N. 651 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 maggio 1997

                                N. 651
  Ordinanza  emessa  il  9  maggio  1997  dal  pretore  di  Torino nel
 procedimento civile vertente  tra  Di  Tanna  Mario  ed  altri  e  le
 Ferrovie dello Stato
 Ente  Ferrovie  dello  Stato  -  Dipendenti  - Lavoro straordinario -
    Applicabilita' del decreto-legge n. 384  del  1992,  e  successive
    proroghe,   che   ha  stabilito  il  "congelamento"  della  misura
    dell'indennita'  integrativa  speciale  ai  valori  del   1992   -
    Incidenza  sul  valore  orario della prestazione straordinaria, in
    quanto comprensiva di una quota di tale indennita' e  conseguente,
    attuale  inferiorita'  del  relativo  importo  rispetto  a  quello
    corrisposto per prestazione di  lavoro  ordinario  -  Lesione  del
    diritto ad una retribuzione adeguata e proporzionata alla qualita'
    e quantita' del lavoro prestato.
 (D.-L.  19  settembre  1992,  n.  384, art. 7, comma 5, convertito in
    legge 14 novembre 1992, n. 438).
 (Cost., art. 36).
(GU n.41 del 8-10-1997 )
                              IL PRETORE
   Sciogliendo la riserva formulata all'udienza del 9 maggio 1997  nel
 procedimento r.g.l. n. 7396/1996, promosso da Di Tanna Mario, De Iaco
 Giuseppe,  Parisi  Ezio,  Trullo  Angelo,  Adinolfi  Attilio e Sticca
 Giuseppe, contro le Ferrovie dello Stato - Societa'  di  trasporti  e
 servizi per azioni.
                             O s s e r v a
   Con un unico ricorso depositato presso la cancelleria della sezione
 lavoro  il 25 giugno 1996, si costituivano in giudizio Di Tanna Mario
 e altri cinque  ricorrenti,  citando  il  proprio  datore  di  lavoro
 Ferrovie  dello  Stato S.p.a. ed esponendo: di aver svolto e svolgere
 lavoro straordinario, venendo tuttavia retribuiti per tale  voce  con
 compensi  inferiori  a quelli spettanti per quello ordinario, poiche'
 il datore di lavoro immotivatamente  avrebbe  escluso,  ai  fini  del
 calcolo  delle  aliquote  per  il  primo  tipo  di lavoro, emolumenti
 retributivi aventi caratteristiche di continuita' ed obbligatorieta'.
   In particolare i ricorrenti si richiamavano  al  regio  decreto  n.
 692/1923,  nella  parte  in  cui  prevede  un aumento retributivo per
 lavoro straordinario non inferiore al 10% della retribuzione  per  il
 lavoro  ordinario,  invocando in proposito la nullita' delle clausole
 del  contratto  collettivo  nella  parte  in  cui   consentivano   la
 violazione  di tale norma, dovendo quest'ultima essere considerata di
 ordine pubblico.
   Si  costituiva  in  giudizio  la  societa'  Ferrovie  dello  Stato,
 ribadendo  viceversa  la  correttezza  del  proprio comportamento, in
 particolare negando l'applicabilita' al  caso  di  specie  del  regio
 decreto   n.  692/1923,  e  richiamandosi  viceversa  alla  legge  n.
 438/1992, che, convertendo il decreto legge  n.  384/1992,  obbligava
 alcuni  datori  di  lavoro (tra cui la societa' convenuta) ad erogare
 anche negli anni  successivi  i  compensi  per  lavoro  straordinario
 (oltre  ad  una  serie  di altre voci), nella stessa misura dell'anno
 1992.
   Dopo  una  serie  di  rinvii  resisi  necessari  per  chiarire  nel
 dettaglio  le  questioni  controverse  e per consentire alle parti di
 effettuare conteggi corrispondenti alle varie ipotesi  prospettabili,
 il  pretore  in  esito  alla discussione conclusasi il 9 maggio 1997,
 emetteva la presente ordinanza per le  ragioni  che  vengono  qui  di
 seguito esposte.
   Allo scopo di evidenziare la rilevanza dell'eccezione sollevata, e'
 necessario  rendere  conto  dell'iter  logico-giuridico  seguito  dal
 pretore, per definire i parametri in base  ai  quali  sono  stati  da
 ultimo   effettuati  quei  conteggi  di  parte  convenuta  che  hanno
 consentito di evidenziare come dall'ottobre 1994 in poi in realta' la
 retribuzione per il lavoro straordinario, se correttamente calcolata,
 sia diventata inferiore a quella erogata per il lavoro ordinario.
