N. 12 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 29 gennaio 1997

                                 N. 12
  Ricorso per questione di legittimita' costituzionale  depositato  in
 cancelleria il 29 gennaio 1997 (della regione Lombardia)
 Agricoltura  -  Regime  comunitario  di produzione lattiera - Rientro
    nelle  quote  stabilite  -  Disciplina  adottata   in   legge   di
    conversione,  con moditicazioni, del d.-l. 23 ottobre 1996, n. 552
    - Prevista pubblicazione, da parte dell'AIMA, entro  il  31  marzo
    1996,  di  appositi  bollettini di aggiornamento degli elenchi dei
    produttori titolari di quota e dei quantitativi ad essi  spettanti
    nel   periodo   1995-1996   -   Attribuzione  a  tali  bollettini,
    integralmente sostitutivi di quelli precedenti, della efficacia di
    accertamento definitivo delle posizioni individuali,  con  effetto
    vincolante  anche  nei  confronti  degli acquirenti, ai fini della
    trattenuta e del versamento supplementare eventualmente  dovuto  -
    Adozione  di  un sistema di impugnazioni avverso le determinazioni
    dell'AIMA,     che,     data     la     confermata      esclusione
    dell'autocertiticazione  dei  quantitativi prodotti, gia' prevista
    da legge precedente, e  la  evidente  impraticabilita'  della  pur
    prevista  opposizione  (ma  con  applicazione del silenzio-rifiuto
    alla scadenza di un termine di soli  trenta  giorni)  alla  stessa
    AIMA,   costringe  gli  interessati,  nella  loro  generalita',  a
    ricorrere   all'autorita'   giurisdizionale,    con    conseguenti
    prolungate  e  onerose  incertezze  -  Imposizione  di un sistema,
    riguardo alla consentita compensazione tra le  maggiori  e  minori
    quantita'  di  prodotto  consegnate,  accentrato  sull'AIMA  e  da
    effettuarsi solo a livello  nazionale,  con  pregiudizio  per  gli
    interessi   dei   produttori   lombardi   -   Effettuazione  della
    compensazione, da parte dell'AIMA (con obbligo, per gli acquirenti
    di versare il dovuto prelievo supplementare entro  il  31  gennaio
    1997)  tenendo  conto  dell'esito  dei ricorsi, con la conseguente
    impossibilita' per gli interessati che hanno proposto  i  ricorsi,
    di  avvalersi della compensazione - Impossibilita', inoltre, di un
    efficace esercizio,  da  parte  della  regione  ricorrente,  anche
    riguardo  alla  compensazione  delle  quote,  dei  suoi  poteri di
    programmazione, governo e controllo  del  settore  -  Attribuzione
    all'AIMA,  a  partire  dal 1 gennaio 1997, anche della definizione
    dei  criteri  di  redistribuzione  (con  confluenza  delle   quote
    liberate  in  un  fondo  nazionale)  dei  programmi  di volontario
    abbandono della produzione - Lamentato contrasto  della  normativa
    statale,  in  tutti  gli  aspetti  su  esposti,  con  le norme dei
    regolamenti comunitari (in particolare nn.  804/1968  e  856/1984)
    circa  i  tempi  (dal  1  aprile al 31 marzo dell'anno successivo)
    delle campagne lattiere - Insuscettibilita' del  decreto-legge  n.
    552,   in   quanto   emanato   in   difetto   dei  presupposti  di
    provvisorieta' e straordinaria necessita' ed  urgenza,  ad  essere
    convertito  -  Deducibilita'  di  tali  violazioni  da parte della
    regione ricorrente, giacche'  esse  toccano  le  competenze  della
    stessa  nella  materia  dell'agricoltura - Violazione, infine, del
    principio di leale collaborazione tra Stato e regioni, per la  non
    prevista  partecipazione  delle  regioni  ai procedimenti relativi
    alla  riduzione  delle  quote  individuali,   partecipazione   non
    adeguatamente  salvaguardata  dal  previsto  parere,  da rendersi,
    riguardo alla adottata normativa, per tramite del Ministero  delle
    risorse   agricole,   dal   Comitato  permanente  delle  politiche
    agroalimentari e forestali - Richiamo alle sentenze nn.  520/1995,
    360/1996, 29/1995, 32/1960, 64 e 183 del 1987, 272 e 302 del 1988,
    87/1996 nonche' all'ordinanza n. 165/1995.
 Agricoltura  -  Regime  comunitario  di produzione lattiera - Rientro
    nelle quote stabilite - Disposizioni della legge  di  conversione,
    con  modificazioni, del d.-l. 23 ottobre 1996, n. 552 - Confermata
    validita' e salvezza degli atti e provvedimenti adottati  e  degli
    effetti  prodottisi  e dei rapporti giuridici sorti sulla base dei
    dd.-ll. 15 marzo 1996, n. 124, 16 maggio 1996, n.  260,  8  luglio
    1996,  n. 353, e 6 settembre 1996, n. 463. Insuscettibilita' delle
    norme di detti decreti (artt. 2 e 3) concernenti l'attuazione  del
    regime comunitario della produzione lattiera, e gia' impugnate con
    precedenti  ricorsi,  in  quanto  radicalmente  illegittime (e non
    soltanto perche' contenute in  decreti-legge  non  convertiti),  a
    venire comprese nella sanatoria.
 (D.-L.  23  ottobre  1996,  n.  552,  artt.  2  e  3, convertito, con
    modificazioni, nella legge 20 dicembre 1996, n. 642; art. 1, commi
    3 e 5).
 (Cost., artt. 3, 5, 11, 24, 41, 77, 97, 113, 117 e 118).
(GU n.9 del 26-2-1997 )
   Ricorso   della   regione  Lombardia,  in  persona  del  presidente
 pro-tempore  della  giunta  regionale  on.  dr.  Roberto   Formigoni,
 rappresentata  e  difesa, come da delega a margine del presente atto,
 ed in virtu' di  deliberazione  di  g.r.  del  17  gennaio  1997,  di
 autorizzazione  a  stare  in  giudizio,  dagli avv.ti proff. Giuseppe
 Franco Ferrari e Massimo Luciani, ed elettivamente domiciliata presso
 lo studio di quest'ultimo, in Roma, Lungotevere  delle  Navi  n.  30,
 contro  il presidente del Consiglio dei Ministri per la dichiarazione
 di illegittimita' costituzionale della legge  23  dicembre  1996,  n.
 642,  di  conversione con modificazioni del d.-l. 23 ottobre 1996, n.
 552, ("Interventi urgenti nei  settori  agricoli  e  fermo  biologico
 della  pesca  per  il 1996"), pubblicata in Gazzetta Ufficiale, serie
 generale, n. 299 del 21 dicembre 1996;
     quanto all'art. 1, comma 1, in quanto converte l'art. 2, commi  1
 e   4,   nella  parte  in  cui  si  prescrive  che  i  bollettini  di
 aggiornamento degli elenchi dei produttori da  pubblicarsi  dall'AIMA
 entro  il  31  marzo  1996,  senza adeguata partecipazione regionale,
 costituiscono accertamento definitivo  delle  posizioni  individuali,
 sostituiscono ad ogni effetto i bollettini precedentemente pubblicati
 e  vincolano gli acquirenti ai fini della trattenuta e del versamento
 del prelievo supplementare;
     l'art. 2, comma 2, nella parte in cui  tale  disposizione  abroga
 l'art.  2-bis  del  d.-l.  23  dicembre  1994, n. 727, convertito con
 modificazioni in legge 24 febbraio 1995, n. 46, definitivamente e  "a
 decorrere dal periodo 1995-1996";
     l'art.  2,  comma 3, nella parte in cui tale disposizione prevede
 un sistema di ricorsi estremamente oneroso per gli operatori;
     l'art.  3,  comma  1,  nella  parte  in  cui  il  meccanismo   di
 compensazione  viene  gestito  in  sede  nazionale dall'AIMA, che tra
 l'altro "puo' avvalersi, a tal fine, attraverso  la  stipulazione  di
 apposita  convenzione,  della  collaborazione  di  enti  pubblici  od
 organismi privati", alla stregua dei criteri individuati  e  graduati
 dalle  lettere a), b), c), d) ed e), penalizzando irragionevolmente e
 retroattivamente la regione ricorrente;
     l'art. 3, comma 2, che introduce dopo il  comma  12  dell'art.  5
 della  legge  26  novembre  1992, n. 468, un comma 12-bis che, pur al
 fine di consentire l'eventuale restituzione ai  produttori  di  somme
 trattenute  dagli  acquirenti, conferma in capo all'AIMA il potere di
 operare la compensazione nazionale  sulla  base  delle  dichiarazioni
 degli  acquirenti  e  dei  dati relativi alle situazioni mensili pure
 forniti  dagli  acquirenti,   sostanzialmente   aggirando   l'istanza
 regionale,    cui   compete   il   mero   "monitoraggio   del   latte
 commercializzato";
     l'art.  3,  comma  3,  nella  parte  in  cui  tale  disposizione,
 ribadendo  la  disciplina  speciale  e  una  tantum,  introdotta  dai
 precedenti decreti-legge pure impugnati, impone  agli  acquirenti  di
 operare   il  versamento  del  prelievo  supplementare  entro  il  30
 settembre 1996 sulla base di elenchi redatti dall'AIMA a  seguito  di
 compensazione  nazionale  operata  entro  il  25  settembre 1996, con
 riferimento ai bollettini di aggiornamento di cui all'art.  2,  comma
 1,  sulla  base di appositi elenchi, penalizzando irragionevolmente e
 retroattivamente la regione ricorrente;
     l'art. 3, commi 4 e 5, nella parte in cui il programma volontario
 della produzione e la correlata redistribuzione di quote aggravano la
 predetta penalizzazione;
     nonche' inoltre quanto all'art. 1, comma 3, nella parte in cui fa
 salvi gli effetti prodotti dai decreti-legge 15 marzo 1996, n.  124 e
 16 maggio 1996, n. 260;
     quanto  all'art.  1,  comma  5,  nella  parte in cui fa salvi gli
 effetti prodotti  dai  decreti-legge  8  luglio  1996,  n.  353  e  6
 settembre 1996, n. 463.
                               F a t t o
   1.  - Il regime delle c.d. quote latte, finalizzato al contenimento
 della produzione, da anni eccedente nel  mercato  europeo,  e'  stato
 introdotto  in  Italia,  dopo  un lungo contenzioso circa l'effettiva
 entita' della produzione interna  e  la  irrogazione  delle  relative
 sanzioni comunitarie, dalla legge 26 novembre 1992, n. 468.
