N. 676 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 luglio 1997

                                N. 676
  Ordinanza emessa il 23 luglio 1997  dal  tribunale  di  Firenze  sul
 ricorso proposto da Zoratti Giovanna ed altre contro l'INPS
 Lavoro  (Tulela  del)  -  Garanzia  dei  crediti di lavoro in caso di
    insolvenza del datore di lavoro - Intervento del Fondo di garanzia
    gestito dall'INPS - Operativita' del Fondo stesso  per  i  crediti
    inerenti gli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro rientranti nei
    dodici  mesi  precedenti la data di dichiarazione del fallimento -
    Divieto di cumulo  delle  indennita'  corrisposte  dal  Fondo  con
    l'indennita' di mobilita' relativamente ai tre mesi susseguenti la
    risoluzione del rapporto di lavoro - Disparita' di trattamento dei
    lavoratori  in  questione  rispetto  ai  lavoratori  dipendenti da
    datore di lavoro solvibile, con diritto dopo il licenziamento alla
    percezione  dell'indennita'  di  mobilita',  nonche' ai lavoratori
    assoggettati a licenziamento individuale o fruenti dell'indennita'
    di disoccupazione - Incidenza sulla garanzia previdenziale.
 (D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 80, art. 2, comma 4, lett. c)).
 (Cost., artt. 3 e 38).
(GU n.42 del 15-10-1997 )
                             IL TRIBUNALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza nella  causa  iscritta  al  n.
 152  r.g.  1997,  su  ricorso  depositato  il  25 marzo 1997 discussa
 all'udienza del  23  luglio  1997,  promossa  da:  Giovanna  Zoratti,
 Rossana  Novasiri, Grazia Della Lunga, Franca Lappi e Loredana Maiani
 elettivamente domiciliate in Firenze alla via Guido Monaco, 25 presso
 lo studio dell'avv. Gabriella Del Rosso che le rappresenta e  difende
 come  da  procura  a  margine del ricorso di primo grado, appellanti,
 contro  l'I.N.P.S.  con  sede  in  Roma  in  persona  del  presidente
 pro-tempore elettivamente domiciliato in Firenze alla via Vecchietti,
 13   presso   l'ufficio  legale  dell'ente,  rappresentato  e  difeso
 dall'avv. Maria Antonietta Ronzoni in forza di procura generale  alle
 liti  per  atto  del  notaio  F.  Lupo  di Roma, appellato, avente ad
 oggetto: art. 2 quarto comma lett. c d.lgs. n. 80 del 27 gennaio 1992
 -  Questione  di  legittimita'   costituzionale   -   Non   manifesta
 infondatezza - Rilevanza.
                           Premessa di fatto
   Con  sentenza  in  data  20  novembre 1996 il pretore del lavoro di
 Firenze respingeva, compensando interamente le spese  del  grado,  le
 domande  proposte  dalle odierne lavoratrici appellanti nei confronti
 dell'I.N.P.S. al fine di ottenere il pagamento, a carico del Fondo di
 garanzia  istituito  a  funzionante  ex  legge  n.  297/1982,   delle
 retribuzioni pertinenti ai tre mesi antecedenti al loro licenziamento
 con  effetto dal 14 gennaio 1994 (disposto ai sensi dell'art. 4 legge
 n. 223/1997 dall'Azienda presso la quale erano alle dipendenze).
   Le attrici avevano supportato la  loro  domanda  sulla  base  della
 previsione  normativa  contenuta  nell'art. 2 del d.lgs. n. 80 del 27
 gennaio 1992 sul presupposto che la societa' datrice  di  lavoro  era
 stata  dichiarata  fallita  in  data  13  luglio  1994,  esplicitando
 altresi' che la loro ammissione a fruire dell'indennita' di mobilita'
 -  prevista  dalla  legge  n.  223/1991  in  caso  di   licenziamenti
 collettivi  -  non poteva costituire un ostacolo al conseguimento del
 diverso diritto rappresentato dal credito di  lavoro  afferente  agli
 ultimi tre mesi del rapporto.
   Su  questo particolare punto le ricorrenti avevano poi dedotto che,
 se  l'impedimento  alla  realizzazione  del  credito  doveva   essere
 ravvisato  in  base  all'art.  2,  comma  4,  lett.  c,  del  decreto
 legislativo n.  80/1992, la questione del contrasto con la previsione
 di legge poteva e doveva essere superata promuovendo la questione  di
 legittimita'  costituzionale  di  questa  norma per contrasto con gli
 artt. 11, 76, 3 e 38 della Costituzione.
   Il pretore, riscontrato che tale  disposizione  finiva  con  negare
 apertamente  la  tutela  invocata  dalle  lavoratrici,  respingeva la
 domanda  riconoscendo  altresi'  la  manifesta   infondatezza   della
 proposta questione di legittimita' costituzionale.
