N. 385 SENTENZA 27 novembre - 11 dicembre 1997

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo civile - Condanna al risarcimento del danno - Rigetto della
 domanda per essere infondata o non provata  -  Condanna  della  parte
 istante  al  pagamento  delle spese di lite con efficacia di sentenza
 dell'ordinanza di rigetto -  Omessa  previsione  -  Riferimento  alle
 ordinanze  della  Corte  nn. 189, 168 e 7 del 1997 - Ragionevolezza -
 Non fondatezza.
 
 (C.P.C., art. 186-quater).
 
 (Cost., artt. 3, 24 e 97).
 
(GU n.51 del 17-12-1997 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici: prof. Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.
 Cesare  MIRABELLI,  prof.  Fernando   SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
 dott.  Cesare  RUPERTO,  dott.  Riccardo   CHIEPPA,   prof.   Gustavo
 ZAGREBELSKY,  prof.  Valerio  ONIDA,  prof.  Carlo  MEZZANOTTE,  avv.
 Fernanda  CONTRI,  prof.  Piero  Alberto  CAPOTOSTI,  prof.  Annibale
 MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 186-quater del
 codice di procedura civile,  promosso  con  ordinanza  emessa  il  19
 luglio  1996  dal  giudice  istruttore  del  Tribunale  di  Roma  nel
 procedimento civile vertente tra Di  Giacomantonio  Dino  e  Universo
 Assicurazioni  S.p.a.  ed  altri,  iscritta  al  n. 1316 del registro
 ordinanze  1996  e  pubblicata   nella   Gazzetta   Ufficiale   della
 Repubblica, prima serie speciale, dell'anno 1996;
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del 15 ottobre 1997 il giudice
 relatore Fernanda Contri.
                           Ritenuto in fatto
   Nel corso di un procedimento civile, nel quale l'attore,  ai  sensi
 dell'art.  186-quater del codice di procedura civile, aveva formulato
 istanza di condanna di uno dei convenuti al risarcimento  del  danno,
 il  giudice istruttore del tribunale di Roma, con ordinanza emessa in
 data 19 luglio 1996, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24  e
 97  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art. 186-quater del codice di procedura civile, nella  parte  in
 cui   non  prevede  che,  in  caso  di  rigetto  dell'istanza,  possa
 condannarsi la parte istante al pagamento delle spese di lite  e  che
 l'ordinanza   sia   suscettibile   di  acquistare  l'efficacia  della
 sentenza, analogamente a quanto previsto nell'ipotesi di accoglimento
 dell'istanza medesima.
   Ad avviso  del  remittente,  la  norma  censurata  si  porrebbe  in
 contrasto   anzitutto   con  l'art.  3  della  Costituzione,  per  la
 ingiustificata disparita' di trattamento tra le parti  del  processo,
 in  quanto  mentre  colui  che  ha  proposto  domanda  di condanna al
 pagamento di somme di denaro o al rilascio di beni puo'  ottenere  un
 provvedimento anticipatorio della condanna, che sia comprensivo della
 pronuncia  sulle  spese  di  lite,  chi,  invece, ha resistito a tale
 domanda,  non  puo'  beneficiare dei medesimi effetti anticipatori di
 una eventuale ordinanza di rigetto dell'istanza.
   Il giudice a quo prospetta, inoltre,  la  violazione  dell'art.  24
 della  Costituzione,  per  essere  ingiustificatamente  compresso  il
 diritto di difesa della parte contro cui  e'  proposta  l'istanza  in
 oggetto,  che  e'  costretta ad attendere la pronuncia della sentenza
 che definisce il giudizio per ottenere  la  condanna  dell'avversario
 alle  spese  di  lite,  e  cio' anche nei casi in cui il giudice, nel
 rigettare  l'istanza  di  cui  all'art.  186-quater  del  codice   di
 procedura  civile,  abbia gia' compiutamente accertato l'infondatezza
 dell'avversa domanda.
