N. 308 SENTENZA 29 settembre - 1 ottobre 1997

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo  penale - Giudice che abbia pronunciato precedente sentenza
 in  procedimento  di  opposizione   a   sanzione   amministrativa   -
 Incompatibilita'  a  procedere  - Omessa previsione - Inconferente il
 richiamo alla sentenza n. 371/1996 - Assenza di  una  valutazione  di
 merito  tale da pregiudicare le successive funzioni giurisdizionali -
 Insussistenza  di  un'ipotesi  di  incompatibilita'   nel   caso   di
 procedimenti diversi - Inammissibilita'.
 
 (C.P.P., art. 34).
 
 (Cost., artt. 3 e 24).
 
(GU n.41 del 8-10-1997 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco GUIZZI, prof.
 Cesare MIRABELLI, prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI,
 dott.   Cesare   RUPERTO,   dott.  Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo
 ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, prof. Guido
 NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 34  del  codice
 di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 4 febbraio 1997
 dal  pretore  di Trento, sezione distaccata di Cles, nel procedimento
 penale a carico di Valentini Ivano, iscritta al n. 177  del  registro
 ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 16, prima serie speciale, dell'anno 1997;
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del  18 giugno 1997 il giudice
 relatore Guido Neppi Modona.
                           Ritenuto in fatto
   Il pretore di Trento, sezione  distaccata  di  Cles,  ha  sollevato
 d'ufficio  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 34 del
 codice  di  procedura  penale,  nella   parte   in   cui,   limitando
 l'incompatibilita'  ai  casi  in  cui  il  giudice  abbia previamente
 compiuto atti nel medesimo procedimento, non prevede l'ipotesi in cui
 il  giudice  del  dibattimento  abbia   precedentemente   pronunciato
 sentenza   in   un   procedimento   di  opposizione  a  provvedimento
 amministrativo ai sensi della legge  n.    689  del  1981,  valutando
 incidentalmente la sussistenza del fatto-reato.
   Il  rimettente rileva che, in qualita' di giudice del dibattimento,
 e' chiamato a conoscere  della  imputazione  di  guida  in  stato  di
 ebbrezza,  a  norma dell'art. 186 decreto legislativo n. 285 del 1992
 (codice della strada). Tuttavia, prima del rinvio  a  giudizio,  come
 giudice  nel  procedimento di opposizione instaurato ex art. 22 della
 legge n. 689 del 1981 avverso il provvedimento di  sospensione  della
 patente  di  guida,  emesso  ai  sensi dell'art. 223 del codice della
 strada dal Commissario per il Governo  per  la  provincia  di  Trento
 quale sanzione accessoria per il reato di guida in stato di ebbrezza,
 aveva   pronunciato   sentenza,   annullando   il   provvedimento  di
 sospensione  provvisoria  della  patente,   sul   presupposto   della
 insussistenza  del  reato  del  quale  ora  si trova a giudicare come
 giudice penale.
   Il rimettente riconosce  che  tale  situazione  si  differenzia  da
 quelle  esaminate  e  decise  dalla  Corte costituzionale, perche' la
 decisione   pregiudicante   e'   relativa   ad   attivita'   compiuta
 nell'esercizio  di  funzioni  giurisdizionali  extrapenali;  osserva,
 pero',  che  ricorrono  le   stesse   ragioni   poste   dalla   Corte
 costituzionale  a  sostegno  delle  pronunce  di  accoglimento  delle
 questioni di costituzionalita' dell'art.  34 cod. proc. pen. Qualora,
 infatti, abbia avuto necessita' di valutare,  incidentalmente  ma  in
 maniera   completa,   il   fatto  costituente  reato  e  la  relativa
 responsabilita' in un procedimento  di  opposizione  a  provvedimento
 amministrativo  che  irroghi sanzioni accessorie a reati, e nel quale
 l'opposizione sia motivata sulla base di vizi non  meramente  formali
 dell'atto,  ma  dell'insussistenza dei presupposti del provvedimento,
 il giudicante inevitabilmente deve procedere ad un  esame  di  merito
 sulla responsabilita' penale.
   In  questa  ipotesi,  del  tutto  simile  nella sostanza al caso di
 decisione sul merito della regiudicanda presa dal medesimo giudice in
 altre fasi dello stesso  procedimento  penale,  la  mancanza  di  una
 previsione  di incompatibilita' contrasta, secondo il rimettente, con
 i parametri costituzionali salvaguardati dalla Corte nelle  decisioni
 che  hanno  accolto  le  questioni  di legittimita' dell'art. 34 cod.
 proc. pen.
