N. 57 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 18 settembre 1997
N. 57 Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 18 settembre 1997 (della provincia autonoma di Trento) Sanita' pubblica - Disposizioni urgenti in materia di attivita' libero professionale della dirigenza sanitaria del Servizio sanitario nazionale - Individuazione delle caratteristiche dell'attivita' e disciplina dell'opzione tra professione intramuraria ed extramuraria - Emanazione di linee guida per l'organizzazione dell'attivita' intramuraria Adozione mediante decreti del Ministro della sanita' - Ampliamento del numero delle disposizioni concernenti la sanita' pubblica, di cui alla legge n. 662 del 1996, applicabili alla provincia di Trento - Lesione delle competenze statutarie della provincia stessa in materia di igiene, sanita', stato giuridico ed economico del personale addetto, nonche' in materia di ordinamento degli uffici e del personale - Violazione dei limiti posti all'attivita' di indirizzo e coordinamento statale nei confronti delle province autonome. (D.-L. 20 giugno 1997, n. 175, artt. 1, 2 e 4, comma 1, convertito in legge 7 agosto 1997, n. 272). (Statuto Trentino-Alto Adige, artt. 8, n. 1, 9, n. 10, e 16; d.P.R. 28 marzo 1975, n. 474; d.lgs. 16 marzo 1992, nn. 267 e 266).(GU n.42 del 15-10-1997 )
Ricorso per la provincia autonoma di Trento, in persona del presidente della Giunta provinciale pro-tempore dott. Carlo Andreotti, autorizzato con deliberazione della Giunta provinciale n. 9861 del 4 settembre 1997 (all. 1), rappresentata e difesa - come da procura speciale del 9 settembre 1997 (rep. n. 21073) rogata dalla dott.ssa Gianna Scopel capo ufficio del servizio affari generali della stessa provincia, esercitante le funzioni di ufficiale rogante (all. 2) - dagli avvocati Giandomenico Falcon di Padova e Luigi Manzi di Roma, con domicilio eletto in Roma presso lo studio dell'avv. Manzi, via Confalonieri 5, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale del d.-l. 20 giugno 1997, n. 175, convertito senza modificazioni nella legge 7 agosto 1997, n. 272, Disposizioni urgenti in materia di attivita' libero-professionale della dirigenza sanitaria del servizio sanitario nazionale, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 188 del 13 agosto 1997, e precisamente degli articoli: 2, in quanto dispone l'applicazione nella provincia autonoma di Trento dei commi 5, 8, 10, 11, 12, 13, 14, 16 (secondo periodo), 28, 29 e 33 dell'art. 1 della legge n. 662 del 1996; 1; 4, comma 1; per violazione dell'art. 9, n. 10), nonche' dell'art. 8, n. 1) dello statuto; dell'art. 16 dello statuto; delle norme di attuazione, e in particolare di quelle di cui al d.P.R. 28 marzo 1975, n. 474, (come mod. dal d.lgs. 16 marzo 1992, n. 267), e al d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266; per i profili e nei modi di seguito illustrati. F a t t o La ricorrente provincia e' titolare di potesta' legislativa e di potesta' amministrativa in materia di igiene e sanita', secondo quanto previsto dall'art. 9, n. 10) e dall'art. 16, comma 1, dello statuto speciale di autonomia. Le disposizioni statutarie sono completate e precisate dalle norme di attuazione. In particolare, l'art. 2 del d.P.R. 28 marzo 1975, n. 474, (come mod. dal d.lgs. 16 marzo 1992, n. 267 dispone che "alle province autonome competono le potesta' legislative ed amministrative attinenti al funzionamento ed alla gestione delle istituzioni ed enti sanitari" (comma 2), riconoscendo altresi' (comma 3) "le competenze provinciali relative allo stato giuridico ed economico del personale addetto alle istituzioni ed enti" sanitari, competenze da esercitarsi ai sensi e nei limiti dello statuto. Essendo il servizio sanitario nella provincia di Trento organizzato nella forma di un'unica Azienda sanitaria costituente un ente provinciale, va ricordato che la provincia autonoma ha altresi' la competenza statutaria alla disciplina del proprio personale (art. 8, n. 1, st.), competenza che si estende alla disciplina del personale degli enti provinciali. Infine, i rapporti tra la legislazione statale e la legislazione provinciale nelle materie di competenza statutaria sono disciplinati come e' noto dall'art. 2 del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266, secondo