N. 283 SENTENZA 18 - 30 luglio 1997
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Processo penale - Esame testimoniale del minorenne e del maggiorenne incapace per infermita' psichica - Trattamento processuale differenziato - Possibilita' che l'esame diretto del maggiorenne in condizione di disagio si traduca in un pregiudizio per la personalita' particolarmente fragile del teste - Illegittimita' costituzionale. (C.P.P., art. 498).(GU n.32 del 6-8-1997 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: dott. Renato GRANATA; Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, prof. Guido NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI;
ha pronunciato la seguente Sentenza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 498, comma 4, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa l'11 ottobre 1994 dal pretore di Asti, nel procedimento penale a carico di Bergadani Giuseppina, iscritta al n. 1338 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2 - prima serie speciale - dell'anno 1997; Udito nella camera di consiglio del 21 maggio 1997 il giudice relatore Valerio Onida; Ritenuto in fatto Nel corso di un procedimento penale a carico di persona imputata di maltrattamenti in famiglia in danno della figlia maggiorenne affetta da oligofrenia, il pretore di Asti, con ordinanza dell'11 ottobre 1994, pervenuta a questa Corte il 7 dicembre 1996, ha sollevato, su istanza del pubblico ministero, questione di legittimita' costituzionale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dell'art. 498, comma 4, codice di procedura penale, "nella parte in cui non riserva al teste maggiorenne incapace per infermita' psichica lo stesso trattamento processuale previsto per il minore". Il giudice remittente premette che la particolare natura del reato per il quale si procede e il rapporto che lega la persona offesa all'imputata postulano l'esigenza di procedere all'esame testimoniale della prima con peculiari cautele; che la medesima e' astrattamente capace di deporre, ai sensi dell'art. 196 del codice di procedura penale, e il comma 2 di tale articolo consente, ai fini di verificare se la teste sia in grado di fornire una testimonianza attendibile, di disporre una perizia psichiatrica. Ma osserva che il sistema normativo non prevede, una volta accertata in concreto l'idoneita' del teste a rendere la deposizione, modalita' particolari per l'assunzione della prova, poiche' la valutazione dell'attendibilita' del teste, prevista dall'art. 196, comma 2, presuppone che l'escussione sia gia' avvenuta. Il giudice a quo rileva quindi che, relativamente alle modalita' di assunzione della prova testimoniale, l'art. 498, comma 4, del codice di procedura penale, in attuazione di un'apposita norma della legge di delega, prevede, per il teste minore di eta', che l'esame sia condotto dal presidente e soprattutto che questi, per condurre l'esame, possa avvalersi dell'assistenza di un familiare del teste o di un esperto in psicologia infantile: cio' al fine di garantire un efficace controllo sull'attendibilita' del teste, di scongiurare i rischi di un suo condizionamento ad opera di una delle parti, e, in ultima analisi, di tutelare la persona del minore di fronte alla intrinseca tensione scaturente da ogni dibattimento penale. Escluso di potere estendere in via interpretativa tali modalita' alla testimonianza del maggiorenne incapace di intendere e di volere, data la tassativa dizione della norma, sia perche' l'art. 189 del codice di procedura penale, che consente di dare ingresso a prove atipiche, non si riferisce a modalita' atipiche di assunzione di un mezzo di prova codificato come la testimonianza, sia perche' l'estensione interpretativa ipotizzata potrebbe turbare la parita' fra le parti (tanto che l'art. 567 codice procedura penale consente bensi' al pretore di condurre direttamente l'esame dei testimoni, ma solo sull'accordo delle parti), il remittente ritiene condivisibile la censura di incostituzionalita' prospettata dal pubblico ministero in ordine all'art. 498, comma 3 (recte: comma 4), del codice di procedura penale nella parte in cui non equipara la posizione dell'incapace per infermita' mentale a quella del minore, prevedendo cosi' un trattamento dissimile per situazioni che sarebbero sostanzialmente analoghe. Infatti, secondo il giudice a quo la ratio della disposizione in esame, da ravvisarsi nella considerazione della fragilita' del minore, il quale percio' abbisogna di particolari cautele quando sia chiamato a rendere testimonianza nel processo penale, dovrebbe valere anche per il teste maggiorenne incapace per infermita' mentale, che presenta a sua volta una situazione psicologica di debolezza la quale ne consiglierebbe l'esame da parte del presidente con l'eventuale ausilio di un familiare o di un esperto di psicologia: e del resto, si osserva, in numerosi casi l'ordinamento penale e processuale penale prevede una simile equiparazione, come in tema di esercizio del diritto di querela e di remissione della querela (artt. 121 e 153 del codice