   Il  magistrato  motivava  il  rigetto  sotto  quest'ultimo  profilo
 spiegando che il decreto legislativo n. 80/1992,  previsto  dall'art.
 48 della legge di delega n. 428/1990, era stato emanato in attuazione
 della  direttiva  comunitaria  n.  987 del 20 ottobre 1980 che, nella
 complessiva  valutazione  di tutti gli strumenti di tutela apprestati
 dai singoli Stati rispetto alle vicende incidenti  sulla  risoluzione
 dei  rapporti  di  lavoro  in caso di insolvenza delle imprese, aveva
 contemplato la possibilita'  per  ciascun  ordinamento  giuridico  di
 fissare  un  massimale delle garanzie di tutela avverso le situazioni
 d'insolvenza in modo da non superare  per  eccesso  il  fine  sociale
 individuato dalla direttiva.
   Rilevava  inoltre  il  giudicante  come  nella  fattispecie  non si
 potesse far riferimento ad una violazione degli artt. 11 e  76  della
 Costituzione  poiche',  se da un lato era la stessa fonte comunitaria
 ad imporre un limite di tutela che doveva essere assicurato in  forza
 del principio di conformita' di cui alla lett. f dell'art. 2 legge n.
 428/1990,  dall'altro,  era  anche  vero  che l'art. 48 di tale legge
 delega poneva una limitazione  non  dettagliata,  dovendosi,  in  tal
 modo, ricorrere ai principi enunciati in sede comunitaria.
   Muovendo  da  questo  assunto  il giudice osservava che l'esaustiva
 delimitazione del problema ad opera  del  Consiglio  delle  Comunita'
 europee   aveva  ridotto,  annullandola,  la  questione  sul  diverso
 fondamento della tutela di un credito retributivo (non corrisposto  a
 causa  dell'insolvenza)  rispetto  a  quella  che  viene  fornita  al
 lavoratore in seguito alla perdita di occupazione.
   Il mancato contrasto con gli artt. 3 e 38 della Costituzione veniva
 invece desunto dalle condizioni di miglior favore comunque assicurate
 dall'indennita' di mobilita' rispetto ad altre provvidenze contro  la
 disoccupazione.
   Con   ricorso  depositato  in  cancelleria  il  25  marzo  1997  le
 lavoratrici hanno  impugnato  la  decisione  chiedendone  la  riforma
 previa  remissione al giudizio della Corte costituzionale della norma
 applicata dal primo giudice per la reiezione delle  pretese  azionate
 dalle attrici.
   L'I.N.P.S.  si  e'  costituito  resistendo  ed  ha  concluso per il
 rigetto del  gravame  ritenendo,  in  particolare,  insussistenti  le
 ragioni di illegittimita' costituzionale sollevate da controparte.
                        Osservazioni in diritto
   Il   tribunale   ritiene  che  la  questione  di  costituzionalita'
 sollevata dalle odierne appellanti non sia manifestamente infondata e
 sia rilevante per la decisione del giudizio in corso.
   Circa il primo profilo che legittima la rimessione  degli  atti  al
 giudice  delle  leggi  occorre  notare  come  lo stesso pretore abbia
 incidentalmente sottolineato la diversita' delle  ragioni  di  tutela
 che  presidiano la soddisfazione di un credito di lavoro nell'ipotesi
 d'insolvenza del datore di lavoro da quelle espresse da una serie  di
 istituti  atti  a  fronteggiare  le  dannose  conseguenze dell'evento
 disoccupazione.
   La diversita' delle esigenze e dei rimedi e' stata comunque risolta
 in primo grado sul piano dei principi affermati con la  direttiva  n.
 987/1980  dell'organismo  comunitario secondo il ragionamento esposto
 in fatto.
   In realta' il bisogno di una verifica  della  corrispondenza  della
 norma ex art. 2, comma 4, lett. c, del decreto legislativo n. 80/1992
 al  dettato costituzionale sorge per ragioni estranee agli artt. 11 e
 76 della Costituzione  se  si  considera,  in  primo  luogo,  che  la
 direttiva  europea  appena richiamata, pur nella ragionata conoscenza
 degli  ambiti  di  tutela  apprestati  dai  singoli  componenti della
 Comunita', ha in definitiva rimesso alla scelta politica
 degli Stati membri l'individuazione di  un  "massimale  di  garanzia"
 idoneo  ad  impedire  lo  snaturamento per eccesso del "fine sociale"
 della direttiva senza, a ben vedere, ingerirsi in  alcun  modo  della
 questione  attinente al quantum della tutela accordabile in relazione
 all'evento insolvenza dei crediti di lavoro.