   D'altro canto, prosegue il rimettente, dalla sentenza  della  Corte
 costituzionale  n.  371 del 1996, che ha esteso l'incompatibilita' ad
 ipotesi in cui  la  decisione  pregiudicante  e  quella  pregiudicata
 attengono  a  procedimenti  penali diversi nei confronti del medesimo
 imputato, dovrebbe discendere il superamento della preclusione legata
 alla rubrica dell'art. 34 cod. proc. pen. ed al fatto che in essa  si
 fa  riferimento  soltanto ad atti compiuti "nel procedimento"; con la
 conseguenza  che,  dopo  la  sentenza  n.  371  del  1996,   limitare
 l'operativita'  del  sistema  delle incompatibilita' al compimento di
 attivita' decisionali nelle sole sedi penali  costituirebbe  "opzione
 formalistica e priva di razionalita'".
   Di   conseguenza  la  mancata  previsione  della  incompatibilita',
 nell'ipotesi in cui il giudice del dibattimento abbia gia'  valutato,
 pronunciando sentenza nell'ambito di un procedimento di opposizione a
 sanzione  amministrativa, la sussistenza del fatto-reato, violerebbe,
 secondo il giudice a quo, l'art.  24  della  Costituzione,  cioe'  il
 principio   del   "giusto   processo"   sotto  forma  della  garanzia
 dell'imparzialita' del giudice. Il "principio di prevenzione,  inteso
 come naturale tendenza a mantenere un giudizio gia' reso", opererebbe
 infatti  nel  caso in esame "con maggiore intensita' (...) che non in
 altri   pur   gia'   considerati   dalla   Corte   come   fonte    di
 incompatibilita'"  (sentenze n. 432 del 1995, n. 131 e 155 del 1996),
 attesa  la  natura  della  decisione  pregiudicante  pronunciata  dal
 medesimo giudice.
   Del  pari,  risulterebbe  violato  l'art. 3 della Costituzione, per
 l'irragionevolezza  della   disparita'   di   trattamento   riservata
 all'imputato   tratto  a  giudizio  dinanzi  a  giudice  che  non  ha
 conosciuto della fattispecie in sede  di  opposizione  alla  sanzione
 amministrativa ex legge n. 689 del 1981, rispetto all'imputato che ha
 invece  proposto  opposizione  gia'  decisa  dal medesimo giudice che
 dovra' poi giudicarlo in sede penale.
                         Considerato in diritto
   1. - La questione sottoposta all'esame della Corte ha  per  oggetto
 l'art.  34  del  codice  di  procedura penale, nella parte in cui non
 prevede l'incompatibilita' a procedere al giudizio  del  giudice  che
 abbia  pronunciato  una  precedente  sentenza  in  un procedimento di
 opposizione ad una sanzione amministrativa alla stregua  degli  artt.
 22 e seguenti della legge 24 novembre 1981, n. 689.
   Il  giudice rimettente rileva che la situazione di incompatibilita'
 e' particolarmente  evidente  quando  la  funzione  pregiudicante  si
 esplica  nel  giudizio  di opposizione a provvedimenti amministrativi
 che irrogano sanzioni accessorie a reati, come nel caso di specie, in
 cui il Prefetto ha disposto, a seguito della contestazione del  reato
 di  guida  in  stato  di  ebbrezza,  la sospensione provvisoria della
 patente di guida a norma degli artt.  186  e  223  del  codice  della
 strada  (d.lgs.  30  aprile  1992, n. 285): ove l'opposizione non sia
 basata su motivi meramente formali e procedimentali, il  rapporto  di
 accessorieta' tra la sanzione amministrativa e il reato comporterebbe
 necessariamente  un  esame  di  merito sulla sussistenza del reato e,
 quindi, sulla responsabilita' penale dell'imputato.