   Tale  testo normativo, dopo avere demandato, all'art. 2 comma 2, la
 redazione di elenchi dei produttori  titolari  di  quota  e  la  loro
 pubblicazione  in  appositi  bollettini  all'Azienda di Stato per gli
 interventi  nel  mercato  agricolo  (AIMA),  all'art.  2,  comma   2,
 limitatamente  ai  produttori  di  associazioni aderenti alla UNALAT,
 dispone la  articolazione  della  quota  in  due  parti:  l'una  (A),
 commisurata  alla  produzione  di  latte commercializzata nel periodo
 1988-1989;  l'altra  (B),   rapportata   alla   maggiore   produzione
 commercializzata nel periodo 1991-1992.
   Poiche' peraltro il regolamento CEE del Consiglio n. 804/68, del 27
 giugno  1968,  contemplava  la periodica rideterminazione delle quote
 nazionali spettanti all'Italia, i  commi  6-8  dello  stesso  art.  2
 assegnavano  alle  regioni  il  compito  di  vigilare sulla effettiva
 produzione  dei  singoli  operatori  e  di  comunicare  all'AIMA  per
 l'aggiornamento  del  bollettino  le  eventuali  situazioni  di quota
 assegnata   superiore   a   quella   effettiva,   e    al    Ministro
 dell'agricoltura  e  foreste,  acquisito  il  parere della Conferenza
 permanente per i rapporti tra lo Stato e  le  regioni  e  sentite  le
 organizzazioni professionali maggiormente rappresentative, in caso di
 eccedenza  delle  quantita' attribuite ai produttori alla stregua dei
 commi 2 e  3  rispetto  alle  quote  nazionali  individuate  in  sede
 comunitaria,  di stabilire con proprio decreto i criteri generali per
 il  pieno  allineamento  con  le  quote  nazionali  nell'arco  di  un
 triennio.  Lo  stesso  comma  8  imponeva  che,  con riferimento alle
 riduzioni obbligatorie della quota B, si tenesse conto "dell'esigenza
 di mantenere  nelle  aree  di  montagna  e  svantaggiate  la  maggior
 quantita' di produzione lattiera".
   2.   -   Il   d.-l.  23  dicembre  1994,  n.  727,  convertito  con
 modificazioni in legge 24 febbraio 1995, n. 46,  ha  poi  operato  la
 riduzione  delle  quote  B  per  singolo produttore, con l'esclusione
 degli operatori delle stalle ubicate nelle zone montane di  cui  alla
 direttiva  del  Consiglio  CEE  n.  75/268  del  28  aprile  1975, da
 effettuarsi entro il 31 marzo 1995 con  operativita'  dalla  campagna
 1995-1996.
   La  legge  di  conversione  n.  46/1995 ha innovato il decreto come
 segue:
     a) ha previsto (art. 2, comma 1, lett. O.a)) la  riduzione  della
 quota  A  non  in produzione, almeno qualora essa ecceda il 50% della
 quota A attribuita;
     b)  dopo  avere confermato la riduzione della quota B (lett. a)),
 ha escluso (lett. b)) da entrambe le riduzioni i produttori non  solo
 titolari  di  stalle  ubicate  in  zone  di montagna, ma anche quelli
 operanti "nelle zone svantaggiate e ad esse equiparate nonche'  nelle
 isole";
     c)  ha  consentito  (art.  2,  comma  2-bis) che i produttori che
 abbiano ottenuto, anteriormente all'entrata in vigore della legge  n.
 468/1992,  l'approvazione  di un piano di sviluppo o di miglioramento
 zootecnico da parte  della  regione  e  che  lo  abbiano  realizzato,
 possano   chiedere   la  assegnazione  di  una  quota  corrispondente
 all'obiettivo  di  produzione  indicato  nel   piano   medesimo,   in
 sostituzione delle quote A e B.
   Piu' in generale il decreto-legge n. 727/1994 e la legge n. 46/1995
 hanno  soppresso la previa consultazione della Conferenza tra Stato e
 regioni, rimettendo la istruttoria e la predisposizione del piano  di
 rientro   esclusivamente   all'istanza   ministeriale.   Inoltre,  la
 normativa ha introdotto un  meccanismo  di  autocertificazione  delle
 produzioni,  in  base  al  quale  gli  acquirenti  sono autorizzati a
 considerare i quantitativi autocertificati dai produttori.
   3. - La legge n. 46/1995 insieme con  il  decreto-legge  convertito
 veniva  impugnata  dalla  regione  del  Veneto  con ricorso rubricato
 23/1995, con allegazione di numerosi profili di  incostituzionalita'.
 Codesta ecc.ma Corte, a seguito di discussione nella pubblica udienza
 del  23  novembre  1995,  con  decisione  n. 520 del 28 dicembre 1995
 accoglieva il predetto ricorso, in una con  quello  presentato  dalla
 regione  Lombardia  e  rubricato con n.r.g. 22/1995, sotto il profilo
 della incostituzionalita' dell'art. 2, comma 1,  della  legge,  nella
 parte   in  cui  non  vi  si  contemplava  il  parere  delle  regioni
 interessate nel procedimento di  riduzione  delle  quote  individuali
 spettanti ai produttori di latte bovino.
   4.  -  Il Governo e' poi intervenuto nuovamente con la decretazione
 di urgenza nel delicato settore de quo, adottando prima il d.-l.   15
 marzo 1996, n. 124 e poi, reiterando il primo, adottando il d.-l.  16
 maggio  1996,  n.  260,  impugnati  con  ricorsi n.r.g. 18 e 27/1996,
 pendenti avanti la ecc.ma Corte per la decisione, indi con  il  d.-l.
 8 luglio 1996, n. 353, del pari impugnato con ricorso n.r.g. 33/1996,
 e  pure  esso  in  attesa  di  decisione,  indi ancora con il d.-l. 6
 settembre 1996, n. 463,  impugnato  con  ricorso  n.r.g.  41/1996,  e
 infine  con  il  d.-l. 23 ottobre 1996, n. 552, impugnato con ricorso
 n.r.g.  47/1996,  ora  convertito   nel   provvedimento   legislativo
 impugnato  con il presente ricorso. Tale ultima disciplina, in specie
 e di nuovo: a) demanda all'AIMA, entro il 31 marzo 1996, questa volta
 (ribadendo quanto previsto con il decaduto decreto-legge n. 463/1996)
 "Acquisito da parte del Ministro delle risorse agricole, alimentari e
 forestali  il  parere  del  Comitato   permanente   delle   politiche
 agroalimentari  e  forestali",  la  pubblicazione di un bollettino di
 aggiornamento degli elenchi dei produttori titolari di  quota  e  dei
 quantitativi  loro  spettanti  delle  quote  latte 1995-1996 (art. 2,
 comma  1);  b)  stabilisce  che,  ai  fini  della  trattenuta  e  del
 versamento   del   prelievo   supplementare  per  il  1995-l996,  gli
 acquirenti   siano   tenuti   all'osservanza   esclusivamente   delle
 risultanze  del  predetto  bollettino di aggiornamento (art. 2, comma
 4); c) non si  limita  piu'  a  sospendere  sino  al  31  marzo  1997
 l'efficacia  dell'art. 2-bis del decreto-legge n. 727/1994 convertito
 con modificazioni in legge n. 46/1995 (art. 2, comma 2), (confermando
 anche   qui   il   decaduto  decreto-legge  n.  463/1996)  ma  abroga
 definitivamente, a decorrere dal periodo 1995-1996, tale  disciplina;
 d)   detta  disposizioni  sulla  tutela  in  via  amministrativa  dei
 produttori avverso  le  determinazioni  del  predetto  bollettino  di
 aggiornamento (art. 2, comma 3).
   5.  -  La  disciplina  di  cui  all'art.  2 della legge n. 46/1995,
 dichiarata incostituzionale dalla Corte  nella  citata  decisione  n.
 520/1995, e' ora richiamata ex novo, in quanto l'art. 2, comma 1, del
 decreto  oggi  convertito  non  detta  nuove  e  diverse modalita' di
 confezionamento del bollettino, pur questa volta  in  presenza  della
 previsione  di  un  parere  ex  post  del  Comitato  permanente delle
 politiche  agricole,  alimentari  e  forestali.  Il  parere  di  tale
 Comitato,  istituito nel seno della Conferenza Stato-regioni ai sensi
 dell'art. 2, comma 6, della legge n. 491/1993, non appare sufficiente
 ad integrare l'intervento della Conferenza in sede consultiva,  dalla
 Corte a suo tempo dichiarato indispensabile.
   A prescindere da tale vizio procedurale, la disciplina in questione
 e'  da  se'  sola  sufficiente,  almeno  in  termini  previsionali, a
 determinare il virtuale azzeramento della quota B  nelle  aziende  di
 pianura, e in specie in quelle della regione ricorrente - ad un primo
 calcolo  la quota B subirebbe infatti un brutale taglio del 74% circa
 - e una rilevante diminuzione della quota A.
   In altre parole, il bollettino di cui all'art. 2, commi 1 e 4,  del
 decreto-legge  convertito,  confermando  quanto previsto dal decaduto
 decreto-legge n. 463/1996, sostituisce quelli  preveduti  dal  regime
 normativo  precedente,  introduce  un  tardivo  parere ex post, fuori
 termine e - come detto - insufficiente, del  Comitato  istituito  nel
 seno  della  conferenza  Stato-regioni, e in piu' assume una natura o
 almeno  una  forza  particolare,  in  quanto  esso   ha   valore   di
 "accertamento  definitivo" delle posizioni individuali dei produttori
 (art. 2, comma 1:  v.  supra,  punto  4.a)  e  del  pari  di  vincolo
 esclusivo  nei  confronti  degli  acquirenti (e per conseguenza delle
 aspettative patrimoniali dei produttori: art. 2, comma  4,  e  supra,
 punto 4.b).
   Inoltre  esso  interviene a regolamentare con la predetta peculiare
 forza i rapporti produttivi nel settore con efficacia retroattiva,  a
 campagna   1995/1996  conclusa,  con  disastrosi  effetti  su  interi
 patrimoni aziendali e,  non  di  mero  riflesso,  sulle  attribuzioni
 regionali,  dato che l'automatismo degli effetti comporta la virtuale
 spoliazione dei  poteri  regionali  di  indirizzo,  programmazione  e
 controllo del settore lattiero-caseario.