   Ed in proposito e' opportuno  cominciare  con  l'osservare  che  il
 ragionamento  centrale  su  cui e' articolato il ricorso non puo' che
 considerarsi errato: affermano infatti i ricorrenti che, ai sensi del
 citato regio decreto n. 692/1923, e precisamente in base al combinato
 disposto degli artt. 1 e 5 di tale  legge,  la  retribuzione  per  lo
 svolgimento  di  un'ora  di  lavoro straordinario non potrebbe essere
 inferiore a quella prevista per il lavoro ordinario, maggiorata  come
 minimo  del 10%; tale norma avrebbe carattere cogente, ed inciderebbe
 quindi sulla validita' di  qualunque  clausola  della  contrattazione
 collettiva che, derogando ad essa, prevedesse una retribuzione per il
 lavoro  straordinario  maggiorata  in  misura  inferiore  al  10%. In
 accoglimento delle eccezioni formulate in proposito dalla  convenuta,
 osserva   il   pretore  innanzitutto  che  e'  quantomeno  ampiamente
 dubitabile l'applicabilita' al rapporto di lavoro de quo  del  citato
 regio  decreto, poiche' l'art. 1 recita al terzo comma: "Per i lavori
 eseguiti a bordo delle navi, per gli uffici ed  i  servizi  pubblici,
 anche  se  gestiti  da assuntori privati, si provvedera' con separate
 disposizioni"; ed  in  effetti  la  piu'  recente  giurisprudenza  di
 legittimita'  riconosce  che  non  puo' farsi applicazione del citato
 regio decreto-legge per le imprese esercenti servizi  pubblici  (vedi
 Cass.  n. 1292/1994, Cass.  n. 1669/1985, Cass. n. 2183/1984). Ne' in
 proposito puo' prospettarsi  una  questione  di  incostituzionalita',
 poiche'  la stessa Corte costituzionale, con la sentenza n. 716/1988,
 ha  avuto  modo  di  precisare  quanto  segue:    "E'  manifestamente
 infondata,  in  riferimento  agli artt. 3 e 36 Cost., la questione di
 illegittimita'  costituzionale  dell'art.  1  del  regio  decreto  n.
 692/1923, nella parte in cui esclude gli uffici e i servizi pubblici,
 anche  se gestiti da assuntori privati, dall'applicazione delle altre
 norme del medesimo regio decreto, e in specie dell'art.   5  relativo
 al  compenso  del lavoro straordinario...". La questione del resto e'
 superabile anche da un altro punto di  vista,  poiche'  i  ricorrenti
 piu'   o   meno   consapevolmente   equivocano  sulla  portata  delle
 disposizioni inderogabili (aventi cioe' valore  di  ordine  pubblico)
 contenute  nel  citato  regio  decreto-legge:  infatti, in ogni caso,
 l'inderogabilita' legale deriverebbe dalla previsione di  un  aumento
 minimo  del  10%,  ma  solo  con  riferimento  alle  ore eccedenti la
 quarantottesima; mentre nel caso di specie non vi e'  alcuna  traccia
 nei  conteggi  in atti che qualcuno dei ricorrenti abbia mai superato
 le  quarantotto  ore  di  lavoro  settimanali;  ne'  puo'  seriamente
 affermarsi  che,  una  volta definito dalla contrattazione collettiva
 come  "lavoro  straordinario"  quello  eccedente  le  trentasei   ore
 settimanali  (come  si  verifica  nel contratto collettivo de quo), a
 tale  definizione  ontrattuale  debba   poi   applicarsi   la   norma
 inderogabile di ordine pubblico: l'inderogabilita' prevista dal regio
 decreto, infatti, non puo' che riguardare la maggiorazione minima del
 10%  per  le  ore  che  eccedono  la  quarantottesima,  la  normativa
 inderogabile  di  ordine  pubblico   dovendo   considerarsi   infatti
 costituita   dall'insieme   dei   parametri   quantitativi  presi  in
 considerazione dal legislatore per  fissare  dei  trattamenti  minimi
 comunque inderogabili.
