N. 746 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 giugno 1997

                                N. 746
  Ordinanza  emessa  il  18  giugno  1997 dalla commissione tributaria
 provinciale di Verbania sui ricorsi riuniti  proposti  dalla  Rolandi
 s.r.l. ed altri contro l'ufficio ii.dd. di Domodossola
 Contenzioso  tributario  - Accertamento con adesione del contribuente
    ai fini delle imposte sul reddito e dell'IVA  -  Applicabilita'  -
    Esclusione, nel caso in cui e' configurabile l'obbligo di denuncia
    da  parte  dell'ufficio  all'autorita' giudiziaria, per i reati di
    cui agli articoli da 1 a 4, decreto-legge n. 429/1982 o quando per
    tali reati risulti presentato rapporto dalla Guardia di Finanza  o
    gia'  avviata  azione  penale  -  Riformulazione della proposta di
    accertamento da parte dell'ufficio, in caso di procedimento penale
    archiviato  o  definito  con  sentenza  di  proscioglimento  o  di
    assoluzione  -  Mancata  previsione  -  Lesione  del  principio di
    eguaglianza - Incidenza sul principio  di  non  colpevolezza  sino
    alla condanna definitiva.
 (D.-L. 30 settembre 1994, n. 564, artt. 2-bis, comma 2 e 3).
 (Cost., artt. 3 e 27, comma secondo).
(GU n.44 del 29-10-1997 )
                 LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE
   Ha  emesso  la seguente ordinanza sul ricorso n. 1392/96 depositato
 il 16 settembre 1996, avverso diniego condono  -  Irpeg  +  Ilor  91,
 contro  Imposte  dirette  di  Domodossola;  avverso diniego condono -
 Irpeg + Ilor 90,  contro  imposte  dirette  di  Domodossola;  avverso
 diniego  condono  -  Irpeg  +  Ilor  89,  contro  Imposte  dirette di
 Domodossola; avverso diniego  condono  -  Irpeg  +  Ilor  88,  contro
 Imposte  dirette  di  Domodossola;  dalla Rolandi s.r.l., residente a
 Domodossola (Verbania), in via Girola 20,  rappresentata  da  Rolandi
 Anselmo,  residente  a  Domodossola  (Verbania), in via Girola 15, in
 qualita' di procuratore, e Rolandi Rinaldo, residente  a  Domodossola
 (Verbania),  in  via  Girola  15,  in qualita' di procuratore, difeso
 dallo studio Canuto commercialisti associati, residente a Domodossola
 (Verbania), in corso Fer Bia, 23.
   Riunificato con i ricorsi 1393/96 proposto  dalla  Rolandi  s.r.l.;
 1394/96  proposto  da  Rolandi  Anselmo e Casagrande Rosanna; 1395/96
 proposto da Rolandi Rinaldo e Taddei Fernanda.
                               F a t t o
   L'Ufficio  imposte  dirette  di  Domodossola  con  gli  avvisi  nn.
 5702000104,  5702100106,  5702100107  e  5/1995  del  18 agosto 1995,
 notificati il  21  agosto  1995,  rettificava  le  dichiarazioni  dei
 redditi  presentate  dalla  "Rolandi  f.lli  s.n.c." e dalla "Rolandi
 S.r.l.", accertando maggiori redditi per gli anni 1988, 1989, 1990  e
 1991  da assoggettare all'imposta Ilor e per l'anno 1991 all'Irpeg ed
 all'Ilor.
   La  "F.lli  Rolandi  di  Rolandi Anselmo, Rinaldo   C. s.n.c." ed i
 relativi soci, nonche' la  societa'  "Rolandi  S.r.l.",  presentavano
 alla Commissione tributaria di primo grado di Verbania ricorso contro
 detti accertamenti.
   A  seguito  dell'introduzione delle disposizioni dettate in materia
 di accertamento con adesione dall'art. 3 del d.-l. 30 settembre 1994,
 n. 564 convertito, con modificazioni, in legge 30 novembre  1994,  n.
