N. 565 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 maggio 1997

                                N. 565
  Ordinanza  emessa  il  30 maggio 1997 dal pretore di Ancona, sezione
 distaccata di Fabriano nel procedimento civile vertente tra Artegiani
 Maria Diana ed altri e Francescangeli Giovanni
 Processo civile - Procedimenti possessori -  Rinvio  alla  disciplina
    dei  procedimenti  cautelari - Lamentata previsione di una fase di
    merito successiva all'accoglimento o al  rigetto  della  richiesta
    tutela  interdittale  - Lesione del principio di eguaglianza e del
    diritto di difesa - Compressione della tutela  costituzionale  del
    diritto di proprieta' - Violazione del principio di buon andamento
    dell'amministrazione della giustizia.
 (C.P.P., art. 703, comma 2).
 (Cost., artt. 3, 24, 42 e 97).
(GU n.38 del 17-9-1997 )
                              IL PRETORE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza.
   Premesso  che  in  data  21  ottobre  1994  Artegiani  Maria Diana,
 Artegiani Olimpio, Artegiani Fiorenzo ed Artegiani Adria presentavano
 ricorso  possessorio  nei  confronti  di   Francescangeli   Sante   e
 Francescangeli Giovanni;
     che  questo  pretore,  espletata  la fase istruttoria relativa al
 rito introdotto con ricorso, emanava l'interdetto nei  confronti  del
 solo Francescangeli Giovanni;
     che   avverso   l'ordinanza   pretorile   proponeva   reclamo  il
 Francescangeli Giovanni ed il tribunale respingeva il reclamo;
     che l'ordinanza di rigetto del  reclamo  veniva  comunicata  agli
 Artegiani in data 25 novembre 1996;
     che  con  citazione  notificata  il  18-20 dicembre 1996 la parte
 vittoriosa nel procedimento di reclamo, nonche' ricorrente davanti al
 pretore per l'ottenimento del provvedimento possessorio,  introduceva
 il giudizio di merito;
     che   si  costituiva  nel  predetto  giudizio  il  Francescangeli
 Giovanni, spiegando articolate eccezioni;
     che alla prima udienza di  comparizione  la  parte  attrice,  con
 richiesta   a   verbale   d'udienza,  chiedeva,  ai  sensi  dell'art.
 669-duodecies c.p.c., i provvedimenti piu' opportuni  per  assicurare
 la  materiale  attuazione  dell'interdetto  cui controparte non aveva
 volontariamente dato esecuzione;
     che anche su tale ultima richiesta il Francescangeli Giovanni  si
 opponeva,  per  le  stesse  pregiudiziali  ragioni poste a fondamento
 delle proprie richieste nel procedimento di merito.
   Tanto   premesso  questo  pretore  e'  chiamato  a  decidere  sugli
 specifici provvedimenti da dare nel prosieguo del  presente  giudizio
 di  cognizione  ordinaria,  o, se si preferisce, "di merito" rispetto
 alla fase sommaria possessoria gia' esauritasi con  il  provvedimento
 del  pretore  e la statuizione del tribunale sul reclamo, ed e' anche
 tenuto a pronunciarsi sull'istanza  avanzata  ex  art.  669-duodecies
 c.p.c.
   Va  subito  precisato  che  se  si accede all'interpretazione ormai
 dominante ed alla quale anche  la  Corte  costituzionale  sembrerebbe
 aver dato il suo avallo, secondo la quale il procedimento possessorio
 deve avere necessariamente una seconda fase "di merito" e secondo cui
 l'introduzione   del   giudizio   di   merito  (almeno  nel  caso  di
 provvedimento  positivo)  dovrebbe  conseguire   nei   30   gg.   dal
 provvedimento del pretore (o dalla comunicazione dello stesso ove non
 sia  pronunciato  in udienza), e' giocoforza rilevare che il giudizio
 di merito e' stato iniziato oltre il  termine  dei  30  gg.  previsti
 dall'art.  669-octies  c.p.c.    Non  puo' assolutamente considerarsi
 sufficiente,  infatti,  l'inizio  del  giudizio  nei  30  gg.   dalla
 decisione  sul  reclamo,  o  dalla  sua  comunicazione,  laddove tale
 decisione sia di rigetto del gravame proposto dal  resistente  contro
 l'interdetto  concesso  (ben  diverso,  e'  appena  il caso di dirlo,
 sarebbe il caso di  provvedimento  dato  dal  tribunale  in  sede  di
 procedimento di reclamo).
   Se  non  bastasse  il  dato  letterale,  insuscettibile  di diverse
 interpretazioni, offerto dall'art. 669-octies  c.p.c.,  va  osservato
 che,  diversamente opinando, il giudice dovrebbe essere tenuto o meno
 a  dichiarare   l'inefficacia   del   provvedimento   d'urgenza   per
 intervenuto decorso del termine di 30 gg. a seconda che sia investito
 o  meno dell'istanza  ex art. 669-novies c.p.c. prima della pronuncia
 sul reclamo: in altre parole, se Tizio ottiene  il  provvedimento  ex
 art.  669-octies  c.p.c.,  ma  fa  decorrere  il  termine  di  30 gg.
 stabilito nella predetta norma, successivamente a tale decorrenza  la
 controparte   Caio   potra'   o   meno   ottenere   la  dichiarazione
 d'inefficacia a seconda che  Tizio  sia  stato  o  meno  "rimesso  in
 termini"  dalla  pronuncia  (o  comunicazione)  del  provvedimento di
 rigetto del reclamo. Il che e', ovviamente, privo di qualsiasi senso.