   Nella  sostanza della disciplina applicata, poi, va ribadito che la
 regione ricorrente,  a  differenza  di  altre  regioni,  non  ha  mai
 approvato - come ci si riserva di documentare in vista della pubblica
 udienza  -  piani  di sviluppo e miglioramento comportanti aumenti di
 produzione del latte e dunque, a far data  dal  12  marzo  1985,  non
 annovera  operatori  in  grado  di avvalersi della sostituzione delle
 quote A e B con i piu' favorevoli obiettivi dei piani di  sviluppo  e
 miglioramento.
   Per  sovrammercato,  la  introduzione  in  via  di  urgenza  di una
 disciplina solo ora "stabilizzata" con  la  conversione)  sfavorevole
 nella  sostanza  e  con  efficacia  retroattiva  si  accompagna  alla
 individuazione (art.  2, comma 3 del decreto e supra, punto  4.d)  di
 un  regime di autotutela da ricorso estremamente penalizzante per gli
 operatori.
   Di parzialmente nuova  formulazione,  rispetto  a  quanto  previsto
 prima  dal  reiterato  decreto-legge n. 463/1996, e' poi l'art. 3 del
 decreto,  i  cui  primi  tre  commi   introducono   irragionevoli   e
 retroattivi  meccanismi  di  compensazione, estremamente penalizzanti
 degli interessi della regione ricorrente.
   In particolare, il comma 3,  prescrive,  limitatamente  al  periodo
 1995-1996,  il  versamento  del  prelievo supplementare dovuto "sulla
 base di  appositi  elenchi  redatti  dall'A.I.M.A.  a  seguito  della
 compensazione  nazionale". La conseguenza e' la grave riduzione della
 possibilita' di procedere a compensazioni relative alla quota  B  per
 quelle  regioni  che, correttamente, come e' stato per la ricorrente,
 non  hanno  adottato,  successivamente  all'entrata  in  vigore   del
 regolamento  CEE  797/85  e  a quello successivo 2328/91, alcun piano
 contenente    previsioni    di    incremento     della     produzione
 lattiero-casearia,  a  tutto  vantaggio di quelle regioni che si sono
 gia' rese responsabili di illecito comunitario nella approvazione  di
 piani in aumento.
   L'art.  3  del  decreto  contempla  poi  un programma volontario di
 abbandono  totale  o  parziale  della  produzione  lattiera,   previa
 corresponsione   di   una  indennita'  (cfr.  comma  4),  nonche'  la
 successiva redistribuzione delle quote stesse ai  produttori  che  ne
 facciano  richiesta,  secondo  specifici criteri di priorita', la cui
 applicazione, nel testo originario del decreto doveva  in  ogni  caso
 assicurare   "che  almeno  il  50  per  cento  dei  quantitativi  sia
 attribuito nella regione o nella provincia  autonoma  di  provenienza
 (cfr. comma 5), ed oggi, a seguito della conversione, deve assicurare
 che  "i  quantitativi  siano  totalmente riattribuiti nella regione o
 nella provincia autonoma di provenienza".
   In specie, vengono individuate le seguenti categorie:
     a) giovani agricoltori di cui all'art. 4, comma  2,  del  decreto
 ministeriale n. 762 del 27 dicembre 1994;
     b) produttori con azienda ubicata nelle zone montane, di cui alla
 direttiva n. 75/268/CEE del Consiglio del 28 aprile 1975;
     c)  produttori  a  cui  e'  stata  ridotta  la  quota  B ai sensi
 dell'art.   2 della legge n. 46 del  1995,  nei  limiti  della  quota
 ridotta (e purche' la loro produzione non superi le 200 tonnellate);
     c-bis)  (lettera  introdotta  dalla  legge  di conversione) altri
 produttori a cui e' stata ridotta la quota B ai sensi dell'art. 2 del
 d.-l. 23 dicembre 1994, n. 727, convertito con  modificazioni,  dalla
 legge 24 febbraio 1995, n. 46, nei limiti della quota ridotta.
   Con  il  risultato  di  aggravare  ulteriormente  la gia' esistente
 irragionevole disparita' di trattamento tra  regioni  e  tra  singoli
 produttori.
   Le  disposizioni  di  cui in epigrafe sono dunque illegittime per i
 seguenti
                              M o t i v i
   1. - Con il presente ricorso viene proposta impugnazione avverso la
 legge di conversione  di  un  decreto-legge  (il  n.  552/1996)  gia'
 impugnato con ricorso pendente. Come codesta ecc.ma Corte ha da tempo
 affermato  (sentenza  n.  84/1996, ordinanze nn. 130 e 197 del 1996 e
 sentenza n. 270/l996), le censure proposte avverso  il  decreto-legge
 si  trasferiscono  sulla  legge  di  conversione, non sostanzialmente
 modificativa del decreto convertito. Il gravame si intende dunque  in
 larga  misura  (e salve le censure specificamente relative alla legge
 di conversione) proposto tuzioristicamente, anche se si  inquadra  in
 un  complesso  contesto normativo, derivante dalla stratificazione di
 una pluralita' di norme, alcune frutto di  decretazione  di  urgenza,
 altre  di  interventi  del  Parlamento  che  e'  eufemistico definire
 frettolosi.
   Nel merito, si deve, in primo luogo, lamentare:
   2. - Violazione degli artt. 77, 117 e 118 della Costituzione.
   Nella parte che qui interessa, il decreto n. 552 del  1996  -  come
 del  resto  i  precedenti  decreti  reiterati  -  risultava privo dei
 requisiti essenziali della  straordinarieta',  necessita'  e  urgenza
 che,  ai  sensi  dell'art.  77  della  Costituzione,  condizionano la
 legittimita' dell'adozione di decreti-legge  da  parte  del  Governo.
 Nessuna  delle  previsioni  del  decreto  in  materia  di  produzione
 lattiera, invero, appariva -  almeno  legittimamente  (v.  quanto  si
 dira',  sul  punto, al n. 3.1. del presente ricorso) finalizzata allo
 scopo  di   fronteggiare   situazioni   cosi'   chiaramente   segnate
 dall'urgenza, da richiedere l'intervento di un atto adottato ai sensi
 dell'art.  77  della  Costituzione  e  non il ricorso al normale iter
 legislativo di cui agli artt. 70 e seguenti.  Si  tratta  infatti  di
 aggiustamenti  (per  giunta  illegittimi)  o  di  peggioramenti delle
 previsioni dettate dalla legge 26 novembre 1992, n. 468 e dalla  lege
 24  febbraio  1995,  n. 46, dei quali non e' dato rinvenire, in alcun
 modo, l'urgenza. Urgenza che, del resto, e' smentita  gia'  dal  solo
 fatto  che  le previsioni dettate dal decreto riguardano una campagna
 lattiera gia' conclusa, e che la legge di conversione ha  addirittura
 palesato  che  certe  previsioni  del  decreto  ben  potevano trovare
 applicazione in un momento ben successivo (v. il  termine  introdotto
 nel nuovo testo dell'art. 3, comma 4).
   In  realta',  ci  troviamo  qui  di fronte all'ennesimo episodio di
 illegittimo esercizio di un potere che la Costituzione  ha  concepito
 come  eccezionale  ("straordinario"),  e che invece viene sempre piu'
 frequentemente impiegato come  strumento  "ordinario"  di  produzione
 normativa primaria.
   Mancano  percio'  del  tutto  quei presupposti costituzionali della
 decretazione  d'urgenza  la  cui  carenza  e',  dalla  piu'   recente
 giurisprudenza  costituzionale,  ritenuta  censurabile  (sentenza  n.
 29/1995), specie  quando  sia  evidente  e  conclamata  (sentenza  n.
 165/1995), come nella specie e'.
   Tale  carenza,  come  ha  affermato la ricordata sentenza n. 29 del
 1995, determina ora anche l'incostituzionalita' dell'impugnata  legge
 di  conversione  del  decreto-legge n. 552 del 1996, sotto il profilo
 del ricorrere di uno specifico vizio in procedendo.
   Non basta. Per quanto qui interessa il  decreto-legge  n.  552  del
 1996  era,  nel  testo  originario (le modifiche di cui alla legge di
 conversione, per questo  profilo,  ovviamente  non  interessano),  e'
 l'esatta  fotocopia  del precedente decreto-legge n. 463 del 1996, ad
 eccezione della cancellazione, in fine dell'alinea del nuovo comma 12
 dell'art. 5 della legge n. 468 del 1992  (introdotto  dall'art.    3,
 comma  1,  dell'atto impugnato), dell'avverbio "prioritariamente", di
 tal che la previsione normativa, che recitava  "La  compensazione  e'
 effettuata   secondo   i   seguenti   criteri,   prioritariamente   e
 nell'ordine",  recita  ora: "La compensazione e' effettuata secondo i
 seguenti  criteri  e  nell'ordine".  Trattavasi,  come  si  vede,  di
 modificazione meramente marginale, per non dire formale, che lasciava
 intatta  la  sostanza  normativa  del  precedente decreto, sicche' il
 decreto-legge n. 552 del 1996 poteva dirsi in senso proprio  iterante
 il precedente (o per meglio dire: reiterante i precedenti), eppercio'
 violativo  del limite (della provvisorieta' imposto alla decretazione
 d'urgenza dell'art. 77 della Costituzione.
   La legge impugnata, di conseguenza, provvede alla conversione di un
 decreto-legge che costituisce l'ultimo anello di una  delle  "catene"
 di reiterazioni (l'altra e' quella conclusasi con il decreto-legge n.
 542  del  1996, la cui legge di conversione viene essa pure impugnata
 dalla ricorrente che si sono strette attorno  alla  disciplina  della
 produzione  lattiera.  Secondo  una  lettura  corretta  dei  principi
 generali enunciati da codesta ecc.ma Corte nella sentenza n. 360  del
 1996,  la  conversione  in  legge di decreti che reiterano precedenti
 atti dello stesso  tipo  deve  ritenersi,  pero',  costituzionalmente
 illegittima.
   La  menzionata  pronuncia,  invero, ha chiarito una volta per tutte
 che "la prassi della reiterazione" altera "i caratteri  della  stessa
 forma   di   governo  e  l'attribuzione  della  funzione  legislativa
 ordinaria  al  Parlamento",  travolgendo  la  logica   stessa   delle
 previsioni di cui all'art. 77 della Costituzione, che hanno disegnato
 uno   strumento  -  il  decreto-legge  -  caratterizzato  dal  tratto
 distintivo essenziale della provvisorieta'.