   Ad avviso del giudice rimettente, in tale situazione  il  principio
 del  "giusto  processo",  posto  a  garanzia  dell'imparzialita'  del
 giudice, risulterebbe violato,  con  riferimento  all'art.  24  della
 Costituzione,  in forma ancora piu' intensa rispetto ad altri casi in
 cui  la  Corte  costituzionale  ha  ritenuto  che  la  "forza   della
 prevenzione",  intesa  come naturale tendenza a mantenere il giudizio
 gia' reso,  costituisca  fonte  di  incompatibilita',  per  avere  il
 giudice  gia'  valutato,  sia  pure incidenter tantum, la sussistenza
 della responsabilita' penale.   Risulterebbe violato anche  l'art.  3
 della   Costituzione,   a   causa  della  irrazionale  disparita'  di
 trattamento fra l'imputato rinviato a giudizio senza che  il  giudice
 del  dibattimento  abbia  gia'  preso  in  esame la sua posizione nel
 giudizio di opposizione, e l'imputato che  venga  giudicato  in  sede
 penale  dal medesimo giudice che ha gia' pronunciato sentenza in sede
 di opposizione.
   Il giudice rimettente e' consapevole che la questione proposta  "si
 differenzia   strutturalmente   da   tutti  i  casi,  precedentemente
 affrontati dalla Corte costituzionale", in  quanto  si  dovrebbe  ora
 "attribuire rilievo non gia' al previo compimento di atti compiuti in
 diverse fasi del procedimento penale, ma addirittura ad atti compiuti
 dal  medesimo  magistrato  nell'esercizio di funzioni giurisdizionali
 extrapenali", ma ritiene che  la  ratio  delle  precedenti  decisioni
 della  Corte  ricorra  anche  nel  caso  di specie, e che comunque la
 sentenza n. 371 del 1996 abbia superato la preclusione  del  medesimo
 procedimento  risultante  dalla rubrica dell'art. 34 cod. proc. pen.,
 estendendo  l'incompatibilita'  nei  confronti  della   funzione   di
 giudizio  svolta  in  un altro e separato processo dal giudice che in
 precedenza aveva valutato  la  responsabilita'  penale  del  medesimo
 imputato.
   Ad avviso del giudice rimettente, limitare la sfera di applicazione
 dell'art.  34  cod.  proc.  pen.  al compimento di precedenti atti di
 natura penale si tradurrebbe in "un'opzione formalistica e  priva  di
 razionalita'  in  un  sistema  processuale  che consente la decisione
 incidentale delle questioni pregiudiziali penali nel processo civile,
 e addirittura la impone in processi come  quello  di  opposizione  ex
 art.  205 del codice della strada, dove generalmente non e' possibile
 una  decisione  che  prescinda  dall'accertamento  della  fattispecie
 penale".
   2. - La questione non e' ammissibile.
   3.  - Non vi e' dubbio che, nelle ipotesi in cui l'opposizione alla
 sanzione amministrativa in  esame  non  sia  circoscritta  a  profili
 meramente  formali  e  procedimentali, ma si basi su motivi di merito
 che coinvolgono la sussistenza del fatto e la riconducibilita' al suo
 autore,  il  giudice  dell'opposizione  si  trova  necessariamente  a
 esprimere    valutazioni    sul   fatto   e   sulla   responsabilita'
 dell'imputato, che saranno poi oggetto del giudizio penale.
   Per i reati per cui sono previste,  come  appunto  nel  caso  della
 guida  in  stato  di  ebbrezza,  oltre alle pene principali, sanzioni
 accessorie,   applicabili   provvisoriamente   anche   dall'autorita'
 amministrativa,  quali  la  sospensione  o la revoca della patente di
 guida, dal combinato disposto degli artt. 205, 218 e 223  del  codice
 della  strada  (questi  ultimi  due  articoli  cosi'  come  integrati
 dall'art.  117  del  d.lgs.    10  settembre  1993, n. 360) si ricava
 infatti, conformemente  alla  recente  giurisprudenza  delle  Sezioni
 unite  della  Corte  di  cassazione,  che  avverso  il  provvedimento
 prefettizio di  sospensione  provvisoria  della  patente  e'  ammessa
 opposizione avanti all'autorita' giudiziaria a norma degli artt. 22 e
 23  della  legge  n.  689 del 1981 anche in costanza del procedimento
 penale. Come affermato da questa Corte, l'opposizione non e'  neppure
 subordinata  al  previo esperimento del ricorso in via amministrativa
 al prefetto (v. sentenze n. 366 e  n.    311  del  1994,  nonche'  la
 sentenza  n.  31  del  1996,  che ha esteso la tutela giurisdizionale
 avverso il provvedimento prefettizio di sospensione provvisoria della
 patente al caso di lesioni personali o di omicidio colposo  derivanti
 da violazione di norme del codice della strada).
