N. 733 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 giugno 1997

                                N. 733
  Ordinanza  emessa  il  19  giugno  1997 dal tribunale di Catania nel
 procedimento civile vertente tra Finocchiaro Giovanni ed altri  e  la
 Banca popolare di Belpasso
 Banca  - Amministratori di istituti creditizi - Condanna con sentenza
    non definitiva per uno dei reati di cui all'art. 5, n.  3,  d.P.R.
    n.  350/1985  (nella  specie,  false  comunicazioni in bilancio) -
    Sospensione cautelare dalle cariche - Mancata  previsione  di  una
    gradualita'  sanzionatoria  in  relazione  alla gravita' del reato
    come richiesto dalla giurisprudenza della Corte costituzionale per
    situazioni analoghe (sentenze nn.  971/1988, 40  e 595 del 1990) -
    Disparita' di trattamento di situazioni omogenee -  Incidenza  sul
    diritto  al  lavoro,  sui  principi  di  tutela  del  lavoro  e di
    presunzione  di  innocenza  fino  alla   sentenza   definitiva   -
    Riferimento alla sentenza della Corte costituzionale n. 184/1994.
 (D.-L.  3  maggio  1991, n. 143, art. 9, convertito in legge 5 luglio
    1991, n. 197).
 (Cost., artt. 3, 4, 27 e 35).
(GU n.44 del 29-10-1997 )
                             IL TRIBUNALE
   Ha emesso la seguente ordinanza, letti gli atti del procedimento n.
 1092/1997 r.g., n. 476/1997 r: sez. n. 128 (97 r.g.i.)
                                Osserva
   1. - Finocchiaro Giovanni, Guglielmino Giuseppe, Santoro Giuseppe e
 Di Stefano Salvatore, componenti  del  Consiglio  di  amministrazione
 della  Banca  popolare  di Belpasso, convenivano in giudizio la Banca
 popolare di Belpasso soc. cop. a r.l. esponendo quanto segue.
   Con sentenza del tribunale di Catania  del  13  febbraio  1997  son
 stati  riconosciuti  colpevoli  del  reato  di false comunicazioni in
 bilancio con  riferimento  a  fatti  di  reato  che  sarebbero  stati
 commessi  alla  fine degli anni '80. Alle pene detentive e pecuniarie
 e' stata associata  la  pena  accessoria  della  "interdizione  dagli
 uffici  direttivi  delle  persone giuridiche e delle imprese per anni
 due". La sentenza ha previsto la sospensione della  esecuzione  delle
 pene alle condizioni di legge.
   Il Consiglio di amministrazione della Banca popolare di Belpasso ha
 deliberato  il  25  febbraio  1997  (allontanatisi gli odierni attori
 dalla riunione consiliare) la sospensione degli attori dai rispettivi
 uffici di amministratori   (presidente, vicepresidente,  consiglieri)
 in  applicazione  dell'art.  9  decreto-legge  n. 143/1991 convertito
 nella legge n. 197/1991, in base al quale la  condanna  con  sentenza
 anche  non  definitiva  per  uno dei reati di cui all'art. 5 n. 3 del
 decreto del Presidente della Repubblica n. 350 del 1985  comporta  la
 sospensione dalle funzioni di amministratore presso enti creditizi.
