N. 560 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 agosto 1995- 25 luglio 1997
N. 560 Ordinanza emessa il 24 agosto 1995 (pervenuta alla Corte costituzionale il 25 luglio 1997) dal pretore di Milano nel procedimento civile vertente tra Campoccia Salvatore e Frassini Giacomo ed altra Processo civile - Assunzione dei mezzi di prova - Mancata assunzione delle prove orali a causa di astensione del difensore dall'attivita' di udienza per adesione a protesta di categoria - Dedotta inconfigurabilita' dell'astensione come legittimo impedimento - Lamentata preclusione per il giudice di dichiarare la decadenza dal diritto delle parti di assunzione di dette prove - Disparita' di trattamento tra le parti - Lesione dei principi di buon andamento dell'amminisrazione della giustizia e di indipendenza ed imparzialita' del giudice. (C.P.C. artt. 208 e 104, comma 2). (Cost., artt. 3, 97 e 101, secondo comma).(GU n.37 del 10-9-1997 )
IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza sciogliendo la riserva adottata nell'udienza 17 maggio 1995. F a t t o Nella causa iscritta al n. 2815/1994 r.g., promossa da Campoccia nei confronti di Frassini, Alpi Assic., Generali Assic., avente per oggetto il risarcimento danni da sinistro stradale, all'udienza del 17 maggio 1995 (fissata - con ordinanza 28 febbraio 1995 - per l'escussione di testi), si e' verificata la seguente situazione: l'avv. Vecchio, procuratore dell'attore (contumaci essendo i tre convenuti citati in riassunzione), ha dichiarato di aderire "allo sciopero proclamato dal CNF". Il pretore, ravvisando la preliminare necessita' di vagliare la questione di legittimita' costituzionale delle norme sulle quali il procuratore predetto riteneva di fondare la sua mancanza di altre istanze, l'invitava a precisare le norme invocate. L'avv. Vecchio si limitava a dichiarare "aderisco allo sciopero proclamato dal CNF e pertanto mi astengo". Il pretore si trova quindi nella necessita' di decidere se l'attore sia o no decaduto dall'assunzione delle prove orali dedotte in citazione (coi testi Cadente, Elicona, leg. rappr. carr. Bianchi), ed eventualmente di rifissare altra udienza per la loro escussione, ovvero di fissare udienza di precisazione delle conclusioni. D i r i t t o Pare opportuno muovere dall'inquadramento della manifestazione di protesta forense, addotta dal procuratore attoreo a sostegno della propria mancanza di qualsivoglia richiesta, inclusa quella di rinvio dell'udienza. Ancorche' variamente definita dagli stessi interessati, la manifestazione di protesta in questo periodo attuata dagli avvocati e procuratori non pare potersi far rientrare nella nozione di sciopero, sia pure latamente accolta. E' pur vero che taluno ha ritenuto di invocare, in favore della riconducibilita' della protesta in corso a quella nozione, la pronuncia (8-17 luglio 1975, n 222) della Corte costituzionale, sebbene resa in una particolarissima fattispecie, e per giunta ai soli fini penalistici. In tale risalente pronuncia, la Corte, in relazione ad una manifestazione di protesta da parte di esercenti di piccole aziende industriali o commerciali, aveva affermato la illegittimita' costituzionale dell'art. 506 cp, dando al contempo una nozione ampia di sciopero, nella quale appunto poter sussumere anche la sospensione del lavoro realizzata dai piccoli esercenti, privi di dipendenti. In contrario si deve peraltro notare che, da ultimo, proprio la stessa Corte costituzionale, colla sentenza 23-31 marzo 1994, n 114, ha definito piu' volte come "manifestazioni di protesta", "forme di protesta collettiva che, al pari dello sciopero (da cui pertanto vanno necessariamente distinte, N.d.E.) sono in grado di impedire il pieno esercizio di funzioni che assumono, come quella giurisdizionale, un risalto primario nell'ordinamento dello Stato" le astensioni dall'attivita' di udienza poste in essere dai difensori, univocamente quindi escludendo dalla nozione, per quanto ampia, di sciopero, la manifestazione di cui si tratta. Del resto, reputa il pretore che sia particolarmente puntuale e condivisibile la ricostruzione operata, sulla questione, da Cass. II 15 settembre 1965, n. 2009, laddove cosi' si argomentava: "e' universalmente ammesso, invero, che il diritto di sciopero riconosciuto dall'art. 40 Cost. e' un istituto esclusivamente proprio del rapporto di lavoro subordinato, e non ha alcuna possibilita' di applicazione nel campo del lavoro autonomo in generale, e delle professioni intellettuali in particolare. I c.d. scioperi dei liberi professionisti non costituiscono punto esercizio del diritto di cui all'art. 40 Cost, che non compete ai liberi professionisti, ma costituiscono mere astensioni collettive dell'attivita' professionale, compiute, per il conseguimento di determinati scopi collettivi, nell'esercizio del diritto (di liberta') che ha ogni cittadino di astenersi da determinate attivita' cui egli non sia tenuto per legge. Se cosi' e', il mancato compimento di una determinata attivita' professionale, anche se cagionato da un c.d. sciopero di liberi professionisti, non puo' non produrre