   Alla  stregua della disciplina apprestata dagli artt. 22 e 23 della
 legge n. 689 del 1981, l'opposizione  avanti  al  pretore  civile  si
 sostanzia in un vero e proprio giudizio di merito: il pretore dispone
 anche d'ufficio i mezzi di prova che ritiene necessari, puo' disporre
 la  citazione  di  testimoni,  puo'  modificare  la sanzione anche in
 relazione alla sua entita', deve accogliere l'opposizione quando  non
 vi  sono prove sufficienti della responsabilita' dell'opponente (art.
 23, sesto, undicesimo e dodicesimo comma). Il carattere di merito del
 giudizio di opposizione ha trovato  conferma  in  via  interpretativa
 nella  giurisprudenza  costituzionale  (v.,  ex plurimis, sentenza n.
 507 del 1995) e in quella di  legittimita',  al  fine  di  assicurare
 all'opponente,  sotto  il  profilo  del diritto di difesa, una tutela
 analoga a quella apprestata all'imputato nel giudizio penale.
   E' dunque evidente che  avverso  il  provvedimento  prefettizio  di
 sospensione  provvisoria  della  patente puo' di fatto instaurarsi in
 sede di opposizione avanti al pretore civile  un  pieno  giudizio  di
 merito,  che si conclude con sentenza e si sovrappone, anticipandolo,
 al giudizio penale sul fatto di reato; giudizio che a  sua  volta,  a
 norma   dell'art.   222   del   codice   della   strada,  si  estende
 all'applicazione definitiva di quelle  medesime  sanzioni  accessorie
 della  revoca  e  della  sospensione della patente eventualmente gia'
 disposte in via provvisoria dal prefetto.
   4. -  Sulla  base  di  queste  premesse,  la  questione  sottoposta
 all'esame  della  Corte  sollecita  alcune riflessioni generali sugli
 strumenti  di  tutela  del  valore  dell'imparzialita'  del   giudice
 apprestati  dal  codice  di procedura penale e sulla loro idoneita' a
 garantire in forma razionale ed esaustiva  il  principio  del  giusto
 processo.
   Da  un lato, le valutazioni di merito espresse, nel caso di specie,
 dal giudice rimettente in sede  di  giudizio  civile  di  opposizione
 costituiscono  effettivamente  una anticipazione del giudizio penale:
 la sentenza con cui  e'  stata  accolta  l'opposizione  ed  e'  stato
 annullato  il  provvedimento  prefettizio  di sospensione provvisoria
 della  patente   si   basa,   infatti,   "sull'espresso   presupposto
 dell'insussistenza  del  reato  di  guida  in  stato  di ebbrezza ...
 contestato  in  sede  penale"  avanti  al  medesimo  magistrato  gia'
 investito  del giudizio di opposizione.  Sotto questo punto di vista,
 ricorrono entrambi i termini della relazione di incompatibilita',  in
 quanto  la  funzione  di giudizio in sede penale puo' risentire della
 forza della prevenzione esercitata dalla  precedente  valutazione  di
 merito operata, sia pure in via incidentale, dal medesimo giudice sul
 medesimo fatto di reato e sulla responsabilita' dell'imputato.
   D'altro  canto  pero'  - e lo stesso pretore rimettente ha posto in
 rilievo queste peculiarita'  -  la  funzione  di  cui  e'  denunciato
 l'effetto   pregiudicante   non  e'  stata  esercitata  nel  medesimo
 procedimento penale, ma addirittura in un  procedimento  extrapenale,
 cioe'  fuori  della sfera di previsione dell'art. 34 cod. proc. pen.;
 inoltre, la decisione presa e  la  precedente  attivita'  giudiziaria
 svolta  nel  giudizio  civile  non  hanno necessariamente una valenza
 pregiudicante nei confronti del successivo  giudizio  penale,  ma  il
 pregiudizio  per  il  principio dell'imparzialita' si puo' verificare
 solo quando, essendo l'opposizione basata su  motivi  di  merito,  il
 giudice  civile  e' conseguentemente chiamato ad esprimere - come nel
 caso di specie  -  valutazioni  sul  fatto  e  sulla  responsabilita'
 dell'imputato.