il quale la sopravveniente normativa statale non entra direttamente in vigore nella provincia, ma determina l'obbligo di adeguamento secondo le regole statutarie proprie della potesta' legislativa considerata; mentre per quanto riguarda i poteri amministrativi sintetizzati nella funzione statale di indirizzo e coordinamento l'art. 3, comma 2, dello stesso decreto dispone che i relativi atti vincolano la regione e le province autonome "solo al conseguimento degli obbiettivi o risultati in essi stabiliti" mentre l'emanazione delle norme di organizzazione eventualmente occorrenti per l'attuazione di tali atti "riservata, per quanto di rispettiva competenza, alla regione o alle province autonome". E' in questo quadro di regole e garanzie che va valutato il sopravvenire della disciplina legislativa del d.-l. 20 giugno 1997, n. 175 (convertito senza modificazioni nella legge 7 agosto 1997, n. 272), recante Disposizioni urgenti in materia di attivita' libero-professionale della dirigenza sanitaria del servizio sanitario nazionale, dl cui con il presente ricorso si chiede la dichiarazione di illegittimita' costituzionale. In effetti tali disposizioni sotto piu' profili interferiscono con il predetto sistema di garanzie, contraddicendone ad avviso della provincia autonoma di Trento le regole. In primo luogo l'art. 2 introduce profonde innovazioni nella relazione tra la legislazione sanitaria statale e le competenze della provincia, restringendo drasticamente l'area delle liberta' legislative statutarie ad essa riconosciuta. Infatti, laddove il testo originario del comma 143 dell'art. 1 della legge 23 dicembre 1996, n. 662, statuiva, in ragione del regime di autofinanziamento provinciale del servizio sanitario locale, la non applicazione nel territorio provinciale delle disposizioni di cui ai commi da 1 a 44 dello stesso articolo, la normativa del decreto-legge stabilisce ora (sostituendo la precedente disposizione) che "a decorrere dal 1 gennaio 1997, non si applicano alla regione Valle d'Aosta e alle province autonome di Trento e Bolzano le disposizioni di cui ai commi 1, 2, 3, 4, 16, primo periodo, 17, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 27, 30, 32, 34, 36, 37 e 38 dell'art. 1". Per differenza, risulta dunque disposta la diretta applicazione delle disposizioni che prima non si applicavano, e delle quali viene ora invece implicitamente ma con certezza disposta l'applicazione, senza affatto preoccuparsi dei meccanismi statutari sopra descritti. Talune di tali disposizioni - e precisamente i commi 5, 8, 10, 11, 12, 13, 14, 16 (secondo periodo) 28, 29 e 33 - riguardano in modo particolare le materie di competenza provinciale, sia disciplinando un aspetto importante dello stato giuridico del personale quale quello della possibilita' di esercitare la libera professione sia disciplinando altri aspetti organizzativi connessi o non connessi alla libera professione. Inoltre, talune di tali disposizioni - e segnatamente i commi 12, 14 e 33, attribuiscono nelle materie provinciali compiti di indirizzo e normativi ad organi politico-amministrativi statali. L'applicazione di tali disposizioni viene cosi ad introdurre la provincia autonoma di Trento nel "sistema" statale della disciplina dell'attivita' libero- professionale della dirigenza sanitaria del servizio sanitario nazionale senza alcuna mediazione del legislatore locale. Allo stesso modo operano inoltre le nuove disposizioni dell'art. 1 e dell'art. 4, comma 1, del d.-l. 20 giugno 1997, n. 175, le quali entrambe conferiscono al Ministro della sanita' poteri normativi o di indirizzo. L'art. 1 infatti - estendendo i poteri gia' previsti dal comma 14 dell'art. 1 legge n. 662/1996 - assegna al Ministro il compito di individuare le "caratteristiche dell'attivita' libero-professionale intramuraria del personale medico e delle altre professionalita' delle dirigenza sanitaria del Servizio sanitario nazionale", le "categorie professionali e gli enti o soggetti ai quali si applicano le disposizini sull'attivita' intramuraria", nonche', inoltre, la "opzione tra attivita' libero-professionale intramuraria ed extramuraria, le modalita' del controllo del rispetto delle disposizioni sull'incompatibilita', le attivita' di consulenza e consulto"; mentre l'art. 4, comma 1, assegna