N. 846 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 ottobre 1997
N. 846 Ordinanza emessa il 10 ottobre 1997 dal tribunale di Bolzano nel procedimento civile vertente tra l'INPS e Racchetti Giampaolo Previdenza e assistenza sociale - Pensioni di anzianita' - Sospensione della corresponsione dall'entrata in vigore del decreto-legge n. 384/1992 (19 settembre 1992) e fino al 31 dicembre 1993 - Deroga per i lavoratori dipendenti per i quali sia intervenuta l'estinzione dei rapporti di lavoro - Mancata previsione dell'estensione della deroga altresi' ai lavoratori autonomi cessati dal lavoro - Disparita' di trattamento di situazioni analoghe con incidenza sulla garanzia previdenziale. (Legge 14 dicembre 1992, n. 438 (recte: 14 novembre 1992, n. 438) art. 1, comma 2, lett. c)). (Cost., artt. 3 e 38).(GU n.50 del 10-12-1997 )
IL TRIBUNALE Ha pronunziato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta al n. 230/97 r.g. promossa da Istituto nazionale della previdenza sociale, rappresentato e difeso dall'avv. dott. Luigi Mosna e dall'avv. dott. Manfred Pliger, appellante, contro Racchetti Giampaolo, rappresentato e difeso dall'avv. dott.ssa Sonia Boetti Palazzi, appellato. In punto: appello avverso la sentenza n. 523/96 del pretore di Bolzano; Esaminati gli atti di causa; Ritenuto che l'appellante sollecita una interpretazione letterale del disposto dell'art. 1, comma 2, lett. c), della legge 14 novembre 1992, n. 438, mentre l'appellato, ove non sia condivisa l'interpretazione adeguatrice del pretore, denunzia la incostituzionalita' della norma; Osserva e ritiene I. - Se e' fondamentale canone ermeneutico che la norma giuridica debba essere interpretata innanzi tutto e principalmente dal punto di vista letterale, non potendosi al testo "attribuire altro senso se non quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse", nondimeno l'esistenza di una chiara formulazione grammaticale della norma non e' sufficiente per limitare l'interpretazione all'elemento letterale, occorrendo altresi' che il senso reso palese dal significato proprio delle parole, secondo la loro connessione, non si ponga in contrasto con argomentazioni logiche sull'intenzione del legislatore (Cass., 5 aprile 1978, n. 1549), di talche', nella ricerca del significato delle norme giuridiche, l'interprete non assolve al suo compito se si arresta alla sola espressione letterale delle stesse, ma deve, in ogni caso, ricavarne la ratio oggettivamente in esse immanente e da desumere, attraverso la individuazione del fondamento e dello scopo delle norme medesime, e tenendo in ogni caso presente la funzione delle norme costituzionali, in quanto integratrici di quelle ordinarie (Cass., 12 novembre 1977, n. 4909). In particolare, dopo l'avvento della Costituzione, poiche' i principi posti da una costituzione non flessibile investono l'intero ordinamento e funzionano come criteri di ermeneutica delle leggi ordinarie, se una norma si presta a diverse interpretazioni, di cui ciascuna produce effetti di maggiore o minore ampiezza e intensita', l'interpretazione da scegliersi e' quella piu' aderente al principio costituzionale. In questo ordine di idee (cd. interpretazione adeguatrice), si e' affermato che l'interprete deve operare nella costante considerazione della Costituzione, che costituisce la norma primaria, da cui tutte le altre promanano, per modo che, ove una norma di legge sia suscettibile di piu' risultati interpretativi, uno dei quali costituzionalmente illegittimo, il dubbio e' soltanto apparente, giacche' esso deve essere superato e risolto, attribuendo alla norma un significato conforme alla Costituzione e alle leggi costituzionali (Cass., 3 gennaio 1984, n. 7; in tal senso anche Corte cost., 14 luglio 1988, n. 823). Il criterio ermeneutico da privilegiare, tra le piu' possibili interpretazioni della legge, quella maggiormente rispondente ai principi costituzionali, peraltro, vale nei soli casi nei quali vi sia effettiva incertezza sulla reale intenzione del legislatore e non anche quando la mens legis traspaia chiaramente dalla formulazione letterale della norma, in correlazione