N. 578 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 febbraio 1997

                                N. 578
  Ordinanza  emessa  il  14  febbraio  1997  dal tribunale di Roma sul
 ricorso proposto dall'INPS contro Bernardini Ada
 Previdenza  e  assistenza  sociale  -  Pensioni   INPS   -   Rimborsi
    conseguenti  alle sentenze della Corte costituzionale nn. 495/1993
    e 240/1994 - Pagamento mediante assegnazione di  titoli  di  Stato
    sulla  base  di  elenchi  a  cura    dell'ente  - Esclusione degli
    interessi e della rivalutazione monetaria - Estinzione dei giudizi
    pendenti alla data di entrata in vigore della normativa  impugnata
    - Incidenza sul principio di eguaglianza e sul diritto di azione -
    Esclusione del giudicato costituzionale.
 (Legge 23 dicembre 1996, n. 662, art, 1, comma 183).
 (Cost., artt. 3, 24, 70, 134 e 136).
(GU n.38 del 17-9-1997 )
                          IL TRIBUNALE CIVILE
   Ha pronunziato la presente ordinanza della quale ha dato lettura in
 pubblica  udienza  nella  causa  in  grado  di appello iscritta al n.
 56616 del ruolo generale affari contenzioso dell'anno  1995  vertente
 tra  l'INPS - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, in persona
 del legale rappresentante, elettivamente  domiciliato  in  Roma,  via
 Palmiro  Togliatti, 1520, presso lo studio dell'avv.to A. Contini che
 lo rappresenta e difende per procura generale alle liti (atto  notaio
 Lupo  di Roma del 7 ottobre 1993, repertorio n. 22737), appellante, e
 Bernardini Ada, elettivamente domiciliata  in  Roma,  via  Po,  72/A,
 presso  lo  studio  dell'avv.to  A.  Petrivelli  che la rappresenta e
 difende per procura a margine del ricorso introduttivo  del  giudizio
 di primo grado, appellata.
   Con  tempestivo  ricorso, depositato in data 7 ottobre 1995, l'INPS
 ha proposto appello avverso la sentenza in data  11/18  luglio  1995,
 con  la  quale il pretore di Roma, in funzione di giudice del lavoro,
 pronunziando su domanda proposta da Bernardini Ada, ha dichiarato  il
 diritto  di  quest'ultima  a  godere  del  trattamento  minimo  sulla
 pensione di reversibilita' n. 2632955, di cui la stessa era titolare,
 con decorrenza dal 1 ottobre 1983 e  sino  al  superamento  di  detto
 trattamento per effetto della perequazione automatica.
   Ha  chiesto  l'Istituto  che,  in  totale  riforma  della impugnata
 sentenza, fossero respinte le domande proposte dalla  Bernardini  con
 il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.
   Ha  censurato di erroneita' la impugnata sentenza deducendo che non
 poteva condividersi la "generale acritica acquiescenza con la quale i
 giudizi  relativi  alla  questione  della  cristallizzazione  vengono
 decisi   in   applicazione  di  discutibili  principi  sanciti  dalle
 Magistrature superiori".
   Parte appellata, costituita, ha chiesto il rigetto dell'appello.
   Rileva  il  Collegio  che  parte  appellata  e'  ricompresa  tra  i
 destinatari della assegnazione di titoli di Stato, di cui all'art. 1,
 commi  181  e  182  della  legge  23 dicembre 1996, n. 662, in quanto
 titolare di trattamento pensionistico  integrato  al  minimo  oggetto
 della sentenza della Corte costituzionale n. 240 del 1994.
   Il   presente   giudizio  di  gravame,  pertanto,  dovrebbe  essere
 dichiarato estinto di  ufficio,  con  integrale  compensazione  delle
 spese  tra  le  parti, ai sensi dell'art. 1, comma 183 della legge 23
 dicembre 1996, n. 662.
   La  disposizione  da  ultimo  richiamata  appare  al  Collegio   in
 contrasto con i precetti contenuti nelle disposizioni di cui all'art.
 136, del combinato disposto degli artt. 70 e 134, dell'art. 24, commi
 1 e 3, e dell'art. 3 della Costituzione.
   E'  noto che le funzioni della Corte costituzionale (art. 134 della
 Costituzione), nell'attuale sistema, mirano   a garantire  e  rendere
 operante  il  principio  di  legalita', che l'ordinamento dello Stato
 repubblicano ha esteso  a  livello  Costituzionale,  sottoponendo  al
 rispetto  delle  norme  costituzionali  gli  atti  dei supremi organi
 politici
  statali, al pari dei rapporti che interrrono tra questi ultimi e tra
 Stato e regioni (Corte costituzionale 17 febbraio 1969, n. 15).
