N. 286 SENTENZA 18 - 30 luglio 1997

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Enti  locali  - Regione Sicilia - Disciplina dei liberi consorzi dei
 comuni - Dichiarazione di  area  metropolitana  -  Attribuzioni  alle
 "province  regionali"  comprendenti le aree metropolitane di funzioni
 spettanti ai comuni  in  materia  di  pianificazione  territoriale  e
 commerciale  e di svolgimento dei servizi pubblici - Riferimento alla
 sentenza della Corte n. 83/1997 - Non fondatezza.
 
 (Legge regione Sicilia 6 marzo 1986, n. 9, artt. 19, 20 e 21).
 
 (Cost., artt. 5, 97 e 128;Statuto speciale regione Sicilia, art. 15).
 
(GU n.32 del 6-8-1997 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Renato GRANATA;
 Giudici: prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.
 Cesare  MIRABELLI,  prof.  Fernando   SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
 dott.    Cesare  RUPERTO,  dott.  Riccardo  CHIEPPA,  prof.   Gustavo
 ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, prof. Guido
 NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI;
 ha pronunciato la seguente
                               Sentenza
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale degli artt. 19, 20 e 21
 della legge della regione siciliana 6 marzo 1986, n.  9  (Istituzione
 della provincia regionale), promosso con ordinanza emessa il 7 maggio
 1996  dal  Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione
 staccata di Catania, sui ricorsi riuniti proposti dal comune  di  Aci
 Castello  ed  altri  contro  il presidente della regione siciliana ed
 altri, iscritta al n. 947 del registro ordinanze  1996  e  pubblicata
 nella   Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  40,  prima  serie
 speciale, dell'anno 1996;
   Visti gli  atti  di  costituzione  del  comune  di  Catania,  della
 Provincia  regionale  di  Catania  nonche' l'atto di intervento della
 regione siciliana;
   Udito nell'udienza pubblica dell'8 aprile 1997 il giudice  relatore
 Massimo Vari;
   Uditi  gli  avvocati Francesco Mineo, Mario Arena, Andrea Scuderi e
 Fabio Roversi Monaco per il comune di Catania, Carmelo Finocchiaro  e
 Giuseppe  Morbidelli per la provincia regionale di Catania e Giovanni
 Lo Bue e Francesco Torre per la regione siciliana.
                           Ritenuto in fatto
   1. -  Con ordinanza emessa il 7 maggio 1996, sui  ricorsi  proposti
 dai  comuni  di  Catania,  Aci  Castello,  Paterno' e San Gregorio di
 Catania avverso il decreto del presidente della regione siciliana  10
 agosto  1995,  recante  "Individuazione  dell'area  metropolitana  di
 Catania", il  tribunale  amministrativo  regionale  per  la  Sicilia,
 sezione staccata di Catania, ha sollevato, in riferimento all'art. 15
 dello  statuto  speciale  della Regione siciliana approvato con regio
 decreto legislativo 15 maggio  1946,  n.  455,  convertito  in  legge
 costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, e agli artt. 5, 97 e 128 della
 Costituzione,  questione  di  legittimita' costituzionale degli artt.
 19, 20 e 21 della legge regionale 6 marzo  1986,  n.  9  (Istituzione
 della provincia regionale).
   Precisato  che  la  questione  e'  rilevante  ai fini del decidere,
 "costituendo la ragione principale del contendere"  nel  giudizio  di
 fronte  al  TAR, il rimettente ritiene che le disposizioni in parola,
 relative alle aree metropolitane,si pongano in contrasto,  anzitutto,
 con  l'art.  15 dello statuto speciale, disposizione che "individua i
 poteri delle autonomie locali regionali"  nei  comuni  e  nei  liberi
 consorzi di comuni.  Rilevato, quindi, che "solo dalla volonta' delle
 amministrazioni  comunali  e dalla loro libera scelta di aggregazione
 in forma consortile puo' derivare qualunque altro centro di potere  o
 di   governo   locale,  compreso  il  libero  consorzio",  come  gia'
 sottolineato dall'Alta Corte per la regione siciliana e come ribadito
 dal decreto legislativo del Presidente della Regione 29 ottobre 1955,
 n. 6 (poi trasfuso nella legge  regionale  15  marzo  1963,  n.  16),
 l'ordinanza  osserva  che,  dalle  disposizioni  censurate, discende,
 invece,  che  "le  funzioni,  gli  organi,  la  figura  istituzionale
 dell'area  metropolitana  non  sono  il  risultato di una spontanea e
 libera   determinazione   dei   comuni   inclusi   nel   comprensorio
 metropolitano, sibbene il risultato di un atto autoritativo, adottato
 contro la stessa volonta' dei comuni interessati".
   Inoltre,  le disposizioni denunciate, disattendendo l'art. 15 dello
 statuto,  che  enumera   in   modo   tassativo   gli   enti   locali,
 identificandoli nei comuni e nei liberi consorzi comunali, dispongono
 la  creazione  di  un  nuovo  ente  intermedio,  dotato di un proprio
 territorio, di un proprio demanio e di proprie attribuzioni,  le  cui
 funzioni  vengono  esercitate  dalla provincia, che assume una figura
 organizzatoria complessa,  risultante  dall'unione  organica  di  due
 soggetti  istituzionali  facenti  capo a distinte comunita' locali. E
 questo senza  che  la  legge  precisi  il  modo  in  cui,  sul  piano
 gestionale,  gli  interessi relativi siano tenuti separati, stante la
 doverosa diversa ripartizione ed imputazione che  deve  essere  fatta
 degli  oneri  finanziari in relazione ai diversi livelli territoriali
 dei  servizi  erogati,  compromettendo  percio'  il  buon   andamento
 dell'amministrazione, in violazione dell'art.  97 della Costituzione.
