N. 792 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 aprile - 27 ottobre 1997

                                N. 792
  Ordinanza   emessa   il   22   aprile  1997  (pervenuta  alla  Corte
 costituzionale il 27 ottobre 1997) dal tribunale di  sorveglianza  di
 Firenze  nel  procedimento di sorveglianza nei confronti di Stracuzzi
 Luciano
 Pena - Liberazione condizionale - Revoca nel caso di  commissione  di
    delitto  o  contravvenzione della stessa indole o di trasgressione
    agli  obblighi  inerenti  alla   liberta'   vigilata   -   Dedotta
    genericita'  della  norma  impugnata - Lamentato automatismo della
    misura - Preclusione di valutazione da parte del giudice circa  la
    compatibilita' della condotta del soggetto con la prosecuzione del
    regime   di   prova  controllata  -  Irragionevole  disparita'  di
    trattamento a seconda del tipo di reato  commesso  -  Lesione  del
    principio della finalita' rieducativa della pena.
 (C.P., art. 177).
 (Cost., artt. 27, comma terzo, e 3).
(GU n.47 del 19-11-1997 )
                     IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA
   A  scioglimento  della  riserva espressa nell'udienza del 22 aprile
 1997, visti ed esaminati gli atti della procedura di sorveglianza  in
 materia   di   revoca  liberazione  condizionale,  nei  confronti  di
 Stracuzzi Luciano nato il 12 dicembre 1955 a  Ivrea,  domiciliato  in
 Capoliveri (Livorno), via Martini, 1.
                             O s s e r v a
   1. - Stracuzzi Luciano ha ottenuto la liberazione condizionale fino
 al  23  novembre  1998  con  provvedimento  di  questo  tribunale  di
 sorveglianza del 28 aprile 1994. Tale concessione era  maturata  dopo
 un  lungo periodo di semiliberta', beneficio, questo, concessogli con
 ordinanza di questo stesso ufficio del 27 aprile 1989.
   Veniva denunciato il 1 marzo 1995 dai carabinieri di Strambino  per
 simulazione  di  reato e per tale fatto veniva condannato dal pretore
 di Ivrea con sentenza 9 maggio 1996, passata  ora  in  giudicato.  Lo
 Stracuzzi  era  condannato,  in  concorso  con  il fratello Stracuzzi
 Alberto, "perche',  agendo  materialmente  lo  Stracuzzi  Luciano  su
 istigazione   e  mandato  di  Alberto,  attestava  falsamente,  nella
 denuncia sporta il 27 febbraio 1995 presso il commissariato  P.S.  di
 Ivrea/Banchette,  essere  avvenuto  il  furto  della autovettura Fiat
 Ritmo tg. VC/43228".  Era accaduto questo. Lo Stracuzzi fruiva  della
 liberazione  condizionale  con abitazione e lavoro nell'isola d'Elba.
 Aveva periodicamente dei permessi per recarsi a Ivrea, dove  dimorava
 la  sua  famiglia. Nel corso di uno di tali permessi, riceveva, verso
 le ore 0,30  del  27  febbraio  1995,  una  telefonata  dal  fratello
 Alberto,  che  gli  riferiva  che  gli  avevano rubato l'autovettura,
 intestata alla madre e usata dai due fratelli, e lo pregava di andare
 a denunciare il fatto presso il commissariato P.S. di Ivrea, cosa che
 il Luciano Stracuzzi faceva effettivamente nel corso della  mattinata
 di  quello  stesso  giorno.    In  realta',  l'Alberto  Stracuzzi era
 sospettato di avere  commesso  un  furto  di  ruote  di  autovettura,
 trovate  a  bordo  della  sua  auto,  dalla  quale si era allontanato
 precipitosamente  mentre  era  intervenuto   personale   di   polizia
 (carabinieri  di Strambino). Sull'auto, fra l'altro, veniva rinvenuta
 la documentazione relativa alla semiliberta' della casa circondariale
 di  Ivrea,  di  cui  lo  stesso  Stracuzzi  Alberto  stava   fruendo.