   Si   puo'   quindi   dire   che   la   fonte   comunitaria,   lungi
 dall'interferire   con   le  concrete  possibilita'  legislative  dei
 destinatari di apprestare una varieta', anche cumulativa,  di  rimedi
 rispetto  agli  eventi  incidenti sulla funzionalita' del rapporto di
 lavoro  (tra  cui  inadempienza  e  disoccupazione  per   cause   non
 imputabili  ai  datori  di  lavoro),  ha  piuttosto  individuato  che
 l'ottemperanza del principio affermato in sede sovranazionale  poteva
 essere   raggiunta  con  la  predisposizione  di  leggi  strettamente
 funzionali allo  scopo  di  evitare  una  scopertura  di  tutela  del
 lavoratore   non   soddisfatto  nel  diritto  alla  retribuzione  per
 l'effetto di cause accidentali gravate sul datore di lavoro.
   Oggetto della direttiva era questa zona di protezione, strettamente
 limitata dunque all'evento attinente alla fase in  cui  lo  stato  di
 occupazione lavorativa era comunque in atto.
   Si  osserva,  in  secondo  luogo, come la stessa legge di delega n.
 428/1990 al punto b dell'art. 48 non si sia data carico di  stabilire
 la  natura  e  l'entita' - seppure per criteri direttivi - dei limiti
 che avrebbe dovuto fissare il Governo con riguardo all'ammontare  dei
 crediti  di  lavoro rimessi all'intervento previdenziale del Fondo di
 garanzia.
   Cio' invero non era necessariamente data l'assenza  di  un  vincolo
 imposto  dalla  direttiva  ed in ragione del fatto che si trattava di
 una nuova forma d'intervento previdenziale pienamente compatibile con
 quelle gia' esistenti in relazione a diversi oggetti.
   Da questa angolazione del  problema,  impostata  sulla  carenza  di
 precise  direttive  ad  opera  di  entrambe le fonti, non e' pertanto
 immaginabile  una  lesione  dei  due  precetti  costituzionali  sopra
 citati.
   Queste  considerazioni  conducono  invece  al fondato dubbio che la
 disposizione dell'art. 2, comma 4, lett. c,  decreto  legislativo  n.
 80/1992,  negatrice  dell'intervento  a  carico del Fondo di garanzia
 (volto alla prestazione  dei  tre  mesi  di  retribuzione  rientranti
 nell'arco   dei  dodici  mesi  antecedenti  al  fallimento  od  altra
 procedura correlata alla insolvenza) per coloro che abbiano percepito
 l'indennita'  di  mobilita'  ai  sensi  della   legge   n.   223/1991
 relativamente  ai  tre mesi susseguenti alla risoluzione del rapporto
 di lavoro, sia rispettosa degli artt. 3 e 38 della Costituzione.
   Secondo questo tribunale  si  tratta  quindi  di  una  verifica  di
 costituzionalita' da effettuare con esclusivo riguardo ai principi di
 merito  sottesi  a  quelle norme della Carta al di fuori dei vizi del
 procedimento di formazione della legge gia' esaminati ed,  in  questo
 caso, non riscontrabili.
   Se questo e' il tema dell'indagine allora si nota che - come non e'
 sfuggito  al  pretore  -  l'istituto riparatorio di una situazione di
 svantaggio per il lavoratore,  entrato  nel  nostro  ordinamento  col
 decreto  delegato  del  1992  grazie  all'adeguamento  del  principio
 sancito a livello europeo, rappresenta un rimedio previdenziale prima
 non  contemplato  in quella compiutezza e che ben puo' essere sotteso
 al contenuto del diritto costituzionale previsto all'art. 38 espresso
 con il concetto della previdenza come mezzo adeguato alle esigenze di
 vita per far fronte agli accadimenti pregiudizievoli per il cittadino
 lavoratore assistito.
   Il rischio addossato al sistema pubblico e' stato, in quest'ambito,
 individuato nella mancata  corresponsione  dell'elemento  retributivo
 legato e discendente dal nesso di corrispettivita' sinallagmatica del
 rapporto di lavoro subordinato.
   Diverso  per radice e funzione e' invece l'istituto dell'indennita'
 di  mobilita'  che  assicura  una  copertura,  sempre   in   funzione
 previdenziale,  di  uno  stato  soggettivo originato dalla cessazione
 della  relazione  lavorativa  in  conseguenza   di   una   situazione
 coinvolgente la vita dell'azienda seppure, a volte, lo stato di crisi
 sia concomitante con l'insolvenza.