penale) e in tema di costituzione di parte civile (art. 77 del codice di procedura penale). Considerato in diritto 1. - La questione sollevata investe l'art. 498, comma 4, del codice di procedura penale - il quale prescrive che l'esame testimoniale del minorenne sia condotto, anziche' direttamente dalle parti, dal presidente su domande e contestazioni proposte dalle parti, potendo avvalersi dell'ausilio di un familiare del minore o di un esperto in psicologia infantile, salva la possibilita' per lo stesso presidente, sentite le parti, di disporre che la deposizione prosegua nelle forme ordinarie, se ritiene che l'esame diretto del minore non possa nuocere alla serenita' del teste - nella parte in cui non riserva al teste maggiorenne incapace per infermita' psichica lo stesso trattamento processuale previsto per il minore. Il parametro di legittimita' costituzionale espressamente indicato dal remittente e' l'art. 3 della Costituzione, in relazione alla differenza, ritenuta ingiustificata, fra il trattamento riservato al minore e quello previsto per l'infermo di mente; ma nella motivazione dell'ordinanza si fa riferimento all'esigenza di tutela della personalita' del teste affetto da infermita' psichica, il che rinvia altresi' all'imperativo costituzionale di rispetto e tutela della persona, riconducibile al parametro dell'art. 2 della Costituzione. E' secondo questa piu' ampia prospettazione che la Corte ritiene di dover esaminare la censura proposta. 2. - La questione, cosi' delineata, e' fondata nei limiti di seguito precisati. Non puo' condividersi la meccanica equiparazione che il remittente vorrebbe effettuare fra la situazione del teste minorenne e quella del teste maggiorenne infermo di mente. Si tratta infatti di situazioni non omogenee, anche se in concreto esse possano manifestare, come si dira', analoghe esigenze di tutela della personalita'. Per i minorenni, infatti, il legislatore ha ragionevolmente presunto - in relazione ad una condizione obiettiva come l'eta' - una situazione di difficolta', in ragione della insufficiente maturita' psicologica, a rispondere ad un interrogatorio condotto dalle parti in vista dei rispettivi interessi, e dunque eventualmente anche con intenti e modalita' che risultino aggressivi; e percio' ha prescritto che in via normale l'esame venga condotto attraverso il "filtro" del presidente, che pone, eventualmente con l'ausilio di un familiare o di un esperto, le domande e le contestazioni proposte dalle parti, salvo che lo stesso presidente, sentite le parti, valuti invece, in concreto, che l'esame diretto non possa nuocere alla serenita' del teste. Nel caso dell'infermo di mente, le situazioni concrete possono essere le piu' varie, in relazione al tipo e alla maggiore o minore gravita' dell'infermita' della persona maggiorenne chiamata a testimoniare: onde e' ragionevole che il legislatore non abbia esteso ad esso le prescrizioni dettate per la testimonianza del minore. Cio' avrebbe comportato infatti la necessita' in ogni caso di un preventivo accertamento della situazione di infermita' psichica, che avrebbe comportato l'applicazione della disciplina speciale, con l'attribuzione al teste di una sorta di "connotato" legale suscettibile esso stesso di tradursi in una lesione della sua personalita'. 3. - La disciplina della testimonianza e delle modalita' per raccoglierla risponde anzitutto all'esigenza di assicurare la genuinita' della prova, ma non puo' essere insensibile alla necessita' di tutelare la persona del teste nel delicato momento in cui e' chiamato a deporre sui fatti e le circostanze dedotti in contraddittorio fra le parti. La testimonianza e' infatti funzione resa obbligatoria dalla legge in vista delle esigenze del processo. Proprio per questo, se esige impegno e puo' comportare anche difficolta' per il teste, chiamato ad enunciare con verita' davanti al giudice le informazioni in suo possesso, non deve mai tradursi, per il modo in cui e' condotta, in violazioni della dignita' e del rispetto dovuto alla persona del teste medesimo. Non mancano, nell'ordinamento processuale, regole intese ed idonee, in generale, ad evitare quanto piu' possibile rischi di compromissione della genuinita' della testimonianza dovuti al tipo di domande proposte o al modo in cui avviene l'esame, nonche' rischi di lesione del rispetto della persona del teste. Valgono, nel primo senso, i divieti delle domande "che possono nuocere alla sincerita' delle risposte" (art. 499, comma 2, del codice di procedura penale), nonche' delle domande "che tendono a suggerire le risposte", limitatamente all'esame condotto dalla parte che ha chiesto la citazione del teste (art. 499, comma 3). Nel secondo senso vale soprattutto la regola secondo cui "il presidente cura che l'esame del testimone sia condotto senza ledere il rispetto della persona" (art. 499, comma 4). Alla tutela di siffatte esigenze sono intesi i poteri che la legge riconosce al presidente del collegio o al giudicante: in particolare, il potere ad esso attribuito dall'ultimo comma dell'art. 499 