   Un  ulteriore  profilo  di  doglianza  riguarda poi il solo art. 21
 della legge che, secondo l'ordinanza, si porrebbe  in  contrasto  non
 solo   con   gli   artt.  15  dello  statuto  speciale  e  128  della
 Costituzione, ma altresi' con i principi generali contenuti nell'art.
 19 della legge "di grande riforma istituzionale" 8  giugno  1990,  n.
 142: la legge regionale, infatti, sottrarrebbe ai comuni funzioni che
 appartengono  alla  sfera  della loro autonomia per lunga tradizione,
 trasferendo all'area metropolitana servizi che  non  hanno  carattere
 sovracomunale,   senza   che   esistano   apprezzabili   ragioni   di
 coordinamento e di maggiore efficienza.
   La violazione dell'art. 15 dello statuto e  degli  artt.  5  e  128
 della  Costituzione,  da  parte  degli  artt. 19, 20 e 21 della legge
 regionale, viene, inoltre, prospettata sotto  il  profilo  della  non
 coincidenza dell'area metropolitana siciliana con l'ente provincia, i
 cui  organi sono chiamati a svolgerne le funzioni. Cio' comporta che,
 in contrasto con i principi di autogoverno e  di  rappresentativita',
 l'area  metropolitana  sia  governata  anche  dai  rappresentanti dei
 comuni della provincia esterni all'area stessa.
   Un'ultima censura riguarda, infine, la violazione, da  parte  delle
 medesime  disposizioni,  dell'art.  97  della  Costituzione, sotto il
 profilo del buon andamento della  pubblica  amministrazione,  per  il
 carattere  precario dei rapporti funzionali e finanziari fra gli enti
 interessati, in assenza di una norma che disciplini il  trasferimento
 dai  comuni  alla  provincia  delle  funzioni  amministrative  e  del
 personale addetto, la separazione patrimoniale  e  il  riparto  delle
 attivita' e passivita'.
   Ne' puo' rilevare, secondo il rimettente, la eventuale acquiescenza
 prestata  dai  comuni  ricorrenti nei confronti degli atti istitutivi
 dell'ente  "provincia  regionale",  secondo   l'eccezione   sollevata
 dall'Amministrazione   provinciale:  l'aver  accettato  la  provincia
 regionale  non  preclude  che  l'ente  esponenziale  degli  interessi
 coinvolti agisca in  giudizio  ed  eccepisca  l'illegittimita'  della
 legge, quando l'intervento attuativo della legge medesima "tocchi per
 la  prima  volta  livelli  piu' bassi di amministrazione ed incida su
 competenze piu' specifiche dell'autonomia comunale".
   2. - Nel giudizio di fronte alla Corte, si e' costituito il  comune
 di  Catania,  insistendo per l'accoglimento della questione. Rilevato
 che, secondo l'art. 15 dello statuto, l'ente intermedio tra regione e
 comuni dovrebbe fondarsi sulle adesioni libere e volontarie di questi
 ultimi, la memoria afferma che le norme impugnate coartano e svuotano
 l'autonomia dei comuni sottraendo ad essi competenze istituzionali  e
 inserendoli  di  autorita' nell'ambito di un'area metropolitana retta
 dagli organi  della  provincia.  Inoltre,  le  medesime  disposizioni
 contrasterebbero  con  le previsioni della legge n. 142 del 1990, che
 reca "principi di grande riforma costituzionale" e che disciplina  le
 aree  metropolitane  senza pero' disporre lo spodestamento dei comuni
 in favore della provincia. Anche il principio  di  rappresentativita'
 degli  organi elettivi sarebbe violato, in quanto le funzioni che gli
 organi della provincia svolgono quando agiscono come organi dell'area
 metropolitana si riferiscono  ad  un  territorio  piu'  ristretto  di
 quello  provinciale.  Si rileva, infine, l'assenza di qualsiasi norma
 di  carattere   finanziario   volta   a   "disciplinare   l'esercizio
 dell'attivita'  metropolitana e a distinguere il relativo bilancio da
 quello della provincia".
   3. - Si e' costituita in giudizio anche la provincia  regionale  di
 Catania,  chiedendo  che  le sollevate questioni siano dichiarate non
 fondate o, comunque, non rilevanti.
   Evidenziato  che,  ad  avviso  del  TAR,  la  creazione   dell'area
 metropolitana  avrebbe  determinato  il  sovvertimento  del principio
 dell'art. 15 dello statuto, secondo il quale i  comuni  rappresentano
 il   nucleo  fondamentale  e  la  fonte  originaria  dell'ordinamento
 amministrativo  locale,  si  afferma  che  l'istituzione  delle  aree
 metropolitane  non ha determinato alcuna spoliazione incostituzionale
 di competenze comunali e che, anche ad ammettere in ipotesi che  cio'
 si  sia  verificato,  la  sottrazione  di  competenze  non sarebbe da
 imputare alle aree metropolitane, ma alla  istituzione  delle  stesse
 province regionali.
   La  memoria  rileva,  inoltre, che l'ordinanza sembra accogliere un
 concetto di libero consorzio comunale che non trova  alcun  riscontro
 nel  processo  di  attuazione  dello  statuto  siciliano,  e  che  la
 disposizione statutaria dell'art. 15  deve  essere  "bilanciata"  con
 quelle  contenute nella Costituzione (artt. 5 e 114), che riconoscono
 la provincia come istituto necessario, osservando, altresi',  che  la
 legge  regionale  n.  9  del  1986  definisce la nuova figura di ente
 intermedio introdotta - e cioe' la provincia regionale -  quale  ente
 pubblico territoriale.
   Escluso,  percio', che la provincia regionale sia un ente di natura
 consortile, essa va considerata come ente politico (rappresentativo),
 a fini generali, cui spetta di programmare  lo  sviluppo  complessivo
 della collettivita'.
