N. 747 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 giugno 1997

                                N. 747
  Ordinanza emessa il 18  giugno  1997  dalla  commissione  tributaria
 provinciale di Verbania sui ricorsi riuniti proposti dalla C.E.V.O di
 Bionda  Alessandro    C.  S.a.s.  contro l'ufficio imposte dirette di
 Domodossola
 Contenzioso tributario - Accertamento con adesione  del  contribuente
    ai  fini  delle  imposte  sul  reddito dell'IVA - Applicabilita' -
    Esclusione, nel caso in cui e' configurabile l'obbligo di denuncia
    da parte dell'ufficio all'autorita' giudiziaria, per  i  reati  di
    cui agli articoli da 1 a 4, decreto-legge n. 429/1982 o quando per
    tali  reati risulti presentato rapporto dalla Guardia di finanza o
    gia' avviata azione penale  -  Riformulazione  della  proposta  di
    accertamento da parte dell'ufficio, in caso di procedimento penale
    archiviato  o  definito  con  sentenza  di  proscioglimento  o  di
    assoluzione  -  Mancata  previsione  -  Lesione  del  principio di
    eguaglianza - Incidenza sul principio  di  non  colpevolezza  sino
    alla condanna definitiva.
 (D.-L. 30 settembre 1994, n. 564, artt. 2-bis, comma 2, e 3).
 (Cost., artt. 3 e 27, comma secondo).
(GU n.44 del 29-10-1997 )
                 LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE
   Ha emesso la seguente ordinanza sul ricorso n. 933/96 depositato il
 12  dicembre  1995,  avverso  rigetto  condono  -   Ilor 1993, contro
 Imposte dirette di Domodossola; avverso rigetto condono - Ilor  1992,
 contro  imposte  dirette  di  Domodossola;  dalla  C.E.V.O.  S.a.s. -
 Costruzioni Edilizie Valdossola di  Bionda  Alessandro,  residente  a
 Bannio  Anzino  (Verbania), in via Monte Rosa, 50/A, rappresentato da
 Bionda Alessandro, residente a Bannio Anzino (Verbania), in via Monte
 Rosa, in qualita' di procuratore.
                               F a t t o
   La S.a.s. C.E.V.O. di Bionda Alessandro  C. (gia'  S.a.s.  C.E.V.O.
 di  Bionda  Massimo    C.)  corrente in via Monte Rosa, 50/A a Bannio
 Anzino, impugna il provvedimento in data 25 novembre 1995, notificato
 il 5  dicembre  1995  con  il  quale  l'Ufficio  imposte  dirette  di
 Domodossola  ha negato alla ricorrente l'accesso all'accertamento con
 adesione ai sensi dell'art. 2-bis,  comma  2,  del  decreto-legge  n.
 564/1994  per  gli  anni  d'imposta  1992 e 1993 in presenza di fatti
 penalmente rilevanti.
   Chiede che questa Commissione dichiari  ammissibile  l'accertamento
 per  adesione nei confronti della ricorrente per gli anni 1992 e 1993
 dichiarando incostituzionale la norma di cui all'art. 2-bis, comma 2,
 del decreto-legge n.  564/1994  per  contrasto  con  l'art.  3  della
 Costituzione.
   L'ufficio  nelle  proprie  controdeduzioni. ammette di aver escluso
 mediante  comunicazione  al   "sistema   informativo"   dell'anagrafe
 tributaria,  la societa' ricorrente dall'invio da parte del Ministero
 "proposte"  contenenti   i   maggiori   imponibili   da   concordare,
 originariamente a causa di verifiche fiscali in corso.
   In data 8 novembre 1995 la Guardia di finanza segnalava all'ufficio
 l'inoltro  di  comunicazione  di notizia di reato, ai sensi dell'art.
 4, primo comma, lettere  d)  ed  f)  della  legge  n.  516/1982,  nei
 confronti   dei   sigg.   Bionda   Giulio   e  Bionda  Massimo,  soci
 accomandatari della societa' ricorrente.