gli effetti che ad esso sono, secondo l'ordinamento, riconducibili. In particolare, nel processo civile, il fatto che un difensore con procura di una parte si sia astenuto dal comparire in un'udienza a causa di un c.d. sciopero dei professionisti forensi non impedisce certo al giudice di emettere i provvedimenti che la legge stabilisce doversi emettere per effetto di quella mancata comparizione". Dunque, la protesta in corso non puo', ad avviso del giudicante, in alcun modo sussumersi entro l'istituto di cui all'art. 40 Cost. (dell'art. 35 Cost., richiamato dal procuratore dell'opposta, sfugge francamente la rilevanza ai fini presenti), che' altrimenti si porrebbe tra l'altro il problema della applicazione, ad essa dell'art. 8, comma 2 legge n. 146/1990, nella parte in cui prevede l'emanazione, da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri (o di altra autorita' delegata), di una ordinanza di precettazione anche nei confronti di lavoratori autonomi, in ogni caso in cui si profili il fondato pericolo di un pregiudizio grave ed imminente ai diritti della persona costituzionalmente garantiti di cui all'art. 1 legge citata. Nemmeno l'art. 41 Cost. (invocato da taluni aderenti all'agitazione), d'altro canto, pare attagliarsi a legittimare la protesta in esame, dacche' la liberta' dell'iniziativa economica privata incontra pur sempre il limite dell'utile sociale, e comunque le e' preclusa la possibilita' di pregiudicare la liberta' e la dignita' umana, laddove appare evidente che, per forma, durata e modalita', la protesta in corso arreca gravissimo pregiudizio alle ragioni delle parti sostanziali, non dovendosi in proposito dimenticare che funzione immediata ed essenziale del processo (civile) e' quella, e solo quella, di regolare gli interessi delle parti litiganti. Peraltro, si osserva che la situazione verificatasi in questi mesi, ha esattamente realizzato il pericolo paventato proprio nella sentenza n. 114/1994 di codesta onorevole Corte, ossia si e' verificata in concreto "la paralisi dell'esercizio della funzione giurisdizionale, con conseguente grave compromissione di fondamentali principi che il costituente ha inteso affermare". E, se cio' e' avvenuto senza che quello stesso legislatore ordinario, il quale, come ricordato dalla stessa Corte nella medesima pronuncia, aveva avvertito cinque anni fa "la necessita' di dettare, proprio in funzione della salvaguardia di beni costituzionalmente tutelati, norme sul diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, ricomprendendo fra questi anche l'amministrazione della giustizia (v. art. 1 della legge 12 giugno 1990, n. 146)" reputa il pretore di non potersi esimere dal trarre, da cio', importanti elementi circa l'effettiva portata di quella legge. Legge che, malgrado sia forse superfluo ricordarlo, regola non solo l'esercizio del diritto di sciopero, bensi' pure la salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente garantiti. Per altro verso non si puo' omettere di considerare la insormontabile difficolta' di ritenere possibile, nel sistema che si assume coerente e completo, il diritto di attuare, con immunita' da ogni conseguenza, una forma di protesta che, in quanto di fatto privilegiata per l'assenza di ogni disciplina, finisce coll'elevarsi al rango di un diritto assolutamente incontrollabile da chicchessia, e, in concreto, sovraordinato a tutti gli altri diritti, inclusi quelli costituzionalmente consacrati e tutelati e, percio' stesso, limitati entro precisi confini. Sgombrato il campo da tali profili, restano irrisolti alcuni problemi direttamente concernenti la decisione della causa che ne occupa. Anzitutto, occorre stabilire se la protesta, come attuata dal procuratore attoreo, costituisca oppur no un legittimo impedimento all'assunzione dei testimoni (alla quale il giudice non puo' provvedere d'ufficio), pacifico essendo che il procuratore attoreo neppure ha allegato di aver provveduto alla loro intimazione. Reputa il pretore di dover rispondere negativamente. Infatti, essendo possibile, una interpretazione della legge n. 146/1990 che sia perfettamente conforme al precetto costituzionale, essa va senz'altro preferita ed accolta. Da cio' discende che la ridetta legge n. 146/1990 deve intendersi limitativa anche del diritto di protesta dei lavoratori autonomi, come del resto testualmente risulta dalla ridetta norma di cui all'art. 8 surriferito. Ma, allora, appare evidente che una astensione dall'attivita' di udienza, dichiarata in adesione alla protesta in corso, risulta priva dei caratteri del legittimo impedimento, poiche' la protesta collettiva medesima risulta, come anticipato, attuata con modalita' difformi da quelle imposte a tutti i lavoratori dall'art. 2 della legge medesima. Conseguenza non trascurabile di questa difformita', che porta come effetto l'inconfigurabilita' dell'astensione come legittimo impedimento, e' stata la mancata assunzione della prova orale. Senonche', malgrado tali premesse, la vigente formulazione dell'art. 208 c.p.c. non pare consentire di dichiarare le parti decadute dall'assunzione delle