto, per l'esercizio del  quale  fruiscono,
 oltre  che dei redditi provenienti dal loro patrimonio, delle risorse
 devolute dai contribuenti e destinate al sostentamento del  clero,  a
 norma degli articoli 40, 41, 46, 47 e 48 della legge n. 222 del 1985,
 sono  soggetti a una disciplina loro propria che impone una specifica
 attivita' di informazione della Conferenza episcopale, la quale a sua
 volta e' tenuta a una rendicontazione all'autorita' statale, a  norma
 degli articoli 42, 43 e 44.
   Le  comunita'  ebraiche presentano caratteri assolutamente diversi.
 Conformemente alla tradizione risalente alla legge sarda del  1857  e
 sviluppata  nel  regio  decreto  30 ottobre 1930, n. 1731, la legge 8
 marzo 1989, n. 101 (Norme per la  regolazione  dei  rapporti  tra  lo
 Stato   e  l'Unione  delle  comunita'  ebraiche  italiane),  oltre  a
 confermare la loro personalita' giuridica  (art.  18,  comma  3),  ne
 riconosce  la  natura  di  "istituzioni tradizionali dell'ebraismo in
 Italia" e le  definisce  quali  "formazioni  sociali  originarie  che
 provvedono,   ai  sensi  dello  Statuto  dell'ebraismo  italiano,  al
 soddisfacimento delle esigenze religiose degli ebrei secondo la legge
 e la tradizione  ebraiche"  (art.  18,  comma  1).  I  compiti  delle
 comunita',  di  cui  la Repubblica italiana "prende atto" nel secondo
 comma del  medesimo  articolo,  comprendono  l'esercizio  del  culto,
 l'istruzione  e  l'educazione  religiosa, la promozione della cultura
 ebraica, la tutela degli interessi collettivi  degli  ebrei  in  sede
 locale,   l'assistenza  degli  appartenenti  alle  comunita'  stesse,
 secondo la legge e la tradizione ebraiche.   Pertanto, agli  Istituti
 per  il  sostentamento  del clero deve riconoscersi la natura di enti
 strumentali ad hoc della Chiesa cattolica, con personalita' giuridica
 nell'ordinamento dello Stato,  mentre  le  comunita'  ebraiche  sono,
 innanzitutto,   comunita'   sociali   che  organizzano  ed  esprimono
 l'insieme  degli  interessi  religiosi,  culturali  e   assistenziali
 qualificanti  la  loro  identita'.  Gli  Istituti,  all'interno della
 complessa organizzazione della Chiesa,  assicurano  il  sostentamento
 dei  ministri  del  culto,  scopo  specifico  e  unico  al quale sono
 finalizzate tutte le  risorse  di  cui  possono  disporre;  cosicche'
 l'esenzione   dall'INVIM  decennale  vale  per  essi  non  tanto  per
 l'appartenenza degli immobili a determinati soggetti, quanto  per  la
 destinazione  degli  stessi  e  dei  redditi all'unica loro finalita'
 istituzionale. Al contrario, il sostentamento dei ministri del  culto
 rappresenta  una  soltanto delle attivita' cui attendono le comunita'
 ebraiche, nel patrimonio delle quali, per l'ordinamento dello  Stato,
 i beni non sono distinguibili a seconda che siano utilizzati per tale
 fine  ovvero  per  altri  scopi,  tra  quelli  propri delle comunita'
 stesse.
   Quella  anzidetta  costituisce  una differenza di natura soggettiva
 direttamente  collegata  alla  diversita'  delle  funzioni  e   della
 destinazione  oggettiva dei beni e cio' impedisce di addivenire a una
 pronuncia   d'incostituzionalita',   equiparatrice   delle    diverse
 situazioni.    Una    pronuncia    che    determinasse   l'estensione
 dell'esenzione,  come  richiesto  dal  giudice  rimettente,   avrebbe
 infatti   come   conseguenza   -   una  conseguenza  che  e'  riprova
 dell'infondatezza della questione - che l'esenzione totale dall'INVIM
 periodica finirebbe per  riguardare  beni  immobili  delle  comunita'
 ebraiche  destinati  anche  a finalita' diverse dal sostentamento dei
 ministri del culto ebraico:  una  conseguenza  eccedente  la  portata
 della  norma  di  esenzione  assunta come termine di comparazione nel
 giudizio di uguaglianza.  Come gia' nella sentenza n. 86 del 1985  di
 questa  Corte,  che - prima del superamento del sistema beneficiale a
 opera  del  nuovo  regime   concordatario   -   risolse   nel   senso
 dell'infondatezza  la  questione di costituzionalita' sollevata sullo
 stesso art.  8,  terzo  comma,  della  legge  n.  904  del  1977  ora
 nuovamente  sottoposto  a  giudizio,  anche  nella presente occasione
 assumono dunque rilevanza le discipline bilaterali dei rapporti dello
 Stato con le  confessioni  religiose.    Le  differenze  naturalmente
 riscontrabili  nei  contenuti  di tali discipline - espressioni di un
 sistema di relazioni che tende ad  assicurare  l'uguale  garanzia  di
 liberta'  e  il riconoscimento delle complessive esigenze di ciascuna
 di tali confessioni, nel rispetto della neutralita'  dello  Stato  in
 materia  religiosa  nei confronti di tutte - possono rappresentare, e
 nella specie  rappresentano,  quelle  diversita'  di  situazioni  che
 giustificano,   entro   il  limite  della  ragionevolezza,  ulteriori
 differenze nella legislazione unilaterale dello  Stato.    Differenze
 destinate naturalmente a ricomporsi tutte le volte in cui le norme di
 matrice  pattizia  vengano  ad  assumere,  per  volonta' delle parti,
 analoghi contenuti.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara non fondata la questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  8,  terzo  comma,  della  legge  16  dicembre 1977, n. 904
 (Modificazioni alla disciplina dell'imposta sul reddito delle persone
 giuridiche e al regime tributario dei dividendi e  degli  aumenti  di
 capitale,  adeguamento  del  capitale  minimo  delle societa' e altre
 norme in materia fiscale e societaria) e dell'art. 45 della legge  20
 maggio  1985, n. 222 (Disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in
 Italia e per il sostentamento del clero cattolico in  servizio  nelle
 diocesi),  sollevata,  in  riferimento  agli  artt. 3, 8, 19, 20 e 53
 della Costituzione, dalla Commissione tributaria di  primo  grado  di
 Venezia con l'ordinanza indicata in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 19 giugno 1997.
                        Il Presidente: Granata
                       Il redattore: Zagrebelsky
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 15 luglio 1997.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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