   Cio'  comporta  che  l'esercizio della funzione di ripristino della
 somma legalita', nell'attuale ordinamento non tollera di essere posta
 nel nulla, nemmeno dal legislatore.
   Se e' condivisibile, invero, il principio, desumibile dall'art.  70
 della Costituzione, della potenziale inesauribilita'  della  funzione
 legislativa,  la  quale puo', dunque, essere esercitata per un numero
 indefinito di volte, senza limiti di tempo, in tutte le  materie  che
 il legislore ritenga di disciplinare nuovamente (Corte costituzionale
 17   maggio   1978,   n.  68),  e',  peraltro,  innegabile  che  tale
 inesauribilita' trova un preciso limite nel principio  di  legalita',
 il  quale,  esclude,  in  primo  luogo,  il  ricorso  allo  strumento
 legislativo per porre, di fatto, nel nulla le pronunzie  della  Corte
 costituzionale,  ovvero  per  introdurre  di  fatto  revisioni  della
 Costituzione senza sottomettersi ai procedimenti  rigidi  di  riforma
 disciplinati  nella sezione II del titolo VI della Costituzione della
 Repubblica.
   Va, peraltro, considerato che tutti i poteri pubblici, anche quelli
 di  rango  costituzionale,  possono  e   devono   essere   esercitati
 unicamente  per  il  perseguimento  dei fini in relazione ai quali il
 potere e' attribuito, in cio' connotandosi  i  poteri  costituzionali
 delle  moderne democrazie, trattandosi di poteri discrezionali ma non
 liberi nel fine,  secondo  la  definizione  di  accreditata  dottrina
 costituzionalista.
   Con  la  conseguenza  che  gli organi, cui sono affidate le massime
 funzioni nelle quali  si  esprime  la  sovranita'  dello  Stato,  non
 possono espletare le potesta' loro attribuite dalla Costituzione, nel
 complesso  ed articolato sistema di "pesi" e "contrappesi", per scopi
 diversi da quelli cui le funzioni stesse  sono  finalizzate,  ovvero,
 in  via  strumentale,  per  ledere  l'autonomia  degli altri poteri e
 funzioni, finalita', quest'ultima vietata dalla nostra Costituzione.
   In particolare, il potere  legislativo,  subordinato  com'e',  alla
 pari  degli altri poteri costituzionali, all'impero delle norme e dei
 principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico, incontra  nel
 suo  esplicarsi,  il  limite  della  legalita'  e  il limite generale
 costituito dalla ragionevolezza  dell'intervento  legislativo  (Corte
 costituzionale  7 luglio 1964, n. 72, 15 luglio 1991, n. 346).
   Le   considerazioni   svolte   evidenziano   il  contrasto  tra  la
 disposizione di cui all'art. 1, comma 183, della legge n. 662/1996  e
 l'art. 136 della Costituzione, che, nel disporre che "quando la Corte
 dichiara  l'illegittimita'  costituzionale di una norma di legge o di
 un atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia  dal
 giorno  successivo  alla  pubblicazione della decisione", preclude al
 legislatore  non  solo  di   disporre   che   la   norma   dichiarata
 incostituzionale conservi la propria efficacia, bensi' di raggiungere
 "anche se indirettamente" esiti corrispondenti a quelli gia' ritenuti
 lesivi  della  Costituzione  (Corte costituzionale 19 luglio 1983, n.
 223, 7 maggio 1994, n. 139, 19 dicembre 1990, n. 545, 28 luglio 1988,
 n. 922).
   E' noto che con la sentenza n. 240/1994 (la quale viene, come  gia'
 evidenziato, in rilievo ai fini della decisione del presente giudizio
 di  appello),  la  Corte  costituzionale  dichiaro' la illegittimita'
 costituzionale dell'art. 11, comma 22 della legge 24  dicembre  1993,
 n.  537,  nella  parte  in  cui,  nell'ipotesi  da  essa considerata,
 prevedeva la riconduzione dell'importo a calcolo dell'altra  o  delle
 altre pensioni non piu' integrabili, anziche' il mantenimento di esse
 nell'importo spettante alla data indicata, fino ad assorbimento negli
 aumenti della pensione derivanti dalla perequazione automatica.
   Sicche',  come gia' osservato dal S.C. nella ordinanza n. 405/1996,
 pronunziata con riferimento  alla  norma,  di  contenuto  identico  a
 quello della disposizione in esame, di cui al d.-l. 28 marzo 1996, n.