   Prima che questo pretore debba o  meno  stabilire  in  che  maniera
 valutare  l'istanza  avanzata  ex  art. 669-duodecies c.p.c., occorre
 vedere se l'ordinanza in materia possessoria pronunciata il 10 agosto
 1996 conservi la sua efficacia o meno. Se dovessimo applicare  l'art.
 669-octies   c.p.c.   nella   sua   interezza,  la  risposta  sarebbe
 sicuramente  negativa,  proprio  perche',  come  appena  esposto,  il
 giudizio "di merito" e' stato introdotto oltre il termine di legge.
   La  Corte  costituzionale  ha avuto modo di occuparsi ripetutamente
 dei rapporti tra il procedimento possessorio e la disciplina del c.d.
 procedimento cautelare uniforme.
   In particolare, ha  affermato  che  la  "selettivita'"  del  rinvio
 operato  dall'art.  703  agli artt. 669-bis e segg. c.p.c. dev'essere
 intesa nel senso dell'esclusione di quelle sole  norme  incompatibili
 con  il carattere del procedimento e con la struttura bifasica in cui
 esso si articola (ordinanze nn. 359/1996 e 125/1997).
   Ha anche sottolineato come l'asserire il venir  meno  -  a  seguito
 della novella - della fase di merito del procedimento possessorio nel
 solo  caso  del  provvedimento  di rigetto appare estraneo alla ratio
 della riforma, oltre che contrario agli indizi normativi, per cui  il
 giudizio  a  cognizione  piena  non puo' essere escluso, meno che mai
 secundum eventum litis (ordinanza n. 203/1996).
   Va d'altro canto osservato che la c.d. concezione  monofasica,  che
 nega  la  possibilita'  della  fase  di  merito, a cognizione piena -
 concezione    del    tutto    condivisibile    sotto    il    profilo
 dell'opportunita',  per le ragioni che si vengono ad esporre - cui ha
 fatto riscontro, sopratutto nel primo periodo di  entrata  in  vigore
 della  novella, un assai consistente, se non maggioritario, indirizzo
 dei giudici di merito, non potra' non fare i conti da un lato con  il
 richiamato  orientamento  interpretativo della Corte e dall'altro con
 alcune intrinseche debolezze della costruzione
   Parlando di "debolezze", si intende fare riferimento:
     in primo luogo, alla scarsezza dei dati normativi su cui  fondare
 tale  concezione,  abbondantemente  sottolineata  dai  detrattori  di
 questa costruzione teorica. Non si vede,  infatti,  come  la  novella
 possa  aver comportato la monofasicita', se non tramite l'abrogazione
 del richiamo all'art. 689 c.p.c. nel testo dell'art. 703 c.p.c.,  con
 una  modalita'  di  formulazione  che  risulterebbe  quantomeno molto
 indiretta ed ambigua;
     in secondo luogo, all'insussistenza di  un  preciso  collegamento
 tra  la  negazione  teorica  del  "merito  possessorio",  solitamente
 avversato dai sostenitori della monofasicita', e la necessarieta'  di
 configurare come monofasico e non bifasico il procedimento.
   Tale ultimo punto merita ulteriore approfondimento.
   Nel procedimento possessorio antecedente alla novella, la negazione
 del   c.d.   merito   possessorio  era  pressoche'  sconosciuta  alla
 giurisprudenza.   Non cosi'  in  dottrina,  ove  gli  autori  che  si
 segnalavano   per   tale  negazione  ancorche'  isolati,  risultavano
 particolarmente illustri.
   A seguito della novella, la subitanea  presa  di  posizione  di  un
 consistente  numero di giudici di merito a favore della monofasicita'
 e contro il giudizio di merito possessorio non ha mancato  di  essere
 sottolineata  da  un  autore,  sicuramente  benevolo verso tale nuovo
 indirizzo, che pure non ha potuto fare a  meno  di  segnalare,  nello
 stesso  titolo  di  un  suo  articolo,  come, se era giusto quanto si
 veniva  affermando  circa  il  "merito  possessorio",  doveva  essere
 affermato  anche  prima.  Di  talche' prendere spunto dall'entrata in
 vigore  della  novella  per  affermare  che  il  merito   possessorio
 risultava  abrogato  dal  dato positivo risultava e risulta puramente
 strumentale.
   Ma un'altro aspetto va sottolineato per rimarcare  la  mancanza  di
 contiguita'   concettuale   tra   la   necessaria  monofasicita'  del
 procedimento e l'insussistenza di un merito possessorio.
   Si tratta della concezione secondo la quale il giudizio  di  merito
 conseguente  al  possesso  non  riguarderebbe il "merito possessorio"
 bensi' la situazione di diritto sottostante.
