N. 792 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 aprile - 27 ottobre 1997
N. 792 Ordinanza emessa il 22 aprile 1997 (pervenuta alla Corte costituzionale il 27 ottobre 1997) dal tribunale di sorveglianza di Firenze nel procedimento di sorveglianza nei confronti di Stracuzzi Luciano Pena - Liberazione condizionale - Revoca nel caso di commissione di delitto o contravvenzione della stessa indole o di trasgressione agli obblighi inerenti alla liberta' vigilata - Dedotta genericita' della norma impugnata - Lamentato automatismo della misura - Preclusione di valutazione da parte del giudice circa la compatibilita' della condotta del soggetto con la prosecuzione del regime di prova controllata - Irragionevole disparita' di trattamento a seconda del tipo di reato commesso - Lesione del principio della finalita' rieducativa della pena. (C.P., art. 177). (Cost., artt. 27, comma terzo, e 3).(GU n.47 del 19-11-1997 )
IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA A scioglimento della riserva espressa nell'udienza del 22 aprile 1997, visti ed esaminati gli atti della procedura di sorveglianza in materia di revoca liberazione condizionale, nei confronti di Stracuzzi Luciano nato il 12 dicembre 1955 a Ivrea, domiciliato in Capoliveri (Livorno), via Martini, 1. O s s e r v a 1. - Stracuzzi Luciano ha ottenuto la liberazione condizionale fino al 23 novembre 1998 con provvedimento di questo tribunale di sorveglianza del 28 aprile 1994. Tale concessione era maturata dopo un lungo periodo di semiliberta', beneficio, questo, concessogli con ordinanza di questo stesso ufficio del 27 aprile 1989. Veniva denunciato il 1 marzo 1995 dai carabinieri di Strambino per simulazione di reato e per tale fatto veniva condannato dal pretore di Ivrea con sentenza 9 maggio 1996, passata ora in giudicato. Lo Stracuzzi era condannato, in concorso con il fratello Stracuzzi Alberto, "perche', agendo materialmente lo Stracuzzi Luciano su istigazione e mandato di Alberto, attestava falsamente, nella denuncia sporta il 27 febbraio 1995 presso il commissariato P.S. di Ivrea/Banchette, essere avvenuto il furto della autovettura Fiat Ritmo tg. VC/43228". Era accaduto questo. Lo Stracuzzi fruiva della liberazione condizionale con abitazione e lavoro nell'isola d'Elba. Aveva periodicamente dei permessi per recarsi a Ivrea, dove dimorava la sua famiglia. Nel corso di uno di tali permessi, riceveva, verso le ore 0,30 del 27 febbraio 1995, una telefonata dal fratello Alberto, che gli riferiva che gli avevano rubato l'autovettura, intestata alla madre e usata dai due fratelli, e lo pregava di andare a denunciare il fatto presso il commissariato P.S. di Ivrea, cosa che il Luciano Stracuzzi faceva effettivamente nel corso della mattinata di quello stesso giorno. In realta', l'Alberto Stracuzzi era sospettato di avere commesso un furto di ruote di autovettura, trovate a bordo della sua auto, dalla quale si era allontanato precipitosamente mentre era intervenuto personale di polizia (carabinieri di Strambino). Sull'auto, fra l'altro, veniva rinvenuta la documentazione relativa alla semiliberta' della casa circondariale di Ivrea, di cui lo stesso Stracuzzi Alberto stava fruendo. Evidentemente, questi cercava, in modo abbastanza stolido, di sfuggire alle proprie responsabilita' (che sarebbero state poi riconosciute dalla sentenza di condanna gia' citata), ma coinvolgeva cosi', nella sua critica situazione, anche il fratello Luciano, che andava a denunciare un furto, che non era avvenuto, quello dell'auto intestata alla madre e di uso comune tra i fratelli. La sentenza di condanna rilevava che la responsabilita' dello Stracuzzi Luciano per simulazione di reato doveva ritenersi accertata in quanto, a prescindere da altre circostanze non prive di significativo rilievo probatorio, Luciano aveva dichiarato che l'auto, al momento dell'inesistente furto, era in uso a lui e non al fratello. Con la citata sentenza definitiva 9 maggio 1996 del pretore di Ivrea, lo