 Evidentemente,   questi  cercava,  in  modo  abbastanza  stolido,  di
 sfuggire  alle  proprie  responsabilita'  (che  sarebbero  state  poi
 riconosciute  dalla sentenza di condanna gia' citata), ma coinvolgeva
 cosi',  nella  sua critica situazione, anche il fratello Luciano, che
 andava a denunciare un furto, che non era avvenuto, quello  dell'auto
 intestata  alla  madre e di uso comune tra i fratelli. La sentenza di
 condanna rilevava che la responsabilita' dello Stracuzzi Luciano  per
 simulazione   di  reato  doveva  ritenersi  accertata  in  quanto,  a
 prescindere da altre circostanze non prive di  significativo  rilievo
 probatorio,   Luciano   aveva   dichiarato  che  l'auto,  al  momento
 dell'inesistente furto, era in uso a lui e non al fratello.
   Con la citata sentenza definitiva 9  maggio  1996  del  pretore  di
 Ivrea, lo Stracuzzi Luciano e' stato condannato alla pena di anni uno
 e mesi quattro reclusione.
   Si  deve  ora  decidere nella procedura di revoca della liberazione
 condizionale in conseguenza della condanna suindicata.
   L'art. 177, comma 1, c.p., dispone che "la liberazione condizionale
 e' revocata  se  la  persona  liberata  commette  un  delitto  o  una
 contravvenzione   della   stessa  indole,  ovvero  trasgredisce  agli
 obblighi inerenti  alla  liberta'  vigilata...".  Quale  che  sia  la
 valutazione da dare ai fatti commessi dallo Stracuzzi Luciano, appare
 giustificato porsi il problema della correttezza costituzionale della
 normativa   relativa  alla  revoca  della  liberazione  condizionale,
 particolarmente dopo che  la  Corte  costituzionale  ha  esaminato  e
 dichiarato  incostituzionali  le  normative  relative  alla revoca di
 altri benefici penitenziari.
   2. - Si e' detto che la Corte  costituzionale  e'  intervenuta  per
 dichiarare  incostituzionale  le normative relative ad altri benefici
 penitenziari. Ci si riferiva:
     a) alla sentenza della Corte costituzionale n. 186/1995,  che  ha
 dichiarato  "la  illegittimita'  costituzionale  dell'art.  54, terzo
 comma, legge 26 luglio 1975, n. 354 . . . nella parte in cui  prevede
 la  revoca  della  liberazione  anticipata  nel  caso di condanna per
 delitto   non   colposo   commesso   nel   corso   della   esecuzione
 successivamente alla concessione del beneficio anziche' stabilire che
 la liberazione anticipata e' revocata se la condotta del soggetto, in
 relazione   alla   condanna   subita,  appare  incompatibile  con  il
 mantenimento del beneficio";
     b)  alla  sentenza  n.  173/1997  della  stessa  Corte,  che   ha
 dichiarato "la illegittimita' costituzionale dell'art. 47-ter, ultimo
 comma,  della  legge 26 luglio 1975, n. 354 ... nella parte in cui fa
 derivare automaticamente la sospensione della detenzione  domiciliare
 dalla presentazione di una denuncia per il reato previsto dal comma 8
 dello  stesso  articolo".  Tale pronuncia interviene sull'automatismo
 della  sospensione  provvisoria  della  detenzione  domiciliare,   di
 competenza del magistrato di sorveglianza, in caso di denuncia per il
 reato  di  evasione, ma non potra' non avere riflesso sulla pronuncia
 definitiva  di  revoca  o  meno  della  detenzione  domiciliare,   di
 competenza  del  tribunale  di  sorveglianza, cui non puo' non essere
 dato lo  stesso  spazio  valutativo  riconosciuto  al  magistrato  di
 sorveglianza.