   Con riguardo  a  fattispecie  disciplinata  dal  procedimento  ante
 novella,  tale  concezione ha trovato adesione in una pronuncia della
 Corte di cassazione (Cass., sez. II, n. 7665 del 13 luglio 1995).
   Nella predetta pronuncia si rinvengono, fra  l'altro,  le  seguenti
 affermazioni:
     1) la tutela possessoria e' un quid necessariamente provvisorio e
 trova  giustificazione  nell'esigenza di ordine pubblico, di impedire
 che i cittadini si facciano giustizia da se';
     2) il configurare la sentenza in esito al giudizio di merito come
 avente  ad  oggetto  sempre  la  situazione  di   possesso   valutata
 dall'ordinanza giunge al risultato, processualmente inaccettabile, di
 un'ordinanza  e  di una sentenza che entrambe attribuiscono o negano,
 nello stesso giudizio, lo stesso bene  della  vita,  decidendo  sulla
 stessa domanda;
     3)  il  successivo giudizo di merito, avente ad oggetto un'azione
 petitoria  o  un'azione  personale  (sempre  comunque   vertente   su
 diritti), e' ad instaurazione meramente eventuale.
   Tale  sentenza,  sicuramente  espressione  di  un'orientamento  non
 univoco nell'ambito della stessa Cassazione, va peraltro interpretata
 come un sintomo delle difficolta' di dare precisa  collocazione  alla
 peculiare  situazione  con  cui  e' disciplinato il possesso e la sua
 tutela processuale nell'ambito dell'ordinamento.
   Di tale problematicita' si e' parzialmente fatta carico la Consulta
 con la sentenza n. 25/1992.
   Questo pretore, rilevata la precarieta' della concezione monofasica
 del procedimento possessorio la  quale  sia  fondata  sul  solo  dato
 normativo,  ritiene  nondimeno  che  tale monofasicita' sia nondimeno
 resa necessaria dal rispetto di principi costituzionali.
   Prendendo le mosse dalla parziale pronuncia di  incostituzionalita'
 sopra  richiamata,  va  osservato  che  il  giudice  rimettente aveva
 rimarcato  come  la  tutela  possessoria   fosse   costituzionalmente
 giustificata  solo  nella  misura in cui accorda una tutela rapida al
 proprietario.
   La Corte aveva invece  osservato  che  risultava  insostenibile  la
 premessa  di  una pretesa illegittimita' costituzionale del principio
 di autonomia del possesso rispetto alla  proprieta':  ed  infatti  la
 tutela possessoria risponde all'esigenza di ordine pubblico che siano
 prontamente    ripristinate    "situazioni   soggettive   di   fatto"
 arbitrariamente modificate da un  terzo  senza  previo  accertamento,
 giudiziale o negoziale, dello stato di diritto.
   D'altro  canto, argomentava sempre la Corte, la tutela possessoria,
 proprio perche' interinale, non privava il proprietario della  tutela
 giurisdizionale,  ma  la rinviava soltanto ad un giudizio successivo,
 avvantaggiando peraltro  lo  stesso  proprietario  consentendogli  di
 fruire di un rimedio rapido, che non richiede la prova del diritto.
   La   questione   di   legittimita'   costituzionale  doveva  porsi,
 proseguiva la Corte nell'ambito piu' limitato  se  il  detto  divieto
 fosse  conforme  ai  parametri  costituzionali  nell'ipotesi  in  cui
 dall'esecuzione del provvedimento  possessorio  derivasse  o  dovesse
 derivare,  secondo  un giudizio di pericolo, un danno irreparabile al
 convenuto, proprietario o titolare di altro diritto reale sulla cosa.
   Occorre ora vedere quale sia il quadro attuale.
   Va premesso che permane in  ogni  caso  il  dubbio  sulle  seguenti
 questioni.
   Quale sia il giudizio di merito che occorre introdurre dopo la fase
 sommaria:  nemmeno  la  Corte  costituzionale,  nelle ordinanze sopra
 richiamate, prende esplicita posizione sull'oggetto specifico di tale
 giudizio  di  merito,  se  cioe'  rimanga,   secondo   l'insegnamento
 tradizionale,  il  "merito  possessorio" ovvero il rapporto giuridico
 sottostante, come afferma Cass. 7665/1995, cit. La Corte si limita  a
 ribadire  la  necessarieta'  di tale procedimento di merito ("fase di
 merito del procedimento possessorio": v. ord. 203/1996, cit.).
   In che termini si ponga il  disposto  dell'art.  669-octies  c.p.c.
 rispetto  alla  "fase  di merito del procedimento possessorio", posto
 che in ogni caso, sia di provvedimento positivo  che  negativo,  tale
 fase e' necessaria.
   Ed  infatti,  richiamata  la "selettivita'" del rinvio sottolineato
 dalla Corte, nulla esclude che tale selettivita' operi nel  senso  di
 escludere  l'applicabilita'  dell'intero articolo. Com'e' noto, nella
 disciplina  ante-riforma,   l'unificazione   delle   due   fasi   era
 pacificamente  ammessa  (v.,  da ultimo, Cass. n. 8896 del 28 ottobre
 1994).