   Erroneo sarebbe, poi, l'assunto che vede l'area metropolitana quale
 nuovo  ed  ulteriore  ente  intermedio. Si tratta, invece, unicamente
 della    "presa     d'atto     di     una     particolare     realta'
 geografico-urbanistica,  con l'effetto di far assumere alla provincia
 alcuni  poteri  spettanti  ai comuni compresi in siffatta area", come
 dimostra la mancata previsione di nuovi organi istituzionali preposti
 al  funzionamento  delle  aree  metropolitane.  Si  realizzerebbe  in
 sostanza   solo   un  potenziamento  delle  funzioni  delle  province
 regionali, al fine di  massimizzare  l'efficienza  e  di  ridurre  le
 frammentazioni  e le diseconomie, con riguardo a quelle funzioni che,
 per il loro carattere, sono meglio gestibili da  un  unico  ente  che
 insista  su  di  un'area territoriale piu' vasta. D'altro canto e' da
 escludere  che  il  potenziamento  delle  funzioni   delle   province
 regionali  -  in ragione delle interconnessioni di servizi e funzioni
 che si ravvisano nelle grandi conurbazioni - contrasti con i principi
 fondamentali dell'ordinamento, ove si consideri che la  stessa  legge
 n.  142  del  1990  ha  inteso  assegnare  alla provincia funzioni di
 pianificazione del territorio, oltre a quelle connesse ai servizi  di
 area  vasta,  quali  viabilita', trasporti e smaltimento dei rifiuti.
 Ne' dall'art. 15  dello  statuto  speciale  emergerebbe  una  riserva
 intangibile di funzioni a favore dei comuni; funzioni la cui ampiezza
 sarebbe   rimessa  invece  alle  scelte  del  legislatore,  in  vista
 dell'esigenza di  dettare,  per  determinate  aree,  un  assetto  del
 governo  locale parzialmente differenziato rispetto a quello previsto
 per il resto del territorio.
   Quanto   alla   mancata    coincidenza    territoriale    dell'area
 metropolitana  con  l'ente  provincia,  si  rileva  che  non vi e' un
 principio costituzionale per cui i servizi  pubblici  debbono  essere
 erogati  solo  da  soggetti  che  siano  rappresentanti diretti della
 collettivita'  servita.  Tale  mancata  corrispondenza  confermerebbe
 invece  che  la  legge  censurata  non ha inteso creare un nuovo ente
 intermedio tra la provincia ed il  comune,  a  differenza  di  quanto
 disposto dal legislatore nazionale.
   Si  evidenzia,  infine,  che il giudice rimettente non ha tenuto in
 debito conto l'eccezione sollevata dalla difesa  dell'Amministrazione
 provinciale   in   ordine   all'acquiescenza  dei  comuni  ricorrenti
 relativamente agli atti istitutivi  della  provincia  regionale,  nei
 confronti dei quali si sarebbero dovute far valere le censure rivolte
 avverso  il  decreto  presidenziale  impugnato  nel  giudizio  a quo;
 decreto  che,  infatti,  costituisce  un  mero  intervento  attuativo
 dell'art. 20 della legge regionale n. 9 del 1986.
   4.  -  E'  intervenuta  in  giudizio  anche  la  regione siciliana,
 chiedendo che le questioni sollevate siano dichiarate non fondate.
   Nel rilevare che gia' le norme di attuazione dello statuto speciale
 (d.P.R. 19 luglio 1956, n. 977), per il fatto stesso  di  contemplare
 la   sussistenza   delle   prefetture   nelle   circoscrizioni  delle
 "soppresse" province, hanno ridotto la  portata  dell'art.  15  dello
 statuto  medesimo,  la  difesa  della  regione  deduce  che  la legge
 denunciata assegna ai comuni un ruolo tutt'altro che secondario,  sia
 nella  costituzione  delle  province  regionali  (art.  5), sia nella
 formazione dei rispettivi statuti (art. 23), sia nella programmazione
 economico-sociale (artt.  9-10), onde non puo' dirsi che tra province
 e comuni vi sia una mera coincidenza di elementi naturali,  come  per
 le vecchie amministrazioni provinciali.
   Rilevato,  poi, che il trasferimento di funzioni dai comuni inclusi
 nelle aree  metropolitane  alle  province  e'  la  risultante  di  un
 procedimento  partecipativo  che  garantisce  l'autonomia  dei comuni
 interessati - sia sotto il profilo  del  grado  di  integrazione  dei
 servizi   (art.      19),   sia  sotto  quello  della  partecipazione
 all'individuazione e delimitazione dell'area  (art.  20),  sia  sotto
 quello   del   carattere   associativo   della   gestione   e   della
 valorizzazione delle strutture esistenti (art. 21) - la difesa  della
 regione  nega  che  il legislatore regionale abbia istituito un nuovo
 ente locale, affermando che esso ha semplicemente previsto un assetto
 organizzativo diverso in relazione ad alcune funzioni e servizi  che,
 in  virtu'  del  loro  interesse sovracomunale, sono stati attribuiti
 alle province regionali  nel  cui  ambito  sono  ricomprese  le  aree
 metropolitane.
   E'  ben  vero  che si tratta di un modello che differisce da quello
 delineato dalla legge n. 142 del  1990,  imperniato  sull'istituzione
 della  citta'  metropolitana,  ma le disposizioni di tale legge (come
 precisato dal suo art. 1, comma  2)  si  applicano  alle  Regioni  ad
 autonomia  speciale  solo se compatibili con le attribuzioni previste
 dai rispettivi statuti.
   Anche la  censura  relativa  alla  violazione  dell'art.  97  della
 Costituzione,   sotto   il  profilo  della  genericita'  delle  norme
 denunciate in ordine  alla  disciplina  della  figura  organizzatoria
 introdotta,   sarebbe   infondata,  solo  a  considerare  che  l'area
 metropolitana non ha alcuna soggettivita' giuridica e che  si  tratta
 (come  mostra  l'art.  21) dell'accorpamento di funzioni di comuni di
 una stessa circoscrizione provinciale che presentino un  forte  grado
 di  integrazione;  funzioni  che  vengono  trasferite  alla provincia
 regionale.
