N. 668 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 luglio 1997
N. 668 Ordinanza emessa il 9 luglio 1997 dalla Corte d'appello di Venezia nel procedimento di ricusazione proposto da Bergamini Adelio Processo penale - Dibattimento (nella specie, in sede di appello) - Incompatibilita' a partecipare al giudizio nei confronti di un imputato del giudice che abbia pronunciato o concorso a pronunciare precedente sentenza nei confronti dello stesso su reato formalmente concorrente con quello sul quale e' chiamato a decidere - Lamentata omessa previsione - Lesione del principio di ragionevolezza - Compressione del diritto di difesa. (C.P.P. 1988, art. 34). (Cost., artt. 3 e 24).(GU n.41 del 8-10-1997 )
LA CORTE DI APPELLO Ha pronunciato la seguente ordinanza nei confronti di Bergamini Adelio nato il 18 febbraio 1946 a Canaro (Rovigo), residente a Polesella, via Nazionale, 2430. Nell'udienza dibattimentale celebrata innanzi il tribunale di Rovigo il 10 aprile 1997 Bergamini Adelio ha presentato dichiarazione di ricusazione nei confronti dei componenti il collegio. Assume il dichiarante che i fatti addebitatigli, di violazione della legge penale tributaria (art. 1, comma 2, lett. b), legge n. 516/1982), integrano un reato in concorso formale con il delitto di bancarotta (artt. 223, in rel. 216, comma 1, n. 1), e 219 legge fallimentare) per il quale e' stato gia' giudicao dal tribunale di Rovigo nella medesima composizione. Di qui la condizione di "prevenzione" in cui versano, secondo il ricusante, i magistrati chiamati a nuovamente giudicarlo. Una tale condizione, reale o anche solo temuta, ha condotto la Corte costituzionale - in specie nella sentenza n. 371/96 - a ritenere illegittimo l'art. 34 c.p.p. quanto alla mancata previsione come causa di incompatibilita' della situazione in cui il giudice si sia "comunque" espresso sulla res iudicanda. Nel caso di specie l'incompatibilita' sussiste "a maggior ragione", a dire del ricusante, atteso che il giudice si e' pronunciato sull'identico fatto materiale, seppure sotto il profilo di una diversa violazione di legge. Cio' premesso, all'esito dell'odierna udienza camerale, sentite le parti, osserva la Corte: diversamente da quanto reputa il ricusante, la situazione all'esame di questa Corte non puo' dirsi risolta, se non ricorrendo a un'inammissibile (stante l'eccezionalita' delle ipotesi negatrici della capacita' del giudice di decidere una res iudicanda concretamente ricadente nella sua competenza) interpretazione analogica, dalla sentenza n. 371/96 della Corte costituzionale per un duplice ordine di ragioni: a) in essa la Corte fa riferimento all'ipotesi in cui il giudice si sia espresso sulla posizione di soggetto estraneo al processo, laddove nel caso in esame trattasi di pronuncia relativa al soggetto di un precedente processo, successivamente chiamato a rispondere di un reato concorrente ex art. 81, comma 1, c.p.; b) nel caso in esame il giudice non si e' anteriormente pronunciato incidenter sulla medesima o su una connessa imputazione, ma si e' pronunciato principaliter sulla medesima condotta (azione od omissione) oggetto della successiva res iudicanda. Si aggiunga che, se nella sentenza n. 371/96 fosse presente una ratio lato sensu "sanzionatoria" nei confronti del giudice il quale si esprima su posizioni di soggetti estranei al processo e come tali non in grado di esercitare i diritti della difesa, tale ratio non sarebbe in nessun modo riferibile al caso in esame. Ne segue che la dichiarazione andrebbe respinta, perche' prospettante situazione estranea a quelle codificate nell'art. 34 c.p.p. e a quelle ricondottevi dalle progressive estensioni conseguenti alle pronunce di illegittimita' costituzionale. Peraltro, questa Corte prospetta ex officio la questione di legittimita' della citata disposizione nella parte in cui non include tra le cause di incompatibilita' la sopra descritta situazione. Il comune criterio delle pronunce di illegittimita' costituzionale, indicato come "forza della prevenzione" - consistente nella menomazione, almeno sul piano dell'apparenza, dell'imparzialita', che discenderebbe dalla minore capacita', radicata in una ritenuta autosoggezione psicologica, di modificare una posizione in precedenza assunta su una determinata quaestio facti - ha condotto la Corte costituzionale a negare che il giudice, il quale si sia pronunciato sulla res iudicanda, anche solo per valutare il profilo della sussistenza di gravi indizi di