N. 726 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 marzo - 25 settembre 1997
N. 726 Ordinanza emessa il 18 marzo 1997 (pervenuta alla Corte costituzionale il 25 settembre 1997) dal pretore di Livorno sui ricorsi riuniti proposti da Rossi Monica ed altri contro l'Ente poste italiane Poste e telecomunicazioni - Ente Poste italiane - Dipendenti assunti con contratto a tempo determinato - Trasformazione del rapporto di lavoro in rapporto a tempo indeterminato, cosi' come previsto dalla precedente disciplina - Esclusione - Irragionevolezza - Violazione del principio di eguaglianza sotto i profili della disparita' di trattamento dei lavoratori dell'Ente Poste italiane sia rispetto a coloro che abbiano usufruito del beneficio sia rispetto ai lavoratori del settore privato. (Legge 28 novembre 1996, n. 608, art. 9, comma 21). (Cost., art. 3).(GU n.44 del 29-10-1997 )
IL PRETORE Ritiene questo pretore di dover sollevare come richiesto dagli attori questione di legittimita' costituzionale del disposto di cui all'art. 9, comma 21 della legge 28 novembre 1996, n. 608. Tale normativa dispone, come e' noto, fra l'altro che "le assunzioni di personale con rapporto di lavoro a tempo determinato, effettuate dall'Ente poste italiane, a decorrere dalla data della sua costituzione e comunque non oltre il 30 giugno 1997 non possono dare luogo a rapporti di lavoro a tempo indeterminato e decadono allo scadere del termine di ciascun contratto". Osserva, in proposito, questo giudice: tale normativa appare allo stato tale da comportare, rebus sic stantibus, la reiezione dei ricorsi proposti. Non puo', infatti accedersi alla tesi avanzata in proposito dai ricorrenti, i quali sostengono che l'espressione dare luogo usata dal legislatore starebbe a significare che i contratti a termine stipulati dal convenuto ex art. 230/1962 non possono essere convertiti in contratti a tempo determinato. Questa circostanza non si verificherebbe, invece, nel caso di specie nel quale il contratto a temine sarebbe invalido ab initio e il rapporto tra ricorrenti e convenuto si sarebbe ab initio costituito come rapporto a tempo indeterminato. A parere di questo pretore questa tesi, pur suggestiva e ben argomentata si basa, pero', su una interpretazione non convincente del testo di legge e, in particolare dell'espressione "dare luogo". Non vi sono, infatti, motivi plausibili, anche dal punto di vista meramente etimologico, per ritenere che questa espressione, invero generica ed onnicomprensiva, nel significato comune del termine, debba essere interpretata, restrittivamente nel senso indicato dai ricorrenti. Tale espressione sembra, pertanto, nella volonta' del legislatore idonea a coprire tutte le ipotesi in cui, comunque da un contratto a tempo determinato si pervenga ad un contratto a tempo indeterminato, vuoi, per illegittima apposizione del termine, vuoi per trasformazione ex art. 2, secondo comma, della legge n. 230/1962. Del resto come gia' rilevato da altre AA.GG. sarebbe privo di ratio il ritenere che il legislatore da un lato abbia voluto, in questo caso porre al datore di lavoro un limite nelle assunzioni con un divieto di trasformare un legittimo contratto di lavoro a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato e dall'altro abbia, invece, consentito allo stesso datore di eludere tale limite, aggirando, altresi', gli accordi sindacali in tema di assunzione, stipulando in violazione di legge contratti a tempo determinato poi convertibili automaticamente in contratti a tempo indeterminato. Cio' premesso, occorre, infine esaminare due ordini di problemi e cioe': se vi siano, nella normativa cosi' elencata profili di illegittimita' costituzionale; se, in caso di risposta affermativa a questa domanda, possa essere concesso ai ricorrenti un provvedimento ex art. 700 c.p.c. Per quanto attiene alla prima questione la risposta deve essere affermativa, con riguardo ad una possibile violazione dell'art. 3 della Costituzione. La normativa predetta sembra, infatti, vulnerare il principio di uguaglianza sotto un duplice profilo: da un lato sotto un profilo "esterno" in quanto discrimina ingiustamente i lavoratori postali dagli altri lavoratori privati, senza che si possa rinvenire, almeno con evidenza un principio razionale che sottenda a questa impostazione. Se, infatti, dopo la privatizzazione i lavoratori delle poste hanno assunto in pieno la qualifica di lavoratori privati, non si capisce, almeno ictu oculi, perche' agli stessi non debba essere applicato il trattamento, in questo caso favorevole previsto in caso di contatto a tempo determinato illegittimo, rispetto a quello che viene fatto nei confronti di tutti gli altri lavoratori privati. Si consideri, oltretutto che un ulteriore motivo di "peculiarita'" del rapporto di lavoro "postale" sarebbe rappresentato dal fatto che questa normativa assicura validita', sempre e comunque, a qualunque clausola appositiva del termine