N. 881 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 1996- 9 dicembre 1997
N. 881 Ordinanza emessa il 5 dicembre 1996 e 15 maggio 1997 (pervenuta alla Corte costituzionale il 9 dicembre 1997) dalla Corte dei conti sezione giurisdizionale per la regione Liguria nel giudizio di responsabilita' promosso dal vice procuratore generale nei confronti di Manna Ciro. Corte dei conti - Giudizio di responsabilita' contabile - Limitazione della responsabilita' ai soli casi di dolo e colpa grave - Ingiustificata deroga alla regola della comune responsabilita' per colpa lieve - Irragionevolezza - Incidenza sul principio di buon andamento della p.a. e del controllo contabile - Richiamo a numerose sentenze della Corte costituzionale. (D.-L. 23 ottobre 1969, n. 543, art. 3, comma 1, lett. a), convertito in legge 20 dicembre 1996, n. 639)). (Cost., artt. 3, 97 e 103).(GU n.53 del 31-12-1997 )
LA CORTE DEI CONTI Ha pronunciato la seguente ordinanza nel giudizio di responsabilita', iscritto al n. 38-r del registro di segreteria, promosso a istanza del vice procuratore generale, con atto di citazione n. 1729B in data 16 luglio 1996, nei confronti di Ciro Manna, nato a Napoli il 24 ottobre 1948, assistito e difeso dall'avv. Ettore Alinghieri. Uditi, nella pubblica udienza del 5 dicembre 1996, il relatore consigliere Antonio Scudieri, l'avv. Ettore Alinghieri, nonche' il pubblico ministero nella persona del vice procuratore generale Ermete Bogetti. Esaminati gli atti e i documenti tutti della causa. Ritenuto in fatto Il 18 dicembre 1983, lungo l'autostrada "A/12" in prossimita' dello svincolo di Genova-Nervi, a seguito di sbandamento, l'autobus militare Fiat Iveco, targato MM/20952 fuoriusci' dalla sede stradale precipitando dal viadotto "Rio Castagna" nel vallone sottostante con conseguente decesso del conducente e di trentaquattro passeggeri nonche' lesioni gravissime in danno dei tre sopravvissuti, tutti marinai ad eccezione di un civile. Risulta dagli atti che i danni riportati dall'automezzo, in seguito al sinistro, ammontano a complessive lire 58.605.079. Con sentenza n. 1115 in data 24 ottobre 1988 il tribunale di Genova assolveva per insufficienza di prove il sottufficiale Ciro Manna dal reato di omicidio colposo plurimo aggravato e dal reato di lesioni gravissime plurime aggravate, imputati al militare - in cooperazione con altri - per non avere, nella sua qualita' di capo-reparto automezzi presso lo stabilimento di munizionamento navale della Marina militare di Aulla, controllato lo stato di usura dei pneumatici del predetto mezzo militare anche in occasione del rilascio da parte sua del foglio di marcia per il viaggio fuori sede del 18 dicembre 1983. Successivamente, la Corte di appello di Genova con sentenza in data 26 maggio 1992, nel dichiarare di non doversi procedere a carico del sottufficiale Ciro Manna per i reati di omicidio colposo plurimo e di lesioni gravissime plurime a causa dell'estinzione dei reati, rispettivamente per intervenuta prescrizione e per amnistia, riconosceva espressamente in motivazione l'imputato responsabile per colpa, in concorso con altri, dell'incidente stradale. Con la sentenza n. 5716 in data 11 dicembre 1992 la Corte di cassazione confermava, rigettando il ricorso dell'imputato, la decisione della Corte d'appello di Genova. La suprema Corte, come si evince dalla motivazione della sentenza, condivise le valutazioni dei giudici di secondo grado sul comportamento negligente tenuto dal Manna - in violazione dei propri obblighi di servizio quale capo dell'auto-reparto e capo dell'autorimessa - in sede di controllo dell'efficienza dell'automezzo all'uscita dallo stabilimento Marimuni di Aulla, comportamento che - anche secondo i giudici della legittimita' - rappresento' una concausa dell'evento, non essendo stato interrotto il nesso causale da altra causa sufficiente da sola a determinare l'evento. In relazione a tali fatti, il vice procuratore generale - previo invito a dedurre notificato al sig. Manna in data 25 novembre 1995, ai sensi dell'art. 5, comma 1, del d.