prove medesime, atteso che tale effetto si ricollega unicamente alla mancata presentazione delle parti (rectius dei loro procuratori) all'udienza fissata per l'escussione. L'art. 208 c.p.c. risulta dunque sospetto di illegittimita' costituzionale nella parte in cui, essendosi i procuratori delle parti presentati all'udienza ma avendo dichiarato di astenersi dalla sua trattazione, abbiano concretamente pretermesso l'assunzione di prove ritualmente ammesse. Invero, tale norma appare contrastare coi parametri costituzionali rappresentati dagli artt. 3, 97 e 101/2 c.p.c. Quanto all'art. 3, va ripetuto che la irragionevole disparita' in fatto fra le identiche situazioni di mancata assunzione della prova derivanti dalla mancata presentazione dei procuratori delle parti, da un lato, e della sua mancata assunzione per astensione di costoro dalla trattazione dell'udienza in adesione ad una protesta difforme dalla legge che pure dovrebbe regolarla, costituisce una incoerenza del sistema processuale priva di alcun fondamento logico, e comunque non rispondente ad alcun interesse pubblico. Quanto all'art. 97 Cost. appare evidente che una siffatta disposizione processuale impedisce il buon andamento dell'amministrazione giudiziaria, rendendo impossibile al giudice di organizzare opportunamente le (gia' scarse) risorse del proprio ufficio, dovendo, come non di rado si e' verificato, disporre brevi rinvii in vista del proclamato termine della protesta, per poi disporne altri a seguito della imprevista sua proroga, e ledendo cosi' il pari diritto di sollecita trattazione del processo di altre parti, i cui procuratori non siansi astenuti. Quanto all'art. 101, comma 2, della Costituzione, risulta evidente che l'art. 208 c.p.c., nella sua vigente formulazione, in realta' consente alle parti di disporre, senza alcun controllo possibile da parte del giudice, dei tempi e dei modi del processo (il quale, ancorche' fondato sull'impulso di parte, lo e' tuttavia solo per cio' che attiene alla sua proposizione e alla offerta delle prove, non certo per la direzione del suo svolgimento che, dall'art. 175 c.p.c., e' da ritenersi riservata all'istruttore). Dunque, l'art. 208 c.p.c. in realta' non disciplina che apparentemente la decadenza, rimettendola interamente ed esclusivamente al diritto potestativo delle parti e dei loro procurtatori. Per gli stessi argomenti, devesi sollevare eccezione di illegittimita' costituzionale dell'art. 104, comma 2, disp. att. c.p.c., atteso che, allo stato della legislazione vigente, il giudice dovrebbe riconoscere giustificata una omissione (ossia, la mancata intimazione ai testi pur ammessi, dacche', non essendo stata neppure allegata la circostanza dell'avvenuta intimazione, deve infatti ritenersi che questa non abbia avuto luogo) fondata su una astensione ancorche' quest'ultima sia stata proclamata ed attuata in dispregio della complessiva regolamentazione scolpita dalla legge n. 146/1990. La questione della illegittimita' costituzionale dell'art. 208 c.p.c., al pari di quella dell'art. 104, comma 2, disp. att. c.p.c., appare rilevante ai fini del decidere poiche', qualora codesta onorevole Corte decidesse nel senso della illegittimita', il pretore dovrebbe dichiarare intervenuta la decadenza delle parti dall'assunzione delle prove orali, e fissare quindi udienza di precisazione delle conclusioni nonche' di discussione, mentre in caso contrario resterebbe aperta ogni ulteriore delibazione istruttoria.
P. Q. M. Letti ed applicati gli artt. 134 della Costituzione, e 11 della legge n. 87/1953; dichiara non manifestamente infondata e rilevante ai fini del decidere la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 208 c.p.c. e dell'art. 104, comma 2, disp. att. c.p.c., nella parte in cui tali norme, malgrado l'astensione (attuata in difformita' dalle prescrizioni e modalita' di cui alla legge n. 146/1990) del procuratore dell'attore, presentatosi in udienza al solo scopo di far constare la propria adesione alla protesta, senza svolgere alcuna altra istanza ne' attivita' processuale, preclude al giudice la declaratoria di decadenza dall'assunzione delle prove orali prevista per tale medesima udienza; in riferimento ai parametri costituzionali rappresentati dagli artt. 3, 97 e 101, comma 2, della Costituzione, per gli argomenti meglio illustrati in motivazione, e in particolare per la irragionevolezza della situazione che ne discende, per il pregiudizio che tale norma determina al buon andamento degli uffici giudiziari, per la concreta sottoposizione del giudice non solo alla legge bensi' pure alla discrezionale determinazione dei procuratori alle parti; Sospende pertanto il processo in corso; Dispone che tutti gli atti del presente giudizio siano tempestivamente trasmessi alla Corte costituzionale; Dispone che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri, e che ne venga data comunicazione al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei deputati della Repubblica, oltre che alle parti personalmente ed ai loro rispettivi difensori. Milano, addi' 24 agosto 1995 Il pretore: Pertile 97C0980