   Quanto alla censura avverso l'art. 21 della legge sotto il  profilo
 del  contrasto  con l'art. 19 della legge n. 142 del 1990, si osserva
 che, anche ad  ammettere  il  carattere  vincolante  di  quest'ultima
 disposizione   -   la'   dove   prevede   l'affidamento  alle  citta'
 metropolitane di funzioni aventi precipuo carattere  sovracomunale  e
 di  funzioni che "debbono, per ragioni di economicita' ed efficienza,
 essere svolte in forma coordinata" - le  ipotesi  in  essa  formulate
 trovano in ogni caso riscontro nella norma denunciata.
   Rilevata,  inoltre,  l'infondatezza  della  doglianza  relativa  al
 difetto di carattere rappresentativo  degli  organi  della  provincia
 regionale,   dovendosi   al   riguardo   considerare   che   le  aree
 metropolitane non  sono  enti  territoriali,  si  nega  che  maggiore
 fondamento  abbia  la  censura  relativa  alla mancata disciplina del
 trasferimento,   dai   comuni   alle   province,    delle    funzioni
 amministrative  e  del  personale  addetto;  come  pure  alla mancata
 disciplina  della  separazione  patrimoniale  e  del  riparto   delle
 attivita'  e  delle  passivita'.  Infatti i rapporti finanziari fra i
 comuni e le province regionali sono da reputare  regolati  attraverso
 il  rinvio  ricettizio dell'art. 1, lettera d), della legge regionale
 n. 48 del 1991, all'art. 19, comma 2, della legge n. 142 del 1990.  A
 sua  volta,  la  mancata previsione del trasferimento del personale e
 dei beni, oltre ad essere comune alla legge n. 142 del 1990, risponde
 probabilmente  ad  una  scelta  del  legislatore  di  valorizzare  le
 strutture  che  le  province  regionali hanno ereditato dalle vecchie
 amministrazioni  provinciali.  Infine,  sempre  secondo  la  memoria,
 l'attribuzione  di funzioni comunali alla provincia regionale risulta
 disciplinata  compiutamente  dall'art.   21,   tenuto   conto   della
 descrizione   ivi   operata   del   contenuto  del  piano  regolatore
 intercomunale e del rinvio ad altra norma, quanto alle varie forme di
 gestione dei servizi.
   5.  - Con una successiva memoria, il comune di Catania ha insistito
 per l'accoglimento delle questioni.
   Richiamata la peculiarita' dell'ordinamento degli enti locali  che,
 nella  regione siciliana (come risulta dagli artt. 14, lettera o e 15
 dello  statuto  citato)  rientra,  per  un  verso,  nella  competenza
 legislativa  esclusiva,  ed  e' basato, per l'altro, sui comuni e sui
 liberi consorzi, il comune di Catania rammenta che gia' l'Alta Corte,
 con la sentenza n. 10 del 4 ottobre 1955, ha segnalato la  necessita'
 di  un'attuazione degli artt. 114 e 128 della Costituzione rispettosa
 dell'art. 15 dello statuto.
   In contrasto con il descritto assetto di livello  costituzionale  e
 statutario,  la  legge  regionale  denunciata  affida  alla provincia
 regionale, con gli artt. 19, 20 e 21, ulteriori funzioni, molte delle
 quali sono espressione  delle  piu'  gelose  prerogative  dei  comuni
 stessi.    Funzioni,  peraltro,  svolte dalla provincia per una parte
 soltanto   del   territorio    provinciale,    coinvolgendo    dunque
 rappresentanti  di  comunita' diverse nella gestione di interessi dei
 comuni inseriti nell'area metropolitana.
   Si tratterebbe, in sostanza, dell'"esproprio"  di  alcune  funzioni
 primarie dei comuni a favore della provincia, con il quale si pongono
 le premesse per la creazione di un nuovo ente.
   D'altronde   -   osserva   il   comune   di   Catania   -   nessuna
 incompatibilita' o conflitto sussiste fra il principio  di  autonomia
 locale voluto dall'art. 128 della Costituzione e quello, anch'esso di
 autonomia,   seppure   "rafforzata",  tracciato  dall'art.  15  dello
 statuto,  che  attribuisce  ai  comuni  siciliani  due  basilari   ed
 essenziali  prerogative  istituzionali:    quelle  della  piu'  ampia
 autonomia e della necessita' di una libera e volontaria scelta  nella
 cessione  o  nel  conferimento  dei  propri  poteri  ad  altri enti o
 amministrazioni. E cio' specie a considerare che  lo  stesso  sistema
 generale  evolve  verso la via indicata da quest'ultima disposizione,
 come e' dato evincere dal disegno di  legge  n.  1388  all'esame  del
 Parlamento,  disegno di legge che prevede la modifica delle modalita'
 di formazione della corrispondente figura prevista dalla legge n. 142
 del 1990  mediante  l'introduzione  della  conferenza  metropolitana,
 quale  strumento  in cui si esprime "la libera e democratica volonta'
 di associazione dei comuni".
   Inoltre   le   disposizioni   della   legge   regionale   censurata
 contrasterebbero   con   i  principi  costituzionali  di  efficienza,
 economicita'  e   buon   andamento   fissati   dall'art.   97   della
 Costituzione,  in  quanto nulla dispongono in ordine al trasferimento
 dei mezzi finanziari, degli  impianti  e  del  personale  degli  enti
 locali inseriti nelle costituende aree metropolitane.
   Sarebbe    violato,    infine,    il    principio    basilare    di
 rappresentativita', in quanto  i  cittadini  metropolitani  sarebbero
 amministrati da altri cittadini che si trovano in posizione estranea,
 se non confliggente.
