N. 788 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 aprile - 27 ottobre 1997

                                N. 788
  Ordinanza   emessa   il   22   aprile  1997  (pervenuta  alla  Corte
 costituzionale il 27 ottobre 1997) dalla Corte d'appello  di  Firenze
 nel  procedimento  civile vertente tra il comune di Castiglione della
 Pescaia e Mucci Benedetto
 Espropriazione per pubblica utilita' - Criterio per la determinazione
    delle indennita' espropriative per la realizzazione  di  opere  da
    parte  o per conto dello Stato o di altri enti pubblici (media tra
    il valore dei terreni ed il reddito dominicale rivalutato, con  la
    riduzione dell'importo cosi' determinato del quaranta per cento) -
    Estensione  di detto criterio di valutazione anche alla misura dei
    risarcimenti dovuti per illegittime occupazioni  acquisitive,  con
    l'aumento   dell'importo   stesso   del   dieci   per   cento   in
    considerazione della incostituzionalita' del  precedente  criterio
    dichiarata   con  sentenza  n.  369/1996  -  Ritenuta  persistente
    inadeguatezza della nuova misura del risarcimento - Incidenza  sul
    principio  di uguaglianza, sul diritto di proprieta', sui principi
    di  imparzialita',  buon andamento della p.a. e di responsabilita'
    della p.a.
 (Legge 8 agosto 1992, n. 359,  art.  5-bis,  comma  7-bis;  legge  23
    dicembre 1996, n. 662, art. 3, comma 65).
 (Cost., artt. 3, comma primo, 28, 42, comma secondo, e 97).
(GU n.47 del 19-11-1997 )
                          LA CORTE DI APPELLO
   Ha  pronunciato  la seguente ordinanza nella causa civile n. 130/96
 promossa dal comune di Castiglione  della  Pescaia,  in  persona  del
 sindaco  in carica, elettivamente domiciliato in Firenze, via Strozzi
 n. 6 presso lo studio dell'avv. Vincenzo Morso che lo  rappresenta  e
 difende  unitamente  all'avv.  Umberto  Gulina,  al  dott. proc. Aldo
 Spinosa e al dott. proc. Daniele Dalagiani, appellante, contro  Mucci
 Benedetto,  elettivamente  domiciliato in Firenze, via Fossombroni n.
 20 presso lo  studio  della  dott.  proc.  Lisabetta  Rocchi  che  lo
 rappresenta e difende unitamente al dott. proc. Ettore Castelluzzo di
 Grosseto.
   La Corte osserva:
                                In fatto
   Con   citazione  notificata  il  10  luglio  1993  Mucci  Benedetto
 conveniva avanti il tribunale di Grosseto il  comune  di  Castiglione
 della  Pescaia  chiedendone  la  condanna  al  risarcimento del danno
 conseguente alla illegittima occupazione acquisitiva,  da  parte  del
 comune,   di   terreni  per  complessivi  mq  1770  con  termine  per
 l'occupazione d'urgenza poi decorso senza che detto comune procedesse
 ad espropriare il terreno in questione e con realizzazione dell'opera
 pubblica che rendeva irreversibile la trasformazione del  bene  e  la
 sua acquisizione all'ente locale.
   Il  convenuto  si costituita eccependo l'avvenuta prescrizione. Nel
 corso  dell'istruzione  veniva  espletata  CTU  e  sulle   rispettive
 conclusioni  la  causa  veniva  rimessa  per la decisione all'udienza
 colelgiale del 19 ottobre 1995.
   Il tribunale di Grosseto con  sentenza  del  14  novembre  1995  n.
 1066/95  condannava  il  comune  a risarcire il danno nella misura di
 lire 25.600.000 piu'  lire  10.240.000  per  occupazione  temporanea,
 oltre interessi, rivalutazione e spese.
   Il  comune  appellava  con  atto  del  27  gennaio  1996  eccependo
 nuovamente la prescrizione e, in via subordinata, senza contestare la
 entita'  del  valore  venale  del   terreno   occupato   dalla   A.C.
 quantificata dal tribunale di Grosseto tenendo conto delle risultanze
 della  CTU,  invocava  ai fini della determinazione del quantum prima
 l'applicazione dell'art.   1, comma 65, legge  n.  549/95  e  poi,  a
 seguito  della  declaratoria di illegittimita' del citato comma 65 ad
 opera della Corte costituzionale, sentenza  n.  369/96  in  corso  di
 causa, in sede di comparsa conclusionale l'art. 3, comma 65, legge n.