   Si  deve  dunque accertare, anche alla luce della giurisprudenza di
 questa Corte e, in particolare, della sentenza n. 371  del  1996,  se
 nel  caso  di  specie  il  principio del giusto processo possa essere
 tutelato  mediante  un   ulteriore   ampliamento   della   sfera   di
 applicazione  dell'art. 34 cod. proc. pen., ovvero si debba ricorrere
 ad altri istituti predisposti per assicurare le medesime garanzie  di
 imparzialita' e di terzieta' del giudice penale.
   5.  -  L'esigenza  di  individuare  gli  strumenti processuali piu'
 idonei  ed  efficaci  ai  fini  della   tutela   del   principio   di
 imparzialita' induce a prendere in considerazione le rispettive sfere
 di  applicazione  dei  casi  di  incompatibilita'  e  di astensione o
 ricusazione, sotto il profilo  degli  elementi  comuni  e  di  quelli
 differenziali   che   rispettivamente  caratterizzano  le  situazioni
 disciplinate dagli artt. 34 e 36-37 cod. proc. pen.
   Emerge  in  primo  luogo  che  i  casi  di  incompatibilita'  e  di
 astensione   o   ricusazione   sono   sottoposti  ad  una  disciplina
 sostanzialmente unitaria e sono  sorretti  dalla  comune  matrice  di
 condizioni   impeditive   dell'esercizio   di   specifiche   funzioni
 giurisdizionali,  le  quali,  sotto  il  profilo  dell'imparzialita',
 verrebbero  pregiudicate  dalle  attivita'  svolte  in precedenza dal
 medesimo soggetto processuale.
   Sul  terreno  procedimentale,  l'elemento  comune  alle  cause   di
 incompatibilita',  di  astensione e di ricusazione del giudice penale
 va ravvisato nei meccanismi attivabili per assicurarne  l'osservanza.
 Da  un lato, infatti, le situazioni di incompatibilita' costituiscono
 altrettante cause di astensione (art. 36, comma 1,  lettera  g,  cod.
 proc.  pen.),  dall'altro  le  cause  di  astensione  determinano  la
 facolta' delle parti di ricusare il giudice che non si  sia  astenuto
 (art. 37, comma 1, lettera a, cod. proc. pen.).
   Alla  regola  della  corrispondenza  tra  casi  di  astensione e di
 ricusazione fa eccezione l'ipotesi prevista dall'art.  36,  comma  1,
 lettera  h,  cod.  proc.  pen.  (esistenza di "altre gravi ragioni di
 convenienza"); specularmente, vi e' poi un caso di ricusazione  (art.
 37,  comma  1,  lettera  b,  cod.  proc.  pen.:  l'avere  il giudice,
 nell'esercizio delle funzioni, "manifestato indebitamente il  proprio
 convincimento  sui  fatti oggetto dell'imputazione") che non comporta
 l'obbligo di astensione.
   Sul  terreno  sostanziale,  le  cause  di  incompatibilita'  e   di
 astensione  o  ricusazione  sono  accomunate dall'esigenza di evitare
 situazioni che, comunque, incidano sull'imparzialita' e  obiettivita'
 di  giudizio.    Si  puo' trattare di funzioni svolte dal giudice nel
 medesimo  procedimento,  ovvero di uffici ricoperti o condotte da lui
 tenute, precedentemente o nel corso del  procedimento,  in  relazione
 all'oggetto  di  questo  o  ad alcune delle parti: cioe' situazioni a
 vario  titolo  ritenute  dal  legislatore  capaci  di  avere  effetti
 pregiudicanti  nei  confronti delle successive funzioni di giudizio o
 in genere giurisdizionali.
   6.1. - A questi tratti  comuni  fanno  riscontro  alcuni  caratteri
 peculiari   che   contrassegnano,   rispettivamente,  le  ipotesi  di
 incompatibilita' e quelle di astensione o ricusazione.
   Per  quanto  riguarda  le  prime,  il  giudice  e'  inabilitato   a
 esercitare  funzioni  di giudizio (art. 34, comma 2, cod. proc. pen.)
 o, piu' in generale, giurisdizionali (art. 34,  commi  1  e  3,  cod.
 proc.  pen.)  a causa degli atti precedentemente compiuti nell'ambito
 dello stesso procedimento (art. 34, commi 1 e 2,  cod.  proc.  pen.),
 ovvero  perche'  vi  ha  esercitato  determinate  funzioni o prestato
 determinati uffici o ha compiuto atti propulsivi del giudizio  stesso
 (art. 34, comma 3, cod. proc. pen.). Su un diverso terreno si pongono
 le  particolari  ipotesi  previste  dall'art.  35  cod.  proc.  pen.,
 peraltro sempre riferite  a  rapporti  che  interessano  il  medesimo
 procedimento.