al Ministro della sanita' il compito di emanare le "linee guida dell'organizzazione dell'attivita' libero-professionale intramuraria". Sennonche', tali disposizioni, che inseriscono la provincia in un sistema di potesta' legislative ed amministrative statali incompatibili con le accennate regole statutarie e di attuazione, appaiono violare l'autonomia ad essa costituzionalmente garantita, per le seguenti ragioni di D i r i t t o Illegittimita' costituzionale delle disposizioni impugnate in quanto in violazione delle regole statutarie rendono direttamente applicabile nel territorio provinciale la disciplina statale e stabiliscono poteri normativi e di indirizzo in via amministrativa. Come accennato in narrativa, l'originario testo del comma 143 dell'art. 1 della legge 23 dicembre 1996, n. 662, disponeva che "non si applicano, alla regione Valle d'Aosta e alle province autonome di Trento e di Bolzano, le disposizioni di cui ai commi da 1 a 44" dello stesso articolo. Cio' accadeva anche in relazione ad un ragionamento e ad una logica esplicitate nello stesso comma 143, ove era precisato che "la regione Valle d'Aosta e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono al finanziamento del Servizio sanitario nazionale nei rispettivi territori ... senza alcun apporto a carico del bilancio dello Stato", e che "di conseguenza" si disponeva la non applicazione delle disposizioni sopra indicate. La nuova disposizione dell'art. 2 del d.-l. 20 giugno 1997, n. 175, rappresenta dunque un parziale ripensamento del legislatore statale: il quale, pur mantenendo immutato lo stesso ragionamento quale premessa, dispone ora la "non applicazione" di un numero piu' ridotto di commi dell'art. 1 della legge n. 662/1996. Ora, non si vuole qui certo sostenere che la generale non applicazione di commi da 1 a 44 corrispondesse integralmente ad una rigida necessita' di ordine costituzionale, e che dunque il legislatore statale non potesse in nessuna misura ritornare sulle sue scelte: ma e' evidente tuttavia che - mentre la "non applicazione" delle disposizioni in questione non poneva alcun particolare problema, ma corrispondeva semplicemente ad un radicale "lasciare al di fuori" dalla normativa in questione la provincia autonoma di Trento e le altre istituzioni interessate senza neppure un dovere di adeguantento entro i limiti statutari, il far rientrare invece le province autonome nell'ambito generale della disciplina pone il problema della compatibilita' di tale disciplina e del suo modo di operare con le disposizioni statutarie e di attuazione poste a tutela dell'autonomia delle istituzioni del Trentino-Alto Adige. Il decreto-legge qui impugnato invece non affronta affatto questo problema, e si limita a ridurre drasticamente l'area dell'"esonero" precedentemente disposto dall'applicazione della normativa statale, lasciando supporre che le disposizioni per le quali ora non e' disposto e rinnovato l'esonero sono destinate ad applicarsi hic et nunc immediatamente ed in tutti i loro dettagli, nel territorio provinciale, in violazione delle garanzie statutarie ed in particolare di quanto disposto sia in relazione al rapporto tra legge statale e leggi locali, sia in relazione al rapporto tra indirizzi statali ed attuazione locale, dagli artt. 2 e 3 del decreto legislativo n. 266 del 1992. Per vero, occorre sottolineare che la disposizione qui impugnata testualmente non esclude la possibilita' di intendere il senso complessivo delle disposizioni del decreto-legge e delle disposizioni della legge n. 662 del 1996 ora "non eccettuate" in modo conforme alle garanzie statutarie. Dovrebbe dirsi, allora, che la riduzione dell'area della radicale "non applicazione" delle disposizioni dell'art. 1 della legge n. 662 non implica affatto che le disposizioni ora non eccettuate si applichino direttamente ed immediatamente, e non attraverso i meccanismi statutari. Dovrebbe dirsi, in altre parole, che il senso della "applicazione" ora disposta di talune disposizioni, e precisamente - per quanto concerne la presente impugnazione - dei commi 5, 8, 10, 11, 12, 13, 14, 16 (secondo periodo), 28, 29 e 33, non e' quello di stabilirne la diretta applicazione, ma quello di far scattare il caratteristico dovere di adeguamento della legislazione provinciale, ai sensi