   Come possa coordinarsi - nel caso debba invece ritenersi  la  piena
 applicabilita'  dell'art. 669-octies c.p.c. - la necessita' esplicita
 di iniziare il giudizio di merito entro  un  termine  perentorio  nel
 caso   di  provvedimento  positivo,  con  la  mancanza  di  qualsiasi
 indicazione normativa circa tempi e modi dell'introduzione della fase
 di  merito  -  parimenti  necessari  -  a  seguito  di  provvedimento
 negativo.
   Costituisce  poi  ovvia considerazione, gia' fatta dagli interpreti
 ma che nondimeno deve qui ribadirsi, quella secondo cui, in relazione
 alle varie "forme di appartenenza" ovvero di  quei  collegamenti  tra
 l'uomo ed i beni, gia' presi in considerazione dal mondo del diritto,
 le  forme  di  tutela  apprestate  dall'ordinamento  non  sono  tutte
 espandibili ad libitum, ma hanno ben  precisi  limiti  derivanti  dal
 fatto  che  tutto  cio'  che  l'ordinamento appresta quale rimedio in
 riguardo di una ben precisa situazione, viene, quale mezzo  concreto,
 ad essere sottratto ad altra situazione soggettiva.
   In  altre  parole,  e  per  usare i termini di autore occupatosi ex
 professo della materia "i vantaggi sociali ottenuti con la duplice  e
 contrastante  protezione  del  titolare  e del possessore si pagano a
 caro  prezzo,  mediante  l'istituzione   di   itinerari   processuali
 multipli,  che  condizionano  le  parti ad esperire due, o anche tre,
 diversi giudizi, di cui l'ultimo, petitorio, sara' proceduto da uno o
 piu' giudizi possessori".
   Ma in alcuni casi, si potrebbe aggiungere, le forme di  tutela  del
 possesso  potrebbero  risultare cosi' irrazionali, nell'ambito di una
 determinata costruzione, da essere  piu'  nocive  che  utili  per  lo
 stesso  possessore  (per  lo  stesso  possessore non proprietario, si
 badi).
   Sotto molteplici profili, l'obbligo di instaurare  un  giudizio  di
 merito  allunga  oltre  la  misura  costituzionalmente  consentita la
 tutela del possesso.
   Il possesso e' una situazione di fatto e non di diritto,  ne'  puo'
 altrimenti  qualificarsi.  In  ogni  caso, anche qualificandolo quale
 diritto  vero  e  proprio,  cio'  non  muterebbe  in  nulla  la   sua
 peculiarita' rispetto alle altre posizioni giuridiche soggettive, dal
 momento   che  da  esso  derivano  situazioni  ed  istituti  alquanto
 eterogenei (usucapione, acquisto dei beni mobili  secondo  la  regola
 "possesso vale titolo", azioni possessorie, ecc.).
   Nel  sottolineare la sua giustificata autonomia rispetto al diritto
 di proprieta' la stessa Corte costituzionale non  esita  a  ricorrere
 all'espressione   "situazioni  soggettive  di  fatto  arbitrariamente
 modificate" proprio  parlando  della  tutela  possessoria  (v.  sent.
 25/1992, cit.).
   Ne  consegue  che  il  possesso  viene  ad essere considerato dalla
 Costituzione solo in via del tutto indiretta, potendo ricevere tutela
 ex art.  24, comma primo della Costituzione. Trattasi, a ben  vedere,
 di una revisione che fa riferimento alla legge ordinaria, vale a dire
 alle norme codicistiche che prevedono la tutela possessoria.
   Ovviamente  ben  diversa  e'  la  tutela  che  riceve il diritto di
 proprieta', direttamente considerato nell'art. 42 della Costituzione.
   Ma, in ogni modo, quel che qui si  vuole  sottolineare  e'  che  la
 tutela  del  possesso  articolata  in  due  fasi  e  cosi' come sopra
 delineata, non solo diviene un ostacolo del tutto ingiustificato  per
 la  posizione  del proprietario non possessore, ma e' idonea a ledere
 in  maniera  altrettanto  ingiustificata  anche  la   posizione   del
 proprietario  possessore  (e  fors'anche  come sopra si e' accennato,
 quella del possessore tout court, del possessore non proprietario).
   Se la prima, anche se non l'unica, ragione per cui  si  prevede  la
 tutela  possessoria  appartiene all'ordine pubblico, appare ovvio che
 in tanto appare giustificabile  la  predetta  tutela  in  quanto  sia
 apprestata  per il periodo strettamente funzionale all'immediatezza e
 alla brevita' della rezione allo spoglio ed alla molestia. In  questo
 contesto,  non  appare  in  alcun  modo  giustificabile  imporre  una
 successiva  fase  processuale  che  preclude  al   proprietario   non
 possessore  di  far valere il proprio diritto dominicale con apposito
 giudizio,  stante  la  preclusione  di  cui   all'art.   705   c.p.c.
 (sopratutto  se si considera che tale preclusione opera sino a quando
 il procedimento possessorio non si e' concluso in tutte le sue  fasi,
 comprese  quelle  di  gravame,  come da giurisprudenza costante nella
 vigenza del vecchio rito).