 656,  come modificato dal d.-l. 9 agosto 1995, n. 345 convertito, con
 modifiche, dalla legge 18 ottobre 1995, n. 427, la societa'  "Rolandi
 S.r.l.",  anche per la societa' trasformata "F.lli Rolandi di Rolandi
 Anselmo, Rinaldo  C. s.n.c.", ha presentato in data 15 dicembre  1995
 le  proposte di accertamento con relativa adesione per gli anni 1988,
 1989, 1990 e 1991, effettuando il  13  dicembre  1995  il  versamento
 della  prima  rata  delle  imposte  dovute  per  L. 10.000.000 per la
 "Rolandi s.n.c." e per L. 10.000.000  per  la  "Rolandi  S.r.l.",  ed
 eseguendo  in  data  1  aprile  1996 il versamento della seconda rata
 rispettivamente di L. 3.308.000 e di L. 6.696.000.
   Con provvedimento del 3 giugno 1996 notificato il  4  giugno  1996,
 l'Ufficio  distrettuale  delle  imposte  dirette  di  Domodossola  ha
 "dichiarato nulle le proposte di accertamento con adesione"  per  gli
 anni  1988,  1989,  1990 e 1991 perche' "in contrasto con la legge n.
 656/1994 per la presenza delle cause ostative previste dalla norma di
 legge sopra indicata, che risultano insanabili".
   Avverso detto provvedimento le ricorrenti hanno proposto ricorso  a
 questa  Commissione chiedendone l'annullamento in quanto non previsto
 da alcuna  norma  legislativa  e  regolamentare,  sostenendo  che  le
 proposte   di   accertamento   non   sono  revocabili  o  soggette  a
 impugnazione ne' integrabili o  modificabili  da  parte  dell'Ufficio
 (art.   8  del  d.P.R.    13  aprile  1995,  n.  177  concernente  il
 "Regolamento recante norme per l'esecuzione dell'art. 3 del d.-l.  30
 settembre  1994,  n.  564 convertito nella legge 30 novembre 1994, n.
 656 relativamente all'attivazione dell'accertamento con adesione  del
 contribuente per gli anni pregressi al 30 settembre 1994").
   Secondo le ricorrenti, con l'art. 3 del d.-l. 30 settembre 1994, n.
 564  (convertito dalla legge 30 novembre 1994, n. 656) la definizione
 delle  imposte  sul  reddito  e  dell'imposta  sul  valore  aggiunto,
 limitatamente  alle  dichiarazioni  presentate  entro il 30 settembre
 1994, potevano essere effettuate mediante accettazione degli  importi
 proposti  dagli  uffici. Il comma 1 di tale articolo, nell'originaria
 formulazione, prevedeva nell'ultimo periodo che "La  definizione  non
 puo'   essere   effettuata   se   e'   stato   notificato  avviso  di
 accertamento". Il d.-l.   9 agosto 1995.  n.  345,  convertito  dalla
 legge 18 ottobre 1995, n.  427, con l'art. 1, comma 1, lettera b), ha
 sostituito  l'ultimo  periodo  del  comma  1 dell'art. 3 del d.-l. n.
 564/1954 con il seguente: "La definizione non puo' essere  effettuata
 se.  entro il 20 maggio 1995, e' stato notificato processo verbale di
 constatazione con esito positivo ai fini delle imposte sul reddito  o
 dell'imposta   sul   valore   aggiunto   o   notificato   avviso   di
 accertamento...".   Secondo   le   ricorrenti   le   cause   ostative
 all'adesione,  sarebbero  rimaste esclusivamente quelle dipendenti da
 omessa presentazione  della  dichiarazione  ovvero  da  dichiarazione
 nulla  o  non  sottoscritta (art. 1, comma 3 del d.P.R.  n. 177/1995)
 ovvero ancora da previa notifica di processo verbale o di  avviso  di
 accertamento,  se  effettuati entro il 20 maggio 1995, atteso che ne'
 l'art.  3  del  decreto-legge  n.  564/1994  ne'  il  regolamento  di
 attuazione (d.P.R.  n.  177/1995)  rinvierebbe  alle  cause  ostative
 previste dall'art. 2-bis del decreto-legge n. 564/1995.
