N. 868 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 settembre 1997

                                N. 868
  Ordinanza  emessa  il  24  settembre  1997  dalla Corte d'appello di
 Milano  nel  procedimento  civile  vertente  tra  Feltri  Vittorio  e
 Esposito Manlio ed altri
 Processo civile - Competenza per territorio - Procedimenti in cui sia
    parte  un  magistrato  -  Applicabilita' dei criteri di competenza
    territoriale stabiliti per i  procedimenti  penali  concernenti  i
    magistrati  (art.  11  cod.  proc.  pen.)  e  per  quelli  civili,
    concernenti la responsabilita' dei magistrati (artt. 4 e 8,  legge
    n.  117  del 1988) - Mancata previsione - Lesione del principio di
    eguaglianza  -  Violazione  del  principio  di   indipendenza   ed
    imparzialita' del  giudice.
 (C.P.C., artt. 18 e 35).
 (Cost., artt. 3, 24 e 101).
(GU n.53 del 31-12-1997 )
                          LA CORTE D'APPELLO
   Ha pronunciato la seguente ordinanza nalla causa civile promossa in
 grado  d'appello  con  citazione  notificata  in data 16 aprile 1996,
 posta in deliberazione all'udienza collegiale del 24 settembre  1997,
 tra   Feltri   Vittorio  elettivamente  domiciliato  in  Milano,  via
 Corridoni n. 1, presso lo studio  dell'avv.  Carlo  Granelli  che  lo
 rappresenta  e  difende  per mandato generale alle liti conferito con
 scrittura privata autenticata n. 144508 di  rep.  dott.  P.  Sormani,
 notaio  in  Milano,  appellante,  e  Esposito  Manlio,  elettivamente
 domiciliato in Milano, via Freguglia n. 8,  presso  lo  studio  degli
 avv.ti  Luciano  E.  Villani e Simone Borella, che lo rappresentano e
 difendono per procura a margine dell'atto introduttivo  del  giudizio
 di   primo   grado,   appellato,   e  Schena  Roberto,  elettivamente
 domiciliato in Milano, via Curtatone n. 16 presso lo studio dell'avv.
 Graziella Vittoria Simonati, che lo rappresenta e difende per  delega
 in  calce  alla  comparsa  costitutiva  in  primo grado, appellato ed
 appellante   incidentale   e   l'Editoriale   L'Indipendente   s.r.l.
 dichiarata  fallita  con  sentenza del tribunale di Milano in data 11
 luglio 1996, in persona del curatore, appellata contumace.
   Oggetto: risarcimento danni da diffamazione a mezzo stampa.
                           Rilevato in Fatto
   Con  sentenza  n.  9521/1995  il  tribunale  di  Milano  condannava
 Vittorio  Feltri,  in  solido  con Roberto Scheda e con l'"Editoriale
 L'indipendente" s.r.l., al pagamento in  favore  di  Manlio  Esposito
 della  somma  di  L. 50.000.000 (L. 40.000.000 per risarcimento danni
 morali e L. 10.000.000 per riparazione pecuniaria ex art. 1 legge  n.
 47/1948), in conseguenza della comparsa, sull'edizione del quotidiano
 "L'indipendente"   del  6  ottobre  1993,  di  un  articolo  ritenuto
 diffamatorio nei confronti di Manlio  Esposito,  magistrato  milanese
 con  funzioni  di  presidente  di  sezione  di  questa  stessa  Corte
 d'appello (gia' presidente della sezione fallimentare  del  tribunale
 di Milano).