-l. 15 novembre 1993, n. 453, convertito con modificazioni dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19, e previo esame delle deduzioni da questi prodotte - con atto in data 16 luglio 1996, lo citava a comparire davanti a questa Sezione per sentirlo condannare al risarcimento in favore dell'erario della somma di lire 11.721.000 (undicimilionisettecentoventunomila) oltre a rivalutazione monetaria e interessi legali con le decorrenze sopra indicate, nonche' alle spese di giudizio, quale responsabile, ai sensi del combinato disposto dell'art. 23 del decreto del Presidente della Repubblica 5 giugno 1976, n. 1076, e degli artt. 18 e segg. del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, del danno "diretto" cagionato all'Amministrazione militare, con riserva di ogni altra azione in ordine ai danni "indiretti" (somme corrisposte ai danneggiati o alle famiglie delle vittime a titolo di equo indennizzo, pensione privilegiata, speciale elargizione, sussidio; danni tuttora da liquidarsi in sede di giudizio civile a seguito delle azioni intentate avverso l'Amministrazione militare da parte di quasi tutti i danneggiati; rifusione delle spese di giudizio alle parti civili costituite nel procedimento penale). Il p.m. ritiene che al Manna vada imputata la responsabilita' dell'incidente sia pure in misura minore rispetto all'autista dell'automezzo, quest'ultimo deceduto in seguto al sinistro; poiche' il danno in questione risulta determinato in lire 58.605.079, al convenuto andrebbe ascritta la quinta parte di esso, pari a lire 11.721.000. Cio' posto, considera tuttavia l'attore che la responsabilita' amministrativa de qua va imputata al convento a titolo di colpa "lieve", riconoscendo che la condotta del Manna e' priva di quelle connotazioni tipiche della colpa grave. Conseguentemente sarebbe preclusa l'azione del p.m. a causa della limitazione della responsabilita' nella materia della contabilita' pubblica ai fatti e alle omissioni commessi con dolo o colpa grave, introdotta dall'art. 3 del d.-l. 22 giugno 1996, n. 333, laddove modifica l'art. 1 della legge 14 gennaio 1994 n. 20. Ritiene, peraltro, il pubblico ministero che la disposizione de qua sia contenuta in un atto normativo adottato in violazione di disposizioni costituzionali e che, di conseguenza, sia incostituzionale essa stessa. La norma, inoltre, appare in contrasto con la carta costituzionale anche per il suo contenuto precettivo. Egli pertanto, dopo articolate argomentazioni, eccepisce, ai sensi dell'art. 23, primo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimita' costituzionale dell'art. 3 del d.-l. 22 giugno 1996, n. 333, nella parte in cui modifica l'art. 1, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, limitando la responsabilita' dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilita' pubblica ai fatti e alle omissioni commessi con dolo o colpa grave, per contrasto con gli artt. 3, 70 e 77 della Costituzione, eccezione che si e' dimostrato essere rilevante ai fini del presente giudizio, e, conseguentemente, ai fini dell'art. 43 del regio decreto 13 agosto 1933, n. 1038, dell'art. 5, comma 1, del d.-l. 15 novembre 1993, n. 453, convertito con modificazioni dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19, nonche' dell'art. 23 del decreto del Presidente della Repubblica 5 giugno 1976, n. 1076, e delle disposizioni ivi richiamate. Il convenuto si e' costituito in giudizio mediante comparsa depositata dal difensore avv. Ettore Alinghieri del foro di La Spezia. All'odierno dibattimento sono intervenute le parti per ribadire sostanzialmente le argomentazioni scritte. Considerato in diritto Il Collegio osserva preliminarmente che, secondo la prospettazione che precede, nonche' sulla base delle risultanze istruttorie, la responsabilita' amministrativa viene ascritta al convenuto a titolo di colpa c.d. "lieve", in quanto l'elemento soggettivo, che caratterizza la condotta del sig. Ciro Manna, e' privo di quelle connotazioni che la giurisprudenza ha riconosciuto tipiche della colpa grave. Risulterebbe, di conseguenza, preclusa l'azione del pubblico ministero a causa della limitazione della responsabilita' nella materia della contabilita' pubblica ai fatti e alle omissioni commessi con dolo o colpa grave, introdotta dall'art. 3 del d.