   Cio'  che  la  Corte costituzionale considera non costituzionale in
 queste sentenze e' l'automatismo della revoca dei  singoli  benefici,
 contenuto nelle norme dichiarate incostituzionali ed e' significativa
 l'osservazione  fatta dalla Corte (n. 2 della motivazione in diritto,
 in fine) nella sentenza n. 173/1995: "... deve affermarsi che sarebbe
 auspicabile che il legislatore unificasse, in  relazione  alle  varie
 misure  alternative,  i  presupposti  sia della sospensione che della
 revoca, devolvendo l'applicazione di  questi  istituti,  pur  tenendo
 rigorosamente  conto di determinati presupposti indicati dalla legge,
 alla prudente valutazione del giudice, riferita alla compatibilita' o
 meno con la prosecuzione della prova: cosi'  come  la  legge  dispone
 oggi  per  il solo affidamento in prova al servizio sociale (art. 47,
 penultimo comma, legge 26 luglio 1975, n. 354).
   Si ritiene che la normativa relativa alla revoca della  liberazione
 condizionale,  di  cui dovrebbe farsi applicazione nel caso in esame,
 meriti una riflessione adeguata in linea con le indicazioni date.
   3. - Tale riflessione e' stata in parte avviata nella ordinanza  15
 dicembre  1993  di  questo  ufficio,  in  procedura  relativa a Barra
 Raffaele, ordinanza con la  quale  si  sollevava  la  eccezionale  di
 costituzionalita'  in materia di revoca della liberazione anticipata,
 decisa con la sentenza n. 186/1995 della Corte costituzionale.
   Sembra utile fare riferimento,  per  la  motivazione  del  presente
 provvedimento,  a  parte  di  quella  della precedente ordinanza, ora
 citata. In questa si osservava:
     "... cio'  che  determina  la  revoca  della  concessione  di  un
 beneficio  deve  essere rappresentato da un fatto o da una situazione
 che segni l'arresto, se non addirittura  l'inversione,  del  processo
 riabilitativo del soggetto...
   Se  infatti  la  normativa  penitenziaria  prevede  un  sistema  di
 controllo sul punto che la pena espiata,  fino  alla  conclusione  di
 tappe, ''abbia o meno assolto positivamente al suo fine rieducativo''
 (sentenza  Corte  costituzionale  n.  204/1974);  se  a tale scopo e'
 organizzato il sistema delle misure alternative, intese come ''misure
 che...   siano idonee a funzionare ad  un  tempo  come  strumenti  di
 controllo  sociale  e  di  promozione della risocializzazione'' (n. 2
 della  motivazione  in  diritto  della  sentenza  n.  343/1987  Corte
 costituzionale);   ...     se  tutto  cio'  si  deve  desumere  dalla
 giurisprudenza costituzionale, si puo' ed, anzi,  si  deve  affermare
 che la normativa penitenziaria promuove il percorso riabilitativo del
 soggetto,  ne  fornisce  gli  strumenti e, quando li ha concessi, non
 puo'  non  essere  attenta  a  toglierli  solo  quando  si   constati
 l'abbandono  di  quel  percorso,  la  sostituzione allo stesso di una
 scelta oppositiva e contraria...".
   Una conferma ai principi e alle conclusioni cui si e' pervenuti  la
 si trae anche dall'esame delle norme relative alle revoca degli altri
 benefici penitenziari".
   A  questo  punto  della  motivazione della precedente ordinanza, si
 procedeva ad una comparazione delle normative  relative  alla  revoca
 dei  benefici  penitenziari,  che  sembra  possa  essere riportata ed
 utilizzata anche ai fini della presente  motivazione.  Nell'esame  di
 tali  normative  era  compresa anche quella relativa alla liberazione
 condizionale,  in  merito  alla  quale  si  svolgeva  una  serie   di
 considerazioni,  che  possono essere utile premessa a quelle che oggi
 si intendono  piu'  puntualmente  definire.  Si  torna,  pertanto,  a
 riportare  parte  della  motivazione della ordinanza precedente, gia'
 citata, quella parte, come si e' detto, che  opera  una  comparazione
 delle normative relative alla revoca dei benefici penitenziari.
   "In   materia   di   affidamento  in  prova  al  servizio  sociale,
 ''l'affidamento e' revocato qualora  il  comprtamento  del  soggetto,
 contrario   alla   legge   o   alle   prescrizioni   dettate,  appaia
 incompatibile con la prosecuzione della prova'' (art. 47, comma  11).