   Avverso  la  sentenza  ha  proposto  appello il Feltri, con atto di
 citazione  notificato  il  16  aprile   1996,   eccependo,   in   via
 preliminare,  "l'incompetenza  territoriale del tribunale di Milano a
 favore della competenza territoriale inderogabile  del  tribunale  di
 Brescia"  e  formulando  in  via  subordinata, nell'ipotesi della non
 ritenuta sussistenza di tale nulllita', "eccezione di  illegittimita'
 costituzionale degli artt. 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28
 del  cod.  di  proc.    civile per contrarieta' agli artt. 3, 24, 101
 della Costituzione nella parte in  cui  non  prescrivono  che  -  nei
 procedimenti  in  cui  sia parte (attore o convenuto) un magistrato e
 che,  secondo  le  norme  ordinarie,  sarebbero   attribuibili   alla
 competenza   di  un  ufficio  giudiziario  appartenente  al  medesimo
 distretto di Corte d'appello in cui il magistrato esercita le proprie
 funzioni - la competenza territoriale  deve  essere  inderogabilmente
 individuata  in  capo al giudice egualmente competente per materia il
 cui ufficio e'  situato  nel  capoluogo  del  distretto  della  Corte
 d'appello  piu'  vicino",  nel  merito  chiedendo  la  riforma  della
 sentenza impugnata e piu' precisamente  la  reiezione  delle  domande
 dell'Esposito,  sostenendo  che l'articolo giornalistico in questione
 non ha contenuto diffamatorio.
   All'eccezione di illegittimita' costituzionale  si  sono  associate
 anche  le altre parti tranne l'appellato Manlio Esposito, il quale ha
 replicato  che  la  deroga  alle  comuni   norme   sulla   competenza
 territoriale   e'   stata   -  non  irrazionalmente  -  prevista  dal
 legislatore solo in relazione ai processi  in  cui  e'  in  gioco  la
 potesta'  punitiva  dello Stato, e che viceversa, nei processi in cui
 sono in gioco meri interessi civilistici, tale deroga e stata esclusa
 in ottemperanza a  un  altro  principio  costituzionale,  quello  del
 giudice  naturale  previsto  per  legge  di  cui  all'art.  25  della
 Costituzione.
   All'udienza collegiale del 24 settembre  1997  la  causa  e'  stata
 assegnata in decisione.
                             O s s e r v a
   1.   -   L'eccezione   di  incompetenza  territoriale  inderogabile
 sollevata dall'appellante con riferimento alla circostanza che Manlio
 Esposito  e'  magistrato  che  svolge  presso  questa  stessa   Corte
 d'appello funzioni giurisdizionali, e' infondata.
   La   materia   della   competenza   dei  giudici  e'  compiutamente
 disciplinata  per  legge   in   applicazione   dell'art.   25   della
 Costituzione  che  prevede  al riguardo una riserva assoluta di legge
 (nessuno puo' essere distolto dal giudice naturale precostituito  per
 legge).
   Consegue   che   solo   la   legge   puo'  prevedere  i  criteri  -
 necessariamente generali  e  astratti  -  per  individuare  nel  caso
 concreto  l'organo  giudicante  e  solo  la  legge puo' "prevedere la
 possibilita' di spostamento di competenza da un giudice ad un  altro,
 purche'  anch'esso  precostituito, quando tali spostamenti siano resi
 necessari per assicurare il rispetto di altri principi costituzionali
 come quello dell'indipendenza ed imparzialita' del giudice..." (Corte
 costituzionale sentenza n. 1/1965).
   Le  norme  che   dettano   deroghe   agli   ordinari   criteri   di
 individuazione  del  giudice competente sono pertanto necessariamente
 eccezionali.
   Di qui l'impossibilita' di applicare nel processo civile ordinario,
 tutte le volte in cui sia parte in causa un magistrato, le norme  del
 processo   penale   (art.   11  c.p.p.)  e  quelle  del  giudizio  di
 responsabilita' civile dei magistrati (artt. 4 e 8 legge n. 117/1988)
 che prevedono lo spostamento della competenza in  favore  dell'organo
 giudicante sito nel distretto di Corte d'appello piu' vicino a quello
 in cui il magistrato eserciti le sue funzioni.
   Una  tale  applicazione contrasterebbe infatti sia con il principio
 di riserva assoluta di legge sopra richiamato che con il  divieto  di
 interpretazione analogica delle norme eccezionali (art. 12 prel.).