anche, eventualmente di tipo illecito o discriminatorio. Anche sotto questo profilo pare arduo sostenere la sussistenza di un evidente principio di ragionevolezza. Ma vi e' anche una disciminazione, per certi versi ancora piu' stridente ed illogica "interna" agli stessi lavoratori dell'EPI. Tale discriminazione si attua quando la normativa in parola prevede che gli stessi lavoratori siano distinti, sotto il profilo della validita' del contratto di lavoro a tempo determinato e della sua conversione in contratto di lavoro a tempo indeterminato, dal fatto che il contratto stesso vada a scadere prima o dopo il 30 giugno 1997. Anche qui non si rinviene un apparente principio di ragionevolezza. Ritiene, quindi il pretore di dovere sollevare la questione di costituzionalita' della normativa sovracitata per contrasto con l'art. 3 della Costituzione sorgendo quantomeno il sospetto che la stessa normativa tratti in modo diverso situazione analoghe. La questione e', ovviamente, rilevante nella presente causa, poiche' la norma impugnata, se ritenuta valida provocherebbe la reiezione del ricorso. Sul provvedimento cautelare ex art. 700 c.p.c. Per quanto riguarda, invece, la richiesta di applicazione di un provvedimento cautelare ex art. 700 osserva il pretore: pur non ignorando l'esistenza di una giurisprudenza in senso opposto, mossa sicuramente da lodevoli intenzioni di tutela dei diritti dei ricorrenti, ritiene questo pretore di aderire, come gia' in altre occasioni, alla tesi secondo la quale non e' consentito al giudice cautelare di "disapplicare" in sostanza una normativa che ritenga sospetta di incostituzionalita', e cio' per i seguenti motivi: il fumus boni iuris deve sussistere sulla base del diritto positivo quale vigente al momento della decisione; e' evidente che il sollevamento della questione di costituzionalita' non implica, in alcun modo il venir meno e neppure l'affievolimento della norma sospetta di incostituzionalita'. Opinando diversamente si attribuirebbe, in maniera eccessiva al giudice cautelare un potere di disapplicazione, che, oltre a non essere previsto da alcuna norma, non viene riconosciuto ne' al giudice ordinario, che deve limitarsi a sospendere il processo ne' addirittura alla stessa Corte costituzionale che non ha alcun potere di disporre la provvisoria disapplicazione della norma impugnata. Oltretutto non e' neppure completamente esatto che il sollevamento della questione di costituzionalita' presupponga nel giudice a quo una prognosi fausta di accoglimento, in quanto, in una interpretazione corretta del nostro sistema, il predetto giudice e' chiamato, assai piu' riduttivamente a formulare un giudizio di non manifesta infondatezza della questione (art. 23, terzo comma, della legge n. 87/1953). Ma, lo si ripete, l'argomento fondamentale e' quello secondo il quale il fumus boni iuris va valutato alla luce del diritto positivo vigente al momento della valutazione e che il sospetto di costituzionalita' di ubna normas non ne fa venir meno la vigenza. Del resto la stessa Corte di cassazione, con sentenza n. 13415 del 12 dicembre 1991, sez. lavoro ha definito addirittura abnorme e, come tale ricorribile per cassazione ai sensi dell'art. 111, secondo comma, Cost. il provvedimento d'urgenza concesso disapplicando la norma sospettata di incostituzionalita'. Questo pretore, infine, ritiene di aderire alla tesi dottrinaria e giurisprudenziale, secondo la quale, in questo caso e' necessario sospendere anche il procedimento cautelare, sollevando, nel frattempo questione di costituzionalita'. Alla base di tale convincimento si pone, soprattutto il disposto dell'art. 23 della legge n. 87/1953, il quale, come e' noto dispone che la questione di legittimita' costituzionale possa essere sollevata nel corso di un "giudizio", senza, pertanto, porre alcuna distinzione fra il tipo di giudizio proposto ed avendo come unico limite quello che si tratti di una autorita' giurisdizionale. La questione puo', pertanto, essere sollevata anche in fase cautelare e cio' comporta che la sospensione prevista dal comma secondo del medesimo articolo riguardi anche il giudizio cautelare.
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 21, della legge 28 novembre 1996, n. 608, nella parte in cui dispone che "le assunzioni di personale con contratto di lavoro a tempo determinato effettuate dall'Ente poste italiane a decorrere dalla data della sua costituzione e comunque non oltre il 30 giugno 1997 non possono dar luogo a rapporti di lavoro a tempo indeterminato e decadono allo scadere del termine finale di ciascun contratto" per contrasto con l'art. 3 della Costituzione; Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che la presente ordinanza sia comunicata alle parti e notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle Camere; Dispone la sospensione del presente giudizio. Livorno, addi' 18 marzo 1997 Il pretore g.l.: (firma illeggibile) 97C1170