 Ecco:  una  condotta  quindi  che  viola le regole stabilite e che fa
 ritenere che la  prova  non  possa  svilupparsi  per  raggiungere  le
 finalita'   di   cui   all'art.   47,  comma  2:  contribuire  ''alla
 rieducazione del reo'' e assicurare ''la prevenzione del pericolo che
 egli commetta altri reati'', finalita'che  sono  poi  quelle  proprie
 della esecuzione penale.
   Identica   la   disposizione   dettata  in  materia  di  detenzione
 domiciliare (art. 47-ter, comma 5).
   Quanto  alla  semiliberta',  si  stabilisce  che  il  provvedimento
 relativo  ''puo' essere in ogni tempo revocato quando il soggetto non
 si appalesi idoneo al trattamento'' (art. 51, comma 1).  L'ammissione
 alla  semiliberta'  consegue,  infatti,  ''ai  progressi compiuti nel
 corso del trattamento, quando vi sono le condizioni per  un  graduale
 reinserimento  del  soggetto  nella societa''' (art. 50, comma 4); la
 inidoneita'  al  trattamento   in   semiliberta'   corrisponde   alla
 constatazione  che  quel  trattamento  non  riesce piu' a produrre la
 progressiva risocializzazione, a cui era finalizzato.
   Per la detenzione domiciliare (art.  47-ter,  comma  8)  e  per  la
 semiliberta'  (art.  51,  comma  4) e' prevista anche una particolare
 disciplina nei casi di evasione  o  delle  condotte  parificate  alla
 stessa:  ''la  denuncia per il delitto ... importa la sospensione del
 beneficio e la condanna ne importa la  revoca''.  Diversamente  dalle
 disposizioni  precedenti,  si prevede, qui, un automatismo, che manca
 in quelle: ma si tratta di  un  automatismo  del  tutto  coerente  al
 discorso  generale  gia'  fatto,  in quanto l'evasione equivale ad un
 abbandono e ad una rottura del rapporto di esecuzione penale, rottura
 che non puo' non avere conseguenze drastiche sulla prosecuzione della
 fruizione di un beneficio.
   Le disposizioni esaminate, salvo le ultime (che confermano,  pero',
 la regola), hanno dunque la caratteristica di rimettere al giudice la
 verifica  che  il  processo  di  riabilitazionie  del  soggetto si e'
 interrotto e che, per questa ragione, la fruizione del beneficio  non
 puo' essere mantenuta.
   Si  puo'  aggiungere  che  i  principi ora indicati informano anche
 un'altra categoria sanzionatoria, quella delle sanzioni  sostitutive,
 per le quali, pure, il riferimento resta ai principi della esecuzione
 della  pena e alle modalita' di gestione e applicazione degli stessi,
 quali si sono sopra  delineati.  Ed  e',  infatti,  pacifico  che  la
 conversione,  ex  art. 66 della legge 24 novembre 1981, n. 689, della
 sanzione sostitutiva nella pena sostitutiva va disposta non  in  modo
 automatico,  in  presenza di un formale accertamento della violazione
 ''anche solo di una delle prescrizioni inerenti alla semidetenzione o
 alla liberta' controllata'' (art. 66 citato), ma solo nel caso in cui
 una o piu' delle violazioni presentino un rilievo e una gravita' tali
 da  non  consentire  che  prosegua  la   fruizione   della   sanzione
 sostitutiva.
   In  questo  quadro  generale e' chiaro pero' che esiste il problema
 della liberazione condizionale. L'art. 177, comma 1, dispone che ''la
 liberazione condizionale e' revocata se la persona liberata  commette
 un   delitto  o  una  contravvenzione  della  stessa  indole,  ovvero
 trasgredisce agli obblighi inerenti alla liberta' vigilata...''.   La
 giurisprudenza  della  Corte  di  cassazione  chiarisce  cosi' questa
 disposizione (Cass., Sez. I, 10 giugno  1985,  Stecchini,  in  Giust.