   Ne'  puo'  considerarsi  sufficiente  per  un'adeguata  garanzia  a
 livello  costituzionale  il  temperamento apportato dalla sentenza n.
 25/1992, cit., in quanto non solo la perdita irreversibile del bene o
 del diritto reale appare costituzionalmente ingiustificata, ma  anche
 l'inaccettabile  protrarsi,  oltre  la  prima  fase  sommaria,  delle
 preclusioni a favore del procedimento possessorio e  a  discapito  di
 chi ha interesse che il proprio diritto sia accertato.
   Ma   anche  il  proprietario  che  sia  anche  possessore  potrebbe
 benissimo avere tutto l'interesse  ad  accontentarsi  dell'interdetto
 nei  confronti  di  chi  ha violato la situazione di possesso, ne' si
 vede  perche'  dovrebbe  sobbarcarsi  inutilmente  un  altro  oneroso
 processo   di   cognizione,   a   pena  di  veder  persa  l'efficacia
 dell'interdetto concesso. Anche, qui, non v'e' alcuna giustificazione
 razionale per imporre la seconda fase, anzi viene in maniera evidente
 frustrato  l'originario  intento   di   assicurare   al   possessore,
 unitamente  ad  una  pronta  reazione  dell'ordinamento,  un adeguato
 ristoro nell'immediato. E d'altro canto  viene  imposto,  altrettanto
 irragionevolmente,  a  chi  il  possesso  ha  violato, di doversi far
 carico, per il principio della soccombenza, delle spese di un duplice
 giudizio o, se si vuole, di un procedimento bifasico molto piu' lungo
 e complicato (e quindi piu' dispendioso) di quello monofasico.
   Se poi si accede alla tesi secondo la quale  la  seconda  fase  del
 procedimento  possessorio e' giudizio di merito sul diritto e non sul
 "merito possessorio", abbiamo allora il completo paradosso cui  sopra
 si  faceva  cenno, per cui anche il possessore-non proprietario viene
 ad  essere  penalizzato dallo stesso modo di tutela del possesso, dal
 momento che agisce  in  possessorio  ed  ottiene  temporaneamente  un
 provvedimento  ripristinatorio  e  per lui favorevole, per poi essere
 obbligato  ad  introdurre  un  giudizio  di  merito  (o  subirlo   da
 controparte,  nell'ottica di una bifasicita' comunque necessaria) che
 sa benissimo essere su un diritto che non gli appartiene (e sul quale
 soccombera').  Con il che il possessore non proprietario finisce  per
 attivare  una  sorta di giurisdizione di diritto oggettivo, in quanto
 ricorrere  in  possessorio  ha  per  lui   interesse   solo   per   i
 provvedimenti   interdittali  provvisori,  che  ben  presto  verranno
 travolti o dall'inefficacia conseguente alla decorrenza del termine o
 dalla statuizione sul merito (sul diritto) a  lui  sfavorevole.  Egli
 finisce, in altre parole, per essere attore a tutela di interessi che
 rimangono solo di ordine pubblico, in relazione ad un processo il cui
 esito finale non potra' mai essergli favorevole.
   Altrettanto  gravi  sono  le  conseguenze derivanti dalla struttura
 bifasica del procedimento possessorio sotto altri  profili,  i  quali
 attengono  alla  stessa  possibilita' di inserimento del procedimento
 possessorio nell'ambito del procedimento cautelare uniforme.
   Punto fondamentale a tal proposito e' se debba essere  applicato  o
 meno l'art. 669-octies c.p.c.
   Nel   caso   in   cui   esso  non  trovi  applicazione,  ne  deriva
 necessariamente la possibilita' di unificare il procedimento sommario
 con il  giudizio  di  merito,  il  che,  come  sopra  ricordato,  era
 pacificamente  ammesso  prima  della  novella. Infatti, permanendo la
 natura  bifasica  e  non   sussistendo   preclusioni   teporali   per
 l'instaurazione  del giudizio di merito (preclusioni ricollegabili al
 termine perentorio di  cui  all'art.  669-octies),  l'opzione  appena
 richiamata appare del tutto naturale.
   Ma,   in   tal   modo,   diventa   meramente  apparente  la  stessa
 applicabilita', al  procedimento  possessorio,  dell'art.  669-sexies
 c.p.c.,  dal  momento  che  le  previsioni  di tale articolo appaiono
 incompatibili con l'unificazione delle due fasi. L'istruzione  ed  il
 provvedimento  emesso  all'esito  della stessa appartengono alla fase
 sommaria e non tollerano, nel  rito  cautelare  uniforme,  di  essere
 unificati con il procedimento di merito.
   Con  il  che, diventa puramente apparente anche il richiamo operato
 dall'art. 703 c.p.c. agli artt. 669-bis  e  segg.,  dal  momento  che
 ciascuno di questi articoli ha, rispetto al procedimento possessorio,
 gia'  specifica  e  diversa  disciplina: l'art. 669-ter c.p.c. non si
 applica, essendovi l'art. 8 c.p.c., l'art. 669-quater non si applica,
 non si applicherebbe nemmeno l'art. 669-sexies in quanto, come appena
 detto, l'unificazione dei procedimenti  e'  incompatibile  con  esso.