del codice di rito, di intervenire, anche d'ufficio, "per assicurare la pertinenza delle domande, la genuinita' delle risposte, la lealta' dell'esame e la correttezza delle contestazioni". Nell'applicazione di tali regole e nell'esercizio dei poteri presidenziali volti a garantirne il rispetto, non e' affatto escluso, ma anzi e' implicito, che si debba tenere conto anche delle particolari caratteristiche della persona del teste, e cosi' di una sua fragilita' psicologica. E' esplicitamente previsto che, qualora sia necessario verificare l'idoneita' fisica e mentale del testimone a rendere testimonianza, il giudice possa disporre "gli accertamenti opportuni con i mezzi consentiti dalla legge", i cui risultati tuttavia non precludono l'assunzione della testimonianza (art. 196 codice procedura penale). E nulla esclude che tali accertamenti - i quali possono consistere anche in una perizia, e ben possono intervenire anche in via preventiva rispetto all'assunzione della testimonianza, contrariamente a quanto mostra di ritenere il remittente - siano volti ad appurare le condizioni in concreto specificamente richieste per evitare i rischi di un esame lesivo del rispetto della persona; come nulla esclude che il giudicante possa avvalersi delle valutazioni del perito al fine di esercitare efficacemente i poteri a lui spettanti per garantire tale rispetto e la genuinita' della testimonianza. 4. - Resta pero' il fatto che il vigente ordinamento processuale non consente in nessun caso, nell'assunzione della testimonianza di un maggiorenne, di derogare alla regola dell'art. 498 del codice, secondo cui "le domande sono rivolte direttamente dal pubblico ministero o dal difensore che ha chiesto l'esame del testimone" (comma 1), e altre domande possono essere rivolte sempre dalle parti (commi 2 e 3). Tale regola assume certo un'importanza fondamentale nell'ambito dell'ordinamento ispirato ai principi del processo "accusatorio", in quanto diretta a consentire alle parti di introdurre direttamente nel processo, attraverso l'esame e il controesame dei testi, gli elementi probatori dei quali esse intendono avvalersi, senza l'intermediazione del giudicante, il quale dovra' trarre elementi di convincimento dall'esame dei testi cosi' come condotto dalle parti. L'applicazione di tale regola non puo' pero' mai tradursi nella lesione di altri interessi non solo costituzionalmente protetti, ma preminenti, come quello del rispetto della persona. Allo scopo, come si e' visto, lo stesso legislatore appresta una deroga alla regola medesima, per quanto concerne la testimonianza dei minorenni (art. 498, comma 4). Ma la garanzia del diritto fondamentale al rispetto della personalita' esige che la stessa regola sia derogabile, non gia' in via generale, bensi' in relazione alla concretezza delle circostanze, nel caso della testimonianza di persona inferma di mente. Ben puo' accadere infatti che, nonostante le norme dettate dall'art. 499 per l'esame testimoniale, e nonostante l'esercizio dei poteri presidenziali volti a garantirne l'osservanza, la modalita' dell'esame diretto del teste ad opera delle parti (ancorche' condotto da soggetti dotati di specifica competenza e tenuti alla leale osservanza di dette regole, come sono il rappresentante della pubblica accusa e i difensori, ai quali e' riservata la facolta' di porre domande e contestazioni al teste) si traduca, in fatto, in una vicenda suscettibile di pregiudicare la personalita' particolarmente fragile del teste affetto da infermita' mentale. In questo caso il presidente deve essere abilitato, ove constati in concreto, in relazione al complessivo contesto processuale, che l'esame diretto puo' nuocere alla personalita' del teste (e dunque con una valutazione del caso specifico, speculare rispetto a quella ad esso attribuita nel caso del teste minorenne al fine di consentire la prosecuzione dell'esame nelle forme ordinarie), a disporre che la deposizione abbia luogo attraverso l'esame condotto dal presidente medesimo su domande e contestazioni proposte dalle parti. 5. - L'art. 498 del codice di procedura penale ignora questa eventualita', e non prevede alcuna possibilita' di derogare alla modalita' dell'esame diretto ad opera delle parti nel caso del teste maggiorenne infermo di mente. Da cio' deriva l'illegittimita' costituzionale, nei limiti ora precisati, della disposizione denunciata.
Per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara la illegittimita' costituzionale dell'art. 498 del codice di procedura penale nella parte in cui non consente, nel caso di testimone maggiorenne infermo di mente, che il presidente, sentite le parti, ove ritenga che l'esame del teste ad opera delle parti possa nuocere alla personalita' del teste medesimo, ne conduca direttamente l'esame su domande e contestazioni proposte dalle parti. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 luglio 1997. Il Presidente: Granata Il redattore: Onida Il cancelliere: Di Paola Depositata in cancelleria il 30 luglio 1997. Il direttore della cancelleria: Di Paola 97C0952