   Nelle    proprie   controdeduzioni   l'ufficio   osserva   che   il
 provvedimento di rigetto, oggetto del contendere, e'  stato  adottato
 ai  sensi  dell'art.    2-bis,  comma 2, del d.-l. 30 settembre 1994,
 convertito  dalla  legge  30  novembre  1994,  n.  656,  cosi'   come
 modificato dal d.-l. 9 agosto 1995, n. 345, convertito dalla legge 18
 ottobre 1995, n. 427, a motivo della presenza di una "causa ostativa"
 costituita  dall'ipotesi di reato di cui all'art. 4, comma 1, lettera
 d),  del  decreto-legge  n.    429/1982  convertito  dalla  legge  n.
 516/1982.
   Dal  processo  verbale  di  constatazione  del 18 luglio 1995 della
 Guardia di  finanza  di  Domodossola.  emergerebbe  infatti,  secondo
 l'ufficio,  l'avvenuto utilizzo da parte delle societa' ricorrenti di
 fatture  per  operazioni  inesistenti,  registrate  allo   scopo   di
 procurarsi  indebite  detrazioni  di  Iva  e  di spese deducibili dal
 reddito complessivo netto degli anni in considerazione.
   Le suddette fatture sarebbero state emesse da tale Pizzi  Giuseppe,
 a  cui  il  giudice  per  le  indagini  preliminari  del tribunale di
 Verbania in data 3 gennaio 1994  avrebbe  contestato  l'emissione  di
 false  fatture, relativamente ai fatti penalmente rilevanti enunciati
 nell'ordinanza di custodia cautelare in carcere del 30 dicembre 1993.
   Nel merito dei rilievi formulati dalla ricorrente l'ufficio osserva
 come l'art. 3, comma 1, del decreto-legge  n.  564/1994  richiami  le
 disposizioni  dell'art.  2-bis  dello stesso decreto-legge, le quali,
 nella  parte  non  integrata  dal  regolamento,  hanno,   ad   avviso
 dell'ufficio,  efficacia  anche  per le annualita' pregresse al 1994,
 posto che una norma  regolamentare,  di  rango  inferiore,  non  puo'
 derogare a una disposizione di legge.
   L'amministrazione  invoca  infine  la circolare 19 ottobre 1995, n.
 272/E che per l'accertamento con adesione del contribuente  per  anni
 pregressi  al 1994, include, alla pag. 3 lettera a), tra le "cause di
 esclusione" previste dalla legge, i "reati penali" oltre  alle  altre
 "cause  ostative"  indicate nel ricorso. L'ufficio chiede pertanto il
 rigetto del ricorso.
   I ricorsi n. 1392, 1393, 1394 e 1395 sono stati riuniti  in  quanto
 proposti   dalla   stessa   societa'   contro  il  medesimo  ufficio,
 perciocche'  concernenti  l'impugnazione  di  un  provvedimento   che
 riguarda  piu' anni di imposta ma si riferisce ad una comune volonta'
 dell'Amministrazione  di  anullare  proposte  di   accertamento   con
 adesione  in  forza  della  medesima  ragione  ostativa, ed in quanto
 presentano identiche problematiche da risolvere. All'udienza  del  21
 marzo  1997  sono  comparse e sono state sentite le parti che si sono
 richiamate agli atti difensivi, di cui hanno illustrato i  contenuti.
 Indi la Commissione si e' riservata di decidere.