 166  (Gazzetta Ufficiale 29 marzo 1996, n. 75) "per effetto di quella
 pronunzia (additiva) di accoglimento il  legislatore  avrebbe  dovuto
 astenersi da ogni intervento diretto a riportare in vita la normativa
 dichiarata incostituzionale".
   La  disposizione  di  cui  all'art.  1,  comma  183, della legge n.
 662/1996 appare, inoltre, in contrasto con il disposto  di  cui  agli
 artt.  134  e  70,  posto  che la funzione legislativa ordinaria deve
 essere esercitata nel rispetto, per un verso,  dei  principi  fissati
 dalla  Costituzione  e, per altro verso, entro i piu' generali limiti
 di ragionevolezza che proprio la Corte costituzionale, nell'esercizio
 dei poteri di cui all'art. 134, ha piu'  volte  ampiamente  enucleato
 dall'intero ordinamento giuridico costituzionale.
   La  potesta'  legislativa risulta, infatti, nel concreto esercitata
 non per disciplinare in maniera diversa (e,  percio'  legittima,  per
 quanto  osservato  sulla  inesauribilita' della potesta' legislativa)
 rispetto al  passato  la  materia  gia'  disciplinata  dal  combinato
 disposto  dell'art. 6 del d.-l. 12 settembre 1983, n. 463, convertito
 nella legge 11 novembre 1983, n. 638, e dall'art. 11, comma 2,  della
 legge  24  dicembre  1993,  n. 537, quest'ultimo nel testo risultante
 dalla sentenza  n.  240/1994  della  Corte  costituzionale,  ne'  per
 interpretare  autenticamente  altra legge che regola la materia della
 cristallizzazione dei trattamenti pensionistici integrati.
   Che', anzi, il legislatore mostra di volere  intervenire  per  dare
 attuazione  alle  statuizioni del giudice delle leggi contenute nelle
 sentenze nn. 495/1993 e 240/1994.
   Dispone, invero, al  comma  181  del  richiamato  art.  1  che  "il
 pagamento  delle  somme,  maturate  fino  al  31  dicembre  1995, sui
 trattamenti pensionistici erogati da enti previdenziali  interessati,
 in   conseguenza   dell'applicazione   delle   sentenze  della  Corte
 costituzionale n. 495 del 1993 e  n.  240  del  1994,  e'  effettuata
 mediante  assegnazione  agli  aventi  diritto  di  titoli  di  Stato,
 sottoposti  allo  stesso  regime  tributario  dei  titoli  di  debito
 pubblico, aventi libera circolazione ...".
   Di   fatto,   pero',  nega  pronta,  immediata,  completa  e  certa
 realizzazione ai crediti spettanti ai pensionati aventi diritto  alla
 conservazione    del    trattamento    minimo    nell'importo    c.d.
 "cristallizzato",  in  quanto  introduce,  rispetto  alle  situazioni
 pendenti,  oneri  non  previsti dalle richiamate sentenze della Corte
 costituzionale.
   Il pagamento avverra', invero, con il sistema della assegnazione di
 titoli di Stato, in sei annualita', e  con  esclusione  di  interessi
 legali e rivalutazione monetaria in relazione agli importi maturati a
 tutto  il 31 dicembre 1995, statuizione, quest'ultima, che disattende
 anche le statuizioni contenute nella sentenza n. 1561/1991,  in  tema
 di  rivalutazione  monetaria  ed  interessi  legali di crediti aventi
 natura previdenziale.
   L'intervento del legislatore appare irragionevole anche  perche'  i
 rapporti  tra  i pensionati e l'Ente previdenziale, lungi dal trovare
 nella recente disciplina una regolamentazione coerente con  l'assetto
 nel   tempo   consolidatosi   in   ragione  dei  numerosi  interventi
 legislativi  e  delle  altrettanto  numerose  pronunzie  della Corte,
 risultano assolutamente  non  definiti  e  chiariti,  fatto,  questo,
 intollerabile  in  moderno  Stato  di  diritto  che  postula  che sia
 osservato,  soprattutto  dai  massimi   organi   costituzionali,   il
 principio  di  certezza dei rapporti giuridici, il quale costituisce,
 con quello di  legalita',  il  cardine  della  vita  civile  e  della
 tranquillita' dei consociati.