Stracuzzi Luciano e' stato condannato alla pena di anni uno e mesi quattro reclusione. Si deve ora decidere nella procedura di revoca della liberazione condizionale in conseguenza della condanna suindicata. L'art. 177, comma 1, c.p., dispone che "la liberazione condizionale e' revocata se la persona liberata commette un delitto o una contravvenzione della stessa indole, ovvero trasgredisce agli obblighi inerenti alla liberta' vigilata...". Quale che sia la valutazione da dare ai fatti commessi dallo Stracuzzi Luciano, appare giustificato porsi il problema della correttezza costituzionale della normativa relativa alla revoca della liberazione condizionale, particolarmente dopo che la Corte costituzionale ha esaminato e dichiarato incostituzionali le normative relative alla revoca di altri benefici penitenziari. 2. - Si e' detto che la Corte costituzionale e' intervenuta per dichiarare incostituzionale le normative relative ad altri benefici penitenziari. Ci si riferiva: a) alla sentenza della Corte costituzionale n. 186/1995, che ha dichiarato "la illegittimita' costituzionale dell'art. 54, terzo comma, legge 26 luglio 1975, n. 354 . . . nella parte in cui prevede la revoca della liberazione anticipata nel caso di condanna per delitto non colposo commesso nel corso della esecuzione successivamente alla concessione del beneficio anziche' stabilire che la liberazione anticipata e' revocata se la condotta del soggetto, in relazione alla condanna subita, appare incompatibile con il mantenimento del beneficio"; b) alla sentenza n. 173/1997 della stessa Corte, che ha dichiarato "la illegittimita' costituzionale dell'art. 47-ter, ultimo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354 ... nella parte in cui fa derivare automaticamente la sospensione della detenzione domiciliare dalla presentazione di una denuncia per il reato previsto dal comma 8 dello stesso articolo". Tale pronuncia interviene sull'automatismo della sospensione provvisoria della detenzione domiciliare, di competenza del magistrato di sorveglianza, in caso di denuncia per il reato di evasione, ma non potra' non avere riflesso sulla pronuncia definitiva di revoca o meno della detenzione domiciliare, di competenza del tribunale di sorveglianza, cui non puo' non essere dato lo stesso spazio valutativo riconosciuto al magistrato di sorveglianza. Cio' che la Corte costituzionale considera non costituzionale in queste sentenze e' l'automatismo della revoca dei singoli benefici, contenuto nelle norme dichiarate incostituzionali ed e' significativa l'osservazione fatta dalla Corte (n. 2 della motivazione in diritto, in fine) nella sentenza n. 173/1995: "... deve affermarsi che sarebbe auspicabile che il legislatore unificasse, in relazione alle varie misure alternative, i presupposti sia della sospensione che della revoca, devolvendo l'applicazione di questi istituti, pur tenendo rigorosamente conto di determinati presupposti indicati dalla legge, alla prudente valutazione del giudice, riferita alla compatibilita' o meno con la prosecuzione della prova: cosi' come la legge dispone oggi per il solo affidamento in prova al servizio sociale (art. 47, penultimo comma, legge 26 luglio 1975, n. 354). Si ritiene che la normativa relativa alla revoca della liberazione condizionale, di cui dovrebbe farsi applicazione nel caso in esame, meriti una riflessione adeguata in linea con le indicazioni date. 3. - Tale riflessione e' stata in parte avviata nella ordinanza 15 dicembre 1993 di questo ufficio, in procedura relativa a Barra Raffaele, ordinanza con la quale si sollevava la eccezionale di costituzionalita' in materia di revoca della liberazione anticipata, decisa con la sentenza n. 186/1995 della Corte costituzionale. Sembra utile fare riferimento, per la motivazione del presente provvedimento, a parte di quella della precedente ordinanza, ora citata. In questa si osservava: "... cio' che determina la revoca della concessione di un beneficio deve essere rappresentato da un