   6.  -  Anche  la  provincia  regionale di Catania ha depositato una
 ulteriore memoria, insistendo perche' le questioni  siano  dichiarate
 infondate.  La  difesa  della  provincia  -  con  ampio  richiamo del
 dibattito in argomento e degli orientamenti espressi dalla dottrina e
 dalla giurisprudenza amministrativa e costituzionale - rileva che  la
 locuzione  "libero  consorzio"  contenuta  nell'art. 15 dello statuto
 dovrebbe essere interpretata in  senso  conforme  ai  principi  della
 Costituzione  ed  in  particolare  all'art. 114: l'aggettivo "libero"
 andrebbe riferito piu' che al momento costitutivo del consorzio  (che
 si  configura  come  entita'  necessaria)  a  quello successivo della
 facultas   di   aggregarsi   ad   un   consorzio   o   all'altro   ed
 all'autorganizzazione.   Del   resto   i   comuni   ricorrenti  hanno
 partecipato  alla  fase  formativa  del  libero   consorzio-provincia
 regionale, senza che sia stata adottata alcuna iniziativa contenziosa
 contro i provvedimenti attuativi.
   Rilevato che il mancato coordinamento legislativo dello statuto con
 la   Costituzione   ha   determinato   inevitabilmente  una  graduale
 sostanziale trasformazione del primo - nel senso di un  bilanciamento
 delle  disposizioni  statutarie  con  quelle  della  Costituzione che
 riconoscono la provincia come  istituto  necessario  nell'ordinamento
 costituzionale,  con  caratteristiche  di  ente  locale territoriale,
 anche alla luce dei principi  dell'ordinamento  giuridico  desumibili
 dalla  legge  n.  142 del 1990 - si ribadisce che non si e' di fronte
 alla creazione di un nuovo  ente  intermedio.  Peraltro,  proprio  le
 funzioni  comunali  che  il  giudice  rimettente reputa riservate per
 tradizione al comune,  sono  quelle  per  le  quali  maggiore  e'  la
 necessita'  della  gestione  sovracomunale  in chiave di efficienza e
 redditivita', tanto che esse rientrano fra quelle che l'art. 19 della
 legge n. 142 del 1990 assegna alla  citta'  metropolitana.  E  questo
 senza  ignorare  la  non  intangibilita'  delle competenze del comune
 stesso, alla luce della potesta' legislativa esclusiva dell'assemblea
 regionale in materia di regime degli enti locali (art. 14, lettera  o
 dello statuto della regione siciliana).
   Quanto,   poi,  all'esercizio  delle  funzioni  attinenti  all'area
 metropolitana da parte dell'ente esponenziale di  una  comunita'  che
 comprende  anche  comuni  esterni all'area stessa, la memoria osserva
 che non esiste un principio generale dell'ordinamento (ne'  tantomeno
 un principio costituzionale) in base al quale vi debba essere, sempre
 e   comunque,   corrispondenza  fra  ambito  territoriale  entro  cui
 determinate  funzioni  sono  esercitate  e   territorio   complessivo
 dell'ente territoriale al quale e' attribuita la competenza in ordine
 alle funzioni stesse.
   Infine, il trasferimento, dai comuni alla provincia, delle funzioni
 amministrative e del personale addetto nonche' il riparto degli oneri
 finanziari,  si presenterebbero come aspetti di un ordinario fenomeno
 di successione fra  enti,  correttamente  disciplinato  dalla  stessa
 legge  regionale  censurata  (art.  21). E questo tanto piu' che, con
 decreto presidenziale 20  febbraio  1996,  n.  42,  sono  gia'  state
 individuate le modalita' attuative del disposto dello stesso art. 21.
                        Considerato in diritto
   1.  -    Le  questioni di legittimita' costituzionale sollevate dal
 tribunale amministrativo regionale per la Sicilia hanno  per  oggetto
 gli  artt.  19,  20  e 21 della legge della regione siciliana 6 marzo
 1986, n. 9 (Istituzione della provincia regionale).
   Le disposizioni censurate, nell'ambito della disciplina  istitutiva
 dei  liberi  consorzi  di  comuni  denominati  "province  regionali",
 prevedono che possano essere dichiarate aree  metropolitane  le  zone
 del  territorio  regionale  che  presentino peculiari caratteristiche
 indicate dalla legge stessa (art. 19), disciplinano  il  procedimento
 per  la  costituzione  delle  aree  medesime  (art.  20) e dispongono
 l'affidamento,  alle  province   regionali   comprendenti   le   aree
 metropolitane,  di  talune  delle  funzioni  spettanti  ai  comuni in
 materia di pianificazione territoriale e commerciale e di svolgimento
 dei servizi pubblici (art. 21).
   2. - Il rimettente denuncia dette disposizioni, per contrasto con i
 principi dell'art. 15 dello statuto speciale della regione  siciliana
 approvato  con  r.d.lgs.  15 maggio 1946, n. 455, convertito in legge
 costituzionale 26  febbraio  1948,  n.  2,  sotto  un  primo  duplice
 profilo:
     in  quanto  "le  funzioni,  gli  organi,  la figura istituzionale
 dell'area metropolitana non sono il  risultato  di  una  spontanea  e
 libera   determinazione   dei   comuni   inclusi   nel   comprensorio
 metropolitano, sibbene il risultato di un atto autoritativo, adottato
 contro  la  stessa  volonta'  dei   comuni   interessati",   si'   da
 disattendere il principio secondo il quale "solo dalla volonta' delle
 amministrazioni  comunali  e dalla loro libera scelta di aggregazione
 in forma consortile puo' derivare qualunque altro centro di potere  o
 di governo locale";
     in  quanto,  in  contrasto con l'enumerazione tassativa contenuta
 nella norma statutaria, viene istituito  un  nuovo  ente  intermedio,
 soggetto  terzo  rispetto sia al comune che alla provincia, affidando
 contestualmente  l'esercizio   delle   relative   funzioni   all'ente
 provincia, ma senza precisare in qual modo, sul piano gestionale, gli
 interessi  relativi  siano tenuti separati; con cio' violandosi anche
 l'art.  97 della Costituzione e compromettendosi  il  buon  andamento
 dell'amministrazione.