   Anche se la lettera della Costituzione potrebbe  ingannare,  pero',
 "provvisori" non possono essere considerati i decreti-legge in quanto
 atti:  un atto normativo (e quindi anche un decreto-legge), una volta
 che e' stato adottato, e' ormai entrato a far parte dell'ordinamento,
 e non  potrebbe  certo  ritenersi  immesso  in  esso  a  titolo  solo
 "provvisorio".
   Anche   quando  un  atto  normativo  perde  interamente  efficacia,
 addirittura "sin dall'inizio", cio' che e' provvisorio non e'  l'atto
 (che  nell'ordinamento  e'  stato  ormai  immesso  e  non puo' essere
 esserne "cancellato"), bensi' il contenuto  normativo  dell'atto.  Se
 cosi'  non fosse, non si comprenderebbe perche' la stessa abrogazione
 incida non gia' sugli atti, bensi' sulle norme in essi contenute.
   Il  vizio  della  reiterazione  sta  dunque  nel   fatto   che   un
 decreto-legge  ha  ripetuto i contenuti normativi di un decreto-legge
 precedente.     In  questo   modo,   infatti,   si   determinano   la
 "stabilizzazione"  di  quei  contenuti  ed il loro consolidamento nel
 tempo,   violando   dunque   il   principio   costituzionale    della
 provvisorieta' per sessanta giorni.
   Proprio  perche'  tale principio attiene alle norme e non all'atto,
 del resto, la reiterazione puo' considerarsi illegittima.  In  quanto
 atto,  infatti,  un decreto-legge resta comunque provvisorio anche se
 viene  reiterato  (rectius:  se  ne  vengono  reiterati  i  contenuti
 normativi):  trascorsi  inutilmente  i  sessanta  giorni  previsti in
 Costituzione, infatti, esso non determina piu' alcun effetto, e se le
 norme ivi contenute continuano ad applicarsi  e'  sempre  e  solo  in
 forza  di un atto diverso, e cioe' o della legge di conversione, o di
 un (peraltro  illegittimo)  decreto  reiterante,  in  ogni  caso,  il
 decreto   in   quanto   atto   ha   esaurito,   decorso   il  termine
 costituzionale, i suoi effetti.
   Da  queste logiche premesse muove appunto la sententenza n. 360 del
 1996, come risulta da almeno due decisive considerazioni.
   Anzitutto, si esclude espressamente (punto 5.  del  Considerato  in
 diritto)  che  "Il  Governo,  in  caso  di  mancata conversione di un
 decreto-legge, possa riprodurre, con un nuovo decreto,  il  contenuto
 normativo dell'intero testo o di singole disposizioni del decreto non
 convertito",  dimostrando, cosi', che e' proprio (e solo) l'identita'
 di contenuto normativo che determina il vizio.
   In secondo  luogo,  la  riferita  pronuncia  ha  trasferito  alcune
 questioni  di  legittimita' costituzionale sollevate nei confronti di
 precedenti  decreti-legge  reiterati  sul  decreto   reiterante,   ma
 soltanto  limitatamente  ad  una  sola delle sue disposizioni, e cio'
 perche' essa aveva "riprodotto il contenuto precettivo essenziale" di
 una disposizione dei decreti reiterati. Il vizio della  reiterazione,
 dunque, affligge la norma, non l'atto.
   Tali  essendo  i  principi  generali  e  le  premesse logiche della
 pronuncia, deve considerarsi non vincolante l'affermazione di cui  al
 punto  6.   del Considerato in diritto, a tenore della quale il vizio
 di  costituzionalita'  derivante  dalla  reiterazione,  attenendo  al
 procedimento,  potrebbe essere "sanato" dalla conversione in legge. A
 parte la  problematica  armonizzazione  di  questa  affermazione  con
 quella  della  sentenza n.  29 del 1995, che ha ritenuto trasferibile
 sulla legge di conversione i vizi  in  procedendo  del  decreto-legge
 deve  infatti  osservarsi  che,  come  risulta dai riportati passaggi
 qualificanti della pronuncia, la conversione non  puo'  eliminare  il
 vulnus  derivante  dall'artificiale mantenimento in vita di contenuti
 precettivi che  erano  destinati  a  morte  naturale  entro  sessanta
 giorni.  E  tanto  poco  lo  puo',  quanto  piu'  si consideri che la
 Costituzione attribuisce  al  Parlamento  un  diverso  e  fisiologico
 strumento  per  rimediare alla mancata conversione:  la "regolazione"
 dei "rapporti giuridici" sorti sulla base dei decreti non convertiti.
     Che la riferita pronuncia sia  recentissima  non  puo'  incidere,
 evidentemente,  sulla  possibilita'  del raggiungimento delle diverse
 conclusioni qui prospettate, anche in considerazione del fatto che
  l'affermazione della "sanabilita'" della reiterazione attraverso  la
 conversione  costituisce  un  mero obiter dictum, ininfluente ai fini
 della decisione del merito della questione allora decisa  da  codesta
 ecc.ma  Corte  (questione  attinente, appunto, ad un decreto-legge, e
 non gia' ad una legge di conversione.
   Va qui precisato che la regione ricorrente non lamenta  la  pura  e
 semplice  violazione  dell'art. 77 della Costituzione, bensi' anche e
 soprattutto la lesione delle competenze costituzionali  che  ad  essa
 sono   riconosciute.   E'  infatti  anche  attraverso  la  violazione
 dell'art.  77 della Costituzione da parte della legge  impugnata  che
 tale  lesione  si  e' consumata, poiche' il Governo, illegittimamente
 esercitando le facolta' di cui all'art. 77 della Costituzione, ed  il
 Parlamento,  illegittimamente  esercitando  le  connesse  facolta' di
 conversione, hanno finito  -  come  appresso  si  dimostrera'  -  per
 sottrarre  alla  regione il potere di regolare un settore come quello
 della produzione  lattiera,  che  la  Costituzione,  in  una  con  la
 normativa  ordinaria  di  trasferimento delle funzioni, sine dubio le
 affida   nell'ambito   della   materia   "agricoltura".    Di    qui,
 l'ammissibilita'  della  relativa censura (cfr. sentenze nn. 32/1960;
 64 e 183  del  1987;  272  e  302  del  1988;  87/1996.    Va  infine
 sottolineato  che  il  decreto  impugnato, anche nel testo risultante
 dalla conversione, si occupa del profilo del  rapporto  Stato-regione
 nel  procedimento  di  riduzione delle quote individuali spettanti ai
 produttori di latte bovino solo per aggiungere al comma 1 dell'art. 2
 - come gia' il precedente n. 463/1996 - che il  parere  del  Comitato
 permanente  delle  politiche agroalimentari e forestali ha ad oggetto
 "i  criteri  per  la  riduzione  delle  quote  individuali   previste
 dall'art. 2, comma 1, della legge 24 febbraio 1995, n. 46".
   Tale espressione non e' che una addizione meramente formale al dato
 del  precedente  art.  2  del decreto-legge n. 353/1996, per il resto
 immutato  dopo  la  reiterazione  operata  con  il  decreto-legge  n.
 463/1996.    Resta  dunque intatta l'alternativa gia' prospettata nei
 precedenti ricorsi in subjecta materia, ricordati in narrativa: o gli
 atti di cui all'art. 2 comma 1 (e cioe' i bollettini)  sono  atti  di
 indirizzo  generale,  e  allora  per  essi e' necessario l'intervento
 della Conferenza Stato-regioni nel  suo  plenum  (e  non  gia'  nella
 versione  dimidiata  del  Comitato); ovvero, essi sono "provvedimenti
 specifici" (secondo la formula della sentenza n. 520/1995), e  allora
 occorre  il  parere delle singole regioni interessate.  In entrambi i
 casi, dunque, lo strumento consultivo previsto dal decreto-legge  ora
 convertito,  oltre  che  tardivo,  e'  insufficiente  ed illegittimo.
 Poiche' comunque nel frattempo il noto e temuto bollettino  e'  stato
 pubblicato, non si vede il senso della previsione in questione.
   3.1. - Specificamente viziati da illegittimita' costituzionale, per
 violazione degli artt. 11, 47, 117 e 118 della Costituzione, sono poi
 i commi 1 e 4 dell'art. 2 del decreto-legge n. 552 del 1996, per come
 convertito  dalla  legge  n.  642/1996.  Come  gia'  detto in sede di
 ricorso avverso il decreto-legge n. 552 del 1996, quando  non  ancora
 convertito,  va  rilevato  che  il  comma 1 prescrive che l'AIMA deve
 pubblicare appositi bollettini "di aggiornamento" degli  elenchi  dei
 produttori  titolari  di  quota nonche' delle quote di loro spettanza
 per il periodo 1995-1996 "entro il 31 marzo  1996".  Tali  bollettini
 costituiscono  accertamento definitivo delle posizioni individuali, e
 sostituiscono  "ad  ogni  effetto"  i  bollettini   che   l'AIMA   ha
 precedentemente  pubblicato  per  il  periodo  di  riferimento. A sua
 volta, il comma 4 dispone che gli acquirenti del latte  prodotto,  ai
 fini  della  trattenuta  e del versamento del prelievo supplementare,
 devono considerare esclusivamente le quote individuali risultanti dai
 bollettini di cui al comma 1.   Come si  evince  gia'  da  una  prima
 lettura,  tali  disposizioni  introducon    o nel nostro ordinamento,
 ancorche' ad hoc e per la sola campagna 1995-1996, una categoria  del
 tutto   sepciale   di   bollettini,   i   cui   effetti  sul  settore
 lattiero-caseario e sul governo dello stesso da parte  delle  regioni
 sono  devastanti.  I  bollettini di cui trattasi sono infatti la sola
 fonte di individuazione delle posizioni dei singoli produttori per la
 campagna  1995-1996,  e   posseggono   valore   definitivo,   nonche'
 sostitutivo  di  qualunque  altra  precedente  determinazione.   Tali
 bollettini, pero', riguardano - illogicamente - una campagna  che  si
 e'  gia'  conclusa  al  momento in cui le disposizioni impugnate sono
 divenute  operative  (e  a  maggior  ragione  oggi  che  sono   state
 "stabilizzate"  dalla legge di conversione). Conseguentemente, i loro
 effetti sono da considerarsi retroattivi. La campagna  di  produzione
 del  latte non coincide infatti con l'anno solare, ma va dal 1 aprile
 al 31 marzo. Sin dall'inizio, dunque, sin  dal  primo  decreto  della
 catena  della reiterazione, i bollettini di cui all'art. 2, commi 1 e
 4, erano  concepiti  come  atti  destinati  a  produrre  effetti  pro
 praeterito   tempore   (e  cioe'  per  la  campagna  1995-1996  ormai
 conclusa), ed anzi era addirittura (non semplicemente prevedibile ma)
 scontato che la loro pubblicazione non  avrebbe  potuto  praticamente
 intervenire   nel   brevissimo  spatium  temporis  intercorrente  fra
 l'entrata in vigore del primo decreto impugnato n. 24/l996 (17 marzo)
 e  il  successivo  31  marzo,  data  di  conclusione  della  campagna
 1995-1996.