dell'art. 2 del decreto legislativo n. 266/1992, nei soli limiti (dei principi generali dell'ordinamento, delle riforme, degli obblighi internazionali, ecc.) in cui tale adeguamento e' imposto dallo statuto in relazione alla materia di cui trattasi. E dovrebbe dirsi altresi' che anche i poteri "amministrativi", o piuttosto di integrazione normativa e di indirizzo, stabiliti sia dall'art. 1 della legge n. 662 del 1996 (in particolare commi 12, 14 e 33), sia quelli previsti dallo stesso decreto-legge n. 175 del 1997 agli artt. 1 e 4, comma 1, al di la' del contenuto stesso ad essi attribuito dalle disposizioni legislative che li prevedono (in larga misura di carare normativo, e non suscettibile di essere ricondotto ad una funzione di indirizzo), non estendono la loro capacita' di vincolo al di la' di quanto disposto per gli atti di indirizzo e coordinamento dall'art 3, commi 2, 3 e 7, del decreto legislativo n. 266 del 1992. In sintesi, tale "interpretazione costituzionalmente conforme" muoverebbe dalla considerazione che la normativa statale e' nella sua redazione letterale influenzata dal fatto che essa si riferisce in definitiva a realta' istituzionali diverse (per materie di competenza e per garanzie) da quella propria del Trentino-Alto Adige, e che pertanto la sua "applicazione" a tale realta' istituzionale non puo' avvenire sulla base del tenore letterale delle disposizioni statali (sia sostanziali che attributive di poteri ad altri organi statali), ma sulla base di un "adeguamento interpretativo ed applicativo" di tali disposizioni ai meccanismi propri delle garanzie statutarie del Trentino-Alto Adige. Ove diversamente intesa, invece, la normativa statale si manifesta costituzionalmente illegittima per le ragioni indicate, che risultano confermate anche da un piu' analitico esame delle singole disposizioni impugnate. L'esame deve in primo luogo concentrarsi sulle disposizioni legislative direttamente interferenti con la competenza della provincia autonoma di Trento, ora applicabili anche nel territorio provinciale in quanto non escluse dall'art. 2 del decreto-legge n. 175 del 1997. Un gruppo di tali disposizioni riguardano la disciplina dell'esercizio della libera professione intramuraria e della relativa opzione. Esse si riferiscono - non sempre distinguendo - sia ad aspetti che potrebbero dirsi di principio, sia ad aspetti di dettaglio, sia infine ad aspetti piu' marcatamente organizzativi; ma in tutti i modi esse riguardano materie di competenza provinciale, tanto in relazione alla disciplina del personale, quanto in relazione agli aspetti organizzativi. Per gli uni e gli altri infatti la competenza provinciale e' espressamente e chiaramente disposta dall'art. 2 del d.P.R. 28 marzo 1975, n. 474. Cosi' il comma 5 parte da una disposizione che puo' dirsi di principio, secondo cui l'opzione per l'esercizio della libera professione intramuraria "e' incompatibile con l'esercizio di attivita' libero professionale": disposizione che per altro e' subito accompagnata da un'altra di rango molto meno elevato, di tipo prettamente organizzativo, secondo cui l'attivita' consentita sarebbe comunque "da espletare dopo aver assolto al debito orario". Vi e' poi il divieto, non certo di grande principio ed anzi opinabile per la sua assolutezza, di svolgimento dell'attivita' presso strutture diverse da quella di appartenenza: cosa che potrebbe anche essere organizzativamente controproducente rispetto alle esigenze di un adeguato utilizzo delle risorse professionali interne. Vi e' infine una disposizione di pura competenza organizzativa, la' dove si dispone che "l'accertamento delle incompatibilita' compete, anche su iniziativa di chiunque vi abbia interesse, al direttore generale dell'azienda ospedaliera o dell'unita' sanitaria locale". Il comma 8 dispone in modo diretto altre norme organizzative: stabilendo la responsabilita' dei direttori generali per l'attivazione e l'organizzazione "d'i'ntesa con le regioni" dell'attivita' libero professionale intramuraria, ponendo ad essi il dovere di "comunicare alle regioni il quantitativo e la tipologia delle strutture attivate nonche' il numero di operatori sanitari che possono potenzialmente operare in tali strutture", nonche' il compito di individuare "nell'ambito dell'applicazione delle