   La Guardia di finanza precisava che nel rapporto penale  non  erano
 stati  indicati  i  periodi  d'imposta,  stante  il decreto penale di
 sequestro  del  7  febbraio  1994  del  sostituto  procuratore  della
 Repubblica  di Verbania, presso le banche di documenti bancari per il
 periodo dal 1 gennaio 1989 al 7 febbraio 1994.
   La Guardia di finanza precisava che la verifica in corso era  stata
 sospesa  e  che  alla  sua  ripresa sarebbero stati esaminati i conti
 bancari relativi al 1992, con riserva di estendere il controllo  alle
 altre annualita' in caso di riscontro di violazioni.
   L'ufficio, venuto a conoscenza del citato rapporto penale, relativo
 agli ipotizzati reati costituenti causa ostativa per il concordato di
 massa  dopo  le  modificazioni  della  legge  n. 427/1995, in data 25
 novembre  1995  comunicava  alla  ricorrente  societa'   la   mancata
 ammissione  al  concordato  di  massa per le annualita' 1992-1993, al
 sensi dell'art.  2-bis, secondo comma, della legge n. 656/1994, delle
 proposte di concordato presentate  dal  rappresentante  legale  della
 societa'.
   Nel  merito  delle  doglianze esposte nel ricorso l'ufficio osserva
 che, alla  pari  di  altri  contribuenti  con  analoghe  proposte  in
 contestazione,  la  societa' avrebbe dovuto effettuare i versamenti e
 presentare le proprie proposte.
   Sostiene altresi' l'ufficio che se la societa' avesse presentato le
 proposte prima che l'ufficio venisse a conoscenza  della  notizia  di
 reato, il concordato sarebbe stato valido e avrebbe precluso l'azione
 di accertamento.
   Secondo  tale  tesi,  ove  la  societa'  avesse  versato i maggiori
 tributi dal 9 novembre 1995 al  15  dicembre  1995  e  presentato  le
 proposte   entro  i  quindici  giorni  successivi  al  pagamento,  la
 validita' del concordato avrebbe  potuto  essere  stabilita  in  sede
 contenziosa  dalla  competente  commissione tributaria, atteso che in
 base alle disposizioni contenute negli artt. 6  e  7  del  d.P.R.  13
 aprile  1995,  n.  177,  Regolamento di esecuzione del concordato, la
 definizione in questione si perfeziona sia con la proposizione  delle
 relative  proposte, entro quindici giorni dall'ultimo versamento, sia
 con il pagamento dei tributi e sanzioni dovute entro il  termine  del
 15 dicembre 1995.
   Chiede,  pertanto,  il  rigetto  del  ricorso  e  la condanna della
 ricorrente al pagamento delle spese del giudizio o in via subordinata
 la compensazione delle stesse.
   All'udienza del 14 marzo 1997 questa commissione si e' riservata di
 decidere.
                             D i r i t t o
   Il principale ed assorbente motivo di  annullamento  contenuto  nel
 ricorso  concerne  la  questione  di  legittimita' costituzionale del
 combinato disposto di cui agli artt. 3 e 2-bis, comma  2,  del  d.-l.
 30  settembre  1994  n.  564  per  asserita  violazione del principio
 protetto dall'art. 3 della Costituzione.
   Questa  commissione  ritiene  che   la   sollevata   questione   di
 legittimita'  costituzionale del combinato disposto di cui agli artt.
 3 e 2-bis, comma 2, del d.-l. 30 settembre 1994 n. 564 per  contrasto
 con  l'art.    3  della Costituzione, da integrarsi ex officio con la
 questione concernente la violazione dell'art. 27, secondo comma della
 Costituzione, nei sensi  di  cui  appresso,  non  sia  manifestamente
 infondata e che pertanto il giudizio non possa essere definito se non
 previa risoluzione della questione stessa.
   La  questione  appare  di  evidente  rilevanza  atteso  che investe
 l'applicabilita'  delle  norme  sospette  di  incostituzionalita'  al
 rapporto  tributario controverso. Sull'applicazione di siffatte norme
 riposa  la  validita'  delle  proposte  di   accertamento   formulate
 all'ufficio  dalla  ricorrente,  e  dalla  validita'  delle  proposte
 discende la definizione  del  rapporto  tributario  conseguente  alla
 avvenuta  rettifica  delle  dichiarazioni reddituali presentate dalla
 ricorrente medesima.