 pen.,  1986,  II,  95; v. anche in termini identici: Cass., Sez. I, 1
 luglio 1987, Sanzo, in Giust. pen. 1988, II, 225): ''Ne consegue che,
 mentre  per  quanto  riguarda  la  prima  condizione  risolutiva  del
 beneficio  e' sufficiente una sentenza passata in giudicato che abbia
 accertato   definitivamente   il   reato   addebitato   al   liberato
 condizionalmente,   per  la  seconda  non  basta,  invece,  una  mera
 informativa degli organi di sorveglianza, che abbiano riferito  sulle
 trasgressioni  delle  prescrizioni  contenute nella carta precettiva,
 ma, al contrario, si richiede da parte  del  giudice  una  penetrante
 indagine,   anzitutto  sulla  volontarieta'  del  fatto  che  escluda
 ovviamente quello incolpevole e,  poi,  un  giudizio  di  merito  che
 accerti, senza ombra di dubbio, se l'addebito possa o meno concretare
 una  grave  trasgressione  al regime di vita, al quale il liberato e'
 stato sottoposto, e costituisca un sicuro elemento per  ritenere  che
 lo  stesso  non  abbia ancora maturato il suo ravvedimento e, quindi,
 sia immeritevole dell'anticipato reinserimento nella vita sociale".
   Orbene:  la  revoca  della  liberazione  condizionale  fa,  quindi,
 riferimento  ad una situazione (quella relativa alla violazione delle
 prescrizioni) che deve essere sottoposta ad  un  attento  vaglio  del
 giudice,  esattamente in linea con quello che deve essere operato per
 la revoca delle misure  alternative  sopra  ricordate;  ma  fa  anche
 riferimento  ad una condizione (la commissione di un delitto o di una
 contravvenzione della  stessa  indole),  che  appare  invece  operare
 automaticamente. Va detto che si pone qui un problema interpretativo:
 se,   cioe',   l'identita'   dell'indole   si   riferisca  solo  alla
 contravvenzione o anche al delitto. La giurisprudenza e' per limitare
 la necessita' della identita' dell'indole alla sola  contravvenzione,
 non  anche al delitto (v. Cass., Sez. I, 17 ottobre 1988, Bertani, in
 Cass. pen. 1989, 595). Ma la perplessita' resta perche': da un  lato,
 se  fosse  cosi',  diventerebbero  cause  di  revoca  anche i delitti
 colposi; mentre,  dall'altro,  se  non  fosse  cosi',  la  condizione
 assumerebbe  un  senso  coerente  al  discorso  generale  che  si  e'
 condotto, in quanto la identita' dell'indole del delitto  con  quello
 commesso  in  passato  e  per  il quale si e' ottenuta la liberazione
 condizionale,  ragionevolmente   giustificherebbe   la   revoca   del
 beneficio   in   modo   automatico:  sarebbe  del  tutto  ragionevole
 presumere, in tal caso, l'assenza del ravvedimento, che, invece,  nel
 caso  di  violazione  delle  prescrizioni  deve  essere  attentamente
 vagliata  e  verificata,  cosi'  che  le  due  condizioni  di  revoca
 (commissione   di   un   reato   e   violazione  delle  prescrizioni)
 diventerebbero coerenti e  risponderebbero  alla  applicazione  degli
 stessi  principi.  Va da se' che la commissione di un reato non della
 stessa indole potrebbe  rientrare  nelle  condotte  da  valutare  nel
 quadro  delel  violazioni delle prescrizioni, fra le quali ovviamente
 quella della buona condotta, scritta o non scritta che sia, resta  il
 presupposto fondamentale.