   Un  ulteriore  profilo di censura investe il solo art. 21, ritenuto
 contrastare con l'art. 15 dello  statuto  speciale,  con  l'art.  128
 della  Costituzione e con i principi generali contenuti nell'art.  19
 della legge 8 giugno 1990, n.  142,  a  causa  della  sottrazione  ai
 comuni di funzioni appartenenti per lunga tradizione alla sfera della
 loro autonomia, e del trasferimento all'area metropolitana di servizi
 non  aventi  carattere sovracomunale, senza che esistano apprezzabili
 ragioni di coordinamento e di maggiore efficienza.
   Infine, tutte le disposizioni sopra menzionate  vengono  sospettate
 di incostituzionalita' per violazione:
     dello  stesso  art.  15  dello  statuto speciale, oltre che degli
 artt. 5 e 128 della  Costituzione,  a  causa  della  non  coincidenza
 dell'ambito  territoriale  dell'area  metropolitana  con quello della
 provincia, chiamata a svolgerne le funzioni,  sicche',  in  contrasto
 con i principi di autogoverno e di rappresentativita', l'area risulta
 governata anche dai rappresentanti dei comuni della provincia esterni
 ad essa;
     dell'art.  97  della  Costituzione,  sotto  il  profilo  del buon
 andamento, a  causa  della  precarieta'  dei  rapporti  di  carattere
 funzionale  e finanziario tra gli enti interessati, non rinvenendosi,
 nelle disposizioni in esame,  alcuna  norma  che  disciplini  sia  il
 trasferimento dai comuni alla provincia delle funzioni amministrative
 e del personale addetto, sia la separazione patrimoniale e il riparto
 delle attivita' e passivita'.
   3.  -  Va  in primo luogo esaminata l'eccezione di inammissibilita'
 prospettata dalla provincia regionale di Catania, la  quale  sostiene
 l'irrilevanza  delle  questioni,  che,  a suo avviso, sarebbero state
 sollevate solo perche' il TAR non avrebbe  adeguatamente  considerato
 quanto   gia'   rappresentato   nel   giudizio   a   quo,  in  ordine
 all'acquiescenza  dei  comuni  ricorrenti  relativamente  agli   atti
 istitutivi della provincia regionale; atti nei confronti dei quali si
 sarebbero   dovute   far   valere   le  censure  rivolte  avverso  il
 provvedimento di carattere meramente attuativo, e  cioe'  il  decreto
 istitutivo dell'area metropolitana di Catania.
   L'eccezione va disattesa.
   Nei  termini  teste'  riferiti  l'eccezione  ha,  infatti,  formato
 oggetto di esame da parte del giudice a  quo,  il  quale  e',  pero',
 pervenuto  motivatamente  alla  conclusione  che  essa  non impedisca
 all'ente esponenziale degli interessi coinvolti  di  agire  a  tutela
 delle   proprie   prerogative   istituzionali,   nei   casi   in  cui
 "l'intervento attuativo della legge tocchi per la prima volta livelli
 piu' bassi di amministrazione ed incida su competenze piu' specifiche
 dell'autonomia comunale".
   Si tratta di considerazioni sufficienti a dare ingresso,  sotto  il
 profilo  della  rilevanza, al presente giudizio di costituzionalita',
 tanto piu' che, per consolidato principio  (da  ultimo,  sentenza  n.
 386  del  1996),  la  valutazione di rilevanza effettuata dal giudice
 rimettente  si  puo'  disattendere  solo  quando  risulti  del  tutto
 implausibile.
   4. - Nel merito le questioni non sono fondate.
   Sia  per  i  profili  che  attengono  alla  prospettata  violazione
 dell'art.  15 dello statuto, sia per quelli che concernono l'art. 5 e
 l'art.  128 della Costituzione, le censure proposte si basano  su  un
 assunto  che  non  trova  conferma  nell'esegesi  delle  disposizioni
 denunciate, e cioe' che esse, nell'ambito della  generale  disciplina
 delle  autonomie  locali,  siano rivolte alla istituzione di un nuovo
 ente intermedio di livello sub-provinciale.
   Al fine di verificare la validita' di un siffatto postulato,  giova
 rammentare  che  la  regione siciliana dispone, in ordine al regime e
 all'ordinamento degli enti locali, di potesta' legislativa esclusiva,
 in base al disposto dell'art. 14, lettera o), dello statuto  speciale
 nonche'  del  successivo  art.  15, il quale, al secondo comma, fonda
 espressamente detto ordinamento "sui comuni  e  sui  liberi  consorzi
 comunali,   dotati   della  piu'  ampia  autonomia  amministrativa  e
 finanziaria".  Nel dare seguito a tale ultima  previsione,  la  legge
 regionale   6   marzo   1986,   n.   9,   stabilisce   (art.  3)  che
 "l'amministrazione locale territoriale  nella  regione  siciliana  e'
 articolata,  ai sensi dell'art. 15 dello statuto regionale, in comuni
 e liberi  consorzi  di  comuni  denominati  ''province  regionali''",
 affidando  in  particolare l'iniziativa per la costituzione di queste
 ultime  ai  comuni  stessi,  attraverso  il  peculiare   procedimento
 previsto  dall'art. 5, e riconoscendo alla provincia regionale, oltre
 alla potesta'  statutaria  (artt.  22  e  seguenti),  competenze  che
 attengono,    tra    l'altro,    al    campo   della   programmazione
 economico-sociale (art. 8) e della pianificazione territoriale  (art.
 12).