   Infine, a parere del remittente, la norma in  questione  violerebbe
 il   principio  di  buon  andamento  dell'amministrazione,  stabilito
 dall'art.  97 della Costituzione, poiche' la finalita' perseguita dal
 legislatore, consistente nell'anticipare il  momento  conclusivo  del
 processo,  e'  di  fatto  pregiudicata  dalla  impossibilita'  per il
 giudice,  che  abbia  accertato  l'infondatezza  della  domanda,   di
 rigettare  la  richiesta  formulata ai sensi dell'art. 186-quater del
 codice di procedura civile, con un'ordinanza che contenga la condanna
 dell'istante  al  pagamento  delle  spese  processuali  e   che   sia
 suscettibile di acquistare l'efficacia di sentenza. Inoltre, la norma
 censurata   determina   una   illogica   duplicazione   di  attivita'
 processuale e decisionale, poiche' il giudice che  ritenga  infondata
 la  domanda  non  puo'  definire  la  causa  con  il provvedimento in
 oggetto, ma dovra' comunque rimettere la  causa  al  collegio  o,  se
 giudice  unico,  riservarla  a se' per la decisione e dovra' svolgere
 quindi una seconda volta quella  stessa  attivita'  decisionale  gia'
 esercitata  con  l'esame  dell'istanza  formulata  ai sensi dell'art.
 186-quater del codice  di  procedura  civile;  e  cio',  nell'attuale
 situazione  processuale,  caratterizzata  da  un'abnorme  pendenza di
 cause e dalla conseguente difficolta' di  definire  sollecitamente  i
 processi,  pone  in  evidenza l'irragionevolezza della norma, poiche'
 alla  finalita'  perseguita  dal  legislatore,  che  e'   quella   di
 anticipare  l'esito del giudizio, non e' adeguato il mezzo prescelto,
 in  quanto  esso  non   prevede   la   possibilita'   di   concludere
 anticipatamente il processo, ove la domanda risulti infondata.
                         Considerato in diritto
   1.  -  Il  giudice  istruttore  del  Tribunale di Roma dubita della
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  186-quater  del  codice   di
 procedura  civile, nella parte in cui non prevede che il giudice, ove
 rigetti l'istanza proposta ai sensi del primo comma del  citato  art.
 186-quater,  per  essere  infondata  o  non provata la domanda, possa
 condannare la parte istante al pagamento delle spese di  lite  e  che
 l'ordinanza  di rigetto sia suscettibile di acquistare l'efficacia di
 sentenza.
   Ad avviso del giudice a quo la norma si porrebbe in contrasto:   a)
 con  il  principio  di  eguaglianza,  determinando una ingiustificata
 disparita' di trattamento tra le parti del  processo,  in  quanto,  a
 differenza  dell'istante,  la  parte  che ha resistito ad una domanda
 rivelatasi infondata non puo' beneficiare degli effetti  anticipatori
 di  una  eventuale  ordinanza  di  rigetto;  b)  con  l'art. 24 della
 Costituzione, poiche' il diritto di difesa del convenuto, o  comunque
 di    colui   contro   il   quale   e'   invocata   l'ordinanza,   e'
 ingiustificatamente  compresso  dalla  impossibilita'   di   ottenere
 anticipatamente  un  provvedimento di condanna della controparte alle
 spese di lite, anche quando  si  sia  gia'  accertata  l'infondatezza
 della    domanda;   c)   con   il   principio   di   buon   andamento
 dell'amministrazione,   per   la   inadeguatezza   dello    strumento
 processuale  prescelto  dal  legislatore  rispetto alla finalita' dal
 medesimo  perseguita,   consistente   nell'anticipare   l'esito   del
 giudizio, la quale non puo' raggiungersi nell'ipotesi di infondatezza
 della  domanda, nonche' per la illogica e artificiosa duplicazione di
 attivita' decisionale, cui e' tenuto il giudice  nel  riesaminare  la
 medesima domanda nelle diverse fasi del processo.
    2.1 - La questione non e' fondata.
   L'art.  186-quater del codice di procedura civile ha introdotto nel
 sistema processuale un istituto avente finalita' anticipatoria  degli
 effetti  della  decisione,  che  si realizza attraverso un meccanismo
 potenzialmente  conclusivo  del  giudizio  di  primo  grado;  con  il
 peculiare   provvedimento   denominato   "ordinanza  successiva  alla
 chiusura dell'istruzione", il  giudice,  sulla  base  degli  elementi
 probatori acquisiti, puo' disporre, ad istanza di parte, il pagamento
 di somme, ovvero la consegna o il rilascio di beni, provvedendo sulle
 spese  processuali;  detta  ordinanza, revocabile con la sentenza che
 definisce il giudizio, oltre a costituire titolo esecutivo, e' idonea
 ad acquistare l'efficacia della  sentenza,  qualora  il  processo  si
 estingua,  ovvero  la  parte  intimata  dichiari  di  rinunciare alla
 pronuncia della sentenza.
