N. 293 SENTENZA 18 - 30 luglio 1997

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Sanita'  pubblica - Rapporto tra USL e medici di medicina generale e
 i  pediatri  di  libera  scelta  -  Cessazione  al   compimento   del
 settantesimo  anno  di  eta'  - Riferimento alla giurisprudenza della
 Corte  in  materia  (v.  sentenze    nn.  422/1994  e   162/1997)   -
 Discrezionalita' legislativa - Non fondatezza.
 
 (Legge 28 dicembre 1995, n. 549, art. 2, comma 4).
 
 (Cost., artt. 3, 4, 32 e 33).
 
(GU n.33 del 13-8-1997 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici: prof. Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.
 Cesare  MIRABELLI,  prof.  Fernando   SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
 dott.  Cesare  RUPERTO,  dott.  Riccardo   CHIEPPA,   prof.   Gustavo
 ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, prof. Guido
 NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nei  giudizi  di  legittimita' costituzionale degli artt. 2, comma 4,
 della legge 28 dicembre 1995, n.  549  (Misure  di  razionalizzazione
 della  finanza  pubblica)  e  6  del  d.P.R.  22  luglio 1996, n. 484
 (Accordo collettivo nazionale per@la disciplina dei  rapporti  con  i
 medici  di  medicina  generale),  promossi con ordinanze emesse il 16
 giugno 1996 dal pretore di Napoli, il 22 novembre 1996 (n.  2  ordd.)
 dal  pretore di Bari ed il 3 dicembre 1996 dal tribunale di Avellino,
 rispettivamente iscritte ai nn. 897 del registro ordinanze 1996 ed ai
 nn. 29, 30 e 142 del  registro  ordinanze  1997  e  pubblicate  nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  39, prima serie speciale,
 dell'anno 1996 e nn. 6 e 14, prima serie speciale, dell'anno 1997;
   Visto l'atto di costituzione di Amalio Battista, nonche'  gli  atti
 di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
   Udito  nell'udienza  pubblica del 3 giugno 1997 il giudice relatore
 Piero Alberto Capotosti;
   Udito l'Avvocato dello Stato Giuseppe O. Russo  per  il  Presidente
 del Consiglio dei Ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Il pretore di Napoli, in funzione di giudice del lavoro, con
 ordinanza del 16 giugno 1996, ha sollevato questione di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 2, comma 4, della legge 28 dicembre 1995, n.
 549   (Misure   di  razionalizzazione  della  finanza  pubblica)  che
 stabilisce:  "il rapporto tra le unita' sanitarie locali e  i  medici
 di  medicina  generale  ed i pediatri di libera scelta, convenzionati
 con il Servizio sanitario nazionale (...), cessa  al  compimento  del
 settantesimo  anno  di  eta'", in quanto si porrebbe in contrasto con
 gli artt. 3, 4, 32 e 33, quinto comma, della Costituzione.
   Il giudice era stato adito dai dottori Nicola Mezzacapo e  Giuseppe
 Petrilli,  medici  di  medicina  generale  di  libera scelta, perche'
 riconoscesse loro il diritto di continuare a svolgere le  prestazioni
 in  regime  di convenzione con la azienda sanitaria locale, che aveva
 comunicato  ad  entrambi  la  risoluzione   del   rapporto   per   il
 raggiungimento del limite di eta' previsto dall'art. 11 del d.P.R. 28
 settembre  1990, n. 314, recante "Accordo collettivo nazionale per la
 regolamentazione dei rapporti con i medici di medicina generale".
   Il pretore accoglieva la domanda cautelare, previa  disapplicazione
 della  norma  regolamentare,  ma,  nel  corso del giudizio di merito,
 entrava in vigore la legge 28 dicembre 1995, n. 549, che  prevede  la
 medesima   causa   estintiva   della   convenzione   gia'   contenuta
 nell'accordo collettivo.