   In  tale  contesto legislativo si collocano le disposizioni portate
 all'esame di questa Corte,  le  quali  prevedono,  all'art.  19,  che
 possano  essere  dichiarate aree metropolitane le zone del territorio
 che siano ricomprese nella stessa provincia; abbiano una  popolazione
 non  inferiore a 250.000 abitanti; annoverino la presenza, accanto ad
 un  comune  maggiore,  con piu' di 200.000 abitanti, di centri urbani
 aventi  una  sostanziale  continuita'  di  insediamenti;  presentino,
 infine, un elevato grado di integrazione quanto a servizi, trasporti,
 sviluppo  economico  e  sociale.  Il successivo art. 20 disciplina il
 procedimento di istituzione delle  aree  che  vengono  individuate  e
 delimitate,  "anche  su richiesta degli enti locali interessati", con
 decreto del presidente della regione; mentre  l'art.  21  attribuisce
 alle  province  regionali,  comprendenti  le  aree  metropolitane, le
 funzioni  spettanti  ai  comuni  in  materia  di  pianificazione  del
 territorio,   formazione   del   piano   intercomunale   della   rete
 commerciale,  distribuzione  di  acqua  potabile  e  gas,   trasporti
 pubblici, raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani.
   5.  -  L'esame  delle disposizioni sopra illustrate dimostra che la
 delimitazione delle  aree  metropolitane,  lungi  dal  comportare  la
 costituzione di enti subprovinciali, realizza solo un diverso assetto
 delle funzioni, ripartite fra i due livelli di governo locale secondo
 quanto   suggerito   dalle   stesse   peculiarita'  della  situazione
 socio-economica e territoriale, in vista di  migliori  risultati  sul
 piano dell'efficienza, dell'efficacia e della razionalita'.
   Attraverso  un procedimento partecipativo, che prevede l'iniziativa
 e comunque il parere degli enti  locali  interessati  (art.  20),  si
 realizza  un modello analogo, nella sua ispirazione, a quello accolto
 dalla legge n. 142 del 1990, di ordinamento delle  autonomie  locali,
 rispetto  al  quale  sussistono  soltanto  talune  varianti  in senso
 restrittivo, ove si consideri che, nel modello siciliano, il  governo
 dell'area   metropolitana   assume   una  fisionomia  prevalentemente
 funzionale, comportando un mero trasferimento  di  funzioni  di  c.d.
 "area   vasta"   dai   comuni   alla   provincia  regionale  -  nella
 configurazione giuridica che quest'ultimo ente ha assunto per effetto
 della legge regionale n. 9 del 1986 e che  l'ordinanza  non  pone  in
 discussione  -  senza  che  ad  esso si ricolleghi, cosi' come accade
 invece per la legge n.  142  del  1990,  un  riassetto  istituzionale
 interno all'area medesima.
   6.  - Da quanto sopra consegue l'infondatezza sia del primo che del
 secondo profilo di  censura  volti,  in  sostanza,  a  denunciare  la
 costituzione  di  enti  non  previsti  statutariamente, attraverso un
 procedimento non rispettoso, ad avviso del rimettente,  dei  principi
 autonomistici.  Nella  disciplina  legislativa  sottoposta  all'esame
 della Corte si puo', infatti, riscontrare l'esistenza, anzitutto,  di
 un  momento partecipativo dei comuni interessati che non si esaurisce
 all'atto dell'individuazione dell'area (art. 20), ma si estende anche
 alla previsione dell'eventuale carattere associativo  della  gestione
 dei  servizi,  attraverso la valorizzazione delle strutture esistenti
 (art. 21). Al  tempo  stesso,  va  rilevato  il  carattere  meramente
 funzionale  dell'individuazione  e  della  delimitazione  delle  aree
 metropolitane, confermato dalla circostanza che non  e'  prevista  la
 costituzione  di  nuovi  organi  preposti al funzionamento delle aree
 stesse.
   Per  ragioni  in  buona  misura  analoghe  a  quelle  accennate  va
 disattesa   anche   la  censura  di  violazione  dell'art.  97  della
 Costituzione,  muovendo  la  stessa,   nel   lamentare   la   mancata
 separazione   sul   piano   gestionale   degli  interessi  coinvolti,
 dall'erronea  premessa  dell'avvenuta   creazione   di   una   figura
 organizzatoria  complessa  risultante  dall'unione  organica  di  due
 soggetti istituzionali.
   7.  - Non migliore sorte merita la doglianza concernente l'art.  21
 della legge, denunciato per violazione  dell'art.  15  dello  statuto
 speciale  e  dell'art. 128 della Costituzione, oltre che dei principi
 generali della legge n. 142 del 1990 (art. 19).
   Come  questa  Corte  ha  avuto  occasione  anche  recentemente   di
 rilevare,  gli  artt.  5  e  128 della Costituzione presuppongono una
 posizione di autonomia dei comuni che le leggi regionali non  possono
 mai  comprimere  fino  a  negarla  (sentenza  n.  83  del  1997).  Ma
 l'autonomia comunale non implica una riserva intangibile di  funzioni
 e  non  esclude  che  il  legislatore regionale possa, nell'esercizio
 della   sua   competenza   esclusiva,   individuare   le   dimensioni
 dell'autonomia   stessa,   valutando  la  maggiore  efficienza  della
 gestione  a  livello  sovracomunale  degli  interessi  coinvolti.  Il
 problema  del  rispetto delle autonomie non riguarda, percio', in via
 astratta,  la  legittimita'  dell'intervento  del  legislatore,   ma,
 piuttosto,  la  verifica  dell'esistenza  di  esigenze  generali  che
 possano  ragionevolmente  giustificare  le  disposizioni  legislative
 limitative delle funzioni gia' assegnate agli enti locali.