   A piu' forte ragione tale lagnanza vale avverso il decreto-legge n.
 552/1996,  entrato in vigore il 23 ottobre, e la legge di conversione
 ora impugnata.  In realta', il nuovo strumento introdotto dal decreto
 ("nuovo" perche', nonostante il nomen iuris di "bollettino",  produce
 effetti assolutamente inediti) era dall'origine - appunto - destinato
 ad  operare  solo  per  il  passato,  senza  alcuna  possibilita'  di
 utilizzazione per il  futuro.    In  questo  modo  si  determina  una
 pluralita'  di violazioni delle menzionate previsioni costituzionali.
 Anzitutto, viene violato, in una  con  gli  artt.  117  e  118  della
 Costituzione (che definiscono l'ambito di attribuzioni delle regioni)
 e  con  l'art.  41  (che  impone  il  controllo  e  l'indirizzo della
 produzione privata solo a fini sociali, che sono pero' qui del  tutto
 assenti,  come  puo'  facilmente  evincersi  da  quanto  appresso  si
 considera, l'art. 11  della  Costituzione  atteso  che  la  ricordata
 scansione temporale delle campagne di produzione del latte e' fissata
 dal  regolamento  CEE  n.  804/68.  Disciplinare  retroattivamente, a
 campagna da tempo conclusa,  le  posizioni  individuali  dei  singoli
 produttori  significa violare la lettera e lo spirito della normativa
 comunitaria. Questa, infatti, prevedendo  una  certa  periodizzazione
 delle  campagne  di  produzione  del  latte,  intende  far si' che si
 realizzi  una  gestione  corretta  e  programmata  della   produzione
 lattiera  medesima,  che  deve  essere  calibrata  proprio  su  detta
 periodizzazione. Sconvolgimenti  a  posteriori  della  disciplina  di
 settore  come  quello  determinato  dalle disposizioni impugnate sono
 dunque  radicalmente   contrari   alla   normativa   comunitaria   (e
 conseguentemente  all'ordine  costituzionale dei rapporti fra Stato e
 regioni, che quella normativa contribuisce a definire).
   E' proprio allo scopo di assicurare quella corretta  e  programmata
 gestione,  del  resto, che l'art. 4, comma 2, della legge n. 468/1992
 aveva previsto in via generale che i  bollettini  fossero  pubblicati
 entro  il  31  gennaio  di  ciascun anno: che senso avrebbe avuto una
 pubblicazione successiva alla conclusione della  campagna,  quando  i
 produttori  hanno  gia' determinato i loro obiettivi, ovvero li hanno
 gia' raggiunti?
   Coerentemente, invero, la stessa disposizione  normativa  prevedeva
 (e  prevede)  che i bollettini da pubblicarsi "entro il 31 gennaio di
 ciascun anno" contenessero "gli  elenchi  aggiornati  dei  produttori
 titolari  di  quota  e dei quantitativi ad essi spettanti nel periodo
 avente inizio il 1 aprile successivo". Il bollettino aveva dunque (ed
 ha) la (ovvia) funzione di determinare  le  quote  spettanti  per  il
 futuro,  non  certo  quella  di  riferirsi a quantitativi relativi al
 passato. Le disposizioni impugnate  determinano  dunque  una  vera  e
 propria  deroga  alla previsione generale della legge n. 468/1992, ma
 senza alcuna giustificazione razionale ed in  ispregio  della  stessa
 normativa  comunitaria.   Violati, parallelamente, sono, di nuovo, in
 una  con  l'art.  41  della  Costituzione,  gli  artt.  117 e 118. Le
 regioni, alle quali la stessa sentenza n. 520/1995 riconosce un ruolo
 preminente nel governo del settore lattiero-caseario, sono totalmente
 spossessate delle  loro  attribuzioni  programmatorie  dagli  effetti
 retroattivi  dei  nuovi  bollettini,  che determinano conseguenze del
 tutto  incontrollabili  sia  per  i   produttori   che   per   l'ente
 territoriale  preposto  -  come  detto  -  al governo del settore. Il
 paradosso di uno strumento concepito quale  mezzo  di  programmazione
 (il  bollettino)  che  si  trasfigura  in  mezzo  di registrazione di
 realta' pregresse (il  nuovo  bollettino  creato  dai  commi  1  e  4
 dell'art. 2) e' evidente. Ed e' un paradosso che determina una palese
 illegittimita'  costituzionale,  nella misura in cui da esso consegue
 la sottrazione alle  regioni  di  qualunque  facolta'  di  governo  e
 programmazione  della  produzione lattiera, che viene assunta come un
 dato riferito al passato, e non come un  obiettivo  proiettato  (come
 dovrebbe essere) nel futuro.
   Cosi'  stando  le  cose,  si  potrebbe  anche  osservare  che,  ove
 all'impugnata legge di  conversione  del  decreto-legge  fosse  stata
 davvero  sottesa  un'urgenza,  questa  non  avrebbe  potuto che stare
 nell'intenzione di determinare effetti retroattivi su di una campagna
 di produzione lattiera gia' da tempo conclusa: proprio questa, e  non
 altra,  e'  infatti  la  conseguenza  della  previsione normativa qui
 censurata.  Cio', pero', in aperta violazione  della  Costituzione  e
 delle   norme   interposte   che   ne  integrano  le  previsioni  (in
 particolare, del menzionato regolamento CEE n. 804/68 e  della  legge
 n.  468/1992),  perche'  -  come  si  e'  rilevato  -  la  disciplina
 retroattiva  della  campagna  1995-1996  ha  leso   le   attribuzioni
 regionali  e  violato  i precetti comunitari.   Se urgenza davvero vi
 era,  dunque,  era   un'urgenza   incostituzionale,   eppercio'   non
 assumibile  quale  legittimo  fondamento  dell'uso  di  un  potere di
 decretazione d'urgenza. Tanto, ad ulteriore  conferma  delle  censure
 gia'  formulate, in riferimento agli artt. 77, 117 e 118, al punto n.
 2 del presente ricorso.
   3.2. - Violazione degli artt. 3, 24,  113  della  Costituzione,  in
 riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione .
   L'art.  2,  comma  3,  del  decreto-legge n. 552 del 1996, per come
 convertito dalla legge impugnata, definisce un  discutibile  -  sotto
 tutti  i  profili - regime di ricorsi.  Le sue lacune e piu' ancora i
 suoi sviamenti di potere legislativo sono  molteplici  e  gravissimi,
 proprio   per  i  loro  effetti  sulle  prerogative  regionali.    Si
 considerino infatti le seguenti anomalie:
     il dies a  quo  dei  ricorsi  amministrativi  in  opposizione  da
 proporre  all'AIMA e' incerto, non essendo chiaro se la pubblicazione
 menzionata nel comma 3 dell'art. 2 sia la diffusione del bollettino a
 cura della regione (la conoscenza  degli  operatori  non  puo'  certo
 avere  luogo  nello  stesso  giorno)  o  la  riproduzione  di esso in
 Bollettino ufficiale della regione;
     il termine assegnato  e'  brevissimo,  ben  piu'  di  quanto  non
 contempli  la  revisione dei rimedi amministrativi operata con d.P.R.
 n. 1199/1971;
     il ricorso giurisdizionale sembra essere possibile, sia  in  caso
 di  silenzio-rigetto  da  parte dell'AIMA che di reiezione esplicita,
 solo dopo la pronuncia sul ricorso amministrativo in opposizione, con
 il risultato che si tenta di operare una restrizione  neppure  troppo
 occulta  della  tutela  giurisdizionale,  in  ispregio  non solo alle
 disposizioni  costituzionali  citate  in  epigrafe,  ma  altresi'  ai
 principi  della riforma del processo amministrativo operata con legge
 n. 1034/1971.
   E' chiaro trattarsi di misura sostanzialmente ritorsiva  a  seguito
 delle  massicce soccombenze giudiziali subite sin qui da AIMA, EIMA e
 MIRAAF avanti  i  giudici  amministrativi  di  primo  grado  come  di
 appello,  sia  in  sede  cautelare  che  di merito. In altri termini,
 sembra  reintrodotto  il  superato  principio   della   definitivita'
 dell'atto    amministrativo   quale   presupposto   dell'impugnazione
 giurisdizionale;
     l'eliminazione della autocertificazione prevista dall'art.  2-bis
 della   legge  n.  46/995  (comma  2  dell'art.  2)  esclude  che  la
 proposizione  del  ricorso  in  opposizione  possa   consentire   pur
 provvisoriamente  la  percezione da parte dei produttori del compenso
 corrisposto dagli acquirenti pur con riferimento -  si  badi  -  alla
 campagna  gia'  conclusa,  sicche'  chi  vanta  crediti  per consegne
 operate legittimamente in tempi  in  cui  la  disciplina  retroattiva
 sfavorevole  non  era  vigente non ha alcuna speranza di riscuoterli,
 nonostante la proposizione del rimedio ammi-nistrativo;
     infine, poiche' gli accertamenti  da  effettuare  a  seguito  dei
 ricorsi  in  opposizione e dei ricorsi giurisdizionali amministrativi
 richiederanno tempi medio-lunghi, le compensazioni previste dall'art.
