N. 543 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 marzo 1997
N. 543 Ordinanza emessa il 13 marzo 1997 dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Lagonegro nel procedimento penale a carico di Marella Giovanni ed altri Processo penale - Udienza preliminare - Giudice per le indagini preliminari che abbia disposto una misura cautelare personale nei confronti della persona sottoposta alle indagini - Incompatibilita' del medesimo giudice a partecipare a detta udienza - Omnessa previsione - Disparita' di trattamento di situazioni omogenee con riferimento alla giurisprudenza della Corte relativa ad analoghe fattispecie (sentenze nn. 71 e 155 del 1996) - Incidenza sul diritto di difesa e sul principio del "giusto processo". (C.P.P. 1988, art. 34, comma 2). (Cost., artt. 3, 24 secondo comma, e 27 secondo comma).(GU n.37 del 10-9-1997 )
IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Ha emesso la seguente ordinanza. Sciogliendo la riserva sulla pregiudiziale eccezione di incostituzionalita' dell'art. 34 c.p.p. cosi' come formulata dalla difesa dell'imputato Puppo Antonio, sentiti gli altri difensori ed il pubblico ministero, Osserva In data 12 luglio 1996 questo giudice, come g.i.p., disponeva, su richiesta del p.m., la misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti degli odierni imputati Marella Giovanni, Laurita Luciano Francesco Gennaro e Puppo Antonio in ordine ai reati ai medesimi ascritti, con esclusione del solo capo H) formulato successivamente. Oggi questo stesso giudice, nelle vesti di g.u.p., e' chiamato a decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio, fra gli altri, dei nominati Marella, Laurita e Puppo in ordine ai medesimi reati. Per i motivi che di seguito si riepilogano si ritiene che sussiste una situazione di incompatibilita' per il magistrato che come g.i.p. abbia adottato una misura cautelare nei confronti di determinati indagati e, poi, come g.u.p. sia successivamente chiamato a pronunciarsi sulla richiesta di rinvio a giudizio dei medesimi imputati per lo stesso fatto-reato. Le situazioni d'incompatibilita' ex art. 34 comma 2 c.p.p. ricorrono allorche' (a) il giudice abbia previamente compiuto una valutazione contenutistica dell'ipoesi accusatoria, e (b) la denunciata situazione di incompatibilita' venga riferita alla posizione che lo stesso magistrato assume successivamente in un "giudizio". Si tratta, pertanto, di verificare la ricorrenza dei predetti due requisiti. Posto che non puo' revocarsi in dubbio che l'adozione di una misura cautelare personale, comportando la formulazione di un giudizio di merito (sia pure prognostico e allo stato degli atti) sulla colpevolezza dell'imputato, costituisce indubbiamente una ipotesi di positiva "valutazione contenutistica" dell'assunto accusatorio, (cfr. sentenza della Corte costituzionale n. 425 del 1995), il punto nodale da verificare nel caso in esame e' se possa ritenersi che quello che il giudice dell'udienza preliminare effettua all'esito della medesima debba o meno qualificarsi come "giudizio", ossia come decisione sul merito della regiudicanda (cfr. sul significato della locuzione "giudizio" la sentenza della Corte costituzionale n. 401/1991 pres. Corasaniti, Est. Spagnoli). Ritenendo che all'esito dell'udienza preliminare non si adotti una "decisione sul merito ma un'ulteriore decisione processuale, finafizzata ad accertare la legittimita' della domanda di giudizio", la Corte, con la citata sentenza n. 401/1991, concludeva per l'infondatezza della sollevata questione di legittimita' costituzionale dell'art. 34, comma 2 c.p.p., nella parte in cui non prevede che non possa partecipare alla successiva udienza preliminare il g.i.p. presso il tribunale che abbia ordinato di formulare l'imputazione ai sensi dell'art. 409 comma 5 c.p.p.. D'altronde, gia' con sentenza n. 64 del 1991 (pres. Conso, Rel. Spagnoli), la Corte aveva precisato che "la regola di giudizio assegnata al giudice dell'udienza preliminare attiene al rito e non al merito, consiste cioe' non in una valutazione di tipo prognostico sulle prospettive di condanna o assoluzione dell'imputato, ma in un controllo sulla legittimita' della domanda di giudizio avanzata dal pubblico ministero". La riferita impostazione viene decisamente superata con la successiva sentenza n. 82 dell'undici marzo 1993 (pres. Casavola, rel. Vassalli) in cui la Corte, sottolineando la duplice finalita' dell'udienza preliminare (di controllo giurisdizionale sul fondamento dell'accusa e deflazione del dibattimento) ed attribuendo il ruolo preminente alla funzione di garanzia, prosegue evidenziando come non vi siano dubbi su fatto "che l'udienza preliminare sia stata contassegnata dai caratteri tipici della fase giurisdizionale, in cui le parti, in contraddittorio tra loro, si misurano su di un determinato thema decidendum, la cui delibazione e' affidata ad un giudice (...) che si colloca in funzione di sostanziale terzieta'". Ma cio' che piu' rileva ai fini che qui interessano e' che, in maniera chiara ed inequivocabile, si riconosce dignita' di giudizio sull'"intero merito" dell'imputazione alla decisione adottata dal g.u.p. "La domanda del p.m. - riconosce la Corte - traccia i confini del merito sul quale il giudice e' chiamato a pronunciarsi", la risposta del g.u.p. e' "risposta giurisdizionale" per cui se e' vero che diversa e' "la struttura e la funzione" dell'udienza preliminare rispetto al dibattimento, si tratta, pero', solo di "diversita' quantitativa che caratterizza l'apprezzamento del merito che si compie nell'udienza preliminare rispetto a quello