   Va  evidenziato  che  la  norma,  qui sospettata di illegittimita',
 interviene a dettare una disciplina che riguarda gli  aventi  diritto
 al  mantenimento  della  integrazione al minimo nel momento stesso in
 cui  impone  che  siano   dichiarati   estinti   i   giudizi   intesi
 all'accertamento   del   diritto  dal  quale  si  farebbero  derivare
 l'ssegnazione in Bot e gli altri effetti.
   Con la conseguenza che ad un tempo mostra di attribuire determinati
 benefici  agli  aventi  diritto  ed  elimina  la  possibilita'  della
 individuazione giudiziale di chi sia l'avente diritto.
   Il  regime  di  incertezza  sul piano della disciplina sostanziale,
 alla quale,  si  e'  appena  fatto  riferimento,  appare  ancor  piu'
 intollerabile   alla   luce  della  disposizione  che,  imponendo  la
 estinzione dei giudizi, esclude che la certezza  sulla  realizzazione
 del diritto possa raggiungersi con la via del processo.
   E  cio'  appare  contraddittorio  ed  irragionevole  in  quanto  la
 concreta  applicazione  della  disposizione  che  e'  sospettata   di
 illegittimita' determinera' l'insorgere di nuovi processi.
   Le    considerazioni   svolte   in   relazione   alla   sostanziale
 inoperativita'  delle  statuizioni   contenute   nelle   piu'   volte
 richiamate   pronunzie   della   Corte  costituzionale  in  punto  di
 integrazione   dei   trattamenti   pensionistici   e    della    loro
 "cristallizzazione" e di irragionevolezza dell'intervento legislativo
 evidenziano  il  contrasto  della disposizione di cui al citato comma
 183 anche con l'art. 24, comma 1, della Costituzione.
   La garanzia costituzionale affermata nella disposizione  da  ultimo
 richiamata  opera,  invero,  attribuendo  la piena tutela processuale
 delle  situazioni  giuridiche  soggettive   nei   termini   e   nelle
 configurazioni   che   a  queste  derivano  dalle  norme  di  diritto
 sostanziale (Corte costituzionale 30 giugno 1988, n. 732).
   Non dubita il Collegio  che  il  legislatore  abbia  il  potere  di
 dettare  norme  aventi  contenuto concreto e particolare, dalle quali
 possono derivare effetti nei riguardi dei procedimenti giudiziari  in
 corso ovvero sui provvedimenti giurisdizionali.
   Non  e',  invero,  ravvisabile  una  illegittima invasione da parte
 della funzione legislativa dell'ambito riservato  dalla  Costituzione
 alla autorita' giudiziaria, posto che la norma di diritto sostanziale
 che   regola   una  situazione  anche  pregressa,  senza  violare  un
 giudicato,  non  sottrae  al  giudice  alcuna  controversia  ma   gli
 fornisce, appunto, la regola di diritto che egli deve applicare.
   E',  peraltro,  ormai  consolidato nella giurisprudenza della Corte
 costituzionale il principio secondo cui la  possibilita'  di  emanare
 leggi a contenuto concreto incontra uno specifico invalicabile limite
 nel  rispetto della funzione giurisdizionale in ordine alla decisione
 delle cause in corso (Corte costituzionale 15 luglio 1991, n. 346).
   Ed  e'  noto  che i limiti di costituzionalita' dell'intervento del
 legislatore nel processo, quando di  questo  venga  definito  l'esito
 attraverso  una  norma  che ne imponga l'estinzione, sono stati dalla
 Corte  costituzionale  individuati  con   riferimento,   in   termini
 generali,  al  rapporto  tra  siffatto  intervento  ed  il  grado  di
 realizzazione che alla pretesa azionata sia stato accordato  per  via
 legislativa  (tra le tante, Corte costituzionale 10 dicembre 1981, n.
 185, 10 aprile 1987, n. 123, 31 marzo 1995, n. 103).
   Nel caso in esame, l'estinzione dei processi  in  corso  opera  una
 sostanziale vanificazione della tutela giurisdizionale per un duplice
 ordine di ragioni.
   Il  ius  superveniens e' preordinato, come gia' evidenziato, non ad
 "arricchire" la situazione patrimoniale degli  interessati  bensi'  a
 depauperarla  attraverso  il  pagamento non immediato e attraverso la
 esclusione degli accessori del credito da essi vantato.
   Inoltre, la estinzione  dei  giudizi  pendenti,  a  fronte  di  una
 riaffermata  esistenza  del diritto ad opera del legislatore e di una
 irrisolta  persistenza  della  res  controversa,  nei  termini  sopra
 evidenziati,    vanifica    del   tutto   la   garanzia   della   via
 giurisdizionale,  intesa  quale  mezzo  volto  all'attuazione  di  un
 preesistente  diritto  attraverso,  appunto, una pronunzia che, dando
 soddisfazione al diritto negato e contestato, ripristina la legalita'
 (Corte costituzionale nn. 42 e 111 del 1964, 30 del  1965,  2286  del
 1974, 71 del 1979, 164 del 1982, 185 del 1986).