   Quanto,  poi,  alla  legge  n. 142 del 1990 - senza che occorra qui
 affrontare il problema dei limiti entro i quali i  relativi  principi
 possano reputarsi vincolanti per la regione siciliana, alla luce, tra
 l'altro,  del  disposto  di  cui  all'art.  1,  comma  2, della legge
 medesima - non puo'  non  rilevarsi  che  le  funzioni  previste  dal
 censurato   art.   21   della   legge   regionale   n.  9  del  1986,
 sostanzialmente coerenti con quelle gia' affidate, dagli  artt.  8  e
 seguenti   della   legge   medesima,   alla   provincia,  quale  ente
 esponenziale di interessi sovracomunali, corrispondono, in  linea  di
 massima, alla tipologia accolta nell'art.  19 della legge generale di
 ordinamento  delle  autonomie  locali.  E' evidente, in ogni caso, la
 consonanza di obiettivi che ispira, da un canto, quest'ultima legge -
 la' dove  prevede  l'attribuzione  alle  citta'  metropolitane  delle
 funzioni,  affidate  ai comuni, che abbiano carattere sovracomunale o
 debbano, per ragioni di economicita' ed efficienza, essere svolte  in
 forma  coordinata  -  e, dall'altro, la disposizione denunciata. Tale
 norma - in collegamento con  quella  del  precedente  art.  19  della
 stessa   legge  regionale  n.  9  del  1986,  che  richiede,  per  la
 costituzione  delle  aree,  la  presenza  di  "un  elevato  grado  di
 integrazione,  in  ordine  ai  servizi  essenziali,  al  sistema  dei
 trasporti ed allo sviluppo economico e sociale" - mira in  definitiva
 anch'essa  a  massimizzare  l'efficienza  e  a ridurre le diseconomie
 nella gestione dei servizi; finalita' che, nell'ambito  del  medesimo
 testo  normativo,  paiono  ispirare anche la prevista possibilita' di
 utilizzo, quando sia opportuno, di altri modelli di  svolgimento  dei
 servizi,  quali  le  gestioni  comuni (artt. 15 e 16), le convenzioni
 (art. 17) e le societa' per azioni (art. 18).
   8.  -  Quanto  al  problema  della  non  coincidenza   territoriale
 dell'area  metropolitana  con  l'ente  provincia,  i  cui organi sono
 chiamati a svolgerne le funzioni, puo' considerarsi fatto  del  tutto
 fisiologico  l'esercizio,  da  parte  dell'ente rappresentativo della
 collettivita', di funzioni  che  riguardino  eventualmente  solo  una
 determinata parte della collettivita' stessa.
   Anche  se  il carattere rappresentativo ed elettivo degli organi di
 governo degli enti territoriali e',  come  la  Corte  ha  gia'  avuto
 occasione di affermare (sentenza n. 96 del 1968), tratto essenziale e
 caratterizzante  dell'autonomia  cui hanno riguardo gli artt. 5 e 128
 della Costituzione, sarebbe palesemente eccessivo  inferire  da  cio'
 l'esistenza di un principio costituzionale tale da esigere che l'ente
 esponenziale della comunita' locale abbia funzioni uniformi per tutto
 il  territorio,  senza la possibilita' di differenziazione per quella
 parte di esso che evidenzia specifiche  necessita',  e  cioe'  quando
 siano  le  caratteristiche  naturali,  sociologiche  e  geografiche a
 ragionevolmente suggerire un'articolazione differenziata.
   Si giustifica dunque che, alle decisioni  riguardanti  le  funzioni
 che la provincia esercita nell'area metropolitana, concorrano tutti i
 componenti  dell'organo  collegiale  provinciale  e  non  solo quelli
 eletti da parte di cittadini aventi residenza nei comuni appartenenti
 all'area medesima.
   9. - Resta l'ultimo profilo, prospettato  in  riferimento  all'art.
 97  della  Costituzione, per la mancanza di norme che disciplinino il
 trasferimento dai comuni alla provincia delle funzioni amministrative
 e del personale addetto, come pure la separazione patrimoniale  e  il
 riparto delle attivita' e delle passivita'.
   Pure detta censura va disattesa.
   Intanto, non puo' convenirsi sull'assunto che appare implicitamente
 sorreggere  tale prospettazione, e cioe' che una legge che disegni un
 nuovo assetto organizzativo debba necessariamente contenere,  a  pena
 di   incostituzionalita',   anche   ogni  disposizione  di  dettaglio
 operativo o attuativo. Comunque, quanto alle competenze  che  vengono
 trasferite  alla  provincia  regionale,  e'  dato riscontrare la loro
 compiuta disciplina nell'art. 21 della legge regionale n. 9 del 1986,
 attraverso la puntuale  elencazione  delle  funzioni  attinenti  alla
 pianificazione  del  territorio e dell'attivita' commerciale, nonche'
 alla gestione dei servizi, di cui ai numeri 3, 4  e  5  dello  stesso
 articolo,  non  senza  indicare  per  questi ultimi anche i possibili
 moduli di gestione, che consentono di avvalersi, tra  l'altro,  delle
 aziende   municipalizzate   esistenti   ovvero   di   promuovere   la
 costituzione di gestioni comuni ai sensi dell'art. 15 o la stipula di
 convenzioni ai sensi dell'art. 17,  comma  2,  della  medesima  legge
 regionale.
   Alla  definizione  dei  rapporti  finanziari  tra i comuni compresi
 nell'area metropolitana e le  province  regionali  che  la  includono
 provvede,  infine,  l'art.  1,  comma  1,  lettera  d),  della  legge
 regionale 11 dicembre 1991, n. 48, attraverso il rinvio all'art.  19,
 comma  2,  della  legge  n.  142  del  1990,  il  quale  contempla il
 trasferimento, dai comuni alla citta'  metropolitana,  delle  entrate
 riguardanti i servizi attribuiti a quest'ultima.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondate  le questioni di legittimita' costituzionale
 degli artt. 19, 20 e 21 della legge della regione siciliana  6  marzo
 1986,  n.  9  (Istituzione  della provincia regionale), sollevate, in
 riferimento all'art. 15 dello statuto speciale e agli artt. 5,  97  e
 128 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la
 Sicilia,  sezione  staccata  di  Catania, con l'ordinanza indicata in
 epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 18 luglio 1997.
                        Il Presidente: Granata
                          Il redattore: Vari
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 30 luglio 1997.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
 97C0955