fatto o da una situazione che segni l'arresto, se non addirittura l'inversione, del processo riabilitativo del soggetto... Se infatti la normativa penitenziaria prevede un sistema di controllo sul punto che la pena espiata, fino alla conclusione di tappe, ''abbia o meno assolto positivamente al suo fine rieducativo'' (sentenza Corte costituzionale n. 204/1974); se a tale scopo e' organizzato il sistema delle misure alternative, intese come ''misure che... siano idonee a funzionare ad un tempo come strumenti di controllo sociale e di promozione della risocializzazione'' (n. 2 della motivazione in diritto della sentenza n. 343/1987 Corte costituzionale); ... se tutto cio' si deve desumere dalla giurisprudenza costituzionale, si puo' ed, anzi, si deve affermare che la normativa penitenziaria promuove il percorso riabilitativo del soggetto, ne fornisce gli strumenti e, quando li ha concessi, non puo' non essere attenta a toglierli solo quando si constati l'abbandono di quel percorso, la sostituzione allo stesso di una scelta oppositiva e contraria...". Una conferma ai principi e alle conclusioni cui si e' pervenuti la si trae anche dall'esame delle norme relative alle revoca degli altri benefici penitenziari". A questo punto della motivazione della precedente ordinanza, si procedeva ad una comparazione delle normative relative alla revoca dei benefici penitenziari, che sembra possa essere riportata ed utilizzata anche ai fini della presente motivazione. Nell'esame di tali normative era compresa anche quella relativa alla liberazione condizionale, in merito alla quale si svolgeva una serie di considerazioni, che possono essere utile premessa a quelle che oggi si intendono piu' puntualmente definire. Si torna, pertanto, a riportare parte della motivazione della ordinanza precedente, gia' citata, quella parte, come si e' detto, che opera una comparazione delle normative relative alla revoca dei benefici penitenziari. "In materia di affidamento in prova al servizio sociale, ''l'affidamento e' revocato qualora il comprtamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appaia incompatibile con la prosecuzione della prova'' (art. 47, comma 11). Ecco: una condotta quindi che viola le regole stabilite e che fa ritenere che la prova non possa svilupparsi per raggiungere le finalita' di cui all'art. 47, comma 2: contribuire ''alla rieducazione del reo'' e assicurare ''la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati'', finalita'che sono poi quelle proprie della esecuzione penale. Identica la disposizione dettata in materia di detenzione domiciliare (art. 47-ter, comma 5). Quanto alla semiliberta', si stabilisce che il provvedimento relativo ''puo' essere in ogni tempo revocato quando il soggetto non si appalesi idoneo al trattamento'' (art. 51, comma 1). L'ammissione alla semiliberta' consegue, infatti, ''ai progressi compiuti nel corso del trattamento, quando vi sono le condizioni per un graduale reinserimento del soggetto nella societa''' (art. 50, comma 4); la inidoneita' al trattamento in semiliberta' corrisponde alla constatazione che quel trattamento non riesce piu' a produrre la progressiva risocializzazione, a cui era finalizzato. Per la detenzione domiciliare (art. 47-ter, comma 8) e per la semiliberta' (art. 51, comma 4) e' prevista anche una particolare disciplina nei casi di evasione o delle condotte parificate alla stessa: ''la denuncia per il delitto ... importa la sospensione del beneficio e la condanna ne importa la revoca''. Diversamente dalle disposizioni precedenti, si prevede, qui, un automatismo, che manca in quelle: ma si tratta di un automatismo del tutto coerente al discorso generale gia' fatto, in quanto l'evasione equivale ad un abbandono e ad una rottura del rapporto di esecuzione penale, rottura che non puo' non avere conseguenze drastiche sulla prosecuzione della fruizione di un beneficio. Le disposizioni esaminate, salvo le ultime (che confermano, pero', la regola), hanno dunque la caratteristica