   Le  situazioni pregiudicanti descritte dall'art. 34 cod. proc. pen.
 operano  dunque  all'interno  del  medesimo   procedimento   in   cui
 interviene  la funzione pregiudicata (vedi sentenza n. 131 del 1996);
 inoltre sono espressamente predeterminate  dal  legislatore  in  base
 alla  presunzione che quelle funzioni e quegli atti tipicizzati siano
 oggettivamente incompatibili con l'esercizio di  ulteriori  attivita'
 giurisdizionali    svolte    nel    medesimo    procedimento.    Tali
 incompatibilita' riguardano, infatti, non  tanto  la  "capacita'  del
 giudice  di rivedere sempre di nuovo i propri giudizi alla luce degli
 elementi via via emergenti nello  svolgimento  del  processo,  quanto
 l'obiettivita' della funzione del giudicare, che esige, per quanto e'
 possibile,  la  sua  massima spersonalizzazione" (sentenza n. 155 del
 1996). E' questa la ragione per cui gli effetti pregiudicanti di tali
 situazioni  sono  stati  valutati  a  priori   dal   legislatore,   a
 prescindere  dalle  modalita'  con  cui  la funzione e' stata svolta,
 ovvero dal concreto contenuto dell'atto preso in  considerazione.  Ne
 deriva   che  le  situazioni  di  incompatibilita',  proprio  perche'
 astrattamente  tipicizzate  dal   legislatore   come   pregiudicanti,
 dovrebbero  consentire  di  organizzare  preventivamente  l'esercizio
 della giurisdizione nel pieno rispetto dei principi della terzieta' e
 dell'imparzialita' del giudice (vedi sentenza n. 307 in pari data).
   6.2. - I casi di astensione o ricusazione propriamente detti, cioe'
 ulteriori rispetto a  quelli  di  incompatibilita',  si  ricollegano,
 invece,   a  situazioni  pregiudizievoli  per  l'imparzialita'  della
 funzione  di  giudizio  che  possono  anche   preesistere,   e   anzi
 normalmente  preesistono,  al procedimento (art. 36, comma 1, lettere
 a, b, d, e, f, cod. proc.  pen.), ovvero si collocano comunque al  di
 fuori  di  esso  (art.  36,  comma 1, lettera c, cod. proc. pen.). In
 sintesi, nei casi  ora  menzionati  il  giudice  e'  a  vario  titolo
 interessato   al   procedimento,   ovvero   ha   manifestato  il  suo
 convincimento sull'oggetto del procedimento stesso.
   Anche  l'ipotesi  di  ricusazione  descritta dall'art. 37, comma 1,
 lettera b, cod. proc. pen. non si sottrae a tale criterio di massima:
 il giudice che  nell'esercizio  delle  sue  funzioni  ha  manifestato
 indebitamente    il   proprio   convincimento   sui   fatti   oggetto
 dell'imputazione, senza alcuna necessita' e senza alcun  collegamento
 con  l'attivita'  giurisdizionale,  opera  - per usare le espressioni
 della prevalente giurisprudenza di legittimita' -  fuori  della  sede
 processuale e dei compiti che gli sono propri.
   Le  ragioni del pregiudizio appaiono cioe' oggettivamente identiche
 sia  nel  caso  in  cui  il  giudice  abbia  manifestato  il  proprio
 convincimento  come  privato (art. 36, comma 1, lettera c, cod. proc.
 pen.), sia in quello in cui il convincimento  sia  stato  manifestato
 indebitamente   nell'ambito   di   funzioni   svolte   nello   stesso
 procedimento (art. 37, comma 1, lettera b, cod. proc. pen.), operando
 egualmente,  in  entrambi  i  casi,   la   cosiddetta   forza   della
 prevenzione.
   Identica  ragione  di  pregiudizio ricorre, poi, nei casi in cui il
 giudice  abbia  espresso  legittimamente  il  proprio   convincimento
 sull'oggetto del procedimento nell'ambito di un diverso procedimento,
 penale o anche non penale.