   Con l'introduzione della norma in oggetto il legislatore ha  voluto
 perseguire  una  essenziale  finalita', consistente nell'anticipare i
 tempi di realizzazione  del  petitum  rispetto  all'ordinario  schema
 processuale  e  nel semplificarne le modalita', in tutti quei casi in
 cui la domanda abbia ad oggetto  il  pagamento  di  somme  ovvero  la
 consegna  o  il  rilascio  di  beni e il giudice ritenga raggiunta la
 prova del  fatto  costitutivo  invocato.  Tale  effetto  si  realizza
 mediante  l'emanazione  di un provvedimento a cognizione piena, i cui
 tratti peculiari sono rappresentati dall'agile  forma  di  ordinanza,
 dal  contenuto decisorio ed esecutivo e dalla potenziale idoneita' ad
 acquistare efficacia di sentenza; ed e'  proprio  in  funzione  della
 detta  idoneita'  che  il  provvedimento  in  esame contiene tutte le
 statuizioni della sentenza, tra le quali segnatamente la liquidazione
 delle spese, in modo  tale  da  sostituirsi  ad  essa,  allorche'  si
 verifichi  l'estinzione del processo o intervenga la dichiarazione di
 rinuncia della parte intimata.
   La parte che ha proposto domanda di condanna potra' quindi ottenere
 una sollecita attribuzione del bene della vita richiesto,  in  attesa
 della  definizione del giudizio; il procedimento, fatta eccezione per
 le ipotesi di estinzione e di rinuncia, non si esaurisce infatti  con
 l'emanazione  dell'ordinanza  prevista  dall'art.  186-quater,  ma e'
 destinato a concludersi con  la  pronuncia  della  sentenza,  con  la
 quale, oltre a statuirsi in ordine ad altre possibili domande, potra'
 eventualmente essere revocata l'ordinanza stessa.
   L'acquisto  dell'efficacia  di  sentenza  da  parte delle ordinanze
 determina poi l'effetto, non  unico  ed  esclusivo,  della  riduzione
 della pendenza dei procedimenti, i quali vengono definiti cosi' prima
 di   giungere   alla   fase   deliberativa   e  senza  necessita'  di
 quest'ultima.
   2.2  - La norma in esame non disciplina l'ipotesi in cui l'istanza,
 per motivi processuali o di merito,  non  possa  essere  accolta;  ad
 avviso   del   giudice   remittente,   la  mancata  previsione  della
 possibilita' che sia emanata un'ordinanza di rigetto dell'istanza  di
 cui all'art.  186-quater la quale provveda anche sulle spese ed abbia
 anch'essa   attitudine  ad  acquistare  l'efficacia  della  sentenza,
 darebbe luogo alla violazione dei citati principi costituzionali.
   Le censure mosse dal remittente si fondano sull'osservazione che la
 finalita' perseguita dal  legislatore  e'  esclusivamente  quella  di
 anticipare  il  momento  finale  del  processo,  onde,  a  parere del
 medesimo giudice a quo non vi sarebbe alcun  motivo  ragionevole  per
 non  prevedere  l'applicabilita' del descritto meccanismo processuale
 nelle ipotesi di rigetto dell'istanza.
   Occorre sottolineare  che  il  legislatore,  all'evidente  fine  di
 contrastare   il   pregiudizio   derivante   alla   parte  vittoriosa
 dall'eccessiva durata del processo, ha previsto  la  possibilita'  di
 attuare    anticipatamente   la   tutela   giurisdizionale   mediante
 l'ordinanza in oggetto, disponendo che il processo debba  concludersi
 con  la  pronuncia  della sentenza, salve le ipotesi di rinuncia e di
 estinzione, nelle quali e' l'ordinanza ad assumere la veste  di  atto
 conclusivo  del  procedimento.  La necessita' che il procedimento sia
 comunque  definito  con  sentenza,  secondo   le   ordinarie   regole
 processuali  -  rimanendo  nell'ambito  della  mera  eventualita'  la
 conclusione  di  esso  con  ordinanza  -  dimostra  che   l'obiettivo
 perseguito  non  e'  quello  di  anticipare il momento conclusivo del
 processo,  riducendone  i  tempi,  bensi'  quello  di  consentire  la
 realizzazione anticipata del petitum.
   E'  allora  del  tutto  ragionevole  la  mancata  previsione  della
 operativita' del meccanismo processuale in esame nel caso di  rigetto
 dell'istanza,  in  quanto,  allorche'  la domanda di condanna risulti
 infondata o non provata, vengono meno gli stessi motivi di attuazione
 anticipata della tutela giurisdizionale.