-l. 22 giugno 1996, n. 333, nella parte in cui modifica l'art. 1, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20; norma piu' volte reiterata con ulteriori decreti-legge e, da ultimo, riprodotta nel d.-l. 23 ottobre 1996 n. 543 (che, nelle more della stesura del presente provvedimento, e' stato convertito nella legge 20 dicembre 1996, n. 639). Secondo l'attore il conseguente quadro normativo urta con il disegno costituzionale per due ordini di motivi. In primo luogo, egli sospetta della legittimita' costituzionale del d.-l. 22 giugno 1996, n. 333, in quanto rappresenta il decimo di una serie continua di "provvedimenti provvisori" con forza di legge adottati dal Governo in materia di ordinamento della Corte dei conti al riguardo prospetta dubbi in ordine alla effettiva sussistenza dei requisiti di necessita' e di urgenza previsti dall'art. 77 della Costituzione, adombrando una vera e propria attivita' legiferante (illegittima) del Governo, richiamando l'art. 70 della Costituzione. Secondariamente, in relazione al contenuto precettivo della disposizione in questione, osserva che l'effetto di assoggettare ad identico regime di responsabilita' amministrativa comporti che il legislatore ha tradizionalmente regolato distintamente (secondo criteri di maggiore o minore complessita' ovvero rischiosita' delle funzioni, ecc.) e che continua a distingere al di fuori dell'ambito della giurisdizione della Corte dei conti (come l'immutata disciplina dell'azione risarcitoria che l'amministrazione danneggiata - ove si determini in tal senso - esercita costituendosi parte civile nel giudizio penale per i danni conseguenti al reato colposo del proprio dipendente, come, ad esempio, nei casi di disastro colposo, che si ricordano per le notevoli analogie con quello che ci occupa), contrasta con il principio di uguaglianza, di cui all'art. 3 della Costituzione, sia perche' nell'ambito della giurisdizione contabile vengono omogeneizzate situazioni non omogenee, sia in quanto analoghe situazioni verrebbero assoggettate a regimi giuridici a seconda del giudice che e' chiamato a pronunciarsi. Conclude il pubblico ministero ricordando che il principio della "perdurante identita' della norma pur nel mutamento dello jus superveniens", affermato dalla Corte costituzionale nella recente sentenza n. 84 del 1986 (e ribadito nell'ordinanza n. 197/1996), gli consente di non eccepire inutilmente fin da ora l'illegittimita' costituzionale della disposizione in questione, in quanto, ove, al momento del giudizio, la stessa sia stata riprodotta in un diverso e successivo atto normativo, tanto che si tratti ancora di un d.-l. quanto che si sia giunti alla conversione in legge della stessa o di successiva identica disposizione, l'eccezione deve intendersi estesa alla norma allora vigente. Parimenti, il giudice remittente sarebbe posto in condizione di sollevare utilmente la questione di costituzionalita' anche con riferimento a norme non assistite dalla stabilita' della legge ordinaria al momento dell'emissione dell'ordinanza che introduce il giudizio sulla legittimita' costituzionale delle medesime. Il Collegio, pur condividendo pienamente le suesposte considerazioni, non puo' non tener conto che, nelle more della definizione del presente provvedimento, il decreto-legge n. 333/1996 - cui si riferisce il pubblico ministero - non e' stato convertito, mentre il d.-l. n. 543/1996 (ultimo della serie prima richiamata) e' divenuto legge dello Stato e la disposizione concernente la limitazione della responsabilita' ai soli casi di colpa grave o dolo e' stata riprodotta all'art. 3. L'avvenuta conversione in legge ordinaria si colloca all'indomani della pronuncia della Corte costituzionale n. 360 del 17-24 ottobre 1996, con cui il giudice delle leggi, dopo aver stigmatizzato il comportamento del Governo caratterizzato dal continuo ricorso allo strumento del decreto-legge, ha dichiarato la illegittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 4, del d.