 Stesso  discorso  per  il  669-septies,  dal  momento  che prevede il
 provvedimento di rigetto escludendo l'instaurazione del  giudizio  di
 merito,  e  cosi'  anche  l'opties in quanto costituisce l'ipotesi di
 partenza; idem il  669-novies,  almeno  in  parte,  dal  momento  che
 sanziona  il mancato inizio del giudizio.  Ma, si ripete, in tal modo
 il riferimento dell'art. 703 agli  artt.    669-bis  e  segg.  appare
 svuotato  di  qualsiasi  significato  e  il legislatore della novella
 avrebbe rimosso in gran parte la disciplina precedente (salvo il  704
 c.p.c.,  che pure pone altri problemi sistematici, come si dira') per
 sostituirla con ... il nulla assoluto.
   Se   invece  si  ritiene  applicabile  l'art.  669-octies,  sorgono
 notevoli problemi di altra natura.  Ed infatti, sussisterebbe in ogni
 caso  una  stridente  disparita'  tra  l'ipotesi  di  accoglimento  e
 l'ipotesi di rigetto dell'interdetto provvisorio.
   Tale  disparita',  sia  pure  non  sussistente  in  relazione  alla
 possibilita' della fase di merito per il solo  caso  di  accoglimento
 del  provvedimento  in esito al giudizio sommario, dal momento che la
 stessa Consulta ha ritenuto che la fase di merito  sussiste  in  ogni
 caso,  sia  a  seguito  dell'accoglimento  che a seguito del rigetto,
 verrebbe in ogni  modo  a  sussistere  in  relazione  alle  modalita'
 profondamente   difformi  in  cui  il  giudizio  di  merito  dovrebbe
 introdursi.
   Mentre nel caso di provvedimento positivo, il  giudizio  di  merito
 dovrebbe  essere  introdotto  entro  il  termine  perentorio  di  cui
 all'art.  669-octies c.p.c., a pena d'inefficacia ex art.  669-novies
 c.p.c.,  non,  si vede in che termini dovrebbe essere introdotto tale
 giudizio di merito nel caso di provvedimento negativo. Ed infatti  si
 prospettano le seguenti ipotesi:
     per  analogia  o interpretazione estensiva tale giudizio dovrebbe
 pur  sempre  essere  introdotto  entro  i  30  gg.  di  cui  all'art.
 669-octies
  c.p.c. Ma, anche a voler prescindere dall'assoluta incertezza su chi
 sia  gravato  da  tale  adempimento  (se  ricorrente  o resistente in
 possessorio) resta il fatto che non sussiste alcun tipo  di  sanzione
 idonea  a  rendere  effettiva  tale  possibilita': se resta inerte il
 resistente, egli ha tutto l'interesse a farlo,  dal  momento  che  ha
 gia'   ottenuto  un  provvedimento  a  lui  favorevole,  ne'  possono
 inventarsi per lui sanzioni  speciali  del  tutto  al  di  fuori  dal
 sistema  normativo;  se resta inerte il ricorrente, non si vede quale
 conseguenza giuridica sfavorevole si potrebbe  ricollegare  alla  sua
 inerzia,  ne'  quale  incentivo avrebbe lo stesso, sempre a non voler
 configurare situazioni del tutto estranee al diritto positivo;
     l'iniziativa di introdurre il giudizio di merito dovrebbe  essere
 attivata  ex officio: ipotesi anche questa quanto mai lontana da ogni
 collegamento con la normativa, anche perche'  l'iniziativa  officiosa
 circa l'azione nel processo civile e' ipotesi del tutto eccezionale.
   Ne consegue che la disparita' di situazioni tra il provvedimento di
 accoglimento  e  provvedimento  di  rigetto sussisterebbe comunque in
 relazione alla disciplina della fase di  merito,  nei  termini  sopra
 prospettati ed in maniera del tutto ingiustificata.  Non puo' essere,
 infine, trascurata, al fine di denunciarne l'assoluta superfluita' ed
 incongruita',  la  questione  del  "merito  possessorio",  che rimane
 ancora, per  la  maggior  parte  degli  interpreti,  l'oggetto  della
 seconda  fase del procedimento possessorio.  Una volta che il pretore
 ha negato  o  concesso  l'interdetto,  che  ha  disposto  o  meno  il
 materiale   ripristino   della  situazione  preesistente,  il  merito
 possessorio  oggetto  del   successivo   (necessario)   giudizio   di
 cognizione  non  ha  alcuna  altra  ulteriore  autonoma  funzione. Il
 relativo giudizio non puo' essere  che  un  mezzo  per  esaminare  la
 questione  in  maniera piu' approfondita cioe' con i mezzi istruttori
 che sono propri del giudizio di  cognizione  piena.  Ma  da  un  lato
 questa  appare  una motivazione troppo debole per giustificare di per
 se' solo  la  seconda  fase  dall'altro  non  e'  affatto  detto  che
 l'approfondimento  di  determinate  situazioni debba essere demandata
 necessariamente  ad  una  fase  successiva  propria  del  giudizio di
 cognizione. Se anzi si pone l'attenzione  sulla  prima  funzione  che
 tradizionalmente  ha  avuto  la  tutela  possessoria,  non  puo'  non
 osservarsi che  riveste  un  interesse  fondamentale  per  le  stesse
 aspettative dei privati che sia adeguatamente accertata la situazione
 di  fatto gia' nella fase c.d. sommaria, mentre sarebbe per i privati
 un interesse ben  scarso  quello  tutelato  dal  negare  o  concedere
 l'interdetto  sulla  base  di  una  sbrigativa cognizione, incerta ed
 incompleta nei suoi termini e pertanto con il grave  rischio  di  non
 essere  confermata  alla  stregua  delle  risultanze  del giudizio di
 cognizione ordinaria: non va dimenticato che  valutare  adeguatamente
 tutti  gli  aspetti  relativi al possesso puo' costituire un'indagine
 estremamente complessa.