di rimettere al giudice la verifica che il processo di riabilitazionie del soggetto si e' interrotto e che, per questa ragione, la fruizione del beneficio non puo' essere mantenuta. Si puo' aggiungere che i principi ora indicati informano anche un'altra categoria sanzionatoria, quella delle sanzioni sostitutive, per le quali, pure, il riferimento resta ai principi della esecuzione della pena e alle modalita' di gestione e applicazione degli stessi, quali si sono sopra delineati. Ed e', infatti, pacifico che la conversione, ex art. 66 della legge 24 novembre 1981, n. 689, della sanzione sostitutiva nella pena sostitutiva va disposta non in modo automatico, in presenza di un formale accertamento della violazione ''anche solo di una delle prescrizioni inerenti alla semidetenzione o alla liberta' controllata'' (art. 66 citato), ma solo nel caso in cui una o piu' delle violazioni presentino un rilievo e una gravita' tali da non consentire che prosegua la fruizione della sanzione sostitutiva. In questo quadro generale e' chiaro pero' che esiste il problema della liberazione condizionale. L'art. 177, comma 1, dispone che ''la liberazione condizionale e' revocata se la persona liberata commette un delitto o una contravvenzione della stessa indole, ovvero trasgredisce agli obblighi inerenti alla liberta' vigilata...''. La giurisprudenza della Corte di cassazione chiarisce cosi' questa disposizione (Cass., Sez. I, 10 giugno 1985, Stecchini, in Giust. pen., 1986, II, 95; v. anche in termini identici: Cass., Sez. I, 1 luglio 1987, Sanzo, in Giust. pen. 1988, II, 225): ''Ne consegue che, mentre per quanto riguarda la prima condizione risolutiva del beneficio e' sufficiente una sentenza passata in giudicato che abbia accertato definitivamente il reato addebitato al liberato condizionalmente, per la seconda non basta, invece, una mera informativa degli organi di sorveglianza, che abbiano riferito sulle trasgressioni delle prescrizioni contenute nella carta precettiva, ma, al contrario, si richiede da parte del giudice una penetrante indagine, anzitutto sulla volontarieta' del fatto che escluda ovviamente quello incolpevole e, poi, un giudizio di merito che accerti, senza ombra di dubbio, se l'addebito possa o meno concretare una grave trasgressione al regime di vita, al quale il liberato e' stato sottoposto, e costituisca un sicuro elemento per ritenere che lo stesso non abbia ancora maturato il suo ravvedimento e, quindi, sia immeritevole dell'anticipato reinserimento nella vita sociale". Orbene: la revoca della liberazione condizionale fa, quindi, riferimento ad una situazione (quella relativa alla violazione delle prescrizioni) che deve essere sottoposta ad un attento vaglio del giudice, esattamente in linea con quello che deve essere operato per la revoca delle misure alternative sopra ricordate; ma fa anche riferimento ad una condizione (la commissione di un delitto o di una contravvenzione della stessa indole), che appare invece operare automaticamente. Va detto che si pone qui un problema interpretativo: se, cioe', l'identita' dell'indole si riferisca solo alla contravvenzione o anche al delitto. La giurisprudenza e' per limitare la necessita' della identita' dell'indole alla sola contravvenzione, non anche al delitto (v. Cass., Sez. I, 17 ottobre 1988, Bertani, in Cass. pen. 1989, 595). Ma la perplessita' resta perche': da un lato, se fosse cosi', diventerebbero cause di revoca anche i delitti colposi; mentre, dall'altro, se non fosse cosi', la condizione assumerebbe un senso coerente al discorso generale che si e' condotto, in quanto la identita' dell'indole del delitto con quello commesso in passato e per il quale si e' ottenuta la liberazione condizionale, ragionevolmente giustificherebbe la revoca del beneficio in modo automatico: sarebbe del tutto ragionevole presumere, in tal caso, l'assenza del ravvedimento, che, invece, nel caso di violazione delle prescrizioni deve essere attentamente vagliata e verificata, cosi' che