   Non  si  deve  comunque dimenticare che la liberazione condizionale
 risente indubbiamente  del  suo  originario  inserimento  nel  codice
 penale,   ben   prima   che  venissero  affermati  i  nuovi  principi
 costituzionali sulla pena e le sue finalita'. La gia' citata sentenza
 n. 204/1974 della  Corte  costituzionale,  rilevava  esattamente  che
 l'istituto  della  liberazione condizionale, "con l'art. 27, comma 3,
 Cost., ha assunto un peso e un valore piu' incisivo di quello che non
 avesse in origine; rappresenta, in sostanza, un peculiare aspetto del
 trattamento  penale  e  il  suo  ambito di applicazione presuppone un
 obbligo tassativo per il legislatore di tenere non solo  presenti  le
 finalita'  rieducative  della  pena,  ma anche di predisporre tutti i
 mezzi idonei a relizzarle  e  le  forme  atte  a  garantirle".  E  si
 potrebbe allora, in materia di revoca della liberazione condizionale,
 arrivare a prospettare due conclusioni alternative:
     o  la condizione - per la revoca della liberazione condizionale -
 della commissione di un nuovo  delitto  viene  interpretata  in  modo
 coerente alle indicazioni generali che si sono individuate in materia
 di  revoca  dei  benefici  penitenziari:  e  cio'  puo'  essere fatto
 richiedendo, per il nuovo delitto commesso, la identita'  dell'indole
 con quello o quelli per cui fu inflitta la pena: e in tal caso quelle
 indicazioni  generali  sono  rispettate,  potendosi  convenire che la
 recidiva specifica negli stessi  delitti  faccia  escludere  che  sia
 intervenuto il ravvedimento;
     oppure  si  deve  prendere  atto che anche il regime della revoca
 della liberazione condizionale non e' conforme a  quelle  indicazioni
 che  si  sono individuate al numero precedente: la revoca deve essere
 operata solo in presenza di una situazione o di un fatto che segna la
 interruzione  e  l'abbandono  del   percorso   di   risocializzazione
 intrapreso dal soggetto durante la esecuzione della pena, in presenza
 del quale la liberazione condizionale fu concessa: per sostenere tale
 percorso  il beneficio e' stato dato e puo' essere tolto solo se quel
 percorso viene abbandonato, non se vi sia un qualsiasi  inconveniente
 (che puo' anche costituire un reato, ma non rilevante e significativo
 ai nostri fini), per nulla incompatibile con la regolare prosecuzione
 dello stesso.
   Potrebbe  essere  questo  uno dei punti su cui portare l'attenzione
 del giudice costituzionale, che ha rilevato, anche recentemente  come
 la  normativa in materia di liberazione condizionale abbia bisogno di
 ulteriori aggiustamenti: v. sentenza 27 maggio-4 giugno 1993, n. 270,
 della Corte costituzionale.
   4. - Dalla riflessione condotta nel precedente provvedimento  sullo
 specifico   punto   della   normativa   relativa  alla  revoca  della
 liberazione condizionale, emergono, in sostanza, due  considerazioni,
 che vanno ribadite.
   La  prima  e' che la liberazione condizionale va intesa come misura
 alternativa  alla  detenzione  e  che  e'  valida,  anche  per   tale
 beneficio,  la  giurisprudenza  costituzionale  citata  in materia di
 misure alternative, sui principi e la funzione delle stesse. Si puo',
 al proposito,  ricordare  che  la  giurisprudenza  costituzionale  in
 argomento  trova  la  sua  pronuncia  fondante  in quella sentenza n.
 204/1974, che e' stata  emessa  proprio  in  materia  di  liberazione
 condizionale  e che un'altra delle sentenze principali applicative e'
 la n. 282/1989, concernente sempre la liberazione condizionale. E non
 c'e', infine, che da ripetere la citazione gia' fatta del passo della
 sentenza n.  204/1974,  nel  quale  si  afferma  che  la  liberazione
 condizionale, "con l'art. 27, comma 3, Cost., ha assunto un peso e un
 valore   piu'   incisivi  di  quelli  che  non  avesse  in  origine",
 rappresentando in sostanza  un  istituto  tipico  del  sistema  delle
 misure alternative.
   La  seconda  considerazione  e'  che  la  parte della normativa che
 concerne la revoca della liberazione condizionale  appare  del  tutto
 inidonea  rispetto  ai criteri costituzionali enunciati in materia di
 revoca di misure alternative.
   E'  chiaro  che  l'art.  27  poteva investire e segnare la sostanza
 della normativa penale del codice del 1930, ma non poteva modificarne
 la  lettera  (sulla  quale,  comunque,  in  altri  punti,  sono  gia'
 intervenute sentenze costituzionali modificatrici), che e' fortemente
 caratterizzata dalla impostazione iniziale: un beneficio eccezionale,
 fondato  sulla valutazione soggettiva del ravvedimento, gestita da un
 organo politico o di altra amministrazione, come  il  ministro  della
 giustizia.  E'  vero  che,  della  normativa  concernente le cause di
 revoca della liberazione condizionale, si puo' tentare la faticosa, e
 abbastanza creativa, lettura costituzionale, che si e' indicata nella
 motivazione della nostra precedente ordinanza, sopra riportata al  n.