   L'erroneita'  di  tale ragionamento attoreo non implica pero' certo
 di per se' il rigetto delle  domande,  poiche',  proprio  sulla  base
 della giurisprudenza sopra citata, rimane da valutare se vi sia stata
 viceversa  violazione  di  un'altra  disposizione  di legge, peraltro
 anch'essa indicata dai ricorrenti, e precisamente l'art.  2108  c.c.,
 questo  sicuramente  applicabile  ai rapporti di lavoro de quibus. In
 particolare l'art. 2108 c.c., pur  senza  fissare  (a  differenza  di
 quanto  ha  fatto  il  legislatore  del 1923) parametri quantitativi,
 prevede che il compenso  per  le  ore  straordinarie  debba  comunque
 essere   maggiore   di   quello   dovuto  per  il  lavoro  ordinario,
 esplicitando al terzo comma che la durata del lavoro straordinario  e
 di  quello notturno, nonche' la misura della loro maggiorazione, sono
 stabiliti  dalla  legge  o  dalle  norme  corporative   (oggi   dalla
 contrattazione  collettiva); da qui la rilevanza di tale disposizione
 codicistica,  poiche',  una  volta  definito   dalla   contrattazione
 collettiva  come  lavoro  straordinario quello eccedente le trentasei
 ore, la retribuzione della trentasettesima ora e di quelle successive
 deve essere  prevista  in  misura  superiore  "di  almeno  una  lira"
 rispetto  a  quella prevista per la retribuzione ordinaria. Si tratta
 quindi  di  definire  correttamente   quale   sia   la   retribuzione
 contrattuale   prevista   per   un'ora  di  lavoro  ordinario,  e  di
 paragonarla a quella prevista per  un'ora  di  lavoro  straordinario,
 allo   scopo  di  verificare  la  compatibilita'  delle  disposizioni
 contrattuali  rispetto  alla  norma  codicistica.  Parte   convenuta,
 osservando che tale ragionamento non era stato sviluppato nel ricorso
 introduttivo,  ha prospettato al giudice l'impossibilita' da parte di
 quest'ultimo di sostituire il  suo  ragionamento  a  quello  attoreo,
 potendo  in proposito verificarsi un'ipotesi di ultra oppure di extra
 petizione. Evidentemente non  e'  cosi',  poiche'  il  petitum  resta
 comunque un limite che il giudice non si accinge certo a travalicare,
 mentre  la  causa  petendi,  rimane  anch'essa  quella prospettata in
 ricorso, e cioe' "erogazione retributiva per  lavoro  straordinario";
 cio'  che  il giudice si accinge a compiere, non e' gia' una modifica
 di tale causa petendi, ma l'applicazione di una diversa  disposizione
 di   legge   rispetto  a  quella  invocata  nel  ricorso,  operazione
 certamente lecita ex art. 113 c.p.c..
   Gran    parte    delle    complicazioni    contabili     incontrate
 nell'impostazione  dei  dati quantitativi della presente controversia
 e' derivata dal  fatto  che  una  componente  assai  rilevante  della
 retribuzione  percepita dai ferrovieri e' costituita dalla cosiddetta
 indennita'  di   utilizzazione   (parte   variabile),   che   prevede
 retribuzioni  differenziate  per  ogni ora di condotta, a seconda che
 essa sia diurna o notturna, ad agente unico o con due  agenti,  ecc.;
 la  misura  di  tale indennita', che non varia a seconda che l'ora di
 condotta  sia  effettuata  all'interno  delle  prime  trentasei   ore
 lavorative  settimanali  (e  cioe'  nell'orario ordinario) o oltre la
 trentaseiesima ora (e cioe' nell'ambito dello svolgimento  di  lavoro
 straordinario),   assumerebbe   certo   rilevanza   nell'ipotesi   di
 applicabilita' al caso di specie del regio decreto del 1923,  poiche'
 l'ora   di   condotta  effettuata  nella  fascia  oraria  del  lavoro
 straordinario implicherebbe ex lege  un  aumento  retributivo  almeno
 pari  al  10%  rispetto all'ora di condotta espletata nella fascia di
 lavoro ordinario; essa viceversa perde del tutto qualunque  rilevanza
 nell'ottica  dell'applicabilita' dell'art. 2108 c.c., poiche' in base
 alla giurisprudenza citata la norma codicistica non impone un aumento
 percentuale di tutte le voci componenti la retribuzione ordinaria, ma
 si limita a prevedere la necessita' di un risultato finale, in  esito
 all'applicazione   dei  piu'  disparati  meccanismi  contrattuali  di
 calcolo, tale da soddisfare il precetto legale, e cioe' un'erogazione
 straordinaria  comunque  maggiore  di  quella  ordinaria.  E'  dunque
 evidente che l'indennita' di utilizzazione (parte variabile) ben puo'
 essere  prevista  ed erogata senza alcuna differenziazione tra ora di
 lavoro  ordinario  e  ora  di  lavoro  straordinario,  purche'  venga
 conservata  una qualche differenza retributiva tra le due, differenza
 che per  l'appunto  non  viene  modificata  dall'aggiunta  all'una  e
 all'altra  dell'indennita'  di  utilizzazione  (parte  variabile). Si
 tratta quindi di definire il  valore  dell'ora  di  lavoro  ordinario
 "standard",  e  di  paragonarla  alla retribuzione prevista per l'ora
 straordinaria "standard", il tutto  alla  luce  della  contrattazione
 collettiva.