 3 dello stesso decreto  non  potranno  essere  effettuate  nei  tempi
 stabiliti dal secondo comma (ancor piu' brevi di quelli preveduti dal
 decreto-legge  n.  353/1996).  Gli  operatori  si  troveranno  dunque
 nell'alternativa, distruttiva dei loro  diritti  di  difesa,  di  non
 impugnare per incassare le compensazioni, anche in presenza di errori
 o  abusi,  o  di  impugnare,  correndo il rischio di restare privi di
 incassi per mesi o per anni, pur  con  riferimento  a  consegne  gia'
 eseguite  nella  campagna conclusa.  Le gravi disfunzioni processuali
 sopra  sommariamente  descritte  non  potranno  non  trasformarsi  in
 elementi  di  ulteriore  lesivita'  per  le  regioni della disciplina
 contestata; queste ultime, gia' private ancora una volta di qualunque
 potere di intervento, pur solo  consultivo,  sui  tagli  da  operare,
 dovranno  cosi'  subire anche l'onta della impossibilita' virtuale di
 governare sul piano programmatorio un comparto della politica agraria
 che non potra' non  venire  percorso  da  un  contenzioso  capillare,
 diffuso e squassante.
   4.1.  -  Violazione  deli artt. 11, 5, 117 e 118 della Costituzione
 sotto il profilo della  contrarieta'  a  norme  comunitarie  e  della
 invasione  della  sfera  di  competenza  legislativa e amministrativa
 regionale.  La legge impugnata, non introducendo alcun nuovo criterio
 per il riparto dei tagli alla sovrapproduzione  nazionale  di  latte,
 non  puo'  non  sottendere  il  richiamo  alla  disciplina  contenuta
 nell'art. 2 della legge n. 46/1965, pur calandola  in  uno  strumento
 amministrativo (il "nuovo" bollettino) dotato - come si e' detto - di
 una  forza  assolutamente  peculiare.  Ne  deriva  che  devono essere
 riproposte (come gia' si e' fatto in occasione dell'impugnazione  dei
 dd.-ll.  nn.  124, 260,   353,  463  e  552 del 1996) in questa nuova
 ottica censure a suo tempo formulate contro l'art. 2 della  legge  n.
 46/1995,  e ora rilegittimate e dotate di nuovo vigore, nonostante la
 decisione  n.    520/1995,  anche  alla  luce  della   retroattivita'
 contestata  sub 3.1.   La regione ricorrente non ha adottato, dopo il
 12 marzo 1995, data di entrata  in  vigore  del  Regolamento  CEE  n.
 797/85,  che  insieme  al  successivo 2328/1991 disciplina i piani di
 sviluppo e di miglioramento, alcun  piano  contenente  previsioni  di
 incremento della produzione lattiero-casearia.
   Tale  correttezza  di  comportamento  viene cosi' penalizzata, e al
 contrario l'illecito comunitario  commesso  da  altre  regioni  viene
 premiato,  anziche'  sanzionato.    Si  violano cosi' l'art. 11 della
 Costituzione, e gli artt. 5,  117  e  118,  sotto  il  profilo  della
 competenza  legislativa  e  amministrativa  regionale,  a  suo  tempo
 correttamente esercitata nel rispetto degli obblighi comunitari e ora
 penalizzata sia per il futuro che per il passato dal premio accordato
 ad altre regioni, gia' responsabili  di  illecito  comunitario  nella
 approvazione   di   piani   in   aumento.   Si   intende  documentare
 specificamente  che  il  Ministero  dell'agricoltura  a   suo   tempo
 richiamo'  espressamente  le  regioni,  e in specie la ricorrente, al
 rispetto del divieto di approvazione di piani in aumento. Sicche' ora
 il comportamento dell'esecutivo e del  Parlamento  non  si  limita  a
 tenere  conto  di  uno  stato  di  fatto,  ma  legalizza con un nuovo
 illecito comunitario un precedente  illecito,  dandogli  dignita'  di
 presupposto  fattuale da cui trarre le mosse. Ne' l'aspettativa della
 regione ricorrente e dei suoi produttori al rispetto della  legalita'
 da  parte  di  tutti i soggetti coinvolti nella disciplina di settore
 puo' venire prospettata come generico affidamento  travolgibile,  per
 giunta  in  via  di urgenza e in forma retroattiva (su tale problema,
 valgano i principi che la  piu'  recente  giurisprudenza  di  codesta
 ecc.ma Corte ha fissato in tema di leggi di sanatoria).
   4.2  -  Violazione  degli  artt.  3  e  41  della  Costituzione, in
 riferimento  agli  artt.   5,   117   e   118   della   Costituzione.
 L'illegittimita' costituzionale prospettata sub 4.1 puo' configurarsi
 anche  come  violazione degli artt. 3 e 41, in riferimento agli artt.
 5, 117 e  118  della  Costituzione,  per  la  discriminatoria  quanto
 ingiustificata  penalizzazione  degli  operatori agricoli del settore
 lattiero-caseario della regione  ricorrente,  non  fondata  su  alcun
 ragionevole  parametro  classificatorio,  ed anzi imperniata su di un
 parametro espressamente vietato e configurato come un disvalore dalla
 normativa comunitaria.   La compressione  o  peggio  la  soppressione
 della  attivita'  produttiva pregiudica non solo gli stessi operatori
 colpiti, ma anche, e non di riflesso, la effettivita' della  funzione
 legislativa   e   amministrativa   regionale,  vanificata  nella  sua
 sostanza.
   4.3. - Violazione degli artt. 5,  117  e  118  della  Costituzione,
 anche  con  riferimento all'art. 2, comma 2, della legge n. 468/l992.
 Violazione del principio di leale collaborazione tra Stato e regioni.
 Nella decisione n. 520/1995, piu' volte citata, codesta ecc.ma  Corte
 ha ritenuto non incostituzionale la mancata previsione nella legge n.
 46/1995 del necessario coinvolgimento della Conferenza Stato-regioni,
 atteso  che  essa  va  coinvolta soltanto per la determinazione degli
 indirizzi generali della legislazione da adottare.  La Corte ha pero'
 dichiarato incostituzionale la mancata  previsione  "di  qualsivoglia
 partecipazione  regionale  al  procedimento  di riduzione delle quote
 individuali", anche alla luce della precedente  diretta  preposizione
 delle  regioni  stesse, ad opera dell'art. 2, comma 2, della legge n.
 468/1992, alla procedura di riduzione. In altre parole, la  Corte  ha
 ritenuto che la presenza regionale dovesse essere garantita non tanto
 "a  monte"  dell'intervento legislativo, giacche' la consultazione e'
 prescritta solo sui lineamenti generali e non sui  singoli  testi  di
 legge,   quanto   piuttosto  -  e  imprescindibilmente  -  "a  valle"
 dell'intervento legislativo, una volta che debba darglisi  attuazione
 mediante  la adozione del bollettino che poi le regioni sono tenute a
 divulgare.   Orbene, la  statuizione  della  Corte  ha  bensi'  avuto
 l'effetto  di  introdurre  additivamente  nell'art.  2 della legge n.
 46/1995  il  parere  regionale  non  originariamente  inclusovi   dal
 legislatore  statale.  Ma tale inserimento valeva per il procedimento
 ordinario di produzione del bollettino. Nel caso di specie, invece, i
 decreti nn. 124, 260, 353, 463 ed oggi il d.-l. n. 552 del 1996, pure
 nel testo risultante dalla conversione, hanno previsto la adozione di
 un bollettino unico nel suo genere, dotato - come si e'  detto  -  di
 una  forza speciale (essendo conclusivo per i produttori e definitivo
 per  gli  acquirenti)  e  addirittura  assoggettato  ad  una   tutela
 rafforzata contro impugnative dei soggetti da esso pregiudicati. Come
 gia'  rilevato,  rispetto a tale specie di bollettino, ridisciplinato
 nel procedimento,  nella  forza,  negli  effetti,  nella  tutela,  il
 legislatore  governativo  avrebbe dunque dovuto prevedere, secondo il
 facilmente   comprensibile   precetto   della   Corte,   l'intervento
 partecipativo  regionale in vista dell'adozione del bollettino, cioe'
 appunto a valle del decreto-legge, ma per effetto delle previsioni da
 contenersi in esso, in vista del  riparto  dei  tagli  da  praticare.
 Viceversa, il legislatore, ricadendo nel suo comportamento di sempre,
 non  ha  previsto alcun individualizzato intervento regionale in tale
 fase. Gia' in riferimento ai dd.-ll. nn. 124,  260,  353  e  463  del
 1996,  precedentemente  impugnati, a tale titolo non valeva la seduta
 del Comitato permanente  per  le  politiche  agricole,  alimentari  e
 forestali  del  15 febbraio 1995, in cui il Ministro ha semplicemente
 preannunciato il ricorso ad un nuovo decreto-legge, il cui testo  era
 predisposto  in versione diversa da quella poi emanata, senza fornire
 alcuna indicazione sulle operazioni da porre concretamente in essere.
 Con  cio'  il  Ministro  non  solo  non  ha  adempiuto  all'onere  di
 informazione   della  Conferenza  Stato-regioni  circa  i  lineamenti
 generali della politica legislativa, ma comunque non  ha  soddisfatto
 le  prescrizioni  della Corte quanto al procedimento di riduzione. Il
 che e' fattualmente confermato dalla avvenuta predisposizione  di  un
 bollettino, durante la elaborazione del quale le regioni, e in specie
 la  ricorrente  e  le  altre  interessate  dai  tagli, non sono state
 consultate ad alcun titolo.    Ne'  -  si  ribadisce  -  tale  parere
 individuale  avrebbe potuto essere surrogato da sedi di consultazione
 collegiale quali il  Comitato  permanente  (v.  a  tal  proposito  il
 verbale  della  seduta del 25 gennaio 1995 dal quale si evince che il
 parere e' stato  reso,  con  l'astensione  oltretutto  dell'Assessore
 della  regione  Lombardia,  piu'  con riferimento al decreto-legge da
 adottarsi (ancorche' poi adottato in ben diversa stesura), che non ai
 criteri  per  la  riduzione   delle   quote).   In   riferimento   al
 decreto-legge  n. 260/1996, nonche' ai successivi decreti-legge della
 "catena" a quanto  risulta,  il  Governo  non  ha  proceduto  neppure
 all'adozione  del  menzionato  e    - censurato - procedimento.   Nel
 decreto-legge n. 353/1996, la previsione la cui  assenza  era  a  suo
 tempo  lamentata  nei  primi  ricorsi  avverso  il  decreto-legge  n.
 124/1996 e il decreto-legge n.  260/1996,  e  comparsa,  tardivamente
 quanto  inefficacemente,  ed  e'  stata ribadita nel decreto-legge n.
 463/1996, nel decreto-legge n. 552/1996 e nella legge di  conversione
 ora impugnata. Tardivamente, perche' il termine per il bollettino era
 ed   e'   scaduto  ed  esso,  pur  in  ritardo  ulteriore,  e'  stato
 effettivamente pubblicato, senza che il  parere  prescritto  ora  per
 allora  sia  stato  reso;  inefficacemente  perche'  non  si vede che
 effetto la previsione possa produrre,  data  la  tardivita'  di  essa
 rispetto  al bollettino.  Salvo che il legislatore non abbia avuto in
 occasione  del  decreto-legge  n.  353/1996,  e  tuttora  non  abbia,
 l'ingenuita' (o la cattiva coscienza) di ritenere che il parere possa
 essere  espresso  ora  per  allora  in  funzione  di sanatoria, che a
 livello di procedimenti costituzionalmente disciplinati non  dovrebbe
 essere ammissibile.
   5.  -  Vio1azione  degli  artt.  3,  97,  11,  41,  117 e 118 della
 Costituzione.  Quanto all'art. 3, anche per come  ora  convertito  in
 legge  n.  642/l996,  esso  contempla, al comma 3, limitatamente alla
 stagione  1995-1996  gia'  conclusa,  il  versamento   del   prelievo
 supplementare  dovuto,  sulla  base  di  elenchi  redatti dall'AIMA a
 seguito della compensazione nazionale.    Parallelamente,  l'art.  3,
 comma  1,  sostituendo  1'art.  5, comma 12, della legge n. 468/1992,
 prevede che  "qualora si determinino le condizioni per l'applicazione
 della compensazione nazionale" essa e' disposta dall'AIMA.    Non  e'
 dato  comprendere  cosa il caotico e contraddittorio, piu' ancora che
 rapsodico, legislatore nazionale abbia cosi' voluto significare.   La
 lettera  delle  disposizioni  impugnate sembrerebbe mostrare che egli
 abbia inteso che, cosi' come era previsto dalla legge n. 468/1992, la
 compensazione nazionale sia meramente eventuale:  tale  compensazione
 e'  infatti destinata a compiersi solo "qualora" se ne determinino le
 "condizioni". Non si puo' pero' trascurare che il 26 agosto e'  stato
 pubblicato   il   decreto-legge   n.   440/1996,   con  il  quale  la
 compensazione nazionale e' rimasta la sola  ammessa,  e  che  le  sue
 previsioni sono state reiterate con il d.-l. 23 ottobre 1996, n. 542,
 ora  convertito  in  legge  n. 649 del 1996.  Che si e' inteso dunque
 fare? Si e' voluto  abrogare  cio'  che  si  era  con  altro  decreto
 contemporaneamente   previsto?   Ci  si  e'  ricreduti?    Ci  si  e'
 semplicemente "dimenticati di cio' che  contemporaneamente  si  stava
 facendo?    In  realta',  si  e'  creata  una  enorme  confusione, in
 violazione dei principi costituzionali di efficienza e buon andamento
 della pubblica amministrazione, determinando l'impossibilita' per gli
 enti di governo del settore - in primis per le  regioni  -  di  agire
 sulla base di un quadro normativo chiaro. Delle due, comunque, l'una:
 o  qui  si  e' inteso confermare quanto previsto dal decreto-legge n.
 440/1996 e  dal  decreto-legge  n.  542/1996,  oppure  si  e'  inteso
 ritornare  alla  disciplina  previgente.  Nel primo caso, la relativa
 previsione  deve  considerarsi  illegittima   per   i   motivi   gia'
 evidenziati  dalla  regione  Veneto  in  sede di ricorso avverso tali
 provvedimenti legislativi.  Come in quella sede si  e'  sostenuto  (e
 riportiamo  qui  testualmente le relative considerazioni), invero, la
 soppressione del livello provinciale di compensazione, non sostituito
 da alcuna istanza regionale, non solo opera  l'ennesimo  by-pass  del
 governo   regionale,  ma  reca  ancor  piu'  grave  pregiudizio  agli
 interessi degli  agricoltori  della  regione  ricorrente  -  piu'  si
 innalza  infatti,  il  livello della compensazione, meno e' probabile
 che le eccedenze locali possano trovare aggiustamento e compensazione
 senza  danno  per  la  produzione complessiva a livello provinciale e
 regionale - e, in modo non indiretto ne' riflesso  ma  (come  rilevo'
 gia'  la  sentenza  n.  520 del 1995) immediato, all'interesse stesso
 della  regione  ricorrente  ad   esercitare   le   proprie   potesta'
 programmatorie  del settore.  Si rifletta invece su come sarebbe piu'
 semplice e snello il procedime  nto di compensazione  se  esso  fosse
 affidato  alle  regioni,  come livello di programmazione e come enti.
 Ciascuna opererebbe per proprio conto e dovrebbe garantire  risultati
 che  in  sede  nazionale  avrebbero  al  massimo  bisogno  di  essere
 coordinati.  Si badi: imboccare tale  strada  non  sarebbe  meramente
 opportuno  o  conveniente (cio' che puo' non rilevare nel giudizio di
 costituzionalita'), ma e' costituzionalmente  necessario,  per  porre
 rimedio  ad  una  situazione  ormai  paradossale, che vede interventi
 normativi  del  Governo,  adottati  a  fini  correttivi,  determinare
 illegittimita'  ed  incoerenze  ancor  piu'  gravi e palesi di quelle
 pregresse,  cui  si  sarebbe  voluto,  nelle  intenzioni,  rimediare.
 Tornando  all'alternativa  prima  prospettata:  se si e' inteso, qui,
 tornare invece  alla  disciplina  previgente,  confermando  cioe'  un
 doppio  livello  di  compensazione,  nel  quale  a  quello sulla base
 provinciale gestito dalle APL si affianca, o piuttosto si sovrappone,
 quello nazionale, deve dirsi che i guasti prodotti dalle quote e  dai
 loro  meccanismi attuativi, a seguito della legge n. 46/1995, vengono
 aggravati.   I  produttori  veneti,  infatti,  gia'  penalizzati  dal
 legislatore  nazionale  per  le  modalita' di riparto dei tagli della
 produzione giudicate  proceduralmente  scorrette  da  codesta  ecc.ma
 Corte  nella  sentenza n. 520/1995, si ritroveranno in una condizione
 di molto minore (se non inesistente) probabilita', rispetto a  quelli
 di altre regioni avvantaggiate o meno penalizzate, di operare una pur
 limitata compensazione relativa alla quota B (ridotta a seguito della
 legge  n. 46/1995), a vantaggio di altre regioni in cui, pur avendo i
 relativi produttori superato, spesso di gran lunga,  la  somma  delle
 quote  A e B senza subire peraltro alcuna riduzione per effetto della
 legge n. 46/1995, i margini di compensazione sono molto piu' elevati.
 Col risultato che la  irragionevole  disparita'  di  trattamento  tra
 regioni  e tra singoli produttori si aggrava: la casuale appartenenza
 alla  associazione  di  una  zona   produttiva   ha   effetti   sulla
 compensazione,  a  prescindere  da  ogni ragionevole correlazione con
 l'effettiva differenza, su base individuale e/o regionale, tra  quota
 assegnata in base alle norme comunitarie e eccedenza prodotta. Con il
 che,    identici   comportamenti   produttivi   degli   operatori   e
 comportamenti   amministrativi   delle   regioni   (all'atto    della
 approvazione  di piani in aumento) sono trattati diversamente in modo
 casuale o addirittura penalizzante.  Di qui, oltre che la  violazione
 degli artt. 3 e 97, la lesione dei principi del diritto comunitario e
 della sfera di competenze legislative e amministrative regionali.  Si
 aggiunga  che,  anche  sotto questo profilo, la retroattivita' di una
 disciplina che interviene ad anno di riferimento concluso ha  effetti
 abnormi  e aggrava la gia' latente irragionevolezza.  L'art. 3, comma
 5,  sempre  nella   stessa   ottica   e   incorrendo   nelle   stesse
 illegittimita',  introduce  infine  una  redistribuzione  di quote, a
 titolo oneroso, secondo priorita' penalizzanti per il Veneto e per  i
 suoi  produttori.  Con il risultato dell'ulteriore aggravamento degli
 squilibri descritti.  Rispetto a quanto previsto dal testo originario
 del decreto-lege n.  552  del  1996,  la  legge  di  conversione  qui
 impugnata   non   altera   il   pregiudizio   per  la  ricorrente  e,
 conseguentemente, il vulnus alla Costituzione.  L'inserimento,  nella
 disposizione   da  ultima  citata,  della  lettera  c-bis),  infatti,
 conferma (e, anzi ancor  piu'  ribadisce)  che  lo  Stato  ha  voluto
 riservarsi  integralmente la determinazione analitica delle categorie
 di produttori beneficiari della riassegnazione di  quote.  In  questo
 modo, pero', si e' sottratto alla regione, pur titolare di competenze
 costituzionalmente  garantite in materia, qualunque potere di governo
 del   settore,   non   foss'altro   attraverso   la   manovra   della
 riassegnazione   in   favore   dell'una  o  dell'altra  categoria  di
 produttori, in ragione  delle  esigenze  regionali  della  produzione
 lattiera.