reita', possa poi pronunciare o concorrere a pronunciare sentenza nel medesimo processo e ad affermare l'incompatibilita' del giudice il quale si sia espresso in sentenza seppure incidenter tantum sulla posizione collegata di un soggetto. Tale essendo la ratio delle numerose pronunce del giudice delle leggi in tema di art. 34 c.p.p., la medesima si attaglia alla situazione in esame talche' la questione di legittimita' appare non manifestamente infondata. Nel caso in oggetto i medesimi magistrati, quali componenti del medesimo organo giudicante collegiale dopo aver deciso su un determinato comportamento (azione od omissione) sono chiamati a decidere nei confronti del medesimo imputato in ordine a un'accusa che assume come punto di riferimento fenomenico l'identico comportamento, seppure sotto un diverso profilo, per ricondurlo a un titolo di reato formalmente concorrente con quello sul quale si sono gia' pronunciati. Il Bergamini - risulta dagli allegati alla sua dichiarazione - e' stato dapprima giudicato (sentenza 20 febbraio 1997) per il delitto di bancarotta (artt. 223, prima parte, in relazione 216, prima parte, n. 1, e 219, prima parte e cpv., n. 1, r.d. 16 marzo 1942, n. 267). Nel capo di imputazione gli si addebitava di avere, quale amministratore di societa' dichiarata fallita, distratto merce per L. 74.994.000 ovvero l'importo corrispondente a detta merce. Oggi deve rispondere del reato tributario di cui all'art. 1, comma 2, legge n. 516/1982 per aver effettuato cessioni per il controvalore di L. 74.994.000, ossia esattamente le cessioni dell'identica merce, senza fatturarle e senza annotarle nelle scritture contabili obbligatorie. Pertanto, le cessioni dell'identica merce, non contabilizzate, hanno determinato, secondo l'ipotesi accusatoria, sia la distrazione della merce o del suo controvalore, sia la violazione della disciplina tributaria. Non v'e' dubbio che, come afferma il p.g. nell'esprimere parere contrario alla dichiarazione di ricusazione, trattasi di ipotesi di reato diverse. Ma e' altrettanto vero che la sentenza del tribunale di Rovigo 20 febbraio 1997 ricomprende tra le imputazioni quella concernente la sottrazione della stessa somma oggetto dell'imputazione di cui al presente procedimento. Il pregnante collegamento, d'altronde, resta confermato dalla circostanza che il medesimo accertamento della Polizia giudiziaria costituisce il presupposto sia dell'azione penale per bancarotta a carico del Bergamini, sia dell'azione penale per il reato tributario ascritto al medesimo. Va aggiunto che dalla motivazione della sentenza 20 febbraio 1997 risulta che il Tribunale ha espressamente fondato la conclusione della responsabilita' del Bergamini in ordine alla bancarotta sull'accertamento della mancata giacenza delle merci, dell'importo di L. 74.994.000, la cui cessione non documentata costituisce il fulcro dell'odierna imputazione. Va da ultimo considerato che il tribunale, nella motivazione della citata sentenza, ha affermato che "le scritture contabili non presentano al riguardo (ossia in relazione alla cessione delle merci per il controvalore di L. 74.994.000) alcuna annotazione", con cio' essendosi espresso - doverosamente, stante l'imputazione di bancarotta - sulla parte essenziale dell'odierna imputazione a carico del Bergamini. Circa la rilevanza della questione, e' sufficiente notare che, se ritenuta fondata, la dichiarazione di ricusazione dovrebbe essere accolta, laddove - lo si e' detto - andrebbe respinta alla stregua della vigente disciplina processuale.
P. Q. M. Visto l'art. 23, comma terzo, legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 34 c.p.p., in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione, nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio nei confronti di un imputato il giudice che abbia pronunciato o concorso a pronunciare precedente sentenza, nei confronti del medesimo imputato, su reato formalmente concorrente, ai sensi dell'art. 81, comma primo, c.p., con quello sul quale e' chiamato a decidere; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Sospende il giudizio incidentale in corso; Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata all'imputato, al procuratore generale presso questa Corte e al Presidente del Consiglio dei Ministri e che ne sia data comunicazione ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi deciso in Venezia, addi' 9 luglio 1997. Il presidente: Nunziante I consiglieri: Tamburino-Lanza 97C1107