   Valutando  la  norma  del  quarto  comma dell'art. 2 cit. nella sua
 intima coerenza si osserva, tra l'altro, che  la  lettera  a  collega
 l'esclusione  del  trattamento  sostitutivo  assegnato  al Fondo alla
 percezione, nell'arco dei dodici mesi, della  integrazione  salariale
 che  presuppone  assenza  o decurtazione della retribuzione e, cioe',
 una mancanza del diritto al salario compensata con altra  fonte,  per
 cosi' dire, sostitutiva.
   Si   comprende   pertanto   che  la  pretesa  al  versamento  della
 retribuzione per i tre mesi ex art. 2, comma 1,  decreto  legislativo
 n.  80/1992  si risolverebbe, in questa ipotesi, in una inammissibile
 duplicazione.
   Procedendo oltre e' da rilevare che la lettera b della  fattispecie
 in esame e' affermativa un eguale intento di evitare la sommatoria di
 due  beni  della vita di identica natura e lo fa con una disposizione
 pleonastica dal momento che il lavoratore ha gia' ottenuto quanto  la
 norma gli assicurerebbe.
   Infine, come si e' detto, la lettera c fa concorrere - escludendone
 uno  -  due  diversi beni cosi' separamente radicati nella diversita'
 dei presupposti e degli oggetti  di  tutela  da  poter  rientrare  in
 posizione  di coesistenza nelle finalita' previste dall'art. 38 della
 Costituzione.
   Ebbene  la  norma  della  lettera  c  in  questione  si   manifesta
 intrinsecamente irragionevole in quanto squilibria due distinte forme
 di tutela previdenziale aventi pari dignita' di contenuti e di fini.
   Essa appare altresi' foriera di disparita' di trattamento una volta
 che  nel  nostro  ordinamento  e'  entrata e si affiancata alle altre
 forme di tutela ricomprese nell'art.  38  della  Costituzione  quella
 forma  di  protezione  sociale  contro  gli stati di insolvenza delle
 imprese.
   Tale  irragionevole   diseguaglianza   risulta   innanzitutto   dal
 confronto  fra la posizione di chi ha percepito, per sua fortuna data
 dalla solvibilita'  del  datore  di  lavoro,  tanto  le  retribuzioni
 afferenti  al  normale  svolgersi  del  rapporto  quanto,  una  volta
 determinatosi il licenziamento collettivo ai sensi dell'art. 4  legge
 n. 223/1991, l'indennita' di mobilita', e la posizione del lavoratore
 che  si  e'  imbattuto  in  un  datore  di  lavoro  impossibilitato a
 prestare, prima del licenziamento collettivo, anche la retribuzione.
   Non  secondaria  e' poi la disparita' di trattamento rispetto sia a
 lavoratori che siano stati sottoposti a licenziamenti individuali  al
 cui  seguito  non  corre  la prestazione della mobilita' sia a coloro
 che, in luogo dell'indennita'  di  mobilita',  ottengano  altrove  il
 reimpiego,   laddove   si   consideri   che,  perlomeno  nella  forma
 dell'aliunde  perceptum,  il  nostro   ordinamento   lavoristico   e'
 sensibile all'influenza di un fattore estrinseco alla sfera di tutela
 dei  diritti   del lavoratore permettendo, nel concorso di una simile
 contingenza, una  decurtazione  risarcitoria  dei  diritti  lesi  dal
 licenziamento individuale.
   Analoga  diseguaglianza  si  riscontra  poi  rispetto ai soggetti a
 favore dei quali  opera  il  diritto  ad  una  provvidenza  economica
 distinta  nominalmente  ma  assimilabile  nella  sostanza a quella di
 mobilita' come l'indennita'  di  disoccupazione,  senza  che  possano
 rilevare  fattori  come  l'entita'  dei  benefici  o  la durata della
 percezione in quanto, ai fini della disposizione in esame,  e'  stata
 valutata  la  corresponsione  dell'indennita'  di mobilita' per i tre
 mesi successivi alla risoluzione del rapporto di lavoro.
   Oltre che apparentemente fondata la questione di  costituzionalita'
 e'  anche rilevante per la decisione del giudizio in corso poiche' la
 caducazione della norma  in  questione  comporterebbe  l'accoglimento
 delle domande articolate dalle odierne appellanti.
                                P. Q. M.
   Visti  gli artt. 134 e seguenti della Costituzine e l'art. 23 della
 legge 11 marzo 1953, n. 87;
   Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la  questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  2, quarto comma, lett. c del
 decreto legislativo n. 80 del 27 gennaio 1992;
   Dispone la sospensione del  presente  giudizio  e  la  trasmissione
 degli atti alla Corte costituzionale;
   Dispone  che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del
 Consiglio  dei  Ministri  ed  ai  Presidenti  delle  due  Camere  del
 Parlamento.
   Cosi' deciso in Firenze all'udienza del 23 luglio 1997.
                        Il presidente: Stanzani
 97C1115