 3,  ma  non  e'  affatto  detto  che  tale  lettura  possa reggere il
 controllo di legittimita' della Corte della cassazione. Sul punto, ad
 esempio, della medesimezza dell'indole del nuovo reato riferita anche
 al delitto e non solo  alla  contravvenzione,  esiste  un  precedente
 della  Corte  di cassazione (citato nella motivazione della ordinanza
 precedente), sia pure isolato, ma comunque contrario. Resterebbe,  ad
 ogni buon conto, la insufficienza come causa di revoca della condanna
 per   il  solo  delitto  (o  contravvenzione)  della  stessa  indole:
 insufficienza, per  un  verso,  per  la  genericita'  del  dato,  che
 potrebbe essere relativamente significativo (che dire di una condanna
 per  una  contravvenzione della stessa indole di altra, per cui vi e'
 esecuzione di pena compresa in un cumulo? basta per la  revoca  della
 liberazione   condizionale   concessa   per   la   pena   cumulata?);
 insufficienza,  per  altro  verso,  perche'  ricomprenderebbe   anche
 ipotesi  di  delitto  colposo (difficilmente significativo del venire
 meno del ravvidamento); insufficienza, ancora ed infine,  perche'  il
 delitto  potrebbe non essere della stessa indole, ma tale, per la sua
 gravita', da richiedere ragionevolmente la revoca. E' vero che, nella
 motivazione della precedente ordinanza di questo ufficio,  citata  al
 numero  3,  si ipotizzava che la commissione di nuovi reati non della
 stessa indole potesse  essere  ricompresa  tra  le  violazioni  delle
 prescrizioni della liberta' vigilata, fra le quali, esplicita o meno,
 vi e' sempre quella di tenere buona condotta. Certamente e' questo un
 modo   per   salvare   la   normativa   in  esame  dalla  censura  di
 incostituzionalita', ma resta un  modo  abbastanza  paradossale,  per
 effetto  del  quale  un  dato  estremamente  significativo,  come  la
 commissione di un nuovo e grave reato, che non e' entrata dalla porta
 delle cause esplicite di revoca, viene fatto rientrare dalla finestra
 di una previsione del tutto residuale e generica.
   Quello che va rilevato e', insomma e in conclusione, che i  criteri
 di   revoca   della  liberazione  condizionale  contenuti  nel  testo
 dell'art.  177 c.p., hanno caratteristiche  completamente  opposte  a
 quelle  che  dovrebbero  avere  secondo  la  Corte costituzionale, la
 quale, come gia' rilevato, nella piu' recente sentenza  n.  173/1997,
 afferma  che  le  condizioni  per la revoca delle misure alternative,
 "pur tenendo rigorosamente conto di determinati presupposti  indicati
 dalla  legge",  dovrebbe  essere  devoluta  nella  applicazione "alla
 prudente valutazione del giudice, riferita alla compatibilita' o meno
 con la prosecuzione della prova" (dei fatti accaduti): "cosi' come la
 legge dispone oggi per il  solo  affidamento  in  prova  al  servizio
 sociale".  Insomma:  nel  testo dell'art. 177 c.p. le cause di revoca
 sono indicate in modo puntuale e formale, ma l'effetto  delle  stesse
 e'  retto  dall'automatismo;  vi  dovrebbe  essere invece, secondo la
 indicazione riportata della Corte costituzionale, una elencazione non
 puntuale e circoscritta delle cause di revoca, con esclusione, pero',
 di ogni effetto automatico  e  la  rimessione  delle  conseguenze  di
 quanto accaduto alla prudente valutazione del giudice, incentrata sul
 giudizio  di incompatibilita' dell'accaduto con la prosecuzione della
 prova.