le due condizioni di revoca (commissione di un reato e violazione delle prescrizioni) diventerebbero coerenti e risponderebbero alla applicazione degli stessi principi. Va da se' che la commissione di un reato non della stessa indole potrebbe rientrare nelle condotte da valutare nel quadro delel violazioni delle prescrizioni, fra le quali ovviamente quella della buona condotta, scritta o non scritta che sia, resta il presupposto fondamentale. Non si deve comunque dimenticare che la liberazione condizionale risente indubbiamente del suo originario inserimento nel codice penale, ben prima che venissero affermati i nuovi principi costituzionali sulla pena e le sue finalita'. La gia' citata sentenza n. 204/1974 della Corte costituzionale, rilevava esattamente che l'istituto della liberazione condizionale, "con l'art. 27, comma 3, Cost., ha assunto un peso e un valore piu' incisivo di quello che non avesse in origine; rappresenta, in sostanza, un peculiare aspetto del trattamento penale e il suo ambito di applicazione presuppone un obbligo tassativo per il legislatore di tenere non solo presenti le finalita' rieducative della pena, ma anche di predisporre tutti i mezzi idonei a relizzarle e le forme atte a garantirle". E si potrebbe allora, in materia di revoca della liberazione condizionale, arrivare a prospettare due conclusioni alternative: o la condizione - per la revoca della liberazione condizionale - della commissione di un nuovo delitto viene interpretata in modo coerente alle indicazioni generali che si sono individuate in materia di revoca dei benefici penitenziari: e cio' puo' essere fatto richiedendo, per il nuovo delitto commesso, la identita' dell'indole con quello o quelli per cui fu inflitta la pena: e in tal caso quelle indicazioni generali sono rispettate, potendosi convenire che la recidiva specifica negli stessi delitti faccia escludere che sia intervenuto il ravvedimento; oppure si deve prendere atto che anche il regime della revoca della liberazione condizionale non e' conforme a quelle indicazioni che si sono individuate al numero precedente: la revoca deve essere operata solo in presenza di una situazione o di un fatto che segna la interruzione e l'abbandono del percorso di risocializzazione intrapreso dal soggetto durante la esecuzione della pena, in presenza del quale la liberazione condizionale fu concessa: per sostenere tale percorso il beneficio e' stato dato e puo' essere tolto solo se quel percorso viene abbandonato, non se vi sia un qualsiasi inconveniente (che puo' anche costituire un reato, ma non rilevante e significativo ai nostri fini), per nulla incompatibile con la regolare prosecuzione dello stesso. Potrebbe essere questo uno dei punti su cui portare l'attenzione del giudice costituzionale, che ha rilevato, anche recentemente come la normativa in materia di liberazione condizionale abbia bisogno di ulteriori aggiustamenti: v. sentenza 27 maggio-4 giugno 1993, n. 270, della Corte costituzionale. 4. - Dalla riflessione condotta nel precedente provvedimento sullo specifico punto della normativa relativa alla revoca della liberazione condizionale, emergono, in sostanza, due considerazioni, che vanno ribadite. La prima e' che la liberazione condizionale va intesa come misura alternativa alla detenzione e che e' valida, anche per tale beneficio, la giurisprudenza costituzionale citata in materia di misure alternative, sui principi e la funzione delle stesse. Si puo', al proposito, ricordare che la giurisprudenza costituzionale in argomento trova la sua pronuncia fondante in quella sentenza n. 204/1974, che e' stata emessa proprio in materia di liberazione condizionale e che un'altra delle sentenze principali applicative e' la n. 282/1989, concernente sempre la liberazione condizionale. E non c'e', infine, che da ripetere la citazione gia' fatta del passo della sentenza n. 204/1974, nel quale si afferma che la liberazione condizionale, "con l'art. 27, comma 3, Cost., ha assunto un peso e un valore piu' incisivi di quelli che non avesse in origine", rappresentando in sostanza un istituto tipico del sistema delle misure alternative. La seconda considerazione e' che la parte della normativa che concerne la revoca della liberazione condizionale appare del tutto inidonea rispetto ai criteri costituzionali enunciati in materia di revoca di misure alternative. E' chiaro che l'art. 27 poteva investire e segnare la sostanza della normativa penale del codice del 1930, ma non poteva modificarne la lettera (sulla quale, comunque, in altri punti, sono gia' intervenute sentenze costituzionali modificatrici), che e' fortemente caratterizzata dalla impostazione iniziale: un beneficio eccezionale, fondato sulla valutazione soggettiva del ravvedimento, gestita da un organo politico o di altra amministrazione, come il ministro della giustizia. E' vero che, della normativa concernente le cause di revoca della liberazione condizionale, si puo' tentare la faticosa, e abbastanza creativa, lettura costituzionale, che si e' indicata nella motivazione della nostra precedente ordinanza, sopra riportata al n. 3, ma non e' affatto detto che tale lettura possa reggere il controllo di legittimita' della Corte della cassazione. Sul punto, ad esempio, della medesimezza dell'indole del nuovo reato riferita anche al delitto e non solo alla contravvenzione, esiste un precedente della Corte di cassazione (citato nella motivazione della ordinanza precedente), sia pure isolato, ma comunque contrario. Resterebbe, ad ogni buon conto, la insufficienza come causa di revoca della condanna per il solo delitto (o contravvenzione) della stessa indole: insufficienza, per un verso, per la genericita' del dato, che potrebbe essere relativamente significativo (che dire di una condanna per una contravvenzione della stessa indole di altra, per cui vi e' esecuzione di pena compresa in un cumulo? basta per la revoca della liberazione condizionale concessa per la pena cumulata?); insufficienza, per altro verso, perche' ricomprenderebbe anche ipotesi di delitto colposo (difficilmente significativo del venire meno del ravvidamento); insufficienza, ancora ed infine, perche' il delitto potrebbe non essere della stessa indole, ma tale, per la sua gravita', da richiedere ragionevolmente la revoca. E' vero che, nella motivazione della precedente ordinanza di questo ufficio, citata al numero 3, si ipotizzava che la commissione di nuovi reati non della stessa indole potesse essere ricompresa tra le violazioni delle prescrizioni della liberta' vigilata, fra le quali, esplicita o meno, vi e' sempre quella di tenere buona condotta. Certamente e' questo un modo per salvare la normativa in esame dalla censura di incostituzionalita', ma resta un modo abbastanza paradossale, per effetto del quale un dato estremamente significativo, come la commissione di un nuovo e grave reato, che non e' entrata dalla porta delle cause esplicite di revoca, viene fatto rientrare dalla finestra di una previsione del tutto residuale e generica. Quello che va rilevato e', insomma e in conclusione, che i criteri di revoca della liberazione condizionale contenuti nel testo dell'art. 177 c.p., hanno caratteristiche completamente opposte a quelle che dovrebbero avere secondo la Corte costituzionale, la quale, come gia' rilevato, nella piu' recente sentenza n. 173/1997, afferma che le condizioni per la revoca delle misure alternative, "pur tenendo rigorosamente conto di determinati presupposti indicati dalla legge", dovrebbe essere devoluta nella applicazione "alla prudente valutazione del giudice, riferita alla compatibilita' o meno con la prosecuzione della prova" (dei fatti accaduti): "cosi' come la legge dispone oggi per il solo affidamento in prova al servizio sociale". Insomma: nel testo dell'art. 177 c.p. le cause di revoca sono indicate in modo puntuale e formale, ma l'effetto delle stesse e' retto dall'automatismo; vi dovrebbe essere invece, secondo la indicazione riportata della Corte