 662/96  che  ha  dettato  nuove  disposizioni in ordine ai criteri di
 liquidazione del danno conseguente  ad  occupazione  illegittima  dei
 suoli per causa di pubblica utilita'.
   Le  controparti si costituivano chiedendo la reiezione dell'appello
 e,  in  comparsa   conclusionale,   eccependo   l'incostituzionalita'
 dell'art.  3, comma 65, della legge n. 662/96 in relazione agli artt.
 3  e  42  della  Costituzione,  punto sul quale in sede di replica il
 comune di Castiglione si affidava all'equo apprezzamento della Corte,
 pur rilevando che a suo giudizio la nuova normativa aveva superato la
 contestazione di fondo, operata  dalla  Corte  costituzionale,  della
 prefetta parificazione delle due situazioni prese in esame.
   La causa veniva assegnata al Collegio il 22 aprile 1997.
                              In diritto
   Questa  Corte,  riservata alla decisione l'esame della fondatezza o
 meno della eccepita prescrizione dei diritti vantati  dall'appellato,
 ritiene  non  manifestamente  infondata l'eccezione di illegittimita'
 costituzionale dell'art. 3, comma  65,  della  legge  n.  662/96,  in
 relazione  agli  artt.  3,  28  e  42,  comma  2, della Costituzione,
 analogamente a quanto gia' ritenuto dal g.i. del tribunale  di  Lecce
 con ordinanza del 19 febbraio 1997 (Gazzetta Ufficiale n. 16 pag. 115
 ss.)  e,  limitatamente  agli  artt.  3 e 42 della Costituzione dalla
 Corte di  appello  di  Torino  in  data  24  gennaio  1997  (Gazzetta
 Ufficiale n. 17 del 23 aprile 1997, pag. 47 ss.).
   La rilevanza della questione discende dalla pacifica applicabilita'
 ai  procedimenti  in  corso,  alla  data della sua entrata in vigore,
 della normativa di cui all'art. 3, comma 65, della legge 28  dicembre
 1996 n. 662, che fissa nuovi criteri per la liquidazione del danno da
 occupazione    illegittima   per   ragioni   di   pubblico   utilita'
 (liquidazione presupponente che l'accertamento della natura del suolo
 venga eseguito secondo regole che  attribuiscono  ai  terreni  natura
 edificatoria solo se l'edificabilita' sia legale ed effettiva), anche
 nella   ipotesi   che   l'occupazione  sia  divenuta  successivamente
 illegittima, per effetto  dell'annullamento  della  dichiarazione  di
 pubblica utilita', e, ovvero, cone nel caso in esame, per decorso del
 termine  per  l'occupazione  d'urgenza  senza  che  il  comune  abbia
 proceduto  ad  espropriare  il  terreno  in  questione  dopo   averlo
 trasformato   irreversibilmente,   determinando   secondo   la   nota
 giurisprudenza della S.C. l'accessione invertita a favore del comune.
 Nel senso della immediata applicabilita' si e'  gia'  pronunciata  la
 S.C.  con  sentenza della Sezione I, 9 maggio 1997 n. 4066 (comune di
 Andria c. Spagnoletti), e alla motivazione di detta decisione  questa
 Corte rinvia, condividendone l'assunto.
   La  Corte  non  ignora  che con la citata sentenza la S.C. ha anche
 ritenuto manifestamente infondata la questione  di  costituzionalita'
 dell'art.  3,  comma  65,  legge  n. 662/96, sollevata in quella sede
 sotto  il  profilo  che  avrebbe  irragionevolmente   equiparato   la
 disciplina  di  situazioni  assolutamente diverse, ossia quella delle
 occupazioni  illegittime  conseguenti  a  valida   dichiarazione   di
 pubblica  utilita' a quelle nelle quali un siffatto provvedimento sia
 mancato o sia stato annullato, sostenendo che l'art. 3 in  esame  non
 ha  affatto  equiparato le due ipotesi e solo a causa di un giudicato
 interno nella specie - occupazione seguita  a  una  dichiarazione  di
 pubblica utilita' annullata - deve essere equiparata a quella in cui,
 invece,  una  valida  dichiarazione  di  pubblica  utilita' sia stata
 pronunciata.