logica con il complesso normativo nel quale e', sistematicamente, inserita: in tal caso unico rimedio offerto all'ordinamento e' costituito dal giudizio incidentale di legittimita' costituzionale (Cons. Stato, 13 maggio 1985, n. 163). In altri termini: ove dalla lettera della legge apparisca chiara e sicura la volonta' del legislatore, non e' consentito all'interprete di sostituire a tale volonta' un'altra contraria, solo perche' la ritenga piu' rispondente alle supposte finalita' della norma stessa. E cio' con peculiare vincolo, ove la norma in esame sia espressa con uso di un termine giuridico (v. in inciso, Cass., 31 marzo 1987, n. 3097: "Il criterio del significato letterale - costituente norma fondamentale a tutela della certezza del diritto e mezzo preminente per l'interpretazione di una legge - peraltro, postula l'assoluta univocita' del significato delle parole adoperate dal legislatore: ora, mentre l'univocita' puo' ritenersi insita nell'uso di un termine giuridico (tanto piu' che il codice civile vigente e' caratterizzato dalla precisione della terminologia giuridica) o tecnico, altrettanto non puo' affermarsi per le parole tratte dal linguaggio comune, il cui significato sia plurivalente o soggetto a mutamenti nel tempo". Nella specie, pur prendendo atto delle discrasie emerse dalla indagine letterale, logica e sistematica condotta da pretore, si deve notare che la dizione in esame ("I lavoratori ... per i quali sia intervenuta l'estinzione del rapporto di lavoro"), se non e' connotata da espressa reiterazione della dizione "i lavoratori dipendenti", ricorrente nelle formulazioni di deroga sub lett. b), e), g), trova identica connotazione letterale nell'inscindibile nesso con il "rapporto di lavoro", in termini non compatibili con il lavoro autonomo, se non per operazione additiva dell'interprete. II. - La difesa del ricorrente appellato, in linea subordinata, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale della norma di cui all'art. 1, comma 2, lett. c), della legge 14 novembre 1992, n. 438, per violazione degli artt. 3 e 38 della Costituzione. Le ragioni ivi dedotte (come le ragioni della disattesa interpretazione adeguatrice del pretore), condivise nei limiti di ritenuta non manifesta infondatezza, si possono cosi' riepilogare: la ratio della deroga in esame al blocco delle pensioni di anzianita' e' di tutela dei lavoratori rimasti privi di lavoro, esposti a grave danno dallo ius superveniens, con la cautela del requisito di anteriore ammissione alla prosecuzione volontaria, per assicurare che la cessazione dell'attivita' lavorativa sia intervenuta in epoca non sospetta; eadem ratio ricorre per lavoratori dipendenti ed autonomi, di talche' l'esclusione dalla deroga dei lavoratori autonomi configurerebbe una irrazionale discriminazione di trattamento, in violazione dell'art. 3 della Costituzione. Sarebbe altresi' violato l'art. 38, secondo comma della Costituzione, poiche' i lavoratori autonomi verrebbero privati, quantomeno per un periodo, di quella tutela economica che il rapporto assicurativo aveva loro garantito al momento della cessazione dell'attivita' di lavoro e della successiva prosecuzione volontaria, privandoli, con norma successiva, non prevedibile al momento della loro scelta, del mezzi adeguati, gia' loro garantiti dalla legge. La sollevata questione, di rilevanza dirimente in giudizio, non appare manifestamente infondata e va devoluta ad esame della Corte costituzionale. Conseguentemente, sospeso il giudizio, gli atti dovranno essere trasmessi alla Corte costituzionale.
P. Q. M. Dichiara non manifestamente infondata la questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 2, lettera c) della legge 14 dicembre 1992, n. 438, per violazione degli artt. 3 e 38 della Costituzione, ordinando l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dichiara sospeso il giudizio sino alla definizione della questione di legittimita' costituzionale; Si notifichi al Presidente del Consiglio dei Ministri; Si comunichi ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Bolzano, il 10 ottobre 1997. Il presidente: Delerba 97C1371