   2.  - L'infondatezza dell'eccezione di nullita' della sentenza, per
 incompetenza  funzionale  del  tribunale  di  Milano,  determina   la
 rilevanza  -  in  questo  giudizio  - della questione di legittimita'
 costituzionale delle norme di legge processuali che non prevedono  la
 deroga   ai   comuni   criteri  di  determinazione  della  competenza
 territoriale, tutte le volte in cui sia parte in causa un  magistrato
 che  esplichi  funzioni  giurisdizionali presso lo stesso ufficio che
 sarebbe competente in base a detti comuni criteri (o  comunque  nello
 stesso distretto).
   Il  dott.  Esposito  esplica  infatti,  come  e' pacifico, funzioni
 giurisdizionali presso questa  stessa  Corte  d'appello,  sicche'  la
 causa,  ove  le norme del codice di procedura civile sulla competenza
 fossero  costituzionalmente  illegittime  nella  parte  in  cui   non
 prevedono  la stessa deroga di cui agli artt. 11 c.p.p. e 4 e 8 legge
 n. 117/1988, andrebbe proposta avanti al tribunale di Brescia.
   3.  -    Oltre  che  rilevante,  la   questione   di   legittimita'
 costituzionale  degli  articoli  da  18  a 35 del codice di procedura
 civile per contrasto con gli artt. 3, 24, e 101  della  Costituzione,
 sollevata dagli appellanti, e' anche non manifestamente infondata.
   La  mancata  deroga ai normali criteri di competenza per i processi
 civili in cui sia parte un magistrato dello stesso ufficio  o  di  un
 ufficio  dello  stesso  distretto  dell'organo  giudicante, appare in
 contrasto con due basilari principi della Costituzione: da una parte,
 quello di indipendenza ed imparzialita'  del  giudice  (sancito  agli
 artt.  24 e 101) e, dall'altra, quello di eguaglianza di cui all'art.
 3 della Costituzione.
   3a. - L'imparzialita' del giudice, intesa come estraneita'  e  come
 terzieta'  dell'organo  giudicante  rispetto  sia  all'oggetto  della
 controversia che agli interessi delle parti coinvolte, costituisce un
 bene primario, di rilevanza costituzionale,  per  la  cui  tutela  e'
 necessario  non solo che il giudice sia effettivamente imparziale, ma
 anche che egli sia posto nelle condizioni per apparire imparziale.
   Questa apparenza di imparzialita' puo' venir meno nel caso  in  cui
 il  giudice  sia  chiamato a pronunciarsi nell'ambito di procedimenti
 civili che abbiano come parte un  magistrato  che  esplichi  funzioni
 giurisdizionali  nel  suo  stesso  ufficio  o  comunque in un ufficio
 situato nello stesso distretto di Corte d'appello in cui egli opera.
   Facile sarebbe il  sospetto  presso  la  pubblica  opinione  che  i
 magistrati chiamati a comporre l'organo giudicante possano non essere
 imparziali,   soprattutto   quando  la  decisione  dovesse  risultare
 favorevole alle tesi del loro collega che opera nello stesso  ufficio
 o quanto meno nello stesso distretto.
   Si  aggiunga  che  questo  possibile  sospetto  di  non parzialita'
 dell'organo giudicante finisce per condizionare, in  senso  negativo,
 la potesta' di azione del magistrato interessato, il quale puo' avere
 delle  remore  a  chiedere  la tutela dei propri diritti davanti allo
 stesso ufficio in cui normalmente esercita le sue funzioni (o davanti
 ad un ufficio del suo  stesso  distretto),  nel  timore  che  le  sue
 iniziative  giudiziarie  possano  essere fraintese presso la pubblica
 opinione ovvero possano costituire oggetto di sospetto.
   3b. - Nel processo penale (art. 11 c.p.p.) e in quello  concernente
 la  responsabilita'  civile  dei  magistrati  (artt.  4 e 81 legge n.