costituzionale, una elencazione non puntuale e circoscritta delle cause di revoca, con esclusione, pero', di ogni effetto automatico e la rimessione delle conseguenze di quanto accaduto alla prudente valutazione del giudice, incentrata sul giudizio di incompatibilita' dell'accaduto con la prosecuzione della prova. Se si vuole, anche il caso di cui alla presente procedura puo' essere significativo degli spazi che dovrebbe consentire la normativa sulla revoca della liberazione condizionale. Nel caso di specie, con la normativa attuale, la revoca potrebbe derivare o non derivare dalla commissione del nuovo reato, che non e' della stessa indole di quelli per cui lo Stracuzzi e' stato condannato: dipenderebbe dall'attribuire, come causa di revoca, la medesimezza dell'indole alla sola contravvenzione o anche al delitto. Cio' che sfugge pero' nella applicazione dei criteri ora detti e' la valutazione complessiva dell'accaduto rispetto al percorso riabilitativo dello Stracuzzi Luciano, oggi in misura alternativa dal 1989, per 5 anni in semiliberta' e poi in liberazione condizionale: e' sicuramente grave cio' che ha commesso (non si dimentichi, comunque, che per tale fatto e' stata inflitta una pena, che deve essere eseguita), ma, certo, presenta caratteristiche diverse dalle condotte illecite passate, potendo apparire come un coinvolgimento per superficialita' e leggerezza, nella condotta illecita del fratello Alberto, che, in maggiore o minore misura, deve averlo ingannato sulla sua effettiva posizione giudiziaria. Ora, un tale giudizio si potra' concludere negativamente o positivamente per lo Stracuzzi, ma non deve essere precluso. 5. - Si puo' allora concludere. Non e' mainfestamente infondata, per le considerazioni che si sono svolte, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 177 c.p., nella parte che concerne la revoca della liberazione condizionale. La questione si pone: a) con riferimento al contrasto con l'art. 27, comma 3, Cost., in quanto la genericita' di tale norma (art. 577 c.p.), il mancato collegamento della stessa fra cause di revoca e incompatibilita' con la prosecuzione del regime di prova controllata, nonche' gli elementi di automatismo della revoca, contenuti nella norma medesima, non consentono di valutare se il soggetto, che ha posto in essere una possibile causa di revoca, nonostante cio', non abbia abbandonato, voglia proseguire e prosegua in effetti il percorso rieducativo, cui e' finalizzata la esecuzione della pena: l'intervento della revoca frustrerebbe pertanto lo svolgimento di quel percorso, impedendo, quindi, la concreta attuazione della finalita' rieducativa della pena; b) con riferimento, inoltre, al contrasto con l'art. 3 Cost., in quanto le caratteristiche della normativa in esame, indicate alla lettera a), possono consentire il realizzarsi di una disparita' di trattamento, priva di ragionevolezza, fra casi di compatibilita' o fra casi di incompatibilita' con la prosecuzione della prova controllata: cosi', secondo il tipo di reato commesso durante la prova e non secondo il rilievo e il significato dello stesso (in termini di compatibilita' con la prosecuzione della prova), si potrebbe configurare o meno una causa di revoca della liberazione condizionale.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87: dichiara non manifestamente infondate le operazioni di illegittimita' costituzionale, cosi' come dettagliatamente indicate ed articolate al n. 5 della motivazione allegata, relativa all'art. 177, comma 1, c.p.; sospende la procedura di sorveglianza in corso, relativa alla eventuale revoca della liberazione condizionale, nei confronti di Stracuzzi Luciano; dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per le decisioni in merito alle questioni sollevate; manda la cancelleria per le comunicazioni, le notificazioni e le forme di pubblicita' in genere previste dall'art. 23 citato della legge 11 marzo 1953, n. 87. Firenze, addi' 22 aprile 1997 Il presidente: (firma illeggibile) 97C1259