   L'art.  34 del contratto collettivo 90/1992 definisce "retribuzione
 base mensile" l'insieme dello stipendio (cosi' come  individuato  dal
 precedente  art.  33),  e  dell'indennita'  integrativa  speciale; il
 successivo art. 35 definisce "retribuzione  normale"  quella  di  cui
 sopra,  cui  devono  aggiungersi l'indennita' quadri, l'indennita' di
 utilizzazione (parte fissa), il rateo della tredicesima mensilita'  e
 il  rateo  del  premio  esercizio.  Poiche'  quest'ultima, e cioe' la
 "retribuzione  normale"   costituisce   la   retribuzione   ordinaria
 corrisposta  a  qualunque  dipendente  che  si  limiti a svolgere con
 regolarita' (solo) lavoro ordinario, a parere del giudice  e'  questa
 la   retribuzione   che  deve  essere  presa  in  considerazione  per
 paragonare ad essa quella contrattualmente  prevista  per  il  lavoro
 straordinario.
   A  prescindere del tutto dalle percentuali di aumento per il lavoro
 notturno e/o festivo, l'art. 44 del contratto collettivo prevede  che
 il  lavoro  straordinario  "standard"  (e cioe' non caratterizzato da
 ulteriori peculiari connotati lavorativi, quali il lavoro domenicale,
 festivo  o  notturno)  sia  retribuito   maggiorando   del   21%   la
 retribuzione  convenzionale  di  cui  all'art.  36, e cioe' l'insieme
 dello  stipendio  mensile  tabellare  comprensivo  delle  classi   di
 stipendio,   l'indennita'   integrativa   speciale  ed  il  rateo  di
 tredicesima mensilita' corrisposto nell'anno precedente; di  per  se'
 la   previsione  contrattuale  e'  lecita,  ancorche'  si  limiti  ad
 applicare la maggiorazione solo ad alcune delle  voci  previste  come
 retribuzione normale per il lavoro ordinario, sempreche' il risultato
 finale  sia  coerente con l'art. 2108 c.c., e cioe' sempreche' un'ora
 di lavoro straordinario "standard" risulti retribuita  in  misura  in
 ogni  caso  maggiore  rispetto  a quella ordinaria normale, cosi come
 previsto dall'art. 35 del contratto; tale paragone - ripetesi -  puo'
 essere  effettuato  svincolando  del tutto l'interprete da complicate
 quantificazioni del valore orario  dell'indennita'  di  utilizzazione
 nella  sua  parte variabile, che si differenzia sulla base di tutti i
 parametri gia' citati (lavoro diurno o notturno, ad  agente  unico  o
 doppio, ora di attesa o di condotta): e questo per il fatto che, come
 gia'  chiarito,  tale "variabilissima" indennita', aggiungendosi alla
 retribuzione "standard" sia ordinaria che straordinaria, non viene ad
 incidere sull'esistenza o sull'entita' della  differenza  retributiva
 tra lavoro straordinario e lavoro ordinario.