                             D i r i t t o
   Il  primo  motivo  di  annullamento  contenuto nei ricorsi concerne
 l'applicabilita' delle condizioni ostative  di  cui  all'art.  2-bis,
 rubricato  "Accertamento  con adesione del contribuente ai fini delle
 imposte sul reddito e dell'Iva", e segnatamente quella  prevista  dal
 capoverso,   all'accertamento   con   adesione   per  anni  pregressi
 disciplinato dal successivo art. 3 del medesimo decreto-legge n.  564
 del  1994.    Sostengono i ricorrenti che la causa ostativa contenuta
 nell'art.   2-bis, comma 2, non sia applicabile al c.d. concordato di
 massa relativo alle dichiarazioni presentate entro  il  30  settembre
 1994,   in  quanto  non  espressamente  richiamata  dall'art.  3  del
 decreto-legge n. 564/1994  e  non  disciplinata  dal  regolamento  di
 esecuzione approvato con d.P.R.  n. 177/1995.
    Detto  motivo e' infondato. L'art. 3 del decreto-legge n. 564/1994
 rinvia sic  et  simpliciter  all'art.  2-bis  senza  nulla  innovare,
 aggiungere  o togliere, rispetto ai presupposti ed alle condizioni di
 ammissibilita'  del  nuovo  modello  di  definizione   del   rapporto
 tributario:  nulla  autorizza  a  ritenere  che l'art. 3 abbia inteso
 sopprimere, per gli anni antecedenti, conservandola solo per gli anni
 a venire, una  condizione  di  ammissibilita'  la  cui  ratio  appare
 dettata da esigenze di carattere generale (necessita' di non premiare
 con  la  proposta di adesione coloro che si siano resi responsabili o
 meglio, come  si  dira'  piu'  avanti,  i  contribuenti  sospetti  di
 incriminazione  per  taluni  reati tributari considerati piu gravi) e
 che pertanto non puo' considerarsi riferita a taluni  anni  piuttosto
 che  ad  altri.  Peraltro una lettura in tal senso delle due norme in
 esame urterebbe irragionevolmente contro il principio di eguaglianza,
 escludendo  taluni  dal  beneficio  del  meccanismo  di  adesione   e
 privilegiando  altri  in  virtu' di un mero criterio cronologico.  La
 circostanza che nel regolamento non  sia  ripetuta  espressamente  la
 condizione  ostativa  di  cui  al  cpv.  dell'art.  2-bis e' priva di
 significato,  in  quanto  detta   condizione,   nell'intenzione   del
 legislatore,  quale  si  desume  dalla ratio stessa della condizione,
 deve ritenersi implicitamente presupposta talche' una sua ripetizione
 sarebbe risultata pleonastica. Invero il d.P.R. n. 177/1995, al  pari
 di quello emanato ai sensi dell'art. 2-bis, comma 6, per disciplinare
 il  concordato c.d. "a regime" e' un regolamento di mera applicazione
 pratica  che  stabilisce  l'iter  e  le  scadenze  del   procedimento
 attraverso  il  quale si perviene alla definizione dell'accertamento,
 rimanendo purtuttavia sempre nell'ambito delle "norme generali  della
 materia"  stabilite  dalla  legge (nella fattispecie decreto-legge n.
 564/1994) che ha autorizzato l'esercizio della potesta' regolamentare
 del governo, cosi' come prescritto dalla legge  23  agosto  1988,  n.
 400. La disposizione di cui allart. 2-bis, comma 2, del decreto-legge
 n.  564/1994 va pertanto intesa come norma generale regolatrice della
 materia, insuscettibile di modifiche  da  parte  del  regolamento  di
 applicazione.  Alla  stregua delle superiori considerazioni i ricorsi
 riuniti  andrebbero  respinti   avendo   l'ufficio   fatto   corretta
 applicazione delle norme vigenti.
   Nondimeno  questa  commissione ritiene che il combinato disposto di
 cui agli artt. 3 e 2-bis, comma 2, del d.-l. 30  settembre  1994,  n.
 564  sia  in  contrasto  con  gli  artt. 3 e 27, secondo comma, della
 Costituzione e che pertanto il giudizio non possa essere definito  se
 non  previa  risoluzione  della  relativa  questione  di legittimita'
 costituzionale.
   La questione  appare  di  evidente  rilevanza  atteso  che  investe
 l'applicabilita'  delle  norme  sospette  di  incostituzionalita'  al
 rapporto tributario controverso. Sull'applicazione di siffatte  norme
 riposa   la   validita'  delle  proposte  di  accertamento  formulate
 dall'ufficio alle quali i ricorrenti hanno aderito, e dalla validita'
 delle  proposte  discende  la  definizione  del  rapporto  tributario
 conseguente  alla  avvenuta  rettifica delle dichiarazioni reddituali
 presentate dai ricorrenti.
   Ne'  pare  superfluo  rilevare  che  l'oggetto  del  contenzioso  e
 dell'impugnativa dei ricorrenti e'  specificamente  il  provvedimento
 col  quale  l'ufficio imposte di Domodossola ha annullato le proposte
 di  accertamento  con  adesione  in  presenza  della  causa  ostativa
 prevista   dalle   norme   in   esame  di  tal  che  la  sopravvenuta
 illegittimita' delle disposizioni  in  odore  di  incostituzionalita'
 determinerebbe  l'accoglimento  delle  ragioni  enunciate  in ricorso
 dalla  S.r.l.  Rolandi   e   dagli   altri   ricorrenti,   espungendo
 dall'ordinamento,  nei  sensi  e  nei limiti di cui appresso, la c.d.
 "causa  ostativa"  che,  allo   stato,   impedisce   all'ufficio   di
 validamente  (ri)formulare  ai ricorrenti le proposte di accertamento
 per gli anni considerati.
   La questione appare non manifestamente infondata  in  virtu'  delle
 seguenti  considerazioni:  va  anzitutto  premesso  che  nel  sistema
 delineato dagli artt. 2-bis, 2-ter e 3 del decreto-legge n. 564/1994,
 convertito in legge n.  656/1994,  d.P.R.  13  aprile  1995,  n.  177
 recante   disposizioni   per   l'esecuzione   del  primo,  l'istituto
 dell'accertamento  per  adesione  rappresenta  un  diritto   per   il
 contribuente,   e   non   un  mero  atto  discrezionale  dell'ufficio
 impositore. L'art. 6 del d.P.R.  n.  177/1995,  al  quinto  e  ultimo
 comma,  stabilisce  che  qualora  la  proposta  non  sia pervenuta al
 contribuente, questi  possa  chiedere  all'ufficio  di  formulare  la
 proposta.  La richiesta ha effetto vincolante atteso che "in tal caso
 l'ufficio provvede (senza potervi ricusare) alla  formulazione  della
 proposta   stessa,   sempreche'  non  ricorrano  condizioni  ostative
 (tassativamente elencate dalla legge).
   In siffatto sistema, caratterizzato da  un  perfetto  bilanciamento
 dei   poteri   dell'ufficio   e   dei   corrispondenti   diritti  del
 contribuente, si inserisce un elemento spurio fonte di  squilibrio  a
 favore   dell'amministrazione   finanziaria  che  preclude  in  guisa
 irrevocabile al contribuente l'accesso alla proposta di  accertamento
 formulata o formulanda dall'ufficio:  tale elemento e' costituito non
 da  un  fatto  oggettivo bensi' da un mero apprezzamento soggettivo e
 piu' precisamente una valutazione giuridica  che  lo  stesso  ufficio
 impositore  effettua  circa  la  sussumibilita'  di  elementi, dati e
 notizie in suo possesso, ad un'ipotesi di  reato  rientrante  fra  le
 fattispecie   criminali   contemplate  dagli  artt.  da  1  a  4  del
 decreto-legge n. 429/1982.
   In particolare  la  norma  denunciata  configura  ed  elenca  quali
 condizioni  ostative  della proposta di accertamento con adesione del
 contribuente una serie di circostanze  che  di  per  se'  stesse  non
 costituiscono  prova  dell'esistenza di una responsabilita' penale ma
 rappresentano  semplicemente  l'aspetto  e  la  fase  prodromica  del
 procedimento penale:  in particolare va sottolineato come la prima di
 tali   circostanze   sia   rappresentata   dal  fatto  che  l'ufficio
 finanziario sia in possesso di elementi, dati e  notizie  sulla  base
 dei  quali  esso  ritenga configurabile l'obbligo di denunzia penale.
 Non v'e' chi non veda come la  definizione  del  rapporto  tributario
 venga   a  dipendere  in  tal  caso  dalla  valutazione  estremamente
 soggettiva,  e  non  rientrante  nella  sua   specifica   competenza,
 dell'ufficio  tributario  circa  la  sussistenza  degli estremi di un
 reato, laddove  invece  l'a.g.  raggiunta  dalla  notizia  di  reato,
 potrebbe  ritenere  non  ravvisabili estremi di reato, anche sotto il
 mero profilo dell'elemento soggettivo.
   La  norma di cui all'art. 2-bis, cpv. del decreto-legge n. 564/1994
 appare dunque in contrasto con la presunzione di innocenza  stabilita
 dall'art.  27,  cpv. della Costituzione quantomeno nella parte in cui
 preclude ineluttabilmente al contribuente  di  accedere,  aderendovi,
 alla  proposta di accertamento che all'ufficio e' peraltro inibito di
 formulare  in  presenza  delle  cennate  condizioni  ostative,  anche
 nell'ipotesi  in  cui  la notizia di reato risultasse successivamente
 infondata,  ne'  prevede  un  meccanismo  in  virtu'  del  quale  sia
 consentito all'ufficio di riformulare la proposta di accertamento una
 volta caduta l'accusa nei confronti del contribuente.
   Il  contrasto  con  il  principio della presunzione di innocenza si
 risolve in una deteriore ed ingiustificata disparita' di trattamento,
 e quindi in una violazione della norma di cui all'art. 3  Cost.,  fra
 coloro  che  beneficiano  della  proposta  di  accertamento formulata
 dall'ufficio  impositore  e  quegli  altri  contribuenti   che,   pur
 potendone    astrattamente    beneficiare,    si    vedono   preclusa
 definitivamente,   in    quanto    inammissibile,    anziche'    solo
 improcedibile, la definizione del rapporto tributario nelle forme del
 "concordato"  a causa di una valutazione operata dall'ufficio stesso,
 che abbia ravvisato l'obbligo di  rapporto  penale,  ovvero  a  causa
 della presentazione di un rapporto da parte della Guardia di finanza,
 o  a  causa  dell'avvio  di  un  procedimento  penale  non seguito da
 condanna penale irrevocabile.
   Occorre esaminare peraltro se la condizione ostativa in esame,  che
 pone  una deroga ad un beneficio di carattere universale, applicabile
 incondizionatamente   ad   una    generalita'    indiscriminata    di
 contribuenti, sia giustificabile alla stregua del sistema in cui essa
 si inquadra, tenuto altresi' conto di eventuali precedenti normativi.
   E'  noto  che il principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 della
 Costituzione e che esige eguale disciplina  normativa  in  situazioni
 eguali,  puo'  e  deve tollerare deroghe legittime soltanto se queste
 trovino giustificazione, e quindi ragionevolezza, in  altri  principi
 ed interessi costituzionalmente garantiti.
   Nel  caso  di  specie  l'esigenza,  che  appare  sottesa alla norma
 sospetta, di escludere dalla proposta di  accertamento,  assimilabile
 ad  un  condono  tributario,  coloro che siano in predicato di essere
 sottoposti  a  procedimento  penale  per  gravi   reati   di   natura
 finanziaria,   confligge   con   altra  esigenza,  costituzionalmente
 tutelata dalla norma di cui all'art. 27,  secondo  comma,  Cost.,  di
 impedire  che  l'imputato  riceva  danno,  anche  solo  alla  propria
 immagine, dalla pendenza, e durante tutto il corso  del  procedimento
 penale,  sino  a che la sua colpevolezza non risulti affermata da una
 sentenza irrevocabile di condanna. Alla luce di tale principio non e'
 chi non veda come l'esclusione, irrevocabile, dal c.d. concordato  di
 massa,  che  per  definizione  dovrebbe  essere  aperto  ed allargato
 all'intera massa dei contribuenti, di chi sia anche solo  sospettato,
 anche  soltanto  in  forza  di  dati ed elementi, peraltro non meglio
 definiti,  in  possesso  dell'ufficio  finanziario,   di   un   reato
 tributario,  non  puo'  non contrastare con quell'esigenza, avvertita
 dal  legislatore  costituente,  di   sancire   il   principio   della
 presunzione di innocenza dell'imputato.
   La  condizione ostativa in commento rappresenta un innovativo "giro
 di  vite"  nel  variegato  panorama  dei  provvedimenti  di  clemenza
 tributaria  succedutisi negli anni successivi alla riforma tributaria
 del 1972/1973.  Gli articoli da 14 a 35 del d.-l. 10 luglio 1982,  n.
 429  non  prevedevano alcuna condizione ostativa alla definizione del
 rapporto  tributario  che  nella  previsione   legislativa   avveniva
 mediante  presentazione di una dichiarazione integrativa. Neppure era
 previsto nel decreto-legge  in  oggetto  che  la  definizione  avesse
 incidenza  ed effetti sulla pendenza dei procedimenti penali in corso
 ma al testo in esame venne affiancato un coevo decreto  presidenziale
 (d.P.R.  9  agosto  1982,  n.  525)  che  espressamente  prevedeva la
 concessione di amnistia per i reati tributari  commessi  fino  al  30
 giugno   1982,   subordinatamente   alla   condizione   dell'avvenuta
 presentazione   della   dichiarazione   integrativa   prevista    dal
 decreto-legge  n. 429/1982. L'art. 2 del d.P.R. n. 525/1982 disponeva
 la sospensione dei  procedimenti  e  la  sospensione  dell'esecuzione
 penale  delle sentenze di condanna fino alla scadenza dei termini per
 presentare  le  dichiarazioni  integrative.   Il   meccanismo   cosi'
 prefigurato  dai  due testi normativi lasciava chiaramente trasparire
 l'intendimento   del   legislatore   di   individuare   nell'avvenuta
 definizione del rapporto tributario a mezzo della domanda integrativa
 con  la quale il contribuente riconduceva i propri redditi dichiarati
 nell'alveo della congruita' fiscale presunta, una causa di estinzione
 anche  del  fatto-reato  tributario,  inteso  come  estrema  sanzione
 conseguente  l'evasione  fiscale  in  senso  lato  e  che,  una volta
 raggiunta la definizione del  rapporto  attraverso  i  meccanismi  di
 legge,  non aveva piu' alcuna ragione di essere prseguito dalla norma
 penale.
   La situazione inizia ad evolversi (ovvero, a seconda delle  diverse
 prospettive  di  politica  fiscale-criminale  alle  quali  si  voglia
 aderire, ad involversi verso forme piu' restrittive con la  norma  di
 cui  all'art.   68 della legge 30 dicembre 1991, n. 413 il quale, pur
 prevedendo un sistema procedurale analogo a quello dianzi  esaminato,
 delego'  il  Capo  dello  Stato  a  stabilire  che  l'amnistia non si
 applicasse al condannati per i delitti di  cui  agli  artt.  416-bis,
 648-bis,  648-ter  del codice penale, e via dicendo, che tuttavia non
 hanno natura di reati tributari: la norma che si commenta,  anche  se
 dettata da ragioni di carattere extra-tributario, faceva pur salvo il
 principio  della  presunzione  di  innocenza  dell'imputato in quanto
 escludeva dal provvedimento di clemenza i "condannati"  con  sentenza
 definitiva, come si argomenta dal tenore del capoverso dell'art. 68.
   Non  pare  dunque  manifestamente  infondata,  e  se  ne rimette la
 conseguente decisione alla Corte costituzionale, a'  sensi  dell'art.
 23,  legge  11  marzo  1953,  n.  87,  la questione di illegittimita'
 costituzionale del combinato disposto di cui agli artt.  3  e  2-bis,
 comma  2,  del  d.-l. 30 settembre 1994, n. 564 per contrasto con gli
 artt. 3 e 27, secondo comma, della Costituzione,  laddove  stabilisce
 che  la  definizione non e' ammessa quando sulla base degli elementi,
 dati e notizie a conoscenza dell'ufficio e'  configurabile  l'obbligo
 di  denuncia all'a.g.   per i reati di cui agli articoli da 1 a 4 del
 decreto-legge n. 429/1982 e  quando  per  i  medesimi  reati  risulta
 essere  stato  presentato  rapporto  dalla G. di F. o risulta avviata
 l'azione penale, senza prevedere che l'ufficio debba  riformulare  la
 proposta  di  accertamento  qualora, su segnalazione dell'a.g. penale
 ovvero  anche  del  contribuente,  risulti  archiviato  o  altrimenti
 definito   con  sentenza  di  proscioglimento  o  di  assoluzione  il
 corrispondente procedimento penale.
   Con la pronuncia che si vuol  provocare  non  si  intende  tuttavia
 richiedere  alla  Corte  una sentenza additiva in quanto la pronuncia
 stessa    si    presenta,    nella    fattispecie,    come    l'unica
 costituzionalmente obbligata, e non solo come una delle possibili, al
 fine  di  salvaguardare  il  principio della presunzione di innocenza
 dell'imputato.
                                P. Q. M.
   La commissione tributaria provinciale di Verbania,  sciogliendo  la
 riserva   formulata   all'udienza  del  21  marzo  1997,  ritenuta  e
 dichiarata rilevante, non potendosi altrimenti definire  il  giudizio
 indipendentemente   dalla   risoluzione   della   questione,   e  non
 manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
 del  combinato  disposto  di  cui  agli artt. 3 e 2-bis, comma 2, del
 d.-l. 30 settembre 1994, n. 564 per contrasto con gli artt. 3  e  27,
 secondo   comma,   della  Costituzione,  laddove  stabilisce  che  la
 definizione non e' ammessa quando sulla base degli elementi,  dati  e
 notizie  a  conoscenza  dell'ufficio  e'  configurabile  l'obbligo di
 denuncia all'a.g. per i reati di cui agli  articoli  da  1  a  4  del
 decreto-legge  n.  429/1982  e  quando  per  i medesimi reati risulta
 essere stato presentato rapporto dalla G. di  f.  o  risulta  avviata
 l'azione  penale,  senza prevedere che l'ufficio debba riformulare la
 proposta di accertamento qualora, su  segnalazione  dell'a.g.  penale
 ovvero,  alternativamente,  del contribuente, e ad istanza di questo,
 risulti  archiviato   o   altrimenti   definito   con   sentenza   di
 proscioglimento  o  di  assoluzione  il  corrispondente  procedimento
 penale.
   Ordina che a cura della segreteria vengano immediatamente trasmessi
 gli atti del giudizio alla  Corte  costituzionale  per  la  decisione
 della  sollevata  questione  di  legittimita' costituzionale e che la
 presente ordinanza venga notificata alle parti in  causa  nonche'  al
 Presidente  del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti del
 Senato e della Camera dei deputati.
   Sospende il giudizio in corso.
   Cosi' deciso in Verbania oggi addi' 18 giugno 1997.
                          Il presidente: Terzi
                                         Il giudice estensore: Bertolo
 97C1192