   Se si vuole, anche il caso di  cui  alla  presente  procedura  puo'
 essere significativo degli spazi che dovrebbe consentire la normativa
 sulla  revoca della liberazione condizionale. Nel caso di specie, con
 la normativa attuale, la revoca  potrebbe  derivare  o  non  derivare
 dalla  commissione del nuovo reato, che non e' della stessa indole di
 quelli  per  cui  lo  Stracuzzi  e'  stato  condannato:  dipenderebbe
 dall'attribuire,  come  causa  di  revoca, la medesimezza dell'indole
 alla sola contravvenzione o anche al delitto. Cio' che  sfugge  pero'
 nella   applicazione   dei   criteri  ora  detti  e'  la  valutazione
 complessiva dell'accaduto rispetto al  percorso  riabilitativo  dello
 Stracuzzi Luciano, oggi in misura alternativa dal 1989, per 5 anni in
 semiliberta'  e poi in liberazione condizionale: e' sicuramente grave
 cio' che ha commesso (non si dimentichi, comunque, che per tale fatto
 e' stata inflitta una pena, che deve  essere  eseguita),  ma,  certo,
 presenta  caratteristiche  diverse  dalle  condotte illecite passate,
 potendo  apparire  come  un  coinvolgimento  per  superficialita'   e
 leggerezza,  nella  condotta  illecita  del fratello Alberto, che, in
 maggiore o minore misura, deve averlo ingannato sulla  sua  effettiva
 posizione  giudiziaria.  Ora,  un  tale giudizio si potra' concludere
 negativamente o positivamente per lo Stracuzzi, ma  non  deve  essere
 precluso.
   5.  -  Si  puo' allora concludere. Non e' mainfestamente infondata,
 per  le  considerazioni  che  si  sono  svolte,   la   questione   di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  177  c.p.,  nella  parte che
 concerne la revoca della liberazione condizionale.
   La questione si pone:
     a) con riferimento al contrasto con l'art. 27, comma 3, Cost., in
 quanto la genericita' di tale  norma  (art.  577  c.p.),  il  mancato
 collegamento  della stessa fra cause di revoca e incompatibilita' con
 la prosecuzione del regime di prova controllata, nonche' gli elementi
 di automatismo della revoca,  contenuti  nella  norma  medesima,  non
 consentono  di  valutare  se  il soggetto, che ha posto in essere una
 possibile causa di revoca, nonostante cio',  non  abbia  abbandonato,
 voglia  proseguire e prosegua in effetti il percorso rieducativo, cui
 e' finalizzata la esecuzione della pena:  l'intervento  della  revoca
 frustrerebbe  pertanto  lo  svolgimento  di quel percorso, impedendo,
 quindi, la concreta  attuazione  della  finalita'  rieducativa  della
 pena;
     b)  con riferimento, inoltre, al contrasto con l'art. 3 Cost., in
 quanto le caratteristiche della normativa  in  esame,  indicate  alla
 lettera  a),  possono  consentire il realizzarsi di una disparita' di
 trattamento, priva di ragionevolezza, fra casi  di  compatibilita'  o
 fra   casi  di  incompatibilita'  con  la  prosecuzione  della  prova
 controllata:  cosi', secondo il tipo di  reato  commesso  durante  la
 prova  e  non  secondo  il  rilievo e il significato dello stesso (in
 termini di  compatibilita'  con  la  prosecuzione  della  prova),  si
 potrebbe  configurare  o  meno  una causa di revoca della liberazione
 condizionale.
                                P. Q. M.
   Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87:
     dichiara   non   manifestamente   infondate   le   operazioni  di
 illegittimita' costituzionale, cosi' come  dettagliatamente  indicate
 ed  articolate  al n. 5 della motivazione allegata, relativa all'art.
 177, comma 1, c.p.;
     sospende la procedura di sorveglianza  in  corso,  relativa  alla
 eventuale  revoca  della  liberazione  condizionale, nei confronti di
 Stracuzzi Luciano;
     dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale  per
 le decisioni in merito alle questioni sollevate;
     manda  la cancelleria per le comunicazioni, le notificazioni e le
 forme di pubblicita' in genere previste  dall'art.  23  citato  della
 legge 11 marzo 1953, n. 87.
      Firenze, addi' 22 aprile 1997
                   Il presidente: (firma illeggibile)
 97C1259