   Si  badi:  che  si  tratti  di  esigenze  regionali e' addirittura,
 paradossalmente e -  diremmo  -  autolesionisticamente,  riconosciuto
 dallo stesso legislatore statale. La legge qui impugnata, infatti, ha
 modificato  il  comma  5  dell'art.  3  del  decreto n. 552 del 1996,
 disponendo che le quote da riassegnare ai sensi del precedente  comma
 4  siano  riassegnate  non  piu'  solo  al 50% ma per l'intero "nella
 regione o nella provincia autonoma di provenienza".  Cio'  significa,
 puramente  e  semplicemente, che lo stesso legislatore statale per un
 verso vuole mantenere intoccato il  livello  di  produzione  lattiera
 nella  singola  regione  anche  a  seguito della riassegnazione delle
 quote di cui all'art. 3,  comma  4.  Per  l'altro,  illegittimamente,
 conferma   (e  anzi,  con  la  riferita,  ora  ancor  piu'  analitica
 previsione  di  criteri  di  priorita'  di   assegnazione,   aggrava)
 l'espropriazione  di  qualunque  potere  decisionale e programmatorio
 della regione in  materia  di  riassegnazione  delle  quote.  Potere,
 questo,  il  cui  esercizio  e' tanto piu' necessario, quanto piu' si
 consideri che solo la regione e' in grado di stabilire  con  coerenza
 ed  efficienza  quali categorie di produttori siano, in ragione delle
 specifiche esigenze del territorio, meritevoli  della  riassegnazione
 delle  quote.    Di  qui,  la  violazione  degli  indicati  parametri
 costituzionali (artt.  3, 97, 11, 41, 117 e 118 della  Costituzione),
 per irragionevolezza e contraddittorieta' della previsione normativa;
 violazione   del   principio   del   buon  andamento  della  pubblica
 amministrazione; violazione della sfera di competenze  della  regione
 in  materia  di  agricoltura;  violazione dell'esigenza (rilevante in
 forza  della  normativa  comunitaria)  dell'ordinato  governo   della
 produzione  lattiera,  anche in riferimento all'interesse dei singoli
 produttori operanti nel territorio regionale.   In  questo  contesto,
 illegittima  ed  incoerente,  per  le  stesse  ragioni,  e'  anche la
 previsione del comma 5-bis dell'art. 3 del decreto-legge n.  552  del
 1996,   introdotto   dall'impugnata   legge  di  conversione.    Tale
 disposizione  prevede  infatti  che   l'AIMA   riassegni   le   quote
 nell'ambito  della  regione  di  provenienza sulla base delle domande
 presentate entro un termine  (che  dev'essere  fissato  dalla  stessa
 AIMA|)  "non  inferiore  a tre mesi". Se non sono presentate domande,
 ovvero se esse sono inferiori alla disponibilita', l'AIMA provvede ad
 assegnare le quote su base nazionale. In questo modo, pero', si  lega
 la quantita' di quote-latte assegnata alla regione alla discrezionale
 decisione  dell'AIMA  sul  termine  di  presentazione  delle domande,
 nonche' al dato meramente estrinseco ed accidentale della  tempestiva
 presentazione delle domande medesime da parte dei produttori operanti
 sul  territorio  regionale.  Il  che  significa, tuttavia, che, sotto
 l'apparenza  di una relativa liberalizzazione, si conferisce all'AIMA
 il potere di gestire una surrettizia forma di compensazione nazionale
 del tutto accidentale, casuale e non programmata,  a  prescindere  da
 qualunque  coinvolgimento  nel  relativo  procedimento  della regione
 interessata.
   6. - Violazione degli artt. 3, 5, 11, 24, 41, 77, 97,  113,  117  e
 118 della Costituzione.
   Per  le ragioni sopra indicate, nonche' per quelle gia' esposte nei
 ricorsi con i quali a suo tempo si  sono  impugnati  i  decreti-legge
 appresso  menzionati,  risultano  costituzionalmente illegittimi, per
 violazione degli invocati parametri costituzionali, i  commi  3  e  5
 della   legge   qui  impugnata,  nella  parte  in  cui  fanno  salvi,
 rispettivamente, gli effetti prodotti dai d.-l. 15 marzo 1996, n. 124
 e 16 maggio 1996, n. 260; nonche' dal d.-l. 8 luglio 1996, n. 353 e 6
 settembre  1996,  n.  463.  Trattavasi,  infatti,  di   decreti-legge
 radicalmente illegittimi, i cui effetti non potrebbero essere, contra
 Constitutionem,  fatti  salvi  dal  legislatore,  neppure  in sede di
 conversione  di  altro  decreto-legge.  E'  chiaro  infatti  che   la
 "sanatoria"  degli  effetti  prodotti da decreti-legge non convertiti
 vale esclusivamente a rimediare - appunto - alla mancata conversione,
 e  non  potrebbe  trasformarsi  in   una   sorta   di   "assoluzione"
 parlamentare  dai  vizi  di  legittimita'  costituzionale dai quali i
 decreti non convertiti erano, comunque, afflitti.
   7.  -  In  estrema  sintesi,  il  provvedimento   legislativo   qui
 impugnato,  nella  parte  che  interessa,  e'  ispirato alla ratio di
 individuare, quale strumento attuativo  delle  contestate  scelte  di
 merito  contenute  nell'art.  2 della legge n. 46/1995, un bollettino
 assolutamente unico nel suo genere e munito di  caratteri  del  tutto
 speciali:  la  retroattivita'  rispetto  alla campagna ormai conclusa
 (art. 2, comma 1 del decreto per come convertito),  la  definitivita'
 rispetto  ai  produttori (ibidem) e agli acquirenti (comma 4), la non
 definitivita' nel senso amministrativo del  termine  (per  impugnarlo
 giurisdizionalmente  occorre  infatti  avere  previamente esperito il
 rimedio amministrativo in opposizione avanti l'AIMA: comma 3), la non
 sostituibilita'  con  strumenti   autocertificativi   precedentemente
 introdotti  dal  Governo  sempre  in  via  di  urgenza  (comma 2), la
 capacita' di precludere persino le compensazioni dovute in base  alla
 disciplina   comunitaria   se  l'operatore  lo  abbia  attaccato  con
 impugnazioni, per tutta la durata di tempo necessaria per  definirle.
 Per  altro  verso,  si  prevede  una disciplina della compensazione e
 delle quote latte (art. 3) del tutto dimentica delle esigenze e delle
 attribuzioni  regionali,  e  si   fanno   salvi   gli   effetti   dei
 decreti-legge gia' ab origine illegittimi (art. 1, commi 3 e 5, della
 legge  di conversione).   Per tutto questo, le previsioni della legge
 di  conversione  impugnata  che  riguardano  la  produzione  lattiera
 appaiono  complessivamente e nella loro integrita' costituzionalmente
 illegittime per i vizi sopra esposti.
   8. - Dopo l'entrata in vigore dell'impugnata legge di  conversione,
 il  caotico  legislatore  statale ha ritenuto di ripetere quanto gia'
 disposto dall'art. 3, comma 1,  del  decreto-legge  convertito.  Tale
 ripetizione  e'  quasi  interamente  testuale,  atteso  che di quella
 previsione  normativa  e'  stato  eliminato  semplicemente  il  primo
 periodo.  Tanto, all'art. 2, comma 168 (sic|) della legge 23 dicembre
 1996, n. 662, essa  pure  impugnata  dalla  ricorrente  con  separato
 ricorso.  Al comma 170 della stessa legge, poi, si riproduce in parte
 l'art.    3,  comma  3,  del decreto-legge convertito dalla legge qui
 impugnata, eppero'  con  alcune  modificazioni.  In  particolare:  si
 elimina   il   riferimento  alla  compensazione  nazionale  da  parte
 dell'AIMA; si proroga il  termine  per  il  versamento  del  prelievo
 supplementare  da  parte  degli acquirenti al 31 gennaio 1997 (questa
 proroga,  peraltro,  era  stata  gia'  disposta   dalla   legge   qui
 impugnata); si aggiunge la previsione della trasmissione alle regioni
 e  alle  province  autonome degli elenchi redatti dall'AIMA a seguito
 della compensazione nazionale.  Queste novita' normative, ovviamente,
 non possono spiegare alcun effetto sul presente ricorso,  atteso  che
 la declaratoria di incostituzionalita' qui auspicata opererebbe anche
 pro  praeterito  tempore, laddove le innovazioni di cui alla legge n.
 662 del 1996 operano solo de futuro.
   9. - Non si puo', in chiusura, non  richiamare  l'attenzione  sulla
 sconcertante  vicenda  normativa consumatasi dopo l'entrata in vigore
 della legge qui impugnata. Con l'art. 2, comma 172 (sic|) della legge
 23 dicembre 1996, n. 662, infatti, sono stati fatti  salvi  (fra  gli
 altri)  gli effetti prodotti dal decreto-legge n. 552 del 1996.  Tale
 incredibile  previsione  normativa  si  segnala  per   due   ragioni:
 anzitutto,  perche'  sono stati fatti salvi gli effetti di un decreto
 gia' convertito; in secondo luogo, perche' la sanatoria ha riguardato
 solo gli artt. 2 e 3. Il significato di tutto questo e' assolutamente
 oscuro,  e  non  e'  dato  divinare  che  cosa  abbia   inteso   fare
 l'improvvido  e  confuso  legislatore statale. In particolare, non si
 comprende che  cosa  mai  voglia  dire  salvare  gli  effetti  di  un
 decretolegge, quando questo e' gia' stato convertito| Non basta. Dopo
 l'entrata  in  vigore  della  legge  n. 662 del 1996, il legislatore,
 evidentemente consapevole dell'assurdita'  della  previsione  di  cui
 sopra,  ha  disposto  che "Il comma 172 dell'art. 2 e' soppresso".  A
 parte la formula  qui  utilizzata  (in  che  senso  una  disposizione
 normativa  puo'  essere  "soppressa" anziche' "abrogata"|?), cio' che
 lascia sconcertati e' che la "soppressione" sia stata disposta...  da
 un decreto-legge (art. 10, comma 9, del d.-l. 31  dicembre  1996,  n.
 669)| Con il che il Governo ha finito per intervenire, con un proprio
 decreto-legge, sulla scelta parlamentare (non conta, qui, dire quanto
 ragionevole)   di   salvare   o   meno  gli  effetti  di  un  diverso
 decreto-legge.  La ricorrente non ha interesse a censurare, innanzi a
 codesta ecc.ma Corte  costituzionale,  i  vizi  di  costituzionalita'
 cosi' determinatisi.  Non puo' fare a meno, tuttavia, di rilevare che
 anche  questa  vicenda dimostra, una volta di piu', l'irrazionalita',
 la casualita', la confusione degli interventi legislativi in  materia
 di  produzione  lattiera. Irrazionalita', casualita' e confusione che
 sono evidenti nella legge qui impugnata, e che impongono,  una  volta
 per  tutte,  un intervento di codesta ecc.ma Corte costituzionale che
 ripristini la legalita' costituzionale violata in questa delicata  (e
 socialmente importantissima) materia.
                               P. Q. M.
   Si  chiede che la ecc.ma Corte voglia, in accoglimento del presente
 ricorso, dichiarare l'illegittimita' costituzionale  della  legge  20
 dicembre  1996,  n.  642 di conversione del d.-l. 23 ottobre 1996, n.
 552, "Interventi urgenti nei settori agricoli e fermo biologico della
 pesca per il 1996", con riguardo ai commi 1, 3 e 5.
     Milano-Roma, addi' 18 gennaio 1997
               Avv. prof.  Ferrari - avv. prof. Luciani
 97C1114