   6.3.  -  Dal confronto tra le ipotesi di astensione o ricusazione e
 quelle di incompatibilita' emerge dunque che, ove  la  situazione  si
 verifichi  al  di fuori del procedimento penale, entrano in campo gli
 istituti della astensione o ricusazione, mentre quando il pregiudizio
 e' ricollegabile  a  funzioni  esercitate  nell'ambito  del  medesimo
 procedimento  penale  trova applicazione l'art. 34 cod. proc. pen. In
 effetti, se la  manifestazione  del  convincimento  sull'oggetto  del
 procedimento  e'  espressione  tipicizzata  e, come tale, necessitata
 delle funzioni del giudice, l'atto pregiudicante non puo' che  essere
 tipicamente  individuato  in  base  ad  una valutazione presuntiva di
 pregiudizio dell'imparzialita'.
   E' cosi' possibile cogliere anche le ragioni  per  cui  i  casi  di
 astensione o di ricusazione - ovviamente diversi da quelli costituiti
 da  rapporti  interpersonali  tra  il  giudice  e le parti, anch'essi
 oggettivamente   e   astrattamente   tipicizzati   come    situazioni
 pregiudicanti  (art. 36, comma 1, lettere a, e, f, cod. proc. pen.) -
 debbono sempre essere oggetto di una puntuale valutazione di  merito,
 che   consenta   di   verificare   in  concreto  l'eventuale  effetto
 pregiudicante. Sarebbe infatti impossibile pretendere dal legislatore
 uno sforzo di astrazione e di tipicizzazione idoneo a  individuare  a
 priori  tutte  le  situazioni  in  cui  il giudice, avendo esercitato
 funzioni giudiziarie in un diverso procedimento, potrebbe poi  venire
 a  trovarsi  in  una  situazione  di  incompatibilita' nel successivo
 procedimento penale.
   La scelta del legislatore di qualificare una situazione come  causa
 di incompatibilita', ovvero di astensione o ricusazione, discende, in
 altri termini, dalla possibilita' o dalla impossibilita' di valutarne
 preventivamente   e   in   astratto   l'effetto   pregiudicante   per
 l'imparzialita'   del   giudice   penale.   Nel   primo   caso,    le
 incompatibilita'  trovano  la  loro  ratio  nell'esigenza  obiettiva,
 attinente alla stessa logica del processo, di  garantire  l'autonomia
 della funzione giudicante nei confronti di attivita' compiute in fasi
 e gradi precedenti (v.  sentenza n. 306 in pari data): il legislatore
 ha  cioe'  ritenuto  che  l'atto  o la funzione abbiano di per se' un
 effetto  pregiudicante,  a  prescindere  dallo  specifico   contenuto
 dell'atto  stesso  o  dalle  modalita'  con  cui la funzione e' stata
 esercitata. Nel secondo caso - tra cui rientra in modo emblematico la
 situazione oggetto  del  presente  giudizio  di  costituzionalita'  -
 l'effetto  pregiudicante e' meramente eventuale, e deve quindi essere
 accertato in concreto e, ove  necessario,  rimosso,  ricorrendo  agli
 istituti   dell'astensione  e  ricusazione,  ogniqualvolta  ne  venga
 verificata l'esistenza.
   7. - In altra occasione (sentenza n. 371 del 1996) questa Corte  ha
 ritenuto   che   anche  le  valutazioni  di  merito  in  ordine  alla
 responsabilita' di un terzo non imputato espresse in  una  precedente
 sentenza  penale  rientrano  tra  le  situazioni di incompatibilita',
 essendo idonee a determinare un pregiudizio per  l'imparzialita'  del
 giudice  chiamato  a  giudicare  il  medesimo  soggetto in un diverso
 procedimento penale, ma  tale  estensione  e'  stata  operata  in  un
 contesto  caratterizzato  dal fatto che i due procedimenti, derivanti
 da un procedimento originariamente unico,  riguardavano  la  medesima
 vicenda  processuale  (vedi  sentenze  n. 306 e n. 307 in pari data),
 sicche'   la    valutazione    pregiudicante    risultava    espressa
 sostanzialmente  nel  medesimo procedimento, intendendo l'unicita' di
 questo in senso non formalistico (cfr. ordinanza n.  404 del 1995).