norme contrattuali, istituti incentivanti l'attivita' libero professionale intramuraria". Il comma 10 prevede in una data precisa, immodificabile ed identica per tutto il paese - precisamente il "31 marzo 1997" - il termine per la comunicazione dell'opzione nelle strutture ove l'attvita' intramuraria risulti gia' organizzata, disponendo altresi' che il silenzio si presume opzione per tale attivita', ed aggiunendo che l'opzione vale per tre anni. A prescindere dal carattere di dettaglio, e di per se' arbitrario, di tale periodo in relazione alle esigenze organizzative (che potrebbero portare a preferire un vincolo piu' breve o piu' lungo), non si comprende che valore possa avere l'estensione alla ricorrente provincia di un termine non solo arbitrariamente fissato ma addirittura gia' scaduto nel momento dell'estensione. Il comma 11 contiene anch'esso norme organizzative di dettaglio, fissando il termine per l'opzione presso le strutture in cui l'attivita' intramuraria non risulti gia' organizzata in 30 giorni dalla comunicazione dell'attivazione da parte del direttore generale. Il comma 12 contiene norme eterogenee, da un lato affidando al Presidente del Consiglio dei Ministri il compito di indicare all'ARAN "i criteri per l'attribuzione di un trattamento economico aggiuntivo al personale che abbia optato per l'esercizio della libera professione intramuraria", dall'altro stabilendo in termini organizzativi che la relativa opzione costituisca "titolo di preferenza per il conferimento di incarichi comportanti direzioni di struttura ovvero per l'accesso agli incarichi di dirigenti del ruolo sanitario di secondo livello". Il comma 13 pone un vincolo alla negoziazione per il rinnovo della convenzione di medicina generale, stabilendo che in essa "si tiene conto dei principi stabiliti dal presente articolo" e non meglio precisati (nonostante che l'articolo abbia un abnorme numero di commi). Il comma 14 conferisce al Ministro della sanita', in spregio di ogni principio di autonomia, addirittura il compito di "fissare i termini per l'attuazione dei commi 8, 11 e 12" ed inoltre di fissare "le modalita' per il controllo del rispetto delle disposizioni sulla incompatibilita', nonche' la disciplina dei consulti e delle consulenze". Come si dira' tali poteri prettamente normativi, ad avviso della ricorrente provincia gia' abnormi e privi di fondamento costituzionale, sono stati ulteriormente aumentati dal decreto-legge qui impugnato. Il comma 16, secondo periodo, fa obbligo alle regioni di tenere conto dell'organizzazione dell'attivita' libero professionale intramuraria "in sede di verifica dei risultati amministrativi e di gestione ottenuti dal direttore generale dell'unita' sanitaria locale e dell'azienda ospedaliera", sia "ai sensi dell'art. 1, comma 6 del d.-l. 27 agosto 1994, n. 512" (verifica dei risultati ad un anno dalla nomina, ed eventuale revoca), sia anche ai fini della corresponsione di una quota integrativa del trattamento economico, interferendo nella disciplina generale del rapporto tra azienda sanitaria e direttore generale. Si consideri, d'altronde, da un lato che l'art. 1, comma 6 del citato decreto-legge e' gia' stato dichiarato costituzionalmente illegittimo da codesta ecc.ma Corte costituzionale con la sentenza n. 373 del 1995 in relazione alla provincia autonoma di Bolzano, per ragioni che trovano perfetta corrispondenza anche per la provincia autonoma di Trento (onde l'illegittimita' costituzionale non solo della norma richiamata ma di ogni suo ulteriore richiamo); dall'altro che il riferimento alla quota integrativa del trattamento economico spettante ai direttori generali in base alla normativa statale non puo' essere esteso alle province autonome, dotate di propria specifica disciplina in materia (disciplinata in particolare dall'art. 16 della legge provinciale 1 aprile 1993, n. 10). Ora, un simile complesso di disposizioni, con il suo confuso intreccio di ogni tipo di norme, mostra di per se' su un piano generale (e non solo in relazione alla ricorrente provincia) la cronica incapacita' del legislatore statale - e prima ancora degli apparati ministeriali che di fatto determinano i contenuti della legislazione, soprattutto per quanto riguarda le leggi finanziarie - di rispettare il ruolo loro proprio nello "Stato regionale" di determinazione dei principi e dei criteri destinati ad orientare e vincolare i legislatori locali, che dovrebbero pur sempre restare i diretti ed autorevoli creatori della disciplina dell'organizzazione e dell'azione degli apparati amministrativi destinati a dare corpo alle loro responsabilita' costituzionali. E' evidente infatti che una simile legislazione riduce le regioni al rango di amministrazione disciplinata, degradandone l'autorevolezza di fronte alla comunita' regionale ed alle amministrazioni infraregionali, e distruggendone in definitiva ogni autonoma responsabilita'. Ma non e' qui il luogo per una considerazione generale di questo fenomeno: e' invece il luogo per rilevare che le speciali garanzie statuite per le autonomie del Trentino-Alto Adige, in particolare con le norme di attuazione contenute nel decreto legislativo n. 266 del 1992, sono rivolte proprio ad evitare un siffatto continuo ingresso e sovrapposizione della normazione statale nell'ordinamento locale e ad assicurare, pur nei limiti e nel rispetto dei vincoli statutari, l'autonomia e la responsabilita' del legislatore locale e delle scelte amministrative. Accanto al gruppo di disposizioni concernenti la disciplina dell'attivita' professionale intramuraria l'art. 2 del decreto-legge qui impugnato rende applicabili nella provincia di Trento altre disposizioni. Tra queste, il comma 28 introduce il vincolo per i medici del servizio sanitario al rispetto di percorsi diagnostici e terapeutici determinati in sede ministeriale e tecnica. Si noti che tale vincolo ha una funzione puramente finanziaria, essendo espressamente finalizzato "allo scopo di assicurare l'uso appropriato delle risorse sanitarie e garantire l'equilibrio delle gestioni". In questi termini, sembra chiaro che proprio il presupposto dell'autofinanziamento provinciale del servizio sanitario locale avrebbe dovuto portare il legislatore statale a rispettare l'autonomia provinciale nella decisione sulla opportunita' di tale vincolo. La sua estensione alla provincia di Trento contraddice dunque - oltre alle regole sui rapporti tra legislazioni - la stessa autonomia finanziaria locale in relazione al servizio sanitario provinciale pure a parole riconosciuta dal legislatore. Inoltre, tali percorsi diagnostici, che dovrebbero importi anche al servizio sanitario provinciale, sono determinati in sede centrale senza alcuna partecipazione locale, dato che essi sono, secondo la legge, "individuati ed adeguati sistematicamente dal Ministro della sanita', avvalendosi dell'Istituto superiore di sanita', sentite la Federazione nazionale dell'ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri e le societa' scientifiche interessate". Dunque in questo procedimento pur sotto altri profili "partecipativo" (si pensi appunto alle societa' scientifiche interessate, di cui e' addirittura obbligatoria la consultazione) le articolazioni locali del servizio sanitario, e le regioni e province autonome che le esprimono, non sono neppure sentite. Ne' varrebbe obbiettare che si tratta di decisioni di carattere "tecnico", dato che l'intera attivita' del servizio sanitario, di cui le regioni e province autonome sono pure le responsabili costituzionali, ha appunto carattere tecnico, e dato che quelle esperienze, sulla cui base soltanto effettivi percorsi terapeutici localmente significativi - che non siano la mera riproduzione degli standard internazionali - possono essere determinati. Senza dire che le scelte sui percorsi terapeutici non hanno in realta' carattere puramente tecnico, essendo ovviamente influenzate da fattori di costo e di impiego delle risorse nelle diverse metodologie, problemi su cui e' primariamente impegnata la responsabilita' locale. Ed infatti il seguente comma 29 si preoccupa di stabilire un sistema informativo per "acquisire" al centro le conoscenze locali; ma cio' viene fatto in pratica "saltando" il livello delle istituzioni responsabili del servizio sanitario ed in termini di pura acquisizione di conoscenze e non di partecipazione alle scelte. Illegittima appare percio' l'esclusiva riserva allo Stato di tali determinazioni, senza neppure la partecipazione della ricorrente provincia. Infine, lo stesso comma 28 prevede che sia il Ministro della sanita' a fissare - sia