   La Corte ritiene invece che nella presente controversia il  quesito
 cui   rispondere   riguardi  l'entita'  del  risarcimento  del  danno
 riconosciuta  al  proprietario  del  terreno  oggetto  di  accessione
 invertita,  e  cioe'  se  nel  caso,  come hanno ritenuto il g.i. del
 tribunale di Lecce e la Corte di appello di Torino, non si sia ancora
 in presenza di una minorazione  eccessiva  rispetto  al  risarcimento
 ordinario   e  ad  una  maggiorazione  troppo  esigua  rispetto  alla
 indennita' di esproprio, sulla base degli stessi  principi  enucleati
 dalla  Corte  costituzionale  nella  sentenza  n.  368/96.  La  Corte
 infatti,  dopo  aver affermato che la regola generale di integralita'
 della  riparazione  ed  equivalenza  al  pregiudizio   cagionato   al
 danneggiato non ha copertura costituzionale, e che il legislatore, in
 casi   eccezionali,   ben   puo'  ritenere  equa  e  conveniente  una
 limitazione  al  risarcimento  del  danno,  in  considerazione  delle
 particolari  condizioni  dell'autore  del  danno. ha chiarito che "la
 ragionevolezza di una siffatta riduzione viene peraltro  a  dipendere
 dall'equilibrato componimento che la norma di conformazione del danno
 risarcibile  deve  assicurare,  degli  opposti  interessi  in  gioco.
 Interessi che, in questo caso sono, da  un  lato,  quello  riferibile
 all'amministrazione di conservazione dell'opera di pubblica utilita',
 con contenimento dell'incremento di spesa correlativa; e, dall'altro,
 l'interesse  del  privato  ad  ottenere  riparazione  per  l'illecito
 subito". Conseguentemente ha  condiviso  il  giudizio  di  abnormita'
 formulato  dai giudici remittenti di una riduzione della misura della
 riparazione per l'illecito  della  p.a.  spinta  al  punto  di  farla
 coincidere  con l'entita' dell'indennizzo dovuto in caso di legittima
 procedura ablatoria, sia sul piano della violazione che ne deriva del
 precetto di uguaglianza, stante la radicale diversita' strutturale  e
 funzionale delle obbligazioni cosi' comparate, con negative incidenze
 sul   piano   del   buon   andamento   e   legalita'   dell'attivita'
 amministrativa  e  sul  principio  di  responsabilita'  dei  pubblici
 dipendenti   per  i  danni  arrecati  al  privato,  sia  quanto  alla
 violazione dell'art.  42, comma secondo, della  Costituzione  per  la
 perdita  di garanzia che al diritto di proprieta' deriva da una cosi'
 affievolita risposta dell'ordinamento all'atto illecito  compiuto  in
 sua violazione.
   Orbene,  secondo questa Corte, analoga violazione agli artt. 3, 42,
 28 e 97 della Costituzione puo' ravvisarsi se il corrispettivo  nelle
 due  diverse  situazioni  in  esame  viene  individuato,  nel caso di
 illegittima acquisizione, in una differenza  contenuta  nella  misura
 predeterminata  del  solo  10%,  secondo  quanto  prescrive  la norma
 impugnata.  Secondo quanto ha esattamente rilevato la Corte di Torino
 il primo sacrificio che  e'  imposto  al  privato  nella  fattispecie
 deriva  anzitutto  dalla  impossibilita' della riduzione in pristino,
 conseguenza  di  una  creazione   giurisprudenziale,   quella   della
 accessione  invertita, che autorevole dottrina ha censurato come modo
 di acquisto della proprieta' praeter  legem  desunto  dalla  supposta
 esistenza  di  un  principio  generale tratto dagli artt. 934 e segg.
 c.c. che non avrebbe alcun  riconoscimento  dal  nostro  ordinamento,
 come  locuzione  pertinente  soltanto alle ben diverse ipotesi di cui
 agli artt. 875 e 877 c.c.  e, quel che piu' conta, in assenza in capo
 al privato di una tutela idonea ad impedire  il  perfezionarsi  della
 fattispecie      acquisitiva,     con     particolare     riferimento
 all'ammissibilita' della tutela possessoria nei confronti della  p.a.
 oggi esclusa dalla stessa giurisprudenza della S.C.
   Tale  minorata  tutela del privato di fronte alla condotta illecita
 della p.a. e' ulteriormente aggravata,  come  rilevato  dal  g.i.  di
 Lecce  dall'art.  11, comma 7, legge n. 413/91 il quale, sottoponendo
 entrambe le ipotesi di cui  sopra  alla  medesima  ritenuta  fiscale,
 parifica  il  risarcimento  dei  danni  da  occupazione appropriativa
 all'indennita' di esproprio, differenziandolo dalle  altre  forme  di
 risarcimento,  solitamente  esentasse, con ulteriore sacrificio della
 posizione del privato, tra l'altro di dubbia costituzionalita' (anche
 se non e' in questione in questa controversia).
   Non  possono  non  condividersi  inoltre  i  rilievi  formulati dal
 predetto g.i. sia quanto alla mancanza di una  situazione  di  favore
 per  il  danneggiato,  in  relazione  alla  espressa esclusione della
 possibilita'  di  riduzione  del  40%,   atteso   che   l'occupazione
 appropriativa e' incompatibile con la cessione volontaria del bene ex
 art.  5-bis  legge  n.  359/92,  sia  quanto  alla irrisorieta' della
 maggiorazione del 10%, la quale mediata aritmeticamente  col  reddito
 dominicale  rivalutato, ammonta di fatto al solo 5% del valore reale.
 L'impugnata norma ha infine effetti del tutto negativi in  ordine  al
 buon  andamento dell'attivita' amministrativa e della responsabilita'
 contabile dei pubblici funzionari,  traducendosi  in  un  sostanziale
 esonero da responsabilita' per occupazione appropriativa, che rischia
 conseguentemente  di  essere  incoraggiata  a tutto danno dei privati
 proprietari: "non si vede infatti come  la  causazione  di  un  danno
 aggiuntivo  in termini reali del 5% circa, bilanciata dal rischio per
 il privato di prescrizione quinquennale anziche' decennale (come  per
 l'indennita'  di esproprio) e dal soddisfacimento dell'interesse alla
 conservazione dell'opera pubblica (la  quale  certamente  costituisce
 ''vantaggio  comunque conseguito dall'amministrazione in relazione al
 comportamento del soggetto al giudizio  di  responsabilita''')  possa
 addebitarsi a titolo di colpa grave, i casi di dolo apparendo ipotesi
 eccezionali" (ordinanza g.i. del tribunale di Lecce cit.).
   Le  premesse  di  cui  sopra  divengono  ictu  oculi evidenti nella
 fattispecie in esame,  in  cui  a  fronte  del  danno  liquidato  dal
 tribunale  di Grosseto in lire 26.500.000 prima della declaratoria di
 incostituzionalita' e della entrata in vigore della norma  impugnata,
 al  privato  spetterebbero  lire  12.805.400 con danno determinato ai
 sensi del criterio dichiarato incostituzionale, e lire 14.085.940 con
 il criterio vigente, apportandosi cioe' una "ragionevole  riduzione",
 secondo l'efficace espressione della difesa, di oltre 11 milioni.
   La eccezione di illegittimita' della norma denunciata appare dunque
 non  manifestamente  infondata,  per  cui  la  relativa  questione va
 deferita all'esame del giudice delle leggi, in  quanto  rilevante  ai
 fini della decisione della presente causa.
                               P. Q. M.
   Visti  gli  artt.1 della legge cost. 9 febbraio 1948 n. 1, 23 della
 legge 11 marzo 1958 n. 87 ritenendo  la  non  manifesta  infondatezza
 della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5-bis, comma
 7-bis,  (introdotto  dall'art.  3,  comma  65, della legge n. 662/96)
 della legge n. 359/92, in relazione agli artt. 3,  comma  primo,  42,
 comma secondo, 28 e 97 della Costituzione, dispone la sospensione del
 presente  giudizio  e  l'immediata trasmissione degli atti alla Corte
 costituzionale;
   Ordina che, a cura della cancelleria,  la  presente  ordinanza  sia
 notificata  alle  parti  in  causa  e al Presidente del Consiglio dei
 Ministri, e comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento.
   Cosi' deciso in Firenze nella camera di  consiglio  del  22  aprile
 1997.
                  Il presidente: (firma illeggibile)
 97C1255