   Queste  considerazioni,  insieme  al  rilievo  che  la  valutazione
 pregiudicante  era  stata  espressa  in  una  sentenza  penale, cioe'
 nell'atto con cui viene definito il processo e che  e'  l'espressione
 tipica  della  funzione giurisdizionale (vedi sentenza n. 307 in pari
 data),  rendono  evidente  che  la  questione  oggetto  del  presente
 giudizio di legittimita' non e' assimilabile alla situazione presa in
 esame dalla sentenza n.  371 del 1996.
   8.  -  Sulla  base  della  distinzione  tra le situazioni in cui le
 funzioni  pregiudicante  e  pregiudicata  intervengono  nel  medesimo
 procedimento  penale  e  quelle  in  cui  il rapporto di interferenza
 riguarda procedimenti diversi,  anche  non  penali,  si  puo'  quindi
 concludere  che  la tutela dell'imparzialita' e' assicurata, mediante
 una razionale ed esaustiva  utilizzazione  degli  istituti  volti  ad
 assicurare  il principio del "giusto processo", ricorrendo, a seconda
 dei casi, alle incompatibilita' delineate dall'art. 34,  ovvero  alle
 ipotesi di astensione e di ricusazione di cui agli artt. 36 e 37 cod.
 proc. pen.
   Se  i  termini della relazione di incompatibilita' intercorrono nel
 medesimo   procedimento,   la   tutela   e'   apprestata   dai   casi
 preventivamente  e  astrattamente  predeterminati  dall'art.  34 cod.
 proc. pen., cosi' come integrato dalle sentenze di questa  Corte.  Si
 tratta  delle situazioni in cui, per la sua stessa natura, l'atto non
 puo' non contenere valutazioni di  merito  tali  da  pregiudicare  le
 successive funzioni giurisdizionali.
   Se   poi,   sempre   all'interno   del  medesimo  procedimento,  la
 valutazione di merito non e' imposta dal tipo di atto, che  anzi,  di
 per  se',  non  presuppone accertamenti sulla responsabilita' penale,
 l'ipotesi non rientra nella sfera di applicazione dell'art.  34  cod.
 proc.  pen.,  sicche' l'eventuale effetto pregiudicante dovra' essere
 accertato in concreto, ricorrendo, ove ne sussistano  i  presupposti,
 agli istituti dell'astensione o della ricusazione.
   Analogamente,   quando   i   due   termini   della   relazione   di
 incompatibilita' intercorrono tra procedimenti  diversi,  sia  penali
 che non penali, si e' fuori dal modello di incompatibilita' delineato
 dall'art.  34  cod.  proc.  pen.  (salva l'estensione ai procedimenti
 diversi operata, nei limiti sopra indicati, dalla sentenza n. 371 del
 1996):   in   tali  casi,  ove  si  accerti  che  -  non  importa  se
 legittimamente o illegittimamente - e' stata espressa una valutazione
 di  responsabilita'  con  effetti  pregiudicanti  per  le  successive
 funzioni  giurisdizionali,  la  tutela dell'imparzialita' deve essere
 assicurata mediante gli istituti dell'astensione o della ricusazione.
   9. - La questione  di  legittimita'  costituzionale  sollevata  dal
 giudice  rimettente  e'  dunque  inammissibile, in quanto nel caso di
 specie la dedotta violazione  del  principio  dell'imparzialita'  del
 giudice non e' riconducibile alla sfera dell'art. 34 cod. proc. pen.
   Dall'ordinanza  di  rimessione  emerge, peraltro, una situazione di
 fatto che potrebbe determinare un pregiudizio per l'imparzialita' del
 giudice chiamato a decidere  in  sede  penale  sulla  responsabilita'
 dell'imputato.  Spettera'  al  giudice  rimettente  valutare se nella
 specie il dedotto  pregiudizio  sia  riconducibile  ad  alcuna  delle
 ipotesi di astensione o ricusazione gia' previste dall'ordinamento, o
 se  invece  le  esigenze  di  tutela  del  valore  dell'imparzialita'
 postulino un intervento di questa  Corte  sulla  disciplina  di  tali
 istituti,  al  fine  di  garantire  comunque  la  tutela  del  giusto
 processo.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara inammissibile la questione di legittimita'  costituzionale
 dell'art.   34   del   codice  di  procedura  penale,  sollevata,  in
 riferimento agli artt. 3 e 24  della  Costituzione,  dal  pretore  di
 Trento, sezione distaccata di Cles, con l'ordinanza in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 29 settembre 1997.
                        Il Presidente: Granata
                      Il redattore: Neppi Modona
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 1 ottobre 1997.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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