riservato all'organo del dibattimento". Se, dunque, all'esito dell'udienza preliminare il g.u.p. e' chiamato a dare una "risposta giurisdizionale" non si vede come possa parlarsi di "decisione processuale" con riferimento ad una attivita' di giudizio che, tenuto conto delle fonti di prova fornite dal p.m., involge gli elementi materiali del reato, l'esistente dell'elemento psicologico, la presenza di eventuali causa di giustificazione e quantaltro possa legittimare l'ingresso della successiva fase dibattimentale. La decisione che il giudice dell'udienza preliminare adotta all'esito della stessa puo' e deve qualificarsi come vero e proprio "giudizio" essendo una decisione sul merito della res iudicanda. Cio' posto, e' importante sottolineare anche che non vi e' sostanziale diversita' tra la valutazione dei risultati delle indagini che conduce il g.i.p. alla pronuncia di una misura cautelare e quella che conduce il g.u.p. ad adottare il decreto di rinvio a giudizio: l'oggetto di tali valutazioni e' identico, poiche' in tutti e due i casi si tratta dei medesimi elementi probatori che solo all'esito del dibattimento verranno o meno ritenuti prove. I gravi indizi di colpevolezza richiesti dall'art. 273 c.p.p. su cui il g.i.p. basa il suo provvedimento cautelare sono quegli stessi elementi probatori raccolti durante le indagini preliminari che vengono posti vaglio del g.u.p. affinche', ritenuti idonei a fornire un quadro di ragionevole probabilita' di colpevolezza dell'indagato, si possa accedere alla successiva fase dibattimentale. E' vero che "l'apprezzamento del merito che il giudice e' chiamato a compiere all'esito dell'udienza preliminare non si sviluppa secondo un canone, sia pure prognostico, di colpevolezza o innocenza, ma si incentra sulla ben diversa prospettiva di delibare se, nel caso di specie, risulti o meno necessario dare ingresso alla successiva fase del dibattimento" (cfr. in motivazione della sentenza della Corte costituzionale n. 71 del 15 marzo 1996, pres. Ferri, est. Vassalli) ma intanto il g.u.p. decide di dare ingresso al dibattimento in quanto implicitamente ritiene che con elevata serieta' e fondatezza le "fonti" di prova fornitegli dal p.m. possano condurre ad una futura affermazione di responsabilita' dell'imputato. Cosi' facendo il g.u.p. formula un giudizio del tutto assimilabile a quello sulla gravita' del quadro indiziario su cui si fonda una misura cautelare (cfr. Cass. ss.uu. penali 25 ottobre 1995). Tanto premesso, non puo' non ritenersi che, nel momento in cui il giudice delle indagini preliminari, ritenuto tendenzialmente completo e concludente il quadro indiziario, si determini ad adottare una misura cautelare personale, egli esprima un pre-giudizio sul merito della res iudicanda ed un apprezzamento sui risultati delle indagini preliminari idonei a minare la imparzialita' e la serenita' della decisione conclusiva che dovra' adottare, quale g.u.p. all'esito dell'udienza preliminare. In questo caso si verifica la c.d. forza della prevenzione "e cioe' quella naturale tendenza a mantenere un giudizio gia' espresso o un atteggiamento gia' assunto in altri momenti decisionali dello stesso procedimento" che compromette irrimediabilmente il "giusto processo" e l'imparzialita' del giudice (cfr. sent. Corte costituzionale 432/1995). La dottrina, dal canto suo, ha da sempre manifestato forti perpiessita' sul fatto che, "sebbene si sia abbandonata la fase delle indagini preliminari per passare ad una fase autonoma avente natura processuale, sebbene il g.i.p. ed il g.u.p. abbiano competenze diverse e "potenzialmente incompatibili", sebbene durante l'elaborazione del codice si deliberasse la necessita' di assegnare l'udienza preliminare ad un soggetto distinto da quello chiamato ad episodici interventi nel corso delle indagini, discutibili ragioni di politica legislativa hanno consigliato di affidare ad un unico organo giurisdizionale competenze profondamente diverse tra loro".
P. Q. M. Rilevante e non manifestamente infondata e' la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 34 comma 2 c.p.p., nella parte in cui non prevede che non possa partecipare alla successiva udienza preliminare il giudice per le indagini preliminari che ha adottato, nel confronti dei medesimi imputati e per gli stessi reati per cui viene chiesto dal p.m. in loro rinvio a giudizio, una misura cautelare personale; Tale omessa previsione violerebbe gli artt. 3, 24, comma secondo, e 27 comma secondo, della Costituzione in quanto creerebbe una irrazionale distinzione tra l'ipotesi in questione rispetto ad altre analoghe per le quali detta incompatibilita' gia' vale (cfr. sent. Corte costituzionale 155/1996 con cui si e' statuita l'incompatibilita' a partecipare al giudizio abbreviato o disporre l'applicazione della pena ex artt. 444 c.p.p. del g.i.p. che abbia disposto una misura cautelare), con violazione del diritto di difesa e, in generale, dei principi dell'imparzialita' e terzieta' del giudice il cui rispetto determina il c.d. "giusto processo". Visti gli artt. 23 e ss. della legge n. 87 dell'11 marzo 1953 sospende il giudizio in corso (che per ovvi motivi di connessione probatoria e di economia processuale non si ritiene di separare nei confronti degli altri coimputati) e dispone la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, la notifica del provvedimento al Presidente del Consiglio dei Ministri e la sua comunicazione ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Manda alla cancelleria per gli ulteriori adempimenti di rito. Lagonegro, addi' 13 marzo 1997 Il giudice: Rana 97C0936