   2.3 - Il procedimento delineato dall'art. 186-quater del codice  di
 procedura  civile  non  confligge  con i principi posti dall'art.   3
 della Costituzione, come  sostiene  il  giudice  remittente,  per  la
 mancata  previsione  della  possibilita',  per  la  parte  che  abbia
 resistito ad una domanda  infondata,  di  ottenere  un  provvedimento
 anticipatorio  di  condanna  alle  spese,  che  sia  suscettibile  di
 acquistare l'efficacia di sentenza.
   Il parametro dell'eguaglianza, che non si traduce in un'astratta  e
 assoluta  regola di omologazione di situazioni, ma comporta invece la
 necessita' di verificare se una  diversa  attribuzione  di  poteri  e
 facolta'  sia  assistita da una causa giustificativa, non puo' essere
 invocato  nella  fattispecie,  nella  quale  le  situazioni  poste  a
 raffronto non sono riconducibili ad una ratio comune.
   La  previsione  relativa alla pronuncia sulle spese e' strettamente
 connessa, come si e' gia' posto in evidenza, alla  eventualita'  che,
 ove  il  processo  si  estingua  o  la  parte  intimata  rinunci alla
 emanazione della sentenza,  l'ordinanza  acquisti  l'efficacia  della
 sentenza;  per  tale  ragione, il giudice, con la detta ordinanza, la
 quale potrebbe chiudere il processo davanti a lui, deve  disporre  in
 ordine alle spese, in forza del principio generale posto dall'art. 91
 del  codice di procedura civile, che e' applicabile indipendentemente
 dalla forma assunta dal provvedimento,  quando  questo  definisce  il
 procedimento.
   La  pronuncia  sulle  spese non assume, quindi, autonoma rilevanza,
 quale provvedimento anticipatorio di condanna, ma e' prevista solo in
 funzione  dell'astratta  idoneita'   dell'ordinanza   ad   acquistare
 l'efficacia della sentenza.
   Nella  previsione  dell'art.  186-quater  del  codice  di procedura
 civile, ai sensi del quale "con l'ordinanza il giudice provvede sulle
 spese processuali", sono pertanto assenti, in relazione  alle  spese,
 quelle  ragioni di tutela anticipatoria, invocate dal remittente come
 preteso discrimine rispetto alla posizione  della  parte  processuale
 che resiste, la quale non puo' ottenere, con un'ordinanza di rigetto,
 la condanna dell'istante alle spese processuali.
   La  scelta  del  legislatore  di  riferire gli effetti anticipatori
 dell'ordinanza in esame  alla  sola  ipotesi  di  accoglimento  della
 domanda  di condanna, alla quale essi sono strutturalmente collegati,
 prevedendo esclusivamente in tal caso che  essa  debba  contenere  il
 provvedimento di liquidazione delle spese, e' percio' coerente con la
 ratio  della norma, stante la potenziale attitudine dell'ordinanza ad
 acquistare l'efficacia della sentenza e a sostituirsi a questa.
   Nessun contrasto si ravvisa poi con il principio sancito  dall'art.
 24  della  Costituzione, in quanto, allorche' si sia concluso, con il
 rigetto dell'istanza, il procedimento incidentale instaurato ai sensi
 dell'art.  186-quater,  riprendono   vigore   le   ordinarie   regole
 processuali,  in  forza  delle quali con la sentenza che definisce il
 processo il giudice dispone in ordine alle spese; non  e'  quindi  in
 alcun  modo  ridotta,  ne' tantomeno ostacolata la possibilita' della
 parte di ottenere tutela in relazione a tale domanda.
   Infine,  quanto   all'invocato   principio   del   buon   andamento
 dell'amministrazione,  non  puo'  che ricordarsi che esso riguarda le
 leggi inerenti all'ordinamento degli uffici giudiziari  (v.,  tra  le
 altre,  ordinanze  nn. 189, 168 e 7 del 1997), mentre resta del tutto
 estraneo all'esercizio della funzione giurisdizionale.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara non fondata la questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  186-quater  del  codice di procedura civile, sollevata, in
 riferimento agli artt. 3, 24 e 97  della  Costituzione,  dal  giudice
 istruttore del Tribunale di Roma, con l'ordinanza in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 27 novembre 1997.
                        Il Presidente: Granata
                         Il redattore: Contri
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria l'11 dicembre 1997.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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