   Ne'  pare  superfluo  rilevare  che  l'oggetto  del  contenzioso  e
 dell'impugnativa   e'   specificamente  il  provvedimento  col  quale
 l'Ufficio  imposte  di  Domodossola  ha  ritenuto  inammissibili   le
 proposte  di  accertamento  con  adesione  in  presenza  della  causa
 ostativa prevista dalle norme in esame, di tal  che  la  sopravvenuta
 illegittimita'  delle  disposizioni  in  odore di incostituzionalita'
 determinerebbe l'accoglimento  delle  ragioni  enunciate  in  ricorso
 dalla  Cevo  S.a.s.,  espungendo  dall'ordinamento,  nei  sensi e nei
 limiti di cui appresso, la c.d. "causa  ostativa"  che,  allo  stato,
 impedisce  all'ufficio  di  validamente  formulare alla ricorrente le
 proposte  di  accertamento,  ovvero  di  accettare  la  richiesta  di
 formulazione avanzata dalla Societa' Cevo, per gli anni considerati.
   La  questione  appare  non manifestamente infondata in virtu' delle
 seguenti considerazioni:
     va anzitutto premesso  che  nel  sistema  delineato  dagli  artt.
 2-bis,  2-ter  e  3 decreto-legge n. 564/1994, convertito in legge n.
 656/1994.   d.P.R. 13 aprile 1995 n.  177  recante  disposizioni  per
 l'esecuzione  del  primo,  l'istituto  dell'accertamento per adesione
 rappresenta un diritto per  il  contribuente,  e  non  un  mero  atto
 discrezionale   dell'ufficio  impositore.  L'art.  6  del  d.P.R.  n.
 177/1995, al quinto e ultimo comma, stabilisce infatti che qualora la
 proposta non sia pervenuta  al  contribuente  questi  possa  chiedere
 all'uffico   di  formulare  la  proposta.  La  richiesta  ha  effetto
 vincolante atteso che in tal caso l'ufficio provvede  (senza  potervi
 ricusare)  alla  formulazione  della  proposta stessa, sempreche' non
 ricorrano condizioni ostative (tassativamente elencate dalla legge).
   In siffatto sistema, caratterizzato da  un  perfetto  bilanciamento
 dei   poteri   dell'ufficio   e   dei   corrispondenti   diritti  del
 contribuente, si inserisce un elemento spurio fonte di  squilibrio  a
 favore   dell'Amministrazione   finanziaria  che  preclude  in  guisa
 irrevocabile al contribuente l'accesso alla proposta di  accertamento
 formulata o formulanda dall'ufficio:  tale elemento e' costituito non
 da  un  fatto  oggettivo bensi' da un mero apprezzamento soggettivo e
 piu' precisamente una valutazione giuridica  che  lo  stesso  ufficio
 impositore  effettua  circa  la  sussumibilita'  di  elementi, dati e
 notizie in suo possesso, ad un'ipotesi di  reato  rientrante  fra  le
 fattispecie  criminali  contemplate  dagli  articoli  da  1  a  4 del
 decreto-legge 429/1982.
   In particolare  la  norma  denunciata  configura  ed  elenca  quali
 condizioni  ostative  della proposta di accertamento con adesione del
 contribuente una serie di circostanze  che  di  per  se'  stesse  non
 costituiscono  prova  dell'esistenza di una responsabilita' penale ma
 rappresentano  semplicemente  l'aspetto  e  la  fase  prodromica  del
 procedimento penale:  in particolare va sottolineato come la prima di
 tali   circostanze   sia   rappresentata   dal  fatto  che  l'ufficio
 finanziario sia in possesso di elementi, dati e  notizie  sulla  base
 dei  quali  esso  ritenga configurabile l'obbligo di denunzia penale.
 Non v'e' chi non veda come la  definizione  del  rapporto  tributario
 venga   a  dipendere  in  tal  caso  dalla  valutazione  estremamente
 soggettiva,  e  non  rientrante  nella  sua   specifica   competenza,
 dell'ufficio  tributario  circa  la  sussistenza  degli estremi di un
 reato, laddove  invece  l'a.g.  raggiunta  dalla  notizia  di  reato,
 potrebbe  ritenere  non  ravvisabili estremi di reato, anche sotto il
 mero profilo dell'elemento soggettivo.
   La norma di cui all'art. 2-bis, cpv. decreto-legge 564/1994  appare
 dunque  in  contrasto  con  la  presunzione  di  innocenza  stabilita
 dall'art.  27. cpv. della Costituzione quantomeno nella parte in  cui
 preclude  ineluttabilmente  al  contribuente di accedere, aderendovi,
 alla proposta di accertamento che all'ufficio e' peraltro inibito  di
 formulare  in  presenza  delle  cennate  condizioni  ostative,  anche
 nell'ipotesi in cui la notizia di  reato  risultasse  successivamente
 infondata,  ne'  prevede  un  meccanismo  in  virtu'  del  quale  sia
 consentito all'ufficio di riformulare la proposta di accertamento una
 volta caduta l'accusa nei confronti del contribuente.
   Il contrasto con il principio della  presunzione  di  innocenza  si
 risolve in una deteriore ed ingiustificata disparita' di trattamento,
 e  quindi  in  una  violazione  della  norma  di cui all'art. 3 della
 Costituzione,  fra  coloro  che   beneficiano   della   proposta   di
 accertamento   formulata   dall'ufficio  impositore  e  quegli  altri
 contribuenti che, pur potendone astrattamente beneficare,  si  vedono
 preclusa  definitivamente,  in  quanto  inammissibile,  anziche' solo
 improcedibile, la definizione del rapporto tributario nelle forme del
 "concordato" a causa di una valutazione operata dall'ufficio  stesso,
 che  abbia  ravvisato  l'obbligo  di  rapporto penale, ovvero a causa
 della presentazione di un rapporto da parte della Guardia di finanza,
 o a causa  dell'avvio  di  un  procedimento  penale  non  seguito  da
 condanna penale irrevocabile.
   Occorre  esaminare peraltro se la condizione ostativa in esame, che
 pone una deroga ad un beneficio di carattere universale,  applicabile
 incondizionatamente    ad    una    generalita'   indiscriminata   di
 contribuenti, sia giustificabile alla stregua del sistema in cui essa
 si inquadra, tenuto altresi' conto di eventuali precedenti normativi.
   E' noto che il principio di eguaglianza sancito dall'art.  3  della
 Costituzione,  e  che esige eguale disciplina normativa in situazioni
 eguali, puo' e deve tollerare deroghe legittime  soltanto  se  queste
 trovino  giustificazione,  e quindi ragionevolezza, in altri principi
 ed interessi costituzionalmente garantiti.
   Nel caso di  specie  l'esigenza,  che  appare  sottesa  alla  norma
 sospetta,  di  escludere dalla proposta di accertamento, assimilabile
 ad un condono tributario, coloro che siano  in  predicato  di  essere
 sottoposti   a   procedimento   penale  per  gravi  reati  di  natura
 finanziaria,  confligge  con   altra   esigenza,   costituzionalmente
 tutelata  dalla  norma  di  cui  all'art.  27,  secondo  comma, della
 Costituzione, di impedire che l'imputato  riceva  danno,  anche  solo
 alla  propria  immagine dalla pendenza, e durante tutto il corso, del
 procedimento penale, sino a  che  la  sua  colpevolezza  non  risulti
 affermata da una sentenza irrevocabile di condanna. Alla luce di tale
 principio  non  e'  chi non veda come l'esclusione, irrevocabile, dal
 c.d. concordato di massa, che per definizione dovrebbe essere  aperto
 ed allargato all'intera massa dei contribuenti, di chi sia anche solo
 sospettato, anche soltanto in forza di dati ed elementi, peraltro non
 meglio  definiti,  in  possesso dell'ufficio finanziario, di un reato
 tributario, non puo' non contrastare  con  quell'esigenza,  avvertita
 dal   legislatore   costituente,   di   sancire  il  principio  della
 presunzione di innocenza dell'imputato.
   La condizione ostativa in commento  rappresenta  un  innovativo  ma
 incomprensibile   "giro   di   vite"   nel   variegato  panorama  dei
 provvedimenti di clemenza tributaria succedutisi neli anni successivi
 alla riforma tributaria del 1972/1973. Gli articoli da 14  a  35  del
 decreto-legge 10 luglio 1982 n. 429 non prevedevano alcuna condizione
 ostativa   alla   definizione   del  rapporto  tributario  che  nella
 previsione  legislativa  avveniva  mediante  presentazione   di   una
 dichiarazione integrativa.  Neppure era previsto nel decreto-legge in
 oggetto che la definizione avesse incidenza ed effetti sulla pendenza
 dei  procedimenti  penali  in  corso  ma  al  testo  in  esame  venne
 affiancato  un  coevo  decreto presidenziale (d.P.R. 9 agosto 1982 n.
 525) che espressamente prevedeva la concessione  di  amnistia  per  i
 reati  tributari  commessi  fino  al 30 giugno 1982, subordinatamente
 alla  condizione  dell'avvenuta  presentazione  della   dichiarazione
 integrativa prevista dal decreto-legge 429/1982. L'art.  2.del d.P.R.
 n.   525/1982   disponeva   la  sospensione  dei  procedimenti  e  la
 sospensione dell'esecuzione penale delle sentenze  di  condanna  fino
 alla   scadenza   dei   termini   per   presentare  le  dichiarazioni
 integrative.  Il meccanismo cosi' prefigurato dai due testi normativi
 lasciava chiaramente trasparire  l'intendimento  del  legislatore  di
 individuare nell'avvenuta definizione del rapporto tributario a mezzo
 della  domanda integrativa con la quale il contribuente riconduceva i
 propri  redditi  dichiarati  nell'alveo  della   congruita'   fiscale
 presunta,  una  causa di estinzione anche del fatto-reato tributario,
 inteso come estrema sanzione conseguente l'evasione fiscale in  senso
 lato   e  che,  una  volta  raggiunta  la  definizione  del  rapporto
 attraverso i meccanismi di legge, non aveva piu'  alcuna  ragione  di
 essere perseguito dalla norma penale.
   La  situazione inizia ad evolversi (ovvero, a seconda delle diverse
 prospettive  di  politica  fiscale-criminale  alle  quali  si  voglia
 aderire,  ad  involversi verso forme piu' restrittive con la norma di
 cui all'art.  68 della legge 30 dicembre 1991 n. 413  il  quale,  pur
 prevedendo  un sistema procedurale analogo a quello dianzi esaminato,
 delego' il Capo  dello  Stato  a  stabilire  che  l'amnistia  non  si
 applicasse  al  condannati  per  i delitti di cui agli artt. 416-bis,
 648-bis, 648-ter codice penale, e via dicendo, che tuttavia non hanno
 natura di reati tributari: la norma che si commenta, pur  se  dettata
 da  ragioni di natura extra-tributaria, faceva pur salvo il principio
 della presunzione a innocenza dell'imputato in quanto  escludeva  dal
 provvedimento  di  clemenza  i  "condannati" con sentenza definitiva,
 come si argomenta dal tenore del capoverso dell'art. 68.  L'eccezione
 alla regola dell'applicazione generalizzata del concordato alla massa
 dei  contribuenti,  stabilita  dall'art.  2-bis  del decreto-legge n.
 564/1994, non e' pertanto in sintonia con le linee e con la ratio del
 sistema, imperniato sulla incentivazione  del  contribuente,  nessuno
 escluso,  alla  definizione  delle  pendenze  tributarie  e  su di un
 meccanismo che comporta necessariamente, proprio in  virtu'  di  tale
 incentivo,   oltre   alla   definizione   del   rapporto  tributario,
 conseguentemente  anche  l'estinzione  dei   reati   collegati   alla
 violazione  delle norme sostanziali di carattere tributario miranti a
 reprimere l'illecito finanziario. In siffatto  contesto  l'esclusione
 di  taluni contribuenti dalla definizione concordata del rapporto con
 l'amministrazione finanziaria, aggravata  dal  mancato  rispetto  del
 principio,   costituzionalmente   tutelato,   della   presunzione  di
 innocenza, non risulta coerente con la ratio  del  sistema  e  sembra
 piuttosto  il frutto di scelte irrazionali ed emotive, ispirate ad un
 giustizialismo fine a se stesso.
   Non pare dunque  manifestamente  infondata,  e  se  ne  rimette  la
 conseguente  decisione  alla Corte costituzionale, a' sensi dell'art.
 23  legge  11  marzo  1953  n.  87,  la  questione  di   legittimita'
 costituzionale  del  combinato  disposto di cui agli artt. 3 e 2-bis,
 comma 2, del d.-l. 30 settembre 1994 n. 564 per  ravvisato  possibile
 contrasto  con  gli  artt.  3 e 27, secondo comma della Costituzione,
 laddove stabilisce che la definizione non  e'  ammessa  quando  sulla
 base  degli  elementi,  dati  e  notizie a conoscenza dell'ufficio e'
 configurabile l'obbligo di denuncia all'a.g. per i reati di cui  agli
 articoli  da  1  a  4  del  decreto-legge  n. 429/1982 e quando per i
 medesimi reati risulta essere stato presentato rapporto dalla Guardia
 di finanza o risulta avviata l'azione  penale,  senza  prevedere  che
 l'ufficio  debba  riformulare la proposta di accertamento qualora, su
 segnalazione dell'a.g. penale ovvero anche del contribuente,  risulti
 archiviato o altrimenti definito con sentenza di proscioglimento o di
 assoluzione  il  procedimento  penale  avviato a seguito del rapporto
 dell'ufficio o della Guardia di finanza o comunque incardinato  sulla
 base  di  una  notitia  criminis  comunque acquisita dalla competente
 procura della Repubblica.
   Con la pronuncia che si vuol  provocare  non  si  intende  tuttavia
 richiedere  alla  Corte  una sentenza additiva in quanto la pronuncia
 stessa    si    presenta,    nella    fattispecie,    come    l'unica
 costituzionalmente obbligata, e non solo come una delle possibili, al
 fine  di  salvaguardare  il  principio della presunzione di innocenza
 dell'imputato.
                               P. Q. M.
   La commissione tributaria provinciale di Verbania,  sciogliendo  la
 riserva   formulata   all'udienza  del  14  marzo  1997,  ritenuta  e
 dichiarata rilevante, non potendosi altrimenti definire  il  giudizio
 indipendentemente   dalla   risoluzione   della   questione,   e  non
 manifestamente infondata, in virtu' delle  superiori  considerazioni,
 la questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto di
 cui  agli artt. 3 e 2-bis, comma 2, del d.l. 30 settembre 1994 n. 564
 per contrasto con gli artt. 3 e 27, secondo comma della Costituzione,
 laddove stabilisce che la definizione non  e'  ammessa  quando  sulla
 base  degli  elementi,  dati  e  notizie a conoscenza dell'ufficio e'
 configurabile l'obbligo di denuncia all'a.g. per i reati di cui  agli
 articoli  da  1  a  4  del  decreto-legge  n. 429/1982 e quando per i
 medesimi reati risulta essere stato presentato rapporto dalla Guardia
 di finanza o risulta avviata l'azione  penale,  senza  prevedere  che
 l'ufficio  debba  riformulare la proposta di accertamento qualora, su
 segnalazione   dell'a.g.   penale   ovvero,   alternativamente,   del
 contribuente, e ad istanza di questo, risulti archiviato o altrimenti
 definito   con  sentenza  di  proscioglimento  o  di  assoluzione  il
 corrispondente procedimento penale.
   Ordina che a cura della segreteria vengano immediatamente trasmessi
 gli atti del giudizio alla  Corte  costituzionale  per  la  decisione
 della  sollevata  questione  di  legittimita' costituzionale e che la
 presente ordinanza venga notificata alle parti in  causa  nonche'  al
 Presidente  del Consiglio dei Ministri e comunicata al Presidenti del
 Senato e della Camera dei deputati.
   Sospende il giudizio in corso.
   Cosi' deciso in Verbania oggi addi' 18 giugno 1997.
                          Il presidente: Terzi
                                         Il giudice estensore: Bertolo
 97C1193