   Ne' puo' fondarsi l'autonomia del "merito possessorio" oggetto  del
 giudizio  di  cognizione  nella  presenza,  accanto alla richiesta di
 conferma o modifica dei provvedimenti gia' provvisoriamente concessi,
 di altre domande quali ad es. quella concernente il risarcimento  dei
 danni  derivanti  dalla  lesione  del  possesso.  La relativa domanda
 rimarrebbe   concettualmente   autonoma   e   l'interessato,    anche
 ricorrendone  i  presupposti, potrebbe scegliere di chiederla o meno.
 Pertanto,  non  puo'  certo  servire  ad  identificare   il   "merito
 possessorio"  un  tipo  di  domanda  che  puo'  sussistere o meno nel
 concreto. Se si vuole  trovare  un  elemento  indefettibile  che  mai
 potrebbe  mancare  nella  seconda  fase del procedimento possessorio,
 esso non puo' che essere identificato  con  la  richiesta  di  quelle
 stesse statuizioni che sono state concesse o negate nella prima fase.
   Ed  ancora,  non  appare  obiezione  decisiva  quella  secondo  cui
 eliminando la fase del successivo giudizio  a  cognizione  piena,  il
 procedimento  possessorio  sarebbe  l'unico dei procedimenti speciali
 definito con ordinanza (esecutiva, assoggettabile a reclamo, inidonea
 a passare in giudicato) e non suscettibile di oltrepassare  in  alcun
 caso la fase del rito sommario.
   A  prescindere  dalla  considerazione secondo cui tale obiezione ha
 carattere  meramente   classificatorio,   va   osservato   che   tale
 peculiarita'  del  rito  sarebbe  in  ogni  caso  ricollegabile  alla
 peculiarita' della situazione soggettiva tutelata,  peculiarita'  che
 non puo' negarsi sicuramente alla tutela possessoria.
   Ed  in ogni caso, non si tiene conto che c'era e rimane ancora dopo
 la novella, una  ben  precisa  norma  costituita  dal  secondo  comma
 dell'art.  704 c.p.c.
   Tale norma stabilisce che al pretore, in caso di giudizio petitorio
 gia' pendente, puo' domandarsi la reintegrazione del possesso, in tal
 caso  egli da' i provvedimenti temporanei indispensabili e rimette le
 parti davanti al giudice del petitorio.
   E' chiaro che il pretore, dopo aver dato o negato  i  provvedimenti
 temporanei indispensabili, non dovra' emettere alcun'altra pronuncia,
 meno  che  mai  quella  riguardante il "merito possessorio". Ne' puo'
 affermarsi che il giudice del petitorio sia in alcun modo  investito,
 dopo  i  provvedimenti  emessi  dal pretore, del "merito possessorio"
 unitamente  all'oggetto  del  giudizio  petitoro.    In  questo  caso
 specifico,  non  c'e'  alcun merito possessorio dopo la pronuncia sui
 provvedimenti indispensabili, c'e' solo il giudizio sul  diritto.  Il
 che  rappresenta  un'altra  conferma, alla luce del diritto positivo,
 che la tutela possessoria puo' benissimo prescindere dalla successiva
 instaurazione   di   un   giudizio   avente  ad  oggetto  il  "merito
 possessorio".   Riassumendo, la sussistenza  di  un  procedimento  di
 cognizione  ordinaria, necessario dopo la fase introdotta con ricorso
 ai sensi dell'art.   669-bis  c.p.c.,  risulta  lesiva  dei  principi
 costituzionali sotto i seguenti profili:
     1)  se  si  ritiene applicabile al procedimento possessorio l'art
 669-octies   c.p.c.,   sussiste   un'ingiustificata   disparita'   di
 trattamento  circa  le  modalita'  di  introduzione  del  giudizio di
 merito, tra l'ipotesi di accoglimento e quella  di  non  accoglimento
 del  provvedimento  interdittale,  come  sopra evidenziato. In nessun
 modo si puo' ovviare a tale disparita' e cio' comporta la lesione del
 principio di uguaglianza di cui all'art.   3 della  Costituzione,  il
 quale  viene  altresi' violato, sempre in tale ipotesi, in quanto non
 e' possibile assicurare in alcun  modo  -  razionalmente  accettabile
 alla  stregua  del  dato  normativo  -,  la  stessa  possibilita'  di
 introdurre il giudizio di merito nel caso di rigetto della  richiesta
 ed essendo quindi vulnerato il principio di ragionevolezza;
     2)  se invece non si ritiene applicabile l'art. 669-octies c.p.c.