pure stavolta "d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano" - a stabilire "gli indirizzi per l'uniforme applicazione dei percorsi stessi in ambito locale e le misure da adottare in caso di mancato rispetto dei protocolli medesimi ivi comprese le sanzioni a carico del sanitario che si discosti dal percorso diagnostico senza giustificati motivi". Ora, mentre da un lato - come meglio si dira' - l'attribuzione al Ministro della sanita' di un potere di normazione secondaria in materia (quale ovviamente e' il potere di stabilire le sanzioni) e' radicalmente incostituzionale, anche l'attribuzione al singolo Ministro della funzione di indirizzo risulta contrastante con il principio di collegialita' governativa della funzione e della non sottoposizione delle autonomie a diretti poteri ministeriali. Rimane comunque fermo che l'atto di indirizzo - in quanto rivolto alla ricorrente provincia - dovrebbe altresi' seguire le regole sostanziali e procedurali di cui all'art. 3 del decreto legislativo n. 266 del 1992. Il comma 29 disciplina, come accennato, l'attivazione dei sistemi informativi per la rilevazione dei dati necessari ai "fini di programmazione, controllo e valutazione dell'attivita' assistenziale e prescrittiva facente capo ai singoli medici e per la valutazione dei percorsi", nonche' della "fornitura dei dati alle regioni e al Ministero della sanita'". Di cio' vengono resi responsabili i direttori generali, sulla base "degli indirizzi del livello centrale e regionale". E' palese l'invasivita' di tali disposizioni, in quanto riferite alla ricorrente provincia. A parte il cenno ad "indirizzi" del tutto atipici, che non si sa neppure da quali autorita' dovrebbero venire, volti soltanto a stabilire una sorta di raccordo gerarchico tra i direttori generali ed il Ministero, la normativa statale si sostituisce direttamente a quella locale, che risulterebbe persino inutile, nella disciplina dei compiti e delle responsabilita' dei direttori generali in relazione a quelli delle autorita' provinciali o di altre articolazioni del servizio sanitario provinciale, secondo le determinazioni da assumere con legge provinciale. Non meno illegittima ed invasiva appare l'ulteriore disposizione dello stesso comma, seondo cui il Ministero puo' attivare "forme campionarie di rilevazione" - evidentemente al livello locale, senza neppure dover necessariamente stringere a questo scopo accordi con la provincia. Il comma 33 dispone che "con decreto del Ministro della sanita' da emanare entro il 2 febbraio 1997 sono fissati i termini e le sanzioni per eventuali inadempienze degli amministratori, per la completa attuazione delle disposizioni di cui all'art. 5, commi 4 e 5, del d.lgs. 30 dicembre 1992 n. 502". In attuazione di tale disposizione e' stato emanato il decreto 25 febbraio 1997, il quale e' stato impugnato dalla provincia autonoma di Trento con ricorso per conflitto di attribuzioni. Infatti, nonostante che per il precedente disposto del comma 143 dell'art. 1 legge n. 662/1996 il comma 33 non si applicasse alle province autonome, esse erano state ugualmente incluse tra i destinatari del provvedimento statale. La cessazione della condizione di "non applicazione" ora disposta per il comma 33 verrebbe a fornire ex post all'inclusione della provincia autonoma di Trento tra i destinatari del d.m. 25 febbraio 1997 quella base legislativa che prima radicalmente mancava. Senonche' ad avviso della ricorrente provincia l'estensione alle province autonome dell'ambito di operativita' del comma 33 e' costituzionalmente illegittima sia per ragioni che attengono ad una illegittimita' per cosi' dire generale della previsione del potere ministeriale, sia per ragioni che attengono in modo specifico al regime particolare dell'autonomia disposta per il Trentino-Alto Adige. Sotto il primo profilo non spetta e non puo' spettare al Ministro - e la legge ordinaria non puo' attribuire il corrispondente potere - ne' il compito di fissare i termini temporali entro i quali le regioni debbano emanare le proprie leggi, ne' il compito di disciplinare con atto di normazione secondaria ed in sostituzione dell'esercizio della potesta' legislativa e normativa locale, le sanzioni cui eventualmente debbano incorrere gli amministratori delle unita' sanitarie per