 117/1988, il legislatore, in attuazione degli artt. 24  e  101  della
 Costituzione,  si  e'  posto  il problema di tutelare l'imparzialita'
 della  giurisdizione  anche  dal facile sospetto che il giudice possa
 non essere pienamente  sereno  ed  imparziale  nei  casi  in  cui  il
 procedimento  riguardi magistrati dello stesso ufficio di chi compone
 l'organo giudicante ovvero di un ufficio  avente  sede  nello  stesso
 distretto.
   Per  dare  attuazione a questa garanzia, il legislatore ha previsto
 lo spostamento della competenza territoriale in  favore  del  giudice
 che  ha  sede  nel  capoluogo  del  distretto di Corte d'appello piu'
 vicino a quello in cui il magistrato-parte in causa esplica  funzioni
 giurisdizionali.
   Analoga   deroga   peraltro  non  e'  stata  prevista  in  tutti  i
 procedimenti civili  che  siano  diversi  da  quelli  concernenti  la
 responsabilita'   civile   dei   magistrati   per   danni   cagionati
 dall'esercizio della funzione giudiziaria.
   La diversita' di trattamento che ne deriva (sia tra i  procedimenti
 penali  e i procedimenti civili sia nell'ambito di questi ultimi, tra
 i procedimenti previsti dalla legge n. 117/1988 e  tutti  gli  altri)
 non  appare  giustificata,  poiche'  identica  e'  la  lesione che il
 principio  di  imparzialita'  della   giurisdizione   e   quello   di
 inviolabilita'  del diritto di azione subiscono tutte le volte in cui
 un giudice e' chiamato a pronunciarsi si vicende  -  sia  civili  che
 penali  - riguardanti magistrati del suo stesso ufficio o comunque di
 un ufficio del suo stesso distretto di Corte d'appello.
   Ne' a dare ragionevole spiegazione a tale diversita' di trattamento
 puo' valere la considerazione (contenuta in Cass. n.  5604/1983)  che
 la deroga ai comuni criteri attributivi della competenza territoriale
 e'  prevista per il solo processo penale ove e' in giuoco la potesta'
 punitiva dello Stato, mentre  essa  non  trova  ragion  d'essere  nel
 processo civile ove si contende di interessi meramente privatistici.
   La  natura  degli  interessi  in  gioco  non costituisce la ragione
 principale che determina la scelta legislativa di spostare o meno  la
 competenza  territoriale  per  i  procedimenti  in questione, come e'
 dimostrato:
     dalla legge n. 117/1988 che prevede la deroga in parola anche per
 procedimenti di esclusiva rilevanza civilistica;
     dallo stesso art. 11 c.p.p. che prevede detta deroga non solo per
 i procedimenti  in  cui  un  magistrato  dell'ufficio  ordinariamente
 competente sia imputato, ma anche per i procedimenti in cui lo stesso
 magistrato  sia persona offesa del reato od anche persona danneggiata
 e debba pertanto far valere nel processo  penale  soltanto  interessi
 meramente civilistici;
     dai  non  infrequenti  casi di procedimenti civili come quello in
 esame, in cui il giudice, per poter pronunciare sulle  domande  delle
 parti,   deve   accertare,  sia  pure  incidenter  tantum,  un  fatto
 costituente reato.
   A questo ultimo proposito si evidenzia  un  ulteriore  elemento  di
 irrazionalita'  della  normativa  de  qua:  la  possibilita',  per il
 magistrato danneggiato da un fatto costituente reato, di scegliere il
 giudice presso il quale chiedere la tutela dei suoi diritti lesi  dal
 reato.
   Tale  scelta  il  magistrato  puo' esercitare in modo insindacabile
 attraverso la determinazione di costituirsi parte civile  davanti  al
 giudice  penale  competente e art. 11 c.p.p., ovvero di rivolgersi al
 giudice del suo stesso distretto per  chiedere  il  risarcimento  dei
 danni,  previo  accertamento,  sia  pure  incidentr tantum, del fatto
 costituente reato.