   Ma,  l'art.  24,  comma 1, della costituzione, appare violato anche
 dall'art. 1, comma 183 della legge  n. 662/1996, nella parte  in  cui
 stabilisce  che all'estinzione dei giudizi consegue la "compensazione
 delle spese    tra  le  parti",  in  quanto  sottrae  alle  parti  la
 possibilita'  di  ottenere  una pronunzia giudiziale su una questione
 comunque rilevante nell'economia della controversia.
   Peraltro, la  previsione  della  compensazione  delle  spese  nelle
 controversie,  quali  quella  in  esame,  aventi natura previdenziale
 appare in contrasto con il comma 3 dell'art. 24 e con il principio di
 uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, non  apparendo  ne'
 ragionevole  ne'  giustificato  sottrarre  le  controversie di cui al
 comma 181,  art.    1  alla  disciplina  dell'esonero  dell'assistito
 soccombente  dal  pagamento  delle  spese nel processo previdenziale,
 quale prevista dagli artt.  152 disp. att. c.p.c. e 57 della legge 30
 aprile 1969, n.  153,  disciplina  da  ultimo  confermata  nella  sua
 vigenza  dalla sentenza della Corte costituzionale 13 aprile 1994, n.
 134.
   La disparita' di trattamento appare  tanto  piu'  irragionevole  ed
 ingiustificata  ove  si  consideri che le rivendicazioni azionate nei
 giudizi da dichiararsi estinti sono state ritenute fondate, come gia'
 evidenziato, dallo stesso  legislatore.
   Da ultimo, non e' da tacere la considerazione  che  la  particolare
 tecnica  adoperata  dal  legislatore  in forza della quale le singole
 norme   risultano   "nascoste"   in   una   difficilmente   leggibile
 distribuzione  in 718 commi su tre articoli, concretizza, invece, che
 rimuovere, un ostacolo per i pensionati che contrasta con  gli  artt.
 3,  e  24,  primo  comma,  e  si  pone  in  pratica  in irragionevole
 contraddizione con l'art. 24, terzo comma, della Costituzione.
   La questione relativa alla conformita' ai  principi  costituzionali
 della   disposizione  che  prevede  la  estinzione  dei  giudizi  con
 integrale  compensazione  delle  spese   ha   carattere   preliminare
 assorbente   rispetto   al   merito   delle  soluzioni  adottate  dal
 legislatore  nei commi 181 e 182 dell'art. 1 della legge n. 662/1996,
 in punto  di  quantificazione  dei  diritti  oggetto  della  presente
 controversia e degli accessori dei medesimi.
   Soluzioni  rispetto alle quali e' preclusa al Collegio qualsivoglia
 attivita'  interpretativa  in  ragione  della  ineludibilita'   della
 disposizione che prevede la dichiarazione di ufficio della estinzione
 dei  giudizi  con  integrale  compensazione  delle  spese  e  che  e'
 sospettata di incostituzionalita'.
   Tenuto  conto  delle  considerazioni  che  precedono,   stante   la
 rilevanza - come risulta dalla premessa in fatto - delle questioni di
 legittimita'  costituzionale  della  disposizione  di cui all'art. 1,
 comma 183, gli atti devono essere trasmessi alla Corte costituzionale
 e deve,  nel  contempo  disporsi  che  la  Cancelleria  adempia  alle
 notificazioni  ed  alle  comunicazioni  prescritte dall'art. 23 della
 legge 11 marzo 1953, n. 87, come precisate in dispositivo.
                                P. Q. M.
   Visto l'art.    23 della legge 11 marzo 1953, n.  87,  dichiara  di
 ufficio  non  manifestamente  infondata  la questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 1, comma 183, della legge 23 dicembre  1996,
 n.  662,  per  violazione dell'art. 136, del combinato disposto degli
 artt. 70 e 134, dell'art. 24, primo e terzo comma, e dell'art. 3, nei
 diversi profili di cui in motivazione, della Costituzione;
   Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla    Corte
 costituzionale e la sospensione del giudizio in corso;
   Ordina  che,  a  cura  della cancelleria, la presente ordinanza sia
 notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e  comunicata  ai
 Presidenti delle due Camere.
                         Il presidente: Zecca
 97C0998