inadempimenti di compiti gestionali ad essi spettanti. Sotto il secondo profilo, appare evidente da un lato che la pretesa di attribuire al Ministro il compito di stabilire termini per il legislatore regionale contraddice l'art. 2 del decreto legislativo n. 266 del 1992, laddove esso assegna al solo legislatore statale il compito di determinare il termine per l'adeguamento provinciale alla legislazione statale; dall'altro che non puo' certo spettare al Ministro di disciplinare direttamente in luogo della provincia gli inadempimenti e le sanzioni dei direttori generali, cosa che non spetterebbe neppure al legislatore statale per il disposto dello stesso art. 2 sopra citato. Si e' gia' nell'esposizione dei motivi sottolineata in modo specifico l'illegittimita' costituzionale dell'applicazione alla ricorrente provincia delle disposizioni che, come il comma 14 ed il comma 33 della legge n. 662 del 1996, attribuiscono al Ministro della sanita' funzioni di carattere prettamente normativo. Ma il legislatore del decreto-legge qui impugnato non solo ha disposto tale applicazione, ma ha anche ulteriormente rafforzato tali poteri normativi, estendendoli ad oggetti prima non previsti. In effetti, l'art. 1 di tale decreto estende i poteri gia' previsti dal comma 14 dell'art. 1 legge n. 662/1996, ed assegna ora al Ministro il compito di individuare le "caratteristiche dell'attivita' libero-professionale intramuraria del personale medico e delle altre professionalita' della dirigenza sanitaria del Servizio sanitario nazionale", le "categorie professionali e gli enti o soggetti ai quali si applicano le disposizioni sull'attivita' intramuraria", nonche', inoltre, la "opzione tra attivita' libero-professionale intramuraria ed extramuraria, le modalita' del controllo del rispetto delle disposizioni sull'incompatibilita', le attivita' di consulenza e consulto" mentre l'art. 4 comma 1, assegna al Ministro della sanita' il compito di emanare le "linee guida dell'organizzazione dell'attivita' libero-professionale intramuraria". Ora, tutti tali oggetti rientrano pro quota sia nella disciplina del personale, sia nella disciplina dell'organizzazione, sia nella disciplina generale dell'erogazione del servizio sanitario: oggetti tutti di competenza della ricorrente provincia, in relazione ai quali dunque pienamente operano - nei termini gia' sopra esposti - le regole sui rapporti di' necessario adeguamento tra legge statale e legge provinciale e l'impossibilita' di affidamento di compiti di normazione secondaria ad un Ministro. Analogamente, il comma 1 dell'art. 4 del decreto-legge qui impugnato affida al Ministro della sanita' il compito di definire le "linee guida dell'organizzazione dell'attivita' libero-professionale intramuraria". Anche in questo caso si tratta di un improprio conferimento di poteri normativi, come e' confermato dal concreto contenuto delle Linee guida dell'organizzazione dell'attivita' libero-professionale intramuraria della dirigenza sanitaria del Servizio sanitario nazionale emanate con decreto del Ministro della sanita' del 31 luglio 1997 (in Gazzetta Ufficiale n. 181 del 5 agosto 1997), nel quale si conferiscono addirittura poteri regolamentari ai direttori generali si stabiliscono i contenuti di detti regolamenti e si pongono in generale le regole organizzative del sistema. Di certo non basta escogitare per gli atti normativi nuovi nomi, nomi che "evocano" ma non stabiliscono una funzione di puro indirizzo, e non basta giocare sull'ambiguita' cosi' creata delle parole per legittimare il conferimento al Ministro della sanita' di un potere di disciplina secondaria dell'assistenza sanitaria e dell'organizzazione delle aziende erogatrici, che arbitrariamente si sovrappone alle potesta' riconosciute agli enti autonomi, ed in particolare alla ricorrente provincia.
Tutto cio' premesso, la ricorrente provincia autonoma di Trento, come sopra rappresentata e difesa, chiede voglia l'eccellentissima Corte costituzionale dichiarare l'illegittimita' costituzionale degli articoli e disposizioni impugnati, per violazione dello statuto di autonomia e delle relative norme di attuazione, cosi' come indicato in premessa ed illustrato nel ricorso. Padova-Roma, addi' 10 settembre 1997 Avv. prof. Giandomenico Falcon - avv. Luigi Manzi 97C1087