   Tutti questi elementi di irrazionalita' non  sono  eliminati  dalle
 disposizioni processuali sull'astensione e la ricusazione del giudice
 (artt.  51  e  ss. c.p.c.), come dimostra il fatto che detti istituti
 sono  basilari  anche  nel  processo  penale  e  in   quello   civile
 concernente  la  responsabilita' civile del magistrato nell'esercizio
 delle sue peculiari funzioni,  ma  non  hanno  impedito  tuttavia  la
 previsione  della  deroga  agli ordinari criteri di competenza di cui
 agli artt.  11 c.p.p., 4 e 8 legge n. 117/1988.
   Diversa invero e' la ratio delle norme che prevedono tali istituti:
 mentre  l'astensione  e  la   ricusazione   attengono   alla   tutela
 dell'indipendenza  e  imparzialita' del giudice nel caso concreto, la
 deroga agli ordinari  criteri  di  competenza  territoriale  prevista
 dalle  norme  da  ultimo  richiamate  attiene  viceversa  alla tutela
 dell'imparzialita' del giudice da  una  possibile  compromissione  di
 portata  generale  quale  e'  quella  costituita  dal  fatto di dover
 comporre  l'organo  giudicante  in  procedimenti  che  riguardino  un
 magistrato  del  suo  stesso ufficio ovvero di un ufficio avente sede
 nel suo stesso distretto.
   4. - La rilevanza e la non manifesta infondatezza  della  questione
 di  legittimita'  costituzionale degli articoli da 18 a 35 c.p.c. per
 contrasto con gli artt. 101, 24 e  3  della  Costituzione  nei  sensi
 appena delineati, determina la sospensione del presente giudizio e la
 trasmissione  degli  atti  alla  Corte  costituzionale  affinche'  si
 pronunci su di essa.
   Ne' ad evitare l'incidente costituzionale  potrebbe  essere  valida
 l'obiezione   che   la   decisione   di   accoglimento   della  Corte
 costituzionale non sarebbe ammissibile in quanto si  risolverebbe  in
 una sentenza di tipo additivo.
   Per  effetto  della  presente  ordinanza  di  rimessione,  la Corte
 costituzionale  e'  invero  chiamata  non   gia'   ad   invadere   la
 discrezionalita'  del  legislatore su una materia - la previsione dei
 criteri di individuazione della competenza nel caso concreto - che e'
 oggetto di riserva assoluta di legge, bensi' semplicemente a valutare
 se sia conforme ai principi di  cui  agli  artt.  3,  24,  101  della
 Costituzione,  la  limitatezza ai soli procedimenti penali e a quelli
 civili di cui alla legge n. 117/1988 della deroga in questione  e  la
 conseguente  inapplicabilita'  della  stessa deroga a tutti gli altri
 procedimenti civili.
                                P. Q. M.
   La Corte d'appello di Milano, non definitivamente pronunciando  nel
 procedimento d'appello come sopra intestato, cosi' provvede:
     dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
 legittimita' costituzionale degli artt. 18 e 35 c.p.c. per violazione
 degli  artt.  101,  24,  3 della Costituzione, nella parte in cui non
 prevedono che quando sia parte in causa (come attore o convenuto)  un
 magistrato  esplicante  funzioni giurisdizionali nello stesso ufficio
 dell'organo giudicante o in un  ufficio  dello  stesso  distretto  di
 Corte d'appello, la competenza territoriale debba radicarsi presso il
 giudice  avente  sede  nel capoluogo del distretto di Corte d'appello
 piu' vicino, analogamente a  come  e'  previsto  per  i  procedimenti
 penali  (art.  11  c.p.p.)  e  per quelli civili aventi ad oggetto la
 responsabilita'  civile  dei magistrati nell'esercizio delle funzioni
 giudiziarie (artt.  4 e 8 legge n. 117/1988);
     sospende il procedimento d'appello in corso;
     manda alla cancelleria per le comunicazioni e per gli adempimenti
 di cui all'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87.
      Milano, addi' 24 settembre 1997
                        Il presidente: Goggioli
 97C1427