   Il rimettente, nel  delineare  le  argomentazioni  che  fondano  il
 dubbio  di  costituzionalita'  della norma in esame, premette che "il
 rapporto medico generale  di  base-servizio  sanitario  e'  (...)  un
 rapporto  libero-professionale  e quello tra il medico ed il paziente
 e'  fondato  sulla  liberta'  di  scelta  dell'assistito".   Le   due
 essenziali  connotazioni  sarebbero state progressivamente accentuate
 dall'evoluzione legislativa prodottasi dalla istituzione del Servizio
 sanitario  nazionale  fino  al  piu'  recente  riordino  del  settore
 sanitario  pubblico,  rispetto  alla quale "la norma introdotta dalla
 legge 28 dicembre 1995 n. 549, nel prevedere un rigido limite  legale
 di  eta' all'esercizio dell'attivita' di medico di base (...)" appare
 del  tutto  incoerente,  ponendosi  in  contrasto   anche   "con   la
 deregulation  in  atto"  e  con l' evoluzione del sistema verso forme
 sempre piu' flessibili di organizzazione.
   La reiterata enunciazione  legislativa  di  principio  secondo  cui
 compete  all'assistito  la  facolta' di scelta del proprio medico con
 reciproche e costanti possibilita' di revoca da parte del primo e  di
 ricusazione  da parte del secondo, la riconduzione del professionista
 al controllo e, se del caso, al potere sanzionatorio  dell'Ordine  di
 appartenenza,  nonche'  la  valorizzazione  di concrete situazioni di
 incompatibilita' in luogo di predeterminati  e  astratti  criteri  di
 efficienza  del  sistema  costituiscono - ad avviso del pretore - gli
 elementi che confortano la linea di tendenza interrotta  dalla  norma
 in esame.
   2.   -   Qualificato  come  libero-professionale  il  rapporto  tra
 amministrazione  sanitaria  e  medico  di  base,  il  giudice  a  quo
 identifica nell' imposizione del termine finale della convenzione una
 lesione  irragionevole  dell'eguaglianza di trattamento (art. 3 della
 Costituzione), dato che analoga regolamentazione non e' mai  prevista
 per  altro  libero  professionista,  ne'  "per  nessun  altro tipo di
 convenzione";  neanche,   in   particolare,   per   lo   "specialista
 ambulatoriale  convenzionato", figura per la quale il dies ad quem e'
 liberamente fissato dai contratti collettivi.
   Inoltre, poiche' per "l'abilitazione  all'esercizio  professionale"
 l'art.  33,  quinto  comma,  della  Costituzione   stabilisce la sola
 condizione del superamento di "un esame di  Stato",  la  disposizione
 confliggerebbe anche con detta norma.
   La  considerazione  che,  secondo  il  rimettente,  "il  limite  di
 settant'anni deve ritenersi fissato nell'interesse della tutela della
 salute dei cittadini, sul presupposto che il passare degli anni ed il
 naturale invecchiamento dell'individuo lo rendono non piu' affidabile
 sul piano dell'efficienza  professionale",  indurrebbe,  altresi',  a
 ritenere
  che  l'art.  2,  comma 4, della legge 28 dicembre 1995, n.549, violi
 anche l'art. 32 della Costituzione, ossia  "il  diritto  alla  salute
 degli  assistiti",  perche'  questi  ultimi  "si  vedono  privati del
 proprio medico di fiducia dopo anni  di assistenza".
   La norma violerebbe, infine, anche l'art. 4 della Costituzione, che
 riconosce il "diritto-dovere"  al  lavoro,  in  vista  del  benessere
 individuale  e  collettivo,  in  quanto,  in contrario, neppure giova
 osservare  che  al  medico  e'  comunque   consentito   di   svolgere
 l'attivita'  libero-professionale,  tenuto conto della difficolta' di
 intraprenderla all'eta' di settanta anni.
   3. - E' intervenuto nel giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri,  per  il  tramite  dell'Avvocatura  generale  dello  Stato,
 eccependo l'infondatezza della questione.
   La difesa  erariale  osserva  che  "la  previsione  del  limite  di
 settanta  anni  di eta' si ricollega a generali esigenze connesse con
 lo svolgimento del servizio sanitario  nazionale,  nel  quadro  delle
 finalita' organizzative, con tipiche connotazioni pubblicistiche, per
 la  regolamentazione  uniforme  dei  rapporti in questione". La norma
 impugnata potrebbe, quindi, addirittura esprimere un  favor  verso  i
 soggetti  che  si  assumono  lesi,  se  si  considera che, nel lavoro
 autonomo, vige la regola generale del recesso  ad  nutum  (art.  2237
 cod. civ.).