   Nella  logica  piu'  sopra prospettata dal giudice, parte convenuta
 depositava conteggi retributivi  riferiti  ai  ricorrenti,  elencando
 mese  per  mese  le  retribuzioni ordinarie e straordinarie derivanti
 dall'applicazione del contratto collettivo vigente pro-tempore, cosi'
 calcolate:
     1) l'ora ordinaria veniva computata in misura corrispondente alla
 retribuzione normale, cosi' come definita dall'art. 35 del  contratto
 (comprensiva  cioe'  di  stipendio,  classi  stipendiali,  indennita'
 integrativa speciale, rateo tredicesima, rateo  premio  esercizio  ed
 indennita' di utilizzazione fissa);
     2)  una seconda ipotesi di calcolo dell'ora ordinaria comprendeva
 tutte le voci gia' elencate sub 1), ad esclusione dell'indennita'  di
 utilizzazione  fissa;  in  tal  modo  si  otteneva  un  valore orario
 ordinario piu' basso di quello precedente: ma il dato e' all'evidenza
 errato,  tenuto  conto  che  e'  stata   la   stessa   contrattazione
 collettiva,  al gia' citato art. 35, a considerare come "retribuzione
 normale" quella comprensiva dell'indennita' di  utilizzazione  fissa,
 questo   proprio  perche'  essa  e'  normalmente  percepita  da  ogni
 lavoratore che effettui anche  solo  lavoro  ordinario;  e'  comunque
 opportuno  in  proposito  precisare  che  il  giudice,  nel  ritenere
 necessaria l'inclusione dell'indennita' di  utilizzazione  fissa  nel
 computo  dell'ora  ordinaria di riferimento, non vuol certo adombrare
 una qualche illegittimita' della successiva disposizione contrattuale
 che  viceversa,  per  calcolare  il  valore del lavoro straordinario,
 pretermette tale voce dall'insieme di quella sulle quale deve  essere
 applicata la percentuale di maggiorazione;
     3)  la  retribuzione  straordinaria  e'  stata invece calcola dal
 datore di  lavoro  in  misura  esattamente  corrispondente  a  quanto
 previsto  dall'art.  44,  e  cioe'  aumentando del 21%   le sole voci
 stipendio, classi stipendiali, indennta' integrativa speciale e rateo
 tredicesima mensilita'.
   Effettuati in tal modo i  conteggi  di  cui  trattasi,  ed  attuato
 quindi il paragone fra la voce sub 3) e quella sub 1), e' emerso che,
 in  concreto, e per tutti i ricorrenti, la voce sub 3) risulta sempre
 superiore alla voce sub 1), in tal modo ottemperando alla  previsione
 di   cui   all'art.   2108  c.c.,  e  facendo  quindi  superare  alle
 disposizioni contrattuali il vaglio di legalita'.
   Quando pero' si passa dalle astratte previsioni contrattuali   alle
 concrete  retribuzioni erogate dall'azienda per il lavoro ordinario e
 quello straordinario, i risultati invertono il loro segno a decorrere
 dall'ottobre 1994, poiche' l'azienda ha applicato sin dal 1992 l'art.
 7, comma 5, del decreto-legge n. 384/1992 (convertito con la legge n.
 438/1992), che recita: Tutte le indennita', compensi,  gratifiche  ed
 emolumenti  di  qualsiasi  genere,  comprensivi,  per disposizioni di
 legge o atto amministrativo previsto dalla legge  o  da  disposizione
 contrattuale,  di una quota di indennita' integrativa speciale di cui
 alla legge 27 maggio 1959 n. 324 e  successive  modificazioni,  o  di
 indennita' di contingenza prevista per il settore privato o che siano
 comunque  rivalutabili  in  relazione alla variazione del costo della
 vita, sono corrisposti per l'anno 1993 nella stessa misura  dell'anno
 1992.  Tale norma, poi prorogata con successive disposizioni di legge
 sino all'anno 1996, ha indotto la societa' convenuta a "congelare" al
 1992 il valore orario della prestazione straordinaria, in quanto esso
 e' per contratto comprensivo di una quota di  indennita'  integrativa
 speciale;  ed in effetti la stessa contrattazione collettiva del 1995
 (art. 5 punto 6) sembra aver  preso  atto  dell'applicabilita'  della
 norma  di  cui  trattasi,  nel  momento  in  cui  e'  stata  prevista
 l'invarianza degli "... attuali importi scaturenti  dall'applicazione
 dell'art.    44  del  contratto  collettivo  l990/l992". Il risultato
 contabile  del  comportamento  di  parte  convenuta   e'   facilmente
 immaginabile:  il  valore  del lavoro straordinario, che per semplice
 applicazione dell'art.  44 ai valori retributivi vigenti pro-tempore,
 avrebbe consentito di mantenere una differenza positiva  rispetto  al
 valore  del  lavoro ordinario, ha viceversa evidenziato ovviamente un
 differenziale sempre piu' esiguo, di mano in mano  che  aumentava  la
 retribuzione   ordinaria;   di   conseguenza   dall'ottobre  1994  la
 retribuzione del lavoro straordinario  e'  diventata  inferiore  alla
 retribuzione del lavoro ordinario, essendo rimasta la prima congelata
 ai  valori  di  due  anni  prima;  e  tale  differenziale negativo e'
 sostanzialmente rimasto anche per tutti gli anni successivi (anzi: e'
 ovviamente aumentato).