-l. 6 settembre 1996, n. 462, non senza richiamare l'attenzione del Governo stesso e del Parlamento sulle difficolta' di ordine pratico derivanti dalla pronuncia, avuto riguardo ai numerosi decreti-legge piu' volte reiterati e ancora in corso di vigenza. Talche' il Parlamento ha provveduto a porre rimedio alle situazioni di pendenza ancora esistenti, trasformando in legge ordinaria tutta una serie di decreti-legge, tra cui quello concernente talune norme in tema di controllo e di giurisdizione della Corte dei conti. Siffatta conclusione consente di superare la prima censura proposta dal pubblico ministero, vale a dire quella riguardante la legittimita' del decreto-legge n. 333 in se, poiche' la circostanza della sua mancata conversione rende irrilevante la questione. Sussiste invece la seconda censura, cioe' quella pertinente al precetto normativo contenuto nella norma ormai legge dello Stato, secondo cui "la responsabilita' dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilita' pubblica e'... limitata a fatti ed alle omissioni commessi con dolo e con colpa grave...". La censura sussiste e puo' trovare ingresso nel presente giudizio anche se proposta con riferimento al decreto-legge n. 333, non convertito, in quanto trattasi di disposizione "trasferita" in toto nel decreto-legge n. 543, a sua volta convertito nella legge 20 dicembre 1996 n. 639 (Corte costituzionale sentenza n. 360 citata). Ritiene, pertanto, il Collegio di dover sollevare al riguardo questione di costituzionalita', considerando, in punto di rilevanza che: a) la nuova disciplina e' estesa ai giudizi in corso in virtu' di quanto disposto dal secondo comma dell'art. 3 del citato decreto-legge n. 543; b) questo giudice, ritenuta la sussistenza nei confronti del convenuto della colpa normale, e' chiamato ad applicare nella fattispecie propria la disciplina della cui costituzionalita' dubita. In punto di non manifesta infondatezza va considerato che: a) la indiscriminata e generalizzata limitazione introdotta dalla disposizione de qua viola il principio secondo cui per i dipendenti pubblici deve valere la regola della comune resonsabilita' per colpa lieve, la quale, semmai, puo' subire delle deroghe ad opera del legislatore, in relazione alle varie categorie di dipendenti o alle particolari situazioni regolate, avendo comunque l'obiettivo della salvaguardia delle garanzie costituzionali del buon andamento della pubblica amministrazione nonche' del controllo contabile; siffatto principio e' enucleabile dalla giurisprudenza della stessa Corte costituzionale formatasi in materia (sentenze nn. 112 del 1973, 54 del 1975, 164 del 1982 e 1032 del 1988); b) appare, pertanto, del tutto irragionevole il generalizzato livellamento al piu' intenso grado della colpa grave della responsabilita' contabile, specialmente ove si tenga conto delle considerazioni svolge dal pubblico ministero circa l'effetto di assoggettare a identico regime comportamenti che il legislatore ha sempre regolato distintamente, con conseguenze negative in relazione al principio dell'uguaglianza, poiche' nell'ambito della giurisdizione contabile si verifica l'omogeneizzazione di situazioni niente affatto omogenee; c) l'anzidetta generalizzata limitazione di responsabilita' si concretizza in una sostanziale sottrazione alla giurisprudenza contabile, di una serie di comportamenti lesivi del patrimonio pubblico la cui tutela e' prevista dalla Costituzione ed essa, ai sensi del secondo comma dell'art. 103, e' affidata alla Corte dei conti; d) a cio' si aggiunga che le considerazioni svolte dall'attore (che qui si richiamano integralmente) vanno condivise anche laddove esse pongono in risalto l'ulteriore effetto consistente nell'assoggettamento di analoghe situazioni a regimi giuridici diversi a seconda del giudice che e' chiamato a pronunciarsi; e) per quanto prima esposto, la questione va sollevata con riferimento all'art. 3 della Costituzione, rilevandosi la stessa in contrasto con i principi di uguaglianza ivi sanciti, nonche' in relazione agli articoli 97 e 103, secondo comma, della stessa Costituzione, i quali sono legati entrambi dal comune fine di assicurare l'efficienza e la regolarita' della gestione finanziaria e patrimoniