N. 776 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 settembre 1997

                                N. 776
  Ordinanza  emessa il 19 settembre 1997 dal tribunale per i minorenni
 di Bologna nel procedimento penale a carico di C. L.
 Processo  penale  -  Dibattimento  -  Esame  di  persona  imputata in
    procedimento connesso - Esercizio della facolta' di non rispondere
    - Lettura dei verbali contenenti le dichiarazioni  rese  da  dette
    persone nel corso delle indagini preliminari  - Preclusione per il
    giudice  salvo  che la parte non vi consenta - Dedotta sostanziale
    riformulazione da parte del legislatore di norma  gia'  dichiarata
    illegittima  dalla Corte costituzionale con sentenza n. 254/1992 -
    Irragionevolezza  posta  la  prevista  utilizzabilita'   di   tali
    precedenti  dichiarazioni  nella  diversa  ipotesi  in cui non sia
    possibile ottenere la presenza del dichiarante - Disparita' tra le
    parti processuali - Incidenza sulla formazione  del  convincimento
    del giudice.
 Processo   penale   -  Verbali  di  prove  di  altro  procedimento  -
    Dichiarazioni rese da persone imputate in procedimento connesso  -
    Utilizzabilita'  soltanto  nei  confronti  degli  imputati  i  cui
    difensori hanno partecipato alla  loro  assunzione  o  in  difetto
    soltanto  nei  confronti  dell'imputato che vi consenta - Illogica
    differenziazione   rispetto   al   regime   delle    dichiarazioni
    testimoniali  - Illogicita' intrinseca della norma impugnata posta
    la preclusione per il giudice  di  esaminare  comparativamente  le
    dichiarazioni   rese   in   tempi  successivi  -  Incidenza  sulla
    formazione del convincimento del giudice - Lesione del diritto  di
    difesa.
 Processo  penale - Esame di persone imputate in procedimento connesso
    - Modifiche normative - Norma transitoria  -  Lamentata  immediata
    applicabilita'  della  nuova disciplina ai procedimenti in corso -
    Disparita' di trattamento tra procedimenti in corso e  quelli  non
    in corso.
 (C.P.P.  1988,  artt.  238,  commi  2,  2-bis  e  4;  e 513, comma 2,
    modificati dalla legge 7 agosto 1997; legge 7 agosto 1997, n. 267,
    art. 6).
 (Cost., artt. 3, 24, 11 (recte: art. 111), e 112).
(GU n.46 del 12-11-1997 )
                     IL TRIBUNALE PER I MINORENNI
   Ha pronunciato la seguente ordinanza nel  procedimento  penale  nei
 confronti di C. L., nato a L'Aquila il 29 settembre 1962, imputato:
     1) del delitto p. e p. dall'art. 306 c.p. perche' in concorso con
 le  persone indicate nell'ordinanza del giudice istruttore di Bologna
 n. 344/1980 in data 14 giugno 1986 (ed in particolare in concorso con
 "Signorelli Paolo, Fachini Massimiliano, Rinani  Roberto,  Fioravanti
 Valerio,  Mambro  Francesca,  Picciafuoco Sergio, Cavallini Gilberto,
 Jannilli  Marcello,  Giuliani  Egidio,  Raho  Roberto")   costituiva,
 promuoveva,  organizzava  e  comunque vi partecipava in Roma, Milano,
 Bologna, nel Veneto e in altre zone  del  territorio  nazionale,  una
 banda  armata  diretta  alla  realizzazione di una serie di attentati
 dinamitardi indiscriminati (libreria Feltrinelli  di  Padova  del  25
 luglio  1980;  palazzo  Marino  in  Milano  del  29  luglio  1980) di
 competenza di altre autorita' giudiziarie, e contro  la  stazione  di
 Bologna del 2 agosto 1980; nonche' attentati contro persone (on. Tina
 Anselmi, in Castelfranco Veneto l'8 marzo 1980; progetto di uccisione
 di  un  magistrato  di sede giudiziaria veneta fra la fine del 1979 e
 l'agosto-settembre 1980; assassinio del  dott.  Mario  Amato  del  23
 giugno  1980),  da  non  rivendicare, ovvero da rivendicare con sigle
 fuorvianti   di   "sinistra";   organizzazione   armata    ritagliata
 all'interno  di  altre  formazioni  eversive  neofasciste che agivano
 sotto sigle diverse  (movimento  rivoluzionario  popolare  -  M.R.P.;
 Nuclei  armati  rivoluzionari  -  N.A.R.;  Terza  posizione  -  T.P.;
 Costruiamo l'azione; Comunita'  Organiche  di  Popolo  -  C.O.P.,  ed
 altre),   con  legami  ed  obiettivi  in  parte  ignoti  agli  stessi
 appartenenti alle medesime sigle sopra indicate,  banda  destinata  a
 realizzare   con  l'uso  di  armi  ed  esplosivi  delitti  contro  la
 personalita' dello Stato e il suo ordinamento democratico. Con inizio
 in Roma in epoca imprecisata del 1978 e cessata in Bologna alla  fine
 dell'agosto 1980;
     2)  del  delitto  di  cui  agli artt. 110, 285, 422 c.p., 2, 4, 6
 legge 2 ottobre 1967, n. 895 (modif. con legge 14  ottobre  1974,  n.
 497)  e 21 e 29 legge 18 aprile 1975, n. 110; perche' in concorso con
 le stesse persone e  con  persone  da  identificare,  allo  scopo  di
 attentare  alla  sicurezza dello Stato, commetteva un fatto diretto a
 portare la strage nel territorio nazionale, concertando, promuovendo,
 deliberando, organizzando ed eseguendo materialmente il  porto  e  la
 collocazione  di  un  ordigno  esplosivo  nella  sala  d'attesa della
 stazione ferroviaria di Bologna, con il preventivato voluto  fine  di
 uccidere  (tenuto  conto  della potenzialita' dell'ordigno e dell'era
 dello scoppio - 10,25 del primo sabato di agosto nel piu'  importante
 scalo ferroviario nazionale) un numero elevatissimo di persone, oltre
 che  di  ferirne  molte  altre,  cagionando in effetti la morte di 85
 persone. Condotta iniziata in  localita'  imprecisata  e  cessata  in
 Bologna il 2 agosto 1980;
     3)  del  delitto  p.  e p. dagli art. 81 cpv., 110, 575, 577 n. 3
 c.p., art. 1 d.-l. 15 dicembre 1979, n. 625, perche' in concorso  con
 le  stesse  persone  e  con  persone da identificare, con le condotte
 sopra descritte cagionava la morte o  istantanea  o  derivante  dalle
 gravissime  lesioni,  delle seguenti persone: Agostini Natalia, Aslas
 Vito,  Alganon  Mauro,  Abati  Maria  Idria,  Barbari  Rosina,  Basso
 Nazareno,  Borgianti Euridia, Bertasi Catia, Betti Francesco, Bianchi
 Paolina, Bivona Verdiana, Bonora Argeo, Bosio  Anna  Maria,  Douduban
 Breton  Irene, Bugamelli Viviana, Burri Sonia, Caprioli Davide, Carli
 Velia,  Casadei  Flavia,  Castellaro  Mirco,  Ceci  Antonella,  Gomez
 Martinez  Francisco,  Dall'Olio  Franca,  De  Marchi Roberto, Diomede
 Fresa Francesco, Diomede Fresa Vito, Di Paola Antonino,  Di  Vittorio
 Mauro,  Draumard  Brigitte,  Ebner  Berta,  Ferretti  Lina, Fornasari
 Mirella,  Fresu  Angela,  Frigero  Eurica,  Gaioli  Roberto,  Galassi
 Pietro,  Gallon  Manuela,  Geraci  Eleonora,  Gozzi  Carla, Kolpinski
 Andrew Jon, Langonelli Vincenzo, Lascala Francesco Antonio,  Laurenti
 Pierfrancesco,  Lauro  Salvatore,  Lugli Umberto, Mader Eckart, Mader
 Kaj, Manca Elisabetta, Marangon Mariangela, Merceddu Rossella, Marino
 Angelina, Marino Domenica, Marino Leoluca, Marzagalli Amorbeno, Mauri
 Carlo, Mauri  Luca,  Messineo  Patrizia,  Mitchell  Catherine  Helen,
 Molina Loredana, Montanari Antonio, Natali Milla, Olla Livia, Patruno
 Giuseppe, Procelli Roberto, Remollino Pio Carmine, Roda Gaetano, Rors
 Margette, Ruozzi Romeo, Sala Vincenzino, Salvagnini Anna Maria, Secci
 Sergio,  Sekiguchi Iwao, Seminara Salvatore, Serravalle Silvano, Sica
 Mario, Tarsi Angelica,  Troiese  Marina,  Vaccaro  Vittorio,  Venturi
 Fausto, Verde Rita, Zappala' Onofrio, Zecchi Paolo, Pettoni Vincenzo,
 Fresu Maria e Priora Angela;
     4)  del  delitto  p. e p. dagli artt. 110 c.p., 4 legge 2 ottobre
 1967, n. 895 mod. dall'art. 12 legge 14 ottobre  1974,  n.  497,  con
 l'aggravante dell'art. 1 d.-l. 15 dicembre 1979, n. 625 per avere, in
 concorso  con  le  stesse  persone  e  con  persone  da identificare,
 collocato,  nella  sala  di  attesa  di seconda classe della stazione
 centrale di Bologna delle FF.SS. un ordigno  esplosivo,  al  fine  di
 commettere il delitto sub.2). In Bologna il 2 agosto 1980;
     5)  del  delitto  p. e p. dagli artt. 110 c.p., 81 cpv., 582, 583
 c.p. art. 1 d.-l. 15 dicembre 1979, n. 625 perche' in concorso con le
 stesse persone e con persone da identificare, con la condotta di  cui
 sopra, cagionava ad oltre 150 persone lesioni personali multiple, tra
 le  quali  alcune  di  durata superiore ai 40 giorni, aggravate dalla
 sussistenza di postumi permanenti ed esposizioni o pericolo di  vita.
 In Bologna, 2 agosto 1980;
     6)  del  delitto  p.  e  p.  dagli  artt.  110, 635, in relazione
 all'art.  625 n. 7, 61 n. 7 c.p., perche' in concorso con  le  stesse
 persone  e con persone da identificare, con la condotta di cui sopra,
 cagionava la distruzione di una importante  porzione  degli  impianti
 ferroviari   di  Bologna  e  la  parziale  distruzione  di  materiale
 rotabile, con gravissimo  danno  patrimoniale  delle  Ferrovie  dello
 Stato, nonche' arredi e beni privati. In Bologna, 2 agosto 1980;
     7)  del delitto p. e p. dagli artt. 81 cpv., 110, 420 p.p. e cpv.
 c.p. (come modificato con art. 1 d.-l. 21 marzo 1978, n. 59)  perche'
 in  concorso  con le stesse persone e con le persone da identificare,
 collocava l'ordigno allo scopo di danneggiare gli impianti ferroviari
 di Bologna determinandone il grave danneggiamento  e  la  distruzione
 della sala d'attesa. In Bologna, 2 agosto 1980.
   Con   la   recidiva   specifica  reiterata  recente  per  tutte  le
 imputazioni.
   In data 18  aprile  1997,  all'udienza  di  apertura  del  presente
 dibattimento,  questo tribunale sulle richieste istruttorie formulate
 dal  p.m.  ai  sensi  dell'art.  468  c.p.p.,  sentiti  i   difensori
 dell'imputato,   disponeva   tra   l'altro,   ex   art.  238  c.p.p.,
 l'acquisizione dei verbali delle  dichiarazioni  dibattimentali  rese
 dagli  imputati  nel procedimento contro gli adulti in relazione alle
 medesime imputazioni di banda armata e strage occorsa in Bologna il 2
 agosto 1980.
   Veniva altresi' disposta con la medesima  ordinanza  l'acquisizione
 dei  verbali delle dichiarazioni rese da quegli stessi imputati nelle
 precedenti fasi istruttorie innanzi al p.m.  o  al  g.i.:  cio'  agli
 stretti  fini  dell'intellegibilita'  dei verbali delle dichiarazioni
 dibattimentali, se ed in quanto espressamente richiamanti  i  verbali
 istruttori.
   Nel  prosieguo  del presente dibattimento si procedeva all'esame di
 persone citate  ai  sensi  dell'  art.  210  c.p.p.:  tra  queste  si
 avvalevano  della  facolta'  di  non  rispondere Furiozzi Raffaella e
 Picciafuoco Sergio, rispettivamente in  data  23  maggio  1997  e  15
 luglio 1997.
   All'udienza  del 16 settembre 1997 Fioravanti Cristiano - esaminato
 ai sensi dell'art.  210  c.p.p.  -  si  avvaleva  parzialmente  della
 facolta'  di  non rispondere su specifici punti relativi all'omicidio
 di Mangiameli Francesco.  Della  stessa  facolta'  si  avvalevano  in
 relazione  a  tutte  le  dichiarazioni  in  precedenza  rese,  Mambro
 Francesca e  Fioravanti  Valerio  nella  successiva  udienza  del  17
 settembre.
   Il  p.m.  chiedeva darsi lettura di quanto in precedenza dichiarato
 da  Fioravanti  Cristiano  su  quegli  specifici  punti   riguardanti
 l'omicidio  Mangiameli.  La  difesa si opponeva invocando il disposto
 dell'art.  513, comma secondo, c.p.p., come novellato dalla  legge  7
 agosto   1997,   n.  267.  Acconsentiva  invece  alla  lettura  delle
 precedenti  dichiarazioni  -  ma  solo  a   quelle   rese   in   sede
 dibattimentale - di Fioravanti Valerio e Mambro Francesca.
   Il  p.m. non prestava consenso ad acquisizioni soltanto parziali di
 pregresse  dichiarazioni  e  formalizzava  anche  attraverso  istanza
 scritta  specifici  rilievi di incostituzionalita' delle norme di cui
 agli artt. 513, commi 1 e 2, 514, comma 1, 238 commi 2-bis e 4 c.p.p.
 cosi' come novellate con legge  7  agosto  1997,  n.  267  e  di  cui
 all'art.    6  stessa legge, siccome in contrasto con gli artt. 3, 24
 commi primo e secondo, 111 e 112 Costituzione.
   L'Avvocatura dello Stato aderiva all'istanza del p.m.
   I difensori chiedevano respingersi i rilievi  di  costituzionalita'
 come espressi dal p.m.
   Tanto premesso, il tribunale
                             O s s e r v a
   Le   sollevate   questioni   di  legittimita'  costituzionale  sono
 rilevanti ai  fini  della  definizione  del  presente  giudizio,  ne'
 appaiono manifestamente infondate.
   E'  palese  la  rilevanza  ove  si  considerino le peculiarita' del
 presente  procedimento,  necessariamente  separato,  per  ragioni  di
 competenza  funzionale,  da  quello  celebrato  nei  confronti  degli
 imputati maggiorenni dove immane  e'  stata  l'attivita'  istruttoria
 svolta   in   sede   processuale,   la   cui  conoscenza,  lungi  dal
 condizionare, non puo' che fortemente contribuire ad una ponderata  e
 logica decisione supportata da congrua motivazione.
   E'   inoltre  da  tenere  in  grande  considerazione  il  connotato
 incontestabilmente indiziario del presente procedimento, alla stregua
 del resto di altri procedimenti che riguardino fatti eversivi. Da qui
 l'intuitiva      rilevanza      dell'acquisizione,      ai       fini
 dell'utilizzabilita',   di  ogni  dichiarazione  resa  dalle  persone
 esaminate o da esaminarsi ai sensi dell'art. 210  c.p.p.,  sia  nella
 fase delle indagini che in altri dibattimenti.
   Discende  allora  in tutta evidenza la rilevanza della questione ai
 fini del decidere nel presente procedimento sia sotto il  profilo  di
 cui  all'art.  513 c.p.p. nuova formulazione, che sotto il profilo di
 cui all'art. 238 c.p.p. cosi' come modificato.
   Per migliore comprensione e per necessita' di esposizione logica e'
 necessario riferirsi,  nella  disamina,  ai  principi  cardine  dell'
 ordinamento  in  tema  di  prove e di diritto di difesa (garanzia del
 contraddittorio) nonche' all'assetto normativo cosi' come  risultava,
 sul punto, prima della novella.
   Quanto  ai  principi  cardine,  e'  immediato  il  riferimento alle
 argomentazioni svolte dalla stessa Corte con sentenza  del  3  giugno
 1992  n.  254  ove  in  primo  luogo viene implicitamente determinato
 l'ambito di applicazione dell'art. 513 c.p.p. allora vigente.
   Invero, una prima lettura dell'articolo in questione - identico sul
 punto nella nuova formulazione - farebbe  intendere  che  il  dettato
 rimanga  circoscritto  ad  atti  assunti  nella  fase  delle indagini
 preliminari del medesimo procedimento. La Corte adita gia'  allora  -
 senza  nulla rilevare in proposito - esaminava la situazione venutasi
 a creare nella  fase  del  dibattimento  di  un  procedimento  contro
 imputati  maggiorenni  a seguito dell'avvalersi della facolta' di non
 rispondere da parte di  persona  esaminata  ai  sensi  dell'art.  210
 c.p.p.  avanti  al  p.m.   minorile e quindi necessariamente in altro
 procedimento.
   In ogni caso, anche se l'ambito di applicazione  venisse  ristretto
 secondo  un'interpretazione  letterale  della  norma,  rimarrebbe non
 regolata - e cio' sarebbe inaccettabile e comunque  richiederebbe  un
 rimedio per violazione dell'art. 3 della Costituzione - la situazione
 di  chi,  esaminato ai sensi dell'art. 210 c.p.p. in dibattimento, si
 avvalga della facolta' di non rispondere riguardo a quanto avesse  in
 precedenza  dichiarato  durante  le  indagini  preliminari  di  altro
 procedimento connesso.
   In secondo luogo, la Corte, sottolineata la scelta del  legislatore
 del  codice di rito del 1988 di favorire la separatezza dei processi,
 afferma categoricamente che tale scelta  di  opportunita'  non  puo',
 "senza violare il principio di ragionevolezza, avere influenza alcuna
 sul regime probatorio degli atti processuali, con conseguenze a volte
 determinanti ai fini della decisione".
   Ovviamente il principio ha valore in se' e si applica anche al caso
 di  separazione  necessaria  tra  procedimenti  -  come quello che ci
 occupa - per motivi di competenza funzionale.
   Gia'  in  quell'occasione  la  Corte   si   era   pronunciata   per
 l'illegittimita'  costituzionale  dell'allora vigente art. 513 c.p.p.
 nella parte in cui non prevedeva la possibilita' di dare lettura -  e
 quindi  di  utilizzare  ai fini della decisione - delle dichiarazioni
 rese  dalle  persone  indicate  nell'art.  210  c.p.p.,   fuori   dal
 dibattimento,  qualora  queste  si  avvalessero della facolta' di non
 rispondere:   disparita'   illogica   ed   ingiustificata    rispetto
 all'ipotesi  prevista  nel  primo  comma  (possibilita' di leggere ed
 utilizzare i verbali dell'imputato contumace, assente o che, appunto,
 si rifiutava di rispondere).
   E' principio fondamentale del sistema  quello  della  conservazione
 dell'atto,   principio  che  non  contraddice  e  che  comunque  deve
 prevalere sull'estremizzazione  del  principio  del  contraddittorio;
 cosi'  che,  in caso di impossibilita' sopravvenuta di ripetizione di
 un  mezzo  di  prova,  non  v'e'  dubbio  che  l'atto  assunto   vada
 "conservato".
   Ora,  cosi' come e' irripetibile l'interrogatorio dell'imputato che
 si rifiuta di rispondere in dibattimento  (per  rimanere  all'interno
 dell'ipotesi analoga a quella esaminata), altrettanto e' irripetibile
 la  dichiarazione  di  chi, sentito ai sensi dell'art. 210 c.p.p., si
 avvalga della facolta' di non rispondere.
   Conseguentemente  -  sulla  scorta  di  tali  principi   -   veniva
 salvaguardata  dalla Corte l'esigenza che non si disperdesse, ai fini
 della decisione, quanto acquisito prima del  dibattimento  ove  fosse
 irripetibile in quella sede.
   L'odierno  legislatore  non ha tenuto alcun conto dei cardini cosi'
 chiaramente posti dalla  Corte  adita  -  insormontabili  nell'ambito
 della  medesima  questione  -  ed  ha  solo apparentemente modificato
 l'art.  513 c.p.p. rispetto alla precedente stesura poiche' di  fatto
 ha riproposto la vecchia formulazione gia' dichiarata illegittima.
   L'unica  differenza  e'  data  dalla  possibilita' di utilizzazione
 sull'accordo  delle  parti,  ma  si  tratta  di  ipotesi   marginale,
 scarsamente incisiva da un punto di vista innovativo.
   Il  legislatore  con  la  novella 7 agosto 1997 ha infatti ancorato
 l'utilizzabilita', nei confronti di altri, delle  dichiarazioni  rese
 nel  corso  delle  indagini  preliminari  o  nell'udienza preliminare
 dall'imputato che non si presenta in dibattimento  o  si  rifiuta  di
 sottoporsi  all'esame,  al consenso di detti "altri" (sul punto, data
 l'irrilevanza  in  concreto,  si  ritiene  di  non  dover   sollevare
 specifica questione, comunque di possibile, autonomo esame).
   Sempre l'odierno legislatore ha altresi' ancorato l'utilizzabilita'
 delle  dichiarazioni  rese  nell'ambito  sopra  detto  dalle  persone
 esaminate ai sensi dell'art. 210 c.p.p.  e  che  si  avvalgano  della
 facolta'  di non rispondere, all'accordo delle parti (art. 513, comma
 2, novellato) come sopra gia' evidenziato.
   Intrinsecamente illogico ed irragionevole appare cosi' il  comma  2
 dell'art.  513  c.p.p.  nuova  formulazione, nella parte in cui da un
 lato consente l'utilizzabilita' delle dichiarazioni qualora  non  sia
 possibile  ottenere  la  richiesta  presenza  in  dibattimento  delle
 persone di cui all'art. 210 c.p.p. gia'  citato,  dall'altro  a'ncora
 all'accordo delle parti l'utilizzabilita' nel caso in cui le medesime
 persone  si  avvalgano,  appunto,  della  facolta' di non rispondere.
 Intrinseca  illogicita',   si   ribadisce,   dato   che   il   futuro
 atteggiamento    processuale   dei   dichiaranti,   in   dibattimento
 (strettamente correlato a convenienze difensive) non puo' che  essere
 imprevedibile nel momento in cui le dichiarazioni vengono rese, nella
 considerazione  che  un  mutamento  di atteggiamento processuale va a
 determinare   un'oggettiva    irripetibilita'    degli    atti    per
 impossibilita' sopravvenuta.
   Evidenziata    l'intrinseca    illogicita',   e'   poi   necessario
 sottolineare  la  sperequazione  che  si  determina  tra   le   parti
 processuali,  che  va  ad  incidere pesantemente sulla conoscenza del
 giudicante,  cui  viene  impedita  una  valutazione  complessiva  del
 materiale  probatorio,  fatto  conoscere  ad libitum ora dell'una ora
 dell'altra  parte  (in  violazione  degli  artt.  111  e  112   della
 Costituzione).
   Assolutamente  condivisibile  -  ed  e'  argomento che viene qui in
 pieno sussunto - e' il ragionamento sottostante alla  decisione  gia'
 dalla    adita    Corte   adottata,   anche   per   quanto   riguarda
 l'irragionevolezza   della   norma   impugnata   sotto   il   profilo
 dell'ingiustificato,   diverso   valore   che   veniva  conferito  ad
 incombenti che comunque sono fatti rientrare nell'alveo  delle  prove
 (art. 192, comma 3 e 4 c.p.p.).
   L'esame    delle    persone    indicate    nell'art.   210   c.p.p.
 incontrovertibilmente costituisce per sua natura mezzo di  prova  sia
 pure soggetto a particolari criteri di valutazione e verifiche.
   Rilevante,  ancora,  e'  la  questione relativa all'art. 238 c.p.p.
 nuova formulazione  ove  nel  disciplinare  la  materia  relativa  ai
 verbali  di  prove  assunte  in altri procedimenti, pur affermando il
 legislatore    in    esordio,    categoricamente,    il     principio
 dell'ammissibilita' purche' si tratti di prove assunte nell'incidente
 probatorio   o   in   altro   dibattimento,   introduce   un'illogica
 differenziazione - quanto  ad  utilizzabilita'  -  tra  dichiarazioni
 testimoniali  e  dichiarazioni  rese dalle persone indicate nell'art.
 210 c.p.p., utilizzabili solo se  all'incombente  fosse  presente  il
 difensore dell'odierno imputato.
   Ora,  stante  il  valore  probatorio  delle  dichiarazioni rese dai
 coimputati in procedimento connesso, del tutto  irragionevole  appare
 la   differenziazione   da   un   punto  di  vista  valutativo  e  di
 utilizzabilita' poiche' non si comprende la ragione per  cui  possano
 essere   acquisiti   tout   court  gli  altri  mezzi  di  prova  (es.
 testimonianze in altri procedimenti) e non le  dichiarazioni  ex  210
 c.p.p.
   Il  legislatore  con l'art. 238 c.p.p. nell'originaria formulazione
 aveva introdotto il principio della piena utilizzabilita' delle prove
 raccolte in altro procedimento, naturalmente da  sottoporre  a  nuovo
 vaglio  e  valutazione  e cio' in un sistema processuale accusatorio,
 rigidamente ispirato al principio della  formazione  della  prova  in
 dibattimento.  Era  dunque e comunque fonte di prova quella formatasi
 in un  dibattimento  nel  contraddittorio  fra  le  parti,  anche  se
 diverse.
   Del  resto  sarebbe  illogico  pensare  ai  procedimenti come a dei
 compartimenti stagni in cui l'accertamento del medesimo fatto storico
 debba  avvenire  in  modo  del  tutto  indipendente,   come   se   un
 accertamento avvenuto nell'ambito di un procedimento non possa essere
 valutato  in un altro.  Il diritto di difesa viene comunque garantito
 dall'ultimo comma dell'art.  238 c.p.p. che introduce la possibilita'
 di  richiedere   espressamente   l'esame   delle   persone   le   cui
 dichiarazioni  siano  state  acqusite  a  norma  dei  commi  1, 2 e 4
 dell'art. 238 c.p.p.
   L'attuale  modifica  con  riferimento  al   comma   2-bis,   incide
 radicalmente  su  detti principi rendendo assolutamente inutilizabile
 la prova raccolta ex art. 210 c.p.p. in altro procedimento affermando
 un principio di incomunicabilita' tra processi, che contraddice  ogni
 principio logico.
   Soprattutto,  il  legislatore  introduce  tale limitazione solo con
 riferimento, si ribadisce, alle dichiarazioni ex 210 c.p.p. e non con
 riferimento alle altre fonti di  prova  quale  ad  esempio  la  prova
 testimoniale che rimane pienamente utilizzabile anche se il difensore
 dell'imputato   non  abbia  partecipato  a  quel  dibattimento.  Tale
 disparita' non ha giustificazione  ne'  logica  ne'  processuale.  In
 particolare  non  puo'  certo  trovare  fondamento in un aprioristico
 diverso valore della prova stante la  previsione  garantista  di  cui
 all'art. 192, comma 3 e 4 c.p.p.
   Al  riguardo  e' appena il caso di evidenziare come il consenso del
 difensore dell'odierno imputato all'acquisizione dei verbali ai  fini
 dell'utilizzabilita',  a  nula  rilevi, trattandosi di condizione non
 contemplata e quindi indisponibile da parte del difensore stesso.
   Infatti l'odierno legislatore  ha  previsto  un'  inutilizzabilita'
 assoluta  qualora  non  vi  sia stata la partecipazione del difensore
 all'assunzione delle dichiarazioni gia' rese dalle persone sentite ai
 sensi dell'art. 210 c.p.p.: viene cosi' precluso al  giudice  l'esame
 comparativo  di  quanto  detto  in  tempi successivi e la conseguente
 valutazione di attendibilita' intrinseca, cosa questa che comporta un
 rilievo di illogicita' interna della norma.
   Inoltre, posto che sia le  dichiarazioni  testimoniali  che  quelle
 provenienti  da  persona esaminata ex art. 210 c.p.p., hanno entrambe
 valenza  probatoria  (pur  con  le  cautele  gia'  riferite)  non  si
 giustificano  le  diverse  conseguenze  che  la  legge attribuisce al
 sopravvenuto silenzio del testimone in sede dibattimentale,  rispetto
 all'analogo  silenzio della persona esaminata ex art. 210 c.p.p.: nel
 primo  caso  (art.    500  commi  2-bis,  3,  4 e 5 c.p.p.) potendosi
 procedere alla contestazione ed  all'utilizzazione  delle  precedenti
 dichiarazioni,  nel  secondo  caso  non attribuendo l'art. 238 c.p.p.
 novellato alcuna rilevanza all'atteggiamento silente o meno prescelto
 dalle  persone   citate   ex   art.   210   c.p.p.,   ma   vincolando
 l'utilizzabilita'  delle  pregresse  dichiarazioni  -  e'  necessario
 sottolinearlo ad  un  dato  estrinseco  ed  oltremodo  eventuale:  la
 partecipazione  del  difensore  dell'odierno imputato all'asssunzione
 delle dichiarazioni medesime.
   A quest'ultimo proposito e' necessario evidenziare  la  paradossale
 situazione  in  cui  viene a trovarsi questo tribunale dal momento in
 cui i principali imputati in procedimento connesso  si  sono  avvalsi
 della facolta' di non rispondere.
   Da  un  lato  non  e'  possibile addivenire alla conoscenza ai fini
 della  doverosa  assunzione  della  prova  (artt.  111,   112   della
 Costituzione)  delle  dichiarazioni  rese  nelle  fasi antecedenti al
 dibattimento, stante  il  disposto  dell'art.  513,  comma  2,  nuova
 formulazione   (secondo  l'interpretazione  sopra  data);  dall'altro
 neppure e' possibile acquisire  ed  utilizzare  i  verbali  di  prove
 assunte  nel  corso di altro dibattimento (art. 238 commi 1 e 2-bis),
 posto che l'odierno imputato non era  rappresentato  nell'ambito  dei
 diversi gradi del giudizio contro gli adulti.
   Viene pertanto a verificarsi l'aberrante conseguenza - non valutata
 evidentemente  dall'ultimo  legislatore - di pervenire ad un giudizio
 prevalentemente sulla base delle sentenze irrevocabili gia' acquisite
 ai sensi dell'art. 238-bis c.p.p., visto che il giudicante  e'  stato
 privato  della  possibilita'  di  accedere, utilizzare e valutare nel
 loro andamento complessivo le  dichiarazioni  succedutesi  nel  tempo
 rese  dalle  persone  sentite  ai  sensi  dell'art.  210  c.p.p.  Con
 l'ulteriore conseguenza che anche quanto gia' acquisito e  conosciuto
 nel   presente   dibattimento  non  possa  piu'  essere  valutato  ed
 utilizzato ai fini del convincimento e quindi della decisione.
   E' del tutto evidente come  proprio  il  diritto  di  difesa  resti
 irrimediabilmente  vulnerato  con  violazione quindi del principio di
 cui all'art. 24 della Costituzione.
   Altra censura si deve muovere nei confronti del comma  4  dell'art.
 238 c.p.p. nuova formulazione, a proposito del quale questo tribunale
 prospetta  violazione  degli artt. 3, 111 e 112 della Costituzione E'
 infatti palesemente illogico far dipendere la formazione della  prova
 dal  consenso  e  quindi  dal  gradimento del solo imputato, con cio'
 oltretutto violandosi il principio di parita' tra accusa e difesa.
   Un'ultima censura e' infine da muovere nei  confronti  della  norma
 transitoria  (art. 6 legge n. 267/1997) ove, prevedendosi l'immediata
 applicazione della normativa, non e' dato alcun rimedio diretto  alla
 conservazione delle dichiarazioni rese dalle persone sentite ai sensi
 dell'art. 210 c.p.p.
   Lo  stesso  legislatore  ha  avvertito  l'esigenza di preservare le
 prove assunte nella fase delle  indagini  preliminari,  la'  dove  ha
 ampliato  i casi in cui possa darsi ingresso all'incidente probatorio
 (lett. c e d, art. 392, come novellato) cosi' mostrando  sensibilita'
 riguardo   al   rispetto  del  principio  della  conservazione  delle
 acquisizioni probatorie di  cui  sopra  s'e'  detto,  e  pero'  dando
 palesemente  adito  ad una disparita' di trattamento tra procedimenti
 in corso e non.
   Concludendo,  il  nuovo  assetto, se da un lato viola il diritto di
 difesa  qualora  nei  confronti  di  coimputati  siano   gia'   state
 pronunciate   sentenze   definitive  utilizzabili  in  malam  partem,
 dall'altro  lascia  all'imputato  eccessivo   margine   nel   momento
 dell'acquisizione   della   prova,   cosa  questa  che  fortemente  e
 negativamente incide sull'accertamento della verita'  e  va  oltre  i
 dichiarati fini di garantismo processuale.
                                P. Q. M.
   Visti  gli  artt.  23  e  segg.  della  legge 11 marzo 1953, n. 87,
 ritiene rilevanti e non manifestamente infondate  in  relazione  agli
 artt.     3,  24,  11  e  112  della  Costituzione  le  questioni  di
 legittimita' costituzionale degli artt.  513,  comma  2,  238,  commi
 2-bis  e  4,  c.p.p. di cui alla legge 7 agosto 1997, n. 267 e art. 6
 legge medesima nelle parti e per i profili di cui in motivazione;
   Sospende il presente procedimento;
   Manda  alla  cancelleria  per  la  notificazione   della   presente
 ordinanza  alla  Presidenza  del  Consiglio  dei  Ministri  e  per la
 comunicazione ai Presidenti delle Camere del Parlamento;
   Dispone  la  trasmissione  degli  atti  del  procedimento  e  della
 presente ordinanza alla Corte costituzionale.
   Cosi'  deciso nella camera di consiglio dell'udienza dibattimentale
 di questo tribunale in data 19 settembre 1997.
                          Il presidente: Longo
 97C1243