   Si tratta quindi di valutare l'applicabilita' al caso di specie del
 citato art. 7 del decreto-legge n.  384,  nonche'  la  sua  effettiva
 portata.  A  differenza  di  quanto opinano i ricorrenti, e viceversa
 coerentemente  con  le  argomentazioni  sviluppate  dalla  convenuta,
 ritiene  il pretore che il citato art. 7, pur inserito nel capo terzo
 del  decreto-legge n. 384, che porta il titolo "pubblico impiego", si
 applichi anche al personale delle  Ferrovie  dello  Stato  S.p.a.;  a
 prescindere  dal  fatto  che  tale  articolo, composto da 9 commi, si
 riferisce ai soggetti piu' disparati, (alcuni dei  quali  sicuramente
 non  appartenenti  al  pubblico impiego, per quanto latamente inteso:
 v. il primo comma), gestendo materie del tutto disomogenee tra  loro,
 resta  pur  sempre il fatto che il suo comma quinto, avente carattere
 di  generalita',  nell'accennare   sia   all'indennita'   integrativa
 speciale   di  cui  alla  legge  n.  324/59,  sia  all'indennita'  di
 contingenza prevista per il settore privato, sembra riferirsi a tutti
 quei dipendenti pubblici o di enti, aziende e societa' produttori  di
 servizi di pubblica utilita', che in qualche modo vengono ad incidere
 sul  bilancio  dello  Stato: siamo cioe' in presenza di uno dei primi
 tentativi di porre dei limiti al continuo  incremento  del  disavanzo
 pubblico;   ed   in  proposito  la  convenuta  ha  certo  buon  gioco
 nell'invocare la disposizione de qua,  anche  solo  facendo  presente
 come  ricavi  di  esercizio  coprano  a  malapena il 35% dei costi di
 gestione della societa' stessa, deficit interamente  ripianato  dallo
 Stato.   E'   quindi   ben   difficile   per   il  giudicante  negare
 l'applicabilita' alla convenuta della disposizione di  cui  trattasi,
 che,  quale  norma  di legge successiva, ben puo' modificare anche la
 previsione di cui all'art. 2108 c.c., ai  sensi  di  quanto  previsto
 dall'art.  15  delle  preleggi.  Ne' potrebbe certo sostenersi che la
 legge voleva "congelare" solo la componente "contingenza" delle varie
 voci  che  compongono  le  numerose  indennita':  la  contingenza   e
 l'indennita'  integrativa, infatti, erano ormai congelate per effetto
 del protocollo interconfederale  del  31  luglio  1992,  sottoscritto
 alcuni  mesi  prima dell'emanazione del decreto-legge n. 384/1992; la
 disposizione, per avere un significato ex art. 12 nelle preleggi, non
 puo' quindi che riferirsi all'intera voce retributiva al cui  interno
 compaia, fra le varie componenti, l'indennita' integrativa speciale o
 la contingenza (anche se ormai irreversibilmente congelata).
   Ma  a  questo  punto  si  pone un problema di compatibilita' fra la
 disposizione citata (che blocca al valore del  1992  la  retribuzione
 corrispondente   al   lavoro   straordinario)   e   l'art.  36  della
 Costituzione, che prevede  comunque  una  retribuzione  proporzionata
 alla  quantita'  e  qualita'  del  lavoro prestato. La questione deve
 considerarsi non manifestamente infondata, poiche' e' certo  che  nel
 caso   di   specie,   quantomeno   dall'ottobre  1994,  i  ricorrenti
 percepiscono una retribuzione per le ore eccedenti la  trentaseiesima
 settimanale, inferiore alla retribuzione che compensa l'ora di lavoro
 ordinario:  e  questo  implica,  paradossalmente, che da quel momento
 l'ora di straordinario,  che  in  realta'  e'  da  considerarsi  piu'
 faticosa,  e'  stata  in concreto pagata meno di quella ordinaria. La
 questione  e'  altresi'  rilevante,  poiche'  la  norma,  della   cui
 legittimita' costituzionale si dubita, e' proprio quella che consente
 all'azienda  di  non  tener conto (nel calcolo della retribuzione per
 lavoro straordinario) della dinamica  contrattuale  prevista  per  il
 lavoro  ordinario:  in  caso  di dichiarata incostituzionalita' della
 norma, infatti, riprenderebbe vigore l'art.  2108 c.c. nonche' l'art.
 44 del contratto collettivo 1990/l992,  determinandosi  in  tal  modo
 l'accoglimento di parte delle pretese attoree.
   La  Corte costituzionale ha sempre ribadito il principio secondo il
 quale  "...  la  premessa  interpretativa  del  giudice  a  quo   nel
 denunciare l'assunto vizio di incostituzionalita' non e' suscettibile
 di  revisione  da  parte  della  Corte  costituzionale, allorche', in
 mancanza di un  diritto  vivente,  dalle  premesse  l'interpretazione
 risulti  non  implausibile  secondo  gli ordinari canoni ermeneutici"
 (vedi da ultimo la sentenza n.  40/1996);  ed  in  proposito  ritiene
 opportuno  il  pretore  ribadire  che,  pur  nei  margini  di  dubbio
 "oggettivi" che non  possono  non  sussistere  nel  caso  di  specie,
 l'interpretazione  sistematica  piu'  razionale  sembra  quella sopra
 prospettata, che e'  stata  addirittura  fatta  propria  dalle  parti
 contrattuali  all'art.  5 del contratto collettivo del 1995 (e cioe':
 1) applicabilita' della  disposizione  ai  ferrovieri;  2)  effettivo
 congelamento  dell'ora  di  lavoro  straordinario ai valori dell'anno
 1992); ma e' evidente che nel caso di specie la  Corte  ben  potrebbe
 ritenere   "implausibile"   il   risultato  ermeneutico  prospettato,
 rendendo   quindi   inutile   una   ipotetica   pronuncia   ablativa:
 riprenderebbe   infatti   vigore   l'art.   2108  c.c.,  pur  con  le
 complicazioni che sicuramente a quel punto sorgerebbero, per il fatto
 (paradossale) che la contrattazione collettiva  del  1995  ha  invece
 previsto  e  ha  fatto proprio il congelamento degli "attuali importi
 scaturenti dall'applicazione dell'art. 44  del  contratto  collettivo
 1990/1992",  ipotizzando  appunto  consensualmente  l'applicazione al
 caso di specie del citato art. 7; ma si tratterebbe in ogni  caso  di
 una  complicazione  ermeneutica appartenente ad una fase successiva a
 quella del giudizio incidentale di legittimita' costituzionale.
                               P. Q. M.
   Dichiara d'ufficio non manifestamente  infondata  la  questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art. 7, comma 5, del decreto-legge
 n. 384/1992, convertito con la legge n. 438/1992, nella parte in  cui
 prevede  che  le  retribuzioni  per  lavoro straordinario - in quanto
 comprensive, per disposizioni di legge o atto amministrativo previsto
 dalla  legge  o  da  disposizione  contrattuale,  di  una  quota   di
 indennita'  integrativa  speciale  di  cui  alla  legge n. 324/1959 e
 successive modificazioni, o dell'indennita' di  contingenza  prevista
 per il settore privato o che siano comunque rivalutabili in relazione
 alle  variazioni  del costo della vita - siano corrisposte per l'anno
 1993 nella stessa  misura  dell'anno  1992,  e  questo  in  relazione
 all'art.  36  della  Costituzione,  nella parte in cui e' previsto il
 diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantita'  e  qualita'
 del  lavoro prestato;
   Ordina  alla  cancelleria  la trasmissione della presente ordinanza
 alla Corte costituzionale, ai  sensi  dell'art.  23  della  legge  n.
 87/1953,  disponendone  la  notifica  alle  parti in causa nonche' al
 presidente del  Consiglio  dei  Ministri  oltre  a  comunicazione  ai
 Presidenti delle due Camere e del Parlamento;
   Sospende il procedimento.
     Torino, addi' 9 maggio 1997
                           Il pretore: Grassi
 97C1083