   Assumono   gli  attori  che  la  deliberazione  suindicata  sarebbe
 illegittima, per le seguenti ragioni:
     la sospensione prevista dalla legge n. 197/1991 non costituirebbe
 una sanzione amministrativa autonoma bensi'  costituirebbe  una  pena
 accessoria  derivante  dalla  stessa  sentenza di condanna, sicche' -
 essendo stata sospesa la esecuzione della pena principale -  andrebbe
 sospesa  anche  la  esecuzione  di  ogni  pena che della stessa possa
 qualificarsi come accessoria;
     la misura interdittiva adottata con  la  delibera  impugnata  non
 potrebbe, comunque, essere applicabile agli attori poiche' introdotta
 con legge, del 1991, successiva ai fatti addebitati agli attori;
     anche ad attribuire natura di sanzione amministrativa alla misura
 interdittiva  in  esame,  dovrebbe  rilevarsi  che  essa ha lo stesso
 oggetto della pena interdittiva prevista dall'art. 166 c.p.,  sicche'
 sarebbe  incongruo  la  contemporaneita' della sospensione della pena
 interdittiva prevista dal codice di procedura penale e l'applicazione
 della stessa misura interdittiva prevista dalla legge n. 197/1991;
     se non si  ritenesse  non  applicabile,  per  una  delle  ragioni
 suindicate, la sospensione prevista dalla legge n. 197/1991, la norma
 contrasterebbe, comunque, con l'art. 27/2 Cost.
   2.  -  Costituitasi, la banca convenuta evidenziava che la delibera
 oggetto  di  contestazione  era  stata  adottata  per  il  timore  di
 incorrere nelle sanzioni previste dall'art. 9/4 della stessa legge n.
 197  del  1991 per i componenti il Consiglio di amministrazione della
 banca.
   3. - In corso di causa veniva chiesta la sospensione della delibera
 in esame. Il giudice  istruttore  rilevava  che,  identificandosi  le
 questioni  sollevate  con la interpretazione dei dati normativi dalla
 quale dipende la decisione  della  causa,  era  necessario  approdare
 direttamente  alla decisione sul merito della controversia. In questa
 prospettiva, precisatesi le conclusioni, la  causa  veniva  posta  in
 decisione all'udienza del 5 maggio 1997 e decisa come in motivazione
                        Motivi della decisione
   1.  -  Secondo una interpretazione dei dati normativi rilevanti per
 la decisione sulla  fattispecie  in  esame  (vedasi  decisione  della
 sezione lavoro del tribunale di Catania del 27 maggio 1997 in sede di
 decisione  sul  reclamo  contro  ordinanza  del pretore del lavoro di
 Catania sez.  distaccata di Belpasso del 7 aprile 1997)  se  i  fatti
 per  i  quali  gli  amministratori  sospesi  ex lege n. 197/1991 sono
 collocati in epoca anteriore a quella della entrata in  vigore  della
 legge  n. 197/1991 in forza del principio generale per il quale (art.
 11 disp. preleggi al codice civile) la  legge  non  dispone  che  per
 l'avvenire,  salva  espressa  deroga  legislativa  (e  fatto salvo il
 principio costituzionale della irretroattivita' della legge penale) -
 anche  a  prescindere  da  ogni  valutazione   circa   il   carattere
 sostanzialmente  afflittivo  della  misura  della  sospensione  dalla
 carica - poiche' la disciplina introdotta dalla legge n. 197/1991  e'
 innovativa rispetto alla precedente disciplina in materia (disciplina
 che  prevedeva  la  misura  interdittiva  solo  a seguito di sentenza
 definitiva) la  normativa  in  esame  non  sarebbe  applicabile  alla
 concreta fattispecie storica.
   Deve  tuttavia  osservarsi  che  la  disposizione  legislativa  non
 collega la misura  della  sospensione  in  esame  direttamente  a  un
 comportamento  dei  soggetti  che debbono essere colpiti dalla misura
 bensi' al fatto che a loro carico sia  intervenuta  una  sentenza  di
 condanna  non  definitiva  (giacche'  se  fosse  definitiva  dovrebbe
 conseguirne la misura della decadenza).
   Se questo e' vero, non sembra che venga immediatamente  in  rilievo
 una questione di retroattivita' della legge con la connessa soluzione
 della  irretroattivita'  ex art. 11 delle disposizioni preliminari al
 codice civile in assenza di espressa  deroga  al  principio  generale
 espresso dal citato art. 11.
   2.  -  La questione della retroattivita' si ripropone, pero', sotto
 il profilo - piu' sostanziale - della natura giuridica  della  misura
 in  esame  (implicitamente  risolto  ma  non  esplicitamente trattato
 secondo la interpretazione riportata sub 1).
   A  questo  scopo  occorre precisare, in primo luogo, se alla stessa
 puo' riconoscersi il carattere di  una  afflittivita'  giuridicamente
 significante, cioe' come tale voluta dal legislatore.
   In  questa  prospettiva  la  si  potrebbe  considerare  come misura
 assimilabile a una sanzione amministrativa.
   Tuttavia in materia di sanzioni amministrative non vige  -  in  via
 generale  - il divieto di retroattivita' posto dall'art. 25 Cost.  in
 relazione alle sanzioni penali (Consiglio di Stato n. 5 del 17 maggio
 1974; sez. IV n. 706/1977, sez. 2 n. 772/1991; sez.  5  n.  152/1996;
 Corte costituzionale nn. 68/1984, 23/1967, 46/1964, 29/1961).
   Viene  pero' riconosciuto che in materia di sanzioni amministrative
 personali  e  disciplinari  possa  valere,  in  via  di  applicazione
 analogica,  il  principio  veicolato dall'art. 2 cod. pen. in base al
 quale si applica il trattamento  sanzionatorio  piu'  favorevole  fra
 quelli  che  si succedono nel tempo (Cons. St. sez. IV, nn. 150/1989,
 844/1990, 848/1990).
   Su questa base potrebbe reputarsi applicabile al caso in esame  con
 la  misura  prevista dalla legge del 1991 bensi' la previgente misura
 della  decadenza  condizionata,  pero',  alla   definitivita'   della
 sentenza (non ancora realizzatasi nel caso in esame).
   3.  -  Tuttavia deve registrarsi che, con convincenti argomenti, il
 giudizio sulle misure  cautelative  viene  considerato  distinto  per
 natura  e  funzione  da quello conclusivamente sanzionatorio (vedasi:
 Corte costituzionale n. 270/1988, Cons. St. nn. 211/1993, 212/1993).
   Nel caso in esame la misura della sospensione a seguito di condanna
 non definitiva e' per sua natura misura interinale,  sicche'  neanche
 puo'  configurarsi come sanzione sia amministrativa sia disciplinare,
 bensi' come cautela operante su un piano non afflittivo.
   Su  queste  basi,  dovrebbero  venir  meno  le  perplessita'  sopra
 considerate  circa la applicabilita' della misura alla fattispecie in
 esame.
   Infatti,    la    Corte    costituzionale    ha    dichiarato    la
 incostituzionalita'  di  misure  interdittive  da  adottarsi sul mero
 presupposto di una  sentenza  di  condanna  non  definitiva.  Con  le
 sentenze nn. 971/1988 e 40/1990, la Corte costituzionale, sviluppando
 i  criteri  gia'  enunciati nella precedente sentenza n. 270/1996, ha
 sottolineato che e'  indispensabile  una  gradualita'  sanzionatoria:
 vale  l'esigenza  che  la  sanzione sia graduata in rapporto al reato
 commesso  e  alle  possibili   ripercussioni   dello   stesso   sullo
 svolgimento  delle  mansioni dell'impiegato. In sostanza, la Corte ha
 ritenuto che  l'amministrazione  deve  tenere  conto  delle  concrete
 valutazioni   effettuate   dal  giudice  penale  e,  in  particolare,
 considerare se  il  giudice  penale  ha  ritenuto  il  fatto  di  non
 particolare  gravita' e il colpevole non socialmente pericoloso, come
 avviene se, ad esempio, il giudice  penale  ha  trasformato  la  pena
 detentiva  in  una  delle  misure alternative alla detenzione o se ha
 sospeso l'esecuzione della pena.
   4. -  La  misura  in  esame  costituisce  una  misura  interdittiva
 provvisoria  di  natura cautelare - come tale essa si autoqualifica e
 come almeno prima facie si presenta - volta a preservare i  requisiti
 di  onorabilita'  necessari  per  l'espletamento  delle  funzioni  di
 amministrazione, direzione e controllo nelle banche.
   La misura interdittiva in esame - neanche sanzionatoria ma soltanto
 cautelare  -  tutela  interessi  diversi  da  quelli  che  conformano
 l'azione del giudice penale.
   Tuttavia, non appare gratuita una  piu'  approfondita  analisi  del
 contesto  normativo e degli esiti effettuali della applicazione della
 misura in esame.
   4.1. -  Se  tale  previsione  normativa  si  colloca  nel  contesto
 normativo  delineato  oltre  che  dalla specifica disposizione che la
 prescrive, anche dalle raccomandazioni  adottate  dall'art.  3  par.2
 u.c.  del  titolo  II  della  direttiva  CEE  del 12 dicembre 1977 n.
 780/1977,  dalla  legge  n.  74/1985  di  delega   al   Governo   per
 l'attuazione  della  direttiva  predetta,  dal decreto del Presidente
 della Repubblica n. 350/1985, come modificato dalla legge n. 55/1990,
 di  attuazione  dei  principi  della  legge   delega,   dal   decreto
 legislativo  n.  481/1992  attutivo  della  direttiva CEE n. 89/646 e
 dalle raccomandazioni CIRC adottate  nella  riunione  del  30  luglio
 1993,  dal decreto ministeriale n. 334/1992 (art. 2.2.) e dalla legge
 n.  77/1982  (art.  1.7),  deve  registrarsi  che  l'istituto   della
 sospensione  temporanea  non  e'  riconducibile ai principi contenuti
 nella direttiva comunitaria  e  nella  suindicata  legge  di  delega,
 nonostante  che  si  collochi  all'interno  di una disciplina volta a
 regolamentare nel territorio italiano fattispecie che hanno origine e
 giustificazione in una fonte comunitaria.
   4.2. - Se si tengono in rilievo gli esiti effettuali  della  misura
 interdittiva  provvisoria,  deve  considerarsi  che  in  dottrina, la
 sospensione provvisoria  e'  stata  valutata  come  giusta  causa  di
 revoca,  senza diritto al risarcimento del danno neanche a seguito di
 una successiva sentenza che assolva colui che fu sospeso.
   Sotto questo profilo e' opportuno sottolineare che la situazione in
 esame presenta una diversita' essenziale  rispetto  ai  caratteri  di
 altra  questione  giudicata  infondata dalla Corte costituzionale con
 sentenza n. 184/1994. In quella occasione la Corte ritenne  infondate
 le questioni di legittimita' costituzionale di norme che prevedono la
 sospensione  obbligatoria di dipendenti e amministratori pubblici nei
 confronti dei quali sia stata emessa sentenza di condanna per  taluno
 dei   reati  indicati  nella  legge  n.  16/1992  modificativa  della
 precedente n. 55/1990 (Nuove disposizioni per  la  prevenzione  della
 delinquenza  di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione
 di  pericolosita'  sociale).  Questo  perche'  in   quel   caso,   il
 provvedimento  sospensivo  cautelare  -  accostabile alla sospensione
 cautelare prevista per gli impiegati civili dello Stato dall'art.  91
 testo  unico  della  legge  n. 3/1957 - puo' essere oggetto di revoca
 amministrativa.
    Nel caso in esame, invece, la sospensione e' atta a produrre esiti
 irrevocabili, se non  altro  in  termini  di  danni  non  risarcibili
 neanche al sopravvenire di una successiva sentenza di assoluzione.
   4.3.  -  Nello  specifico caso in esame non puo' trascurarsi che la
 misura  interdittiva  cautelare  deriverebbe  da  una  condanna,  non
 definitiva, della quale e' stata sospesa l'esecuzione della pena.
   Va  considerato, sotto questo profilo, che la Corte costituzionale,
 con  sentenza   n.   595/1990   ha   dichiarato   la   illegittimita'
 costituzionale,   con   riferimento  all'art.  3  della  Costituzione
 (assorbendo la questione sollevata per la  sospetta  incompatibilita'
 della  stessa  normativa  anche con gli artt. 4.1. e 35.1. Cost., sul
 presupposto  che  la   rigidita'   della   misura   cautelare   della
 interdizione  comporterebbe  un ingiustificato sacrificio del diritto
 al lavoro del professionista), di disposizioni di legge  nella  parte
 in   cui   non  prevedevano  che  la  sospensione  di  diritto  dello
 spedizioniere doganale venga meno con la concessione  della  liberta'
 provvisoria,  ritenendo  che la rigidita' della misura amministrativa
 che ne esclude l'adattamento alle circostanze concrete (in quel  caso
 la  sopravvenuta  remissione in liberta' dell'interessato), oltre che
 apparire  irragionevole  in   se',   determina   una   ingiustificata
 disparita'  di  trattamento  rispetto  alla  disciplina  prevista per
 l'equivalente  misura  cautelare   interdizione   provvisoria   dalla
 professione  o  dal pubblico ufficio disposta "durante l'istruttoria"
 ai sensi degli artt. 140 c.p. e 290 c.p., per la  quale  e'  comunque
 stabilito un limite massimo di durata.
   La  sopra  ricordata  sentenza della Corte costituzionale ribadisce
 l'indirizzo dalla stessa analogamente  espresso  con  riferimento  al
 caso   della  sospensione  cautelare  dalla  professione  di  dottore
 commercialista conseguente ad emissione di mandato di  cattura  anche
 dopo la concessione della liberta' provvisoria.
   In  entrambi i casi alla Corte - che cosi' implicitamente recepisce
 l'indirizzo affermato in alcune sentenze della Corte di cassazione  e
 del  Consiglio  di  Stato  (Cass.  civ.  n.  18/1984,  Cons.  St. nn.
 1305/1978, 162/1986) ma  contrastato  dalla  Corte  di  cassazione  a
 sezioni  unite nn. 5107/1984, 4249/1986) - non e' parso razionale che
 un  provvedimento  amministrativo,  quale  quello  della  sospensione
 obbligatoria,  che  ha  la  stessa  natura  e  si  basa  sulle stesse
 situazioni per le quali e' previsto un provvedimento giudiziario  non
 offra al cittadino analoghe garanzie quanto alla durata.
   5.  -  Le  considerazioni  sinora  svolte  conducono  a individuare
 nell'art.  9 del d.-l. 3 maggio 1991, n. 143 convertito  in  legge  5
 luglio  1991,  n.  197  la  disposizione-norma della quale appare non
 manifestamente infondata la incompatibilita' con i principi normativi
 contenuti negli artt. 3, 4, 27 e 35 della Costituzione.
   6. - La soluzione della questione di costituzionalita' che si va  a
 sollevare  e'  rilevante  nel  presente  processo  poiche'  dalla sua
 soluzione dipende la decisione circa  l'annullamento  di  sospensione
 degli attori dal consiglio di amministrazione della banca convenuta.
                                P. Q .M.
   Ritenutane  la  rilevanza, dichiara non manifestamente infondata la
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9  del  d.-l.    3
 maggio  1991,  n.  143  convertito  in legge 5 luglio 1991, n. 197 in
 rapporto agli artt. 3, 4, 27 e 35 della Costituzione;
   Sospende il giudizio in corso e  dispone  l'immediata  trasmissione
 degli atti alla Corte costituzionale;
   Ordina  che  a  cura  della  cancelleria  la presente ordinanza sia
 notificata alle parti in causa e  al  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere.
   Cosi' deciso nella camera di consiglio del 19 giugno 1997.
                         Il presidente: Macri'
                                        Il giudice estensore: Costanzo
 97C1177