 al  procedimento  possessorio,  il  rinvio   operato   esplicitamente
 dall'art.    703  c.p.c.  rimane  privo  di significato, essendovi in
 pratica per ciascuno degli articoli introdotti dalla  novella  e  che
 disciplinano  il procedimento cautelare uniforme (con l'eccezione del
 solo 669-bis  il  quale,  da  solo,  ha  ben  poco  significato)  una
 disciplina  specifica  ed  in  tutto  o  in  parte contrastante con i
 predetti  articoli.  Violandosi   ulteriormente   il   principio   di
 ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione;
     3)  viene  lesa  la  posizione, costituzionalmente garantita, del
 proprietario non possessore. Egli e' costretto non solo ad  attendere
 l'esito  del  ricorso  possessorio  -  il  che  sarebbe perfettamente
 compatibile con le ragioni di  autonoma  tutela  del  possesso  -  ma
 altresi'  ad  attendere  l'esito  del giudizio di merito, comprese le
 fasi di gravame, vedendo procrastinato il suo diritto di tutela della
 proprieta' - che non puo' in alcun modo  equipararsi  al  diritto  di
 tutela  del possesso, trovando garanzie costituzionali ben piu' forti
 ed esplicite - all'esito di giudizi di  cognizione  notoriamente  non
 brevi.  Cio'  a  prescindere  dall'"irreparabilita' del danno" di cui
 alla sentenza n. 25/1992 ed anzi dovendosi osservare  che,  oltre  un
 certo  limite  temporale,  il  danno alla proprieta' diviene comunque
 difficilmente  ristorabile  ex  post.  Violandosi  l'art.  42   della
 Costituzione;
     4)  viene  lesa  la  posizione  anche  del  proprietario  che sia
 contemporaneamente possessore e agisca  proprio  per  la  tutela  del
 possesso,  in quanto egli ha solo l'interesse a che la situazione quo
 ante sia prontamente ripristinata e,  normalmente,  sara'  del  tutto
 indifferente  ad  un  successivo  giudizio  che invece gli vien fatto
 obbligo di iniziare. Obbligando tale soggetto a farsi carico di  tale
 successivo  giudizio  si  duplicano  inutilmente  i  mezzi  di tutela
 giudiziaria, con lesione del principio del buon andamento della  p.a.
 di  cui  all'art. 97 della Costituzione, applicabile anche al sistema
 giudiziario   secondo   la   giurisprudenza   della   stessa    Corte
 costituzionale;
     5)  se si accede alla tesi secondo la quale il giudizio di merito
 non verta  sul  "merito  possessorio",  bensi'  sulla  situazione  di
 diritto,  viene lesa la posizione soggettiva anche del possessore non
 proprietario, nei termini sopra esposti. Venendo cosi'  leso:  a)  il
 principio  di  ragionevolezza  di  cui all'art. 3 della Costituzione,
 approntandosi    irrazionalmente    al    possessore    una    tutela
 necessariamente  destinata  ad  essere  neutralizzata dagli esiti del
 giudizio di merito, e pertanto non tutelandosi  affatto  il  possesso
 quale  situazione  autonoma,  qual'era  nelle premesse interpretative
 accolte da tutti gli interpreti e dalla stessa  Corte  costituzionale
 con  la  sentenza  n.  25/1992  piu'  volte  citata; b) violandosi il
 diritto  del  mero  possessore  ad  avere   una   tutela,   ancorche'
 provvisoria ma che pure ben potrebbe essere destinata a stabilizzarsi
 in assenza di una necessarieta' del prosieguo della controversia. Con
 violazione   dell'art.  24  della  Costituzione,  in  quanto  nessuna
 effettiva tutela verrebbe approntata al mero possessore;
     6)  l'assoluta  indeterminatezza  ed  incongruita'  del   "merito
 possessorio",  quale  oggetto  per  eccellenza del giudizio di merito
 secondo l'insegnamento tradizionale, comporta che  sia  inficiata  da
 irrazionalita'  tutta  la  procedura  che  presuppone  la  necessaria
 delibazione di tale "merito possessorio".  Con  ulteriore  violazione
 dell'art. 3 della Costituzione.
                                P. Q. M.
   Dichiara  rilevante  e non manifestamente infondata la questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 703, secondo comma, del c.p.c.,
 limitatamente al riferimento  operato  dalla  predetta  norma  ad  un
 procedimento di merito, successivo all'ordinanza di accoglimento o di
 rigetto  dei  provvedimenti di cui agli artt. 1168-1170 del c.c., per
 contrasto con gli artt. 3, 24, 42, 97 della Costituzione;
   Ordina la sospensione del presente giudizio;
   Dispone che, a cura della cancelleria, gli atti  vengano  trasmessi
 alla  Corte  costituzionale  e la presente ordinanza venga comunicata
 alle parti ed ai Presidenti delle due Camere, nonche'  notificata  al
 Presidente del Consiglio dei  Ministri.
     Fabriano, addi' 30 maggio 1997
                         Il pretore: Marziali
 97C0985