   La  ratio  legis  deve,  in realta', essere individuata nel fine di
 garantire rapporti ottimali tra il medico inquadrato in una struttura
 pubblica ed il cittadino utente, che e' del resto l'unico profilo sul
 quale la disposizione spiega effetti: infatti, essa  non  pone  alcun
 ostacolo  all'esercizio  professionale  del  medico ultrasettantenne,
 sicche' appare chiaro che  il  richiamo  del  parametro  dell'art.33,
 quinto comma, della Costituzione non e' pertinente.
   La  disparita'  prospettata nell'ordinanza tra la serie di soggetti
 cui appartengono gli attori in causa e gli specialisti  ambulatoriali
 convenzionati  sarebbe,  inoltre,  inesistente,  dato  che  anche per
 questi ultimi e' stabilita una identica causa di risoluzione.
   Il rapporto fiduciario medico-paziente, proprio in virtu' dell'art.
 32 della  Costituzione,  ben  puo',  infine,  costituire  oggetto  di
 regolamentazione  qualora  miri,  come  nella  specie, ad incentivare
 l'offerta di prestazioni sanitarie da parte di persone piu' giovani e
 scientificamente aggiornate, nell'interesse stesso dell'utenza.
   4. - Il pretore di Bari, in funzione di giudice del lavoro, con due
 ordinanze del 22 novembre 1996, di identico  tenore,  sostanzialmente
 riproduttive  degli argomenti contenuti nel provvedimento del pretore
 di Napoli,  ha  del  pari  proposto  questione  di  costituzionalita'
 dell'art.    2,  comma 4, della legge n. 549 del 1995, in riferimento
 agli artt.  3, 4, 32, e 33, quinto  comma,  della  Costituzione,  nel
 giudizio  proposto  dai  dottori  Domenico Lorusso e Vito Iacobellis,
 quali "medici generalisti", al fine di ottenere la continuazione  del
 rapporto  convenzionale con la azienda sanitaria locale, che, invece,
 intendeva risolverlo per il raggiungimento dei settanta anni di  eta'
 da parte dei due sanitari.
   Il  giudice,  dopo aver accolto per decreto le domande cautelari di
 entrambi  i  ricorrenti,  ascoltate  le  parti  in   contraddittorio,
 "sospende(va) la convalida del decreto emesso inaudita altera parte",
 al  fine  appunto di sollevare d'ufficio la questione di legittimita'
 costituzionale.
   Anche in  questo  giudizio  si  e'  costituito  il  Presidente  del
 Consiglio  dei  Ministri che, per il tramite dell'Avvocatura generale
 dello Stato, ha chiesto che la questione sia dichiarata infondata.
   Il  resistente,  a  sostegno   delle   conclusioni,   richiama   la
 giurisprudenza   del  Consiglio  di  Stato,  orientata  nel  ritenere
 l'adeguatezza della previsione  della  risoluzione  del  rapporto  di
 lavoro  autonomo  con  enti  pubblici a seguito del raggiungimento di
 un'eta'  incompatibile  con   le   finalita'   della   struttura   di
 riferimento.  La  difesa  erariale osserva, altresi', che gli accordi
 collettivi per il triennio 1995-1997, hanno fissato in settanta  anni
 l'eta'  che  da' luogo alla cessazione del rapporto convenzionale per
 tutte le  categorie  di  professionisti  interessate  alla  sollevata
 questione,  cosi'  sopprimendo  la  stessa  possibilita'  di ritenere
 esistenti  le   disuguaglianze   prospettate   dal   rimettente.   La
 considerazione che il privato gode di un'ampia possibilita' di scelta
 del   nuovo   medico   di  fiducia,  destinato  a  sostituire  quello
 allontanato dal Servizio sanitario nazionale,  il  quale,  dal  canto
 suo,  rimane arbitro di aderire o meno alla convenzione, specialmente
 se intende  sottrarsi  al  relativo  regime  evitando  di  incontrare
 condizioni   ulteriori   rispetto   a   quella   posta   a   presidio
 dell'adeguatezza della sua  preparazione  tecnica  (art.  33,  quinto
 comma,   della   Costituzione),  fa,  infine,  escludere,  ad  avviso
 dell'Avvocatura, la dedotta violazione dell'art.  33,  quinto  comma,
 della Costituzione.
   5.  -  Il tribunale di Avellino, nel decidere il reclamo avverso il
 diniego della misura cautelare richiesta dal dottor Amalio  Battista,
 allo  scopo  di  ottenere la prosecuzione del rapporto convenzionale,
 nonostante il compimento del settantesimo anno di eta', con ordinanza
 del 3 dicembre 1996, ha parimenti sollevato questione di legittimita'
 costituzionale della norma in  esame  ed  inoltre  dell'"art.  6  del
 d.P.R.  22 luglio 1996" (verosimilmente riferendosi all'atto distinto
 dal  n.  484, recante "Accordo collettivo nazionale per la disciplina
 dei rapporti con i medici di medicina generale, ai sensi dell'art. 4,
 comma  9,  della  legge  n.  412/1991  e  dell'art.  8  del   decreto
 legislativo  n.  502/1992, come modificato dal decreto legislativo n.
 517/1993, sottoscritto il 25 giugno  1996  e  modificato  in  data  6
 giugno  1996"),  in  riferimento  agli  stessi parametri indicati dai
 giudici  di  Napoli  e  di  Bari  e   sulla   scorta   delle   stesse
 argomentazioni da essi svolte.
   Il  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,  nel  costituirsi in
 giudizio, ha eccepito l'inammissibilita'  e  comunque  l'infondatezza
 della  questione,  esplicando nella memoria depositata in prossimita'
 dell'udienza le ragioni a conforto della conclusione, sostanzialmente
 reiterative di quelle articolate nelle difese depositate negli  altri
 giudizi.
   Si  e'  costituita  in  giudizio  anche la parte privata, svolgendo
 argomentazioni a sostegno della tesi  prospettata  nell'ordinanza  di
 rimessione  e deducendo, ulteriormente, la violazione anche dell'art.
 97 della Costituzione.
   6. - All'udienza pubblica l'Avvocatura  dello  Stato  ha  insistito
 nelle conclusioni rassegnate nelle difese scritte.
                         Considerato in diritto
   1.  -    La questione di legittimita' costituzionale, sollevata con
 quattro distinte, ma sostanzialmente coincidenti, ordinanze, concerne
 l'art. 2, comma 4, della  legge  28  dicembre  1995,  n.549  (nonche'
 l'art.    6  del d.P.R. 22 luglio 1996, n. 484, di identico contenuto
 dispositivo, ma insindacabile in questa  sede  non  avendo  forza  di
 legge),  il  quale dispone la risoluzione del rapporto di convenzione
 tra i medici di base (nonche' i  pediatri  di  libera  scelta)  e  le
 aziende  sanitarie  locali al raggiungimento del settantesimo anno di
 eta' dei professionisti.   Secondo  i  giudici  rimettenti  la  norma
 predetta  viola una pluralita' di disposizioni costituzionali: l'art.
 3 della Costituzione, in quanto determina disparita' di  trattamento,
 in generale, rispetto agli esercenti l'attivita' professionale libera
 e,  in  particolare, rispetto ai professionisti legati da rapporto di
 lavoro   con   l'amministrazione   sanitaria   secondo   il    modulo
 convenzionale,  vale  a  dire gli specialisti ambulatoriali; l'art. 4
 della Costituzione,  in  quanto  limita  il  diritto  individuale  al
 lavoro;  l'art.  32  della  Costituzione,  in  quanto,  sottraendo al
 paziente la facolta' di avvalersi dell'opera del  proprio  medico  di
 fiducia,  incide  negativamente  sulla  tutela del bene della salute;
 l'art. 33, quinto comma, della Costituzione, in  quanto  introducendo
 una  condizione  anagrafica,  ulteriore  rispetto all'unica prevista,
 cioe'   "l'esame   di   Stato",   restringe   il   libero   esercizio
 dell'attivita' professionale.
   2.  -  I  giudizi  hanno  ad  oggetto  la  risoluzione di identiche
 questioni e vanno quindi  riuniti  per  essere  decisi  con  un'unica
 sentenza.
   3.  -  I  dubbi di legittimita' costituzionale che investono l'art.
 2, comma 4, della legge 28  dicembre  1995,  n.  549  -  unica  norma
 scrutinabile  -  non  sono  fondati  in riferimento a tutti i profili
 prospettati.
   3.1. - Il rapporto convenzionale di prestazione d'opera, che lega i
 medici di  base  (ed  i  pediatri  di  libera  scelta)  alle  aziende
 sanitarie   locali,  si  qualifica,  secondo  il  costante  indirizzo
 giurisprudenziale della Corte di  cassazione,  per  la  significativa
 compresenza di momenti pubblicistici e di momenti privatistici che lo
 connotano  di  sicura  peculiarita', tale da impedirne l'omologazione
 con l'attivita' professionale  esercitata  dai  lavoratori  autonomi,
 quali prestatori d'opera intellettuale.
   Si  deve,  infatti,  ricordare  che,  secondo  lo  stesso indirizzo
 giurisprudenziale, il rapporto  individuale  di  convenzionamento  va
 inquadrato  in  un  sistema  che,  sia  alla stregua della disciplina
 attuativa dell'art. 48 della legge   23 dicembre 1978,  n.  833,  sia
 alla   stregua   della   trasformazione  dovuta  ai  successivi  atti
 normativi, ha avuto di mira il pieno  coinvolgimento  funzionale  dei
 sanitari  convenzionati  nelle  finalita' e nell'organizzazione della
 azienda sanitaria locale, considerata come struttura qualificante del
 Servizio sanitario nazionale, chiamandoli cosi'  ad  operare  secondo
 una  logica  di  integrazione  sia  reciproca, sia rispetto a tutti i
 servizi della azienda sanitaria locale, in una  visione  promozionale
 della tutela della salute.
   In  tale  contesto,  il  rapporto  individuale di convenzionamento,
 anche per effetto dei contenuti specifici della disciplina collettiva
 stabilita in funzione del perseguimento delle complesse finalita' del
 Servizio sanitario nazionale, presenta profili del  tutto  peculiari,
 tipici  dei  cosiddetti  rapporti  di  parasubordinazione  (art. 409,
 numero 3, del  codice  di  procedura  civile),  che  giustificano  la
 previsione  di modalita' di espletamento della prestazione diverse da
 quelle libero-professionali. Ne consegue che, data la non omogeneita'
 delle situazioni di  riferimento,  appare  incongrua  la  prospettata
 comparazione  e  quindi  insussistente  l'ipotizzata  violazione  del
 principio di eguaglianza.
   Parimenti incongrua  e'  la  proposta  comparazione  con  i  medici
 specialisti    ambulatoriali    -    anche   essi   peraltro   legati
 all'amministrazione sanitaria da vincoli sorti sulla base di  accordi
 collettivi  nazionali  - quali soggetti che, assertivamente a parita'
 di situazioni, riceverebbero tuttavia un trattamento diverso rispetto
 ai medici di medicina generale.    Innanzi  tutto,  va  premesso  che
 l'ipotizzata  diversita' di disciplina, per quanto riguarda il limite
 di eta' per la cessazione  del  rapporto,  oggi  non  sussiste  piu',
 poiche'  l'art. 6, comma 4, lettera e), del d.P.R. 29 luglio 1996, n.
 500, recante "Accordo collettivo  nazionale  per  la  disciplina  dei
 rapporti  con  i  medici specialisti ambulatoriali, sottoscritto il 2
 febbraio 1996", ha espressamente previsto anche  per  questi  ultimi,
 quale  causa  di  "revoca  dell'incarico (con) effetto immediato", il
 compimento del 70 anno di eta'. Cio' premesso, va comunque notato che
 tra  queste  due  categorie  professionali  di  sanitari   prese   in
 considerazione dai giudici rimettenti e' riscontrabile una pluralita'
 di   elementi   di   differenziazione   delle   relative   discipline
 organizzative ed economiche, tra i quali sicuramente rilevante e'  il
 profilo  attinente  alla  natura  privata o pubblica del luogo - come
 struttura  organizzata   -   in   cui   le   rispettive   prestazioni
 professionali sono erogate, in quanto proprio quest'ultimo emerge dai
 relativi  accordi  collettivi  nazionali come elemento specificamente
 discretivo dei diversi  tipi  di  rapporto  di  lavoro,  che  possono
 intercorrere con le strutture sanitarie locali.
   D'altra  parte, su un piano piu' generale, occorre ricordare che la
 contrattazione collettiva per  la  disciplina  dei  rapporti  fra  il
 Servizio   sanitario  nazionale  e  le  varie  categorie  dei  medici
 convenzionati si e' tendenzialmente uniformata,  negli  ultimi  anni,
 nel  prestabilire  l'eta'  di 70 anni quale termine di cessazione del
 rapporto di convenzionamento.  In ogni caso, va tenuto  presente  che
 questa Corte ha piu' volte riconosciuto, sia pure in diversi contesti
 normativi,  l'ampia  discrezionalita'  del  legislatore  in  tema  di
 fissazione e prolungamento dell'eta' pensionabile, con il solo limite
 della manifesta arbitrarieta' (da ultimo: sentenze n. 422 del 1994  e
 n. 162 del 1997).
   Appare quindi infondata, sotto i profili prospettati, la censura di
 violazione del principio di eguaglianza.
   3.2.   -   Neppure   sussiste   la  violazione  dell'art.  4  della
 Costituzione.  La norma infatti, secondo l'interpretazione di  questa
 Corte, concerne precipuamente "l'accesso al mercato del lavoro" e non
 puo'  quindi  essere evocata in riferimento alla questione dei limiti
 di eta' per la risoluzione del rapporto,  in  base  ad  un  principio
 applicato da questa Corte proprio in una fattispecie analoga a quella
 ora  in  esame  (ordinanza  n. 380 del 1994). D'altra parte, la norma
 censurata dell'art.  2, comma 4, della legge  n.  549  del  1995  non
 incide  affatto  sul  diritto  in  generale di esercitare l'attivita'
 libero-professionale, ma limita esclusivamente l'esercizio di  quella
 svolta  all'interno  delle  strutture sanitarie pubbliche, secondo un
 criterio non irragionevole, in quanto finalizzato  ad  assicurare  la
 migliore funzionalita' del servizio.
   3.3.  -  La  norma  denunciata  non contrasta neppure con l'art. 32
 della Costituzione.
   La  tutela   della   salute   e'   infatti   diritto   fondamentale
 dell'individuo  e  interesse  della collettivita' e proprio in questa
 prospettiva e' consentito, secondo la giurisprudenza  costituzionale,
 all'amministrazione   sanitaria   di   predisporre,   nel  quadro  di
 "preminenti esigenze organizzative e funzionali" (sentenza n. 175 del
 1982), una disciplina del diritto di scelta del medico, da parte  del
 cittadino  utente,  tale  da  assicurare,  attraverso  un ragionevole
 bilanciamento di  interessi  contrapposti,  come  si  verifica  nella
 specie,   la  piu'  adeguata  garanzia  del  singolo  e  la  migliore
 efficienza del servizio. In ogni caso, si deve osservare che la norma
 denunciata non comporta alcuna lesione del diritto alla tutela  della
 salute, perche' non impedisce certo al cittadino utente di continuare
 ad  avvalersi,  anche  se  in regime libero-professionale puro, delle
 prestazioni del proprio medico di fiducia, anche dopo la  risoluzione
 della  convenzione  che  lega  quest'ultimo con il Servizio sanitario
 nazionale.
   3.4.   -  Infine  deve  essere  rigettata  anche  la  questione  di
 costituzionalita' sollevata in riferimento all'art. 33, quinto comma,
 della Costituzione, il quale non viene certo  in  rilievo  quando  si
 discuta   non  dell'"abilitazione  all'esercizio  professionale",  in
 quanto tale, bensi' del solo mantenimento di un particolare  rapporto
 di  lavoro,  che ha ad oggetto prestazioni tipicamente professionali.
 E' quindi evidente come l'art. 2, comma 4, della  legge  n.  549  del
 1995  non  ponga  alcuna  condizione  ulteriore,  oltre all'"esame di
 Stato",  per  l'"abilitazione"  allo  svolgimento  della  professione
 medica.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti   i   giudizi,   dichiara   non  fondate  le  questioni  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 4,  della  legge    28
 dicembre  1995,  n.  549  (Misure  di razionalizzazione della finanza
 pubblica), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 4, 32 e 33, quinto
 comma, della Costituzione, dal pretore  di  Napoli,  dal  pretore  di
 Bari,  e  dal  tribunale  di  Avellino,  con le ordinanze indicate in
 epigrafe.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 18 luglio 1997.
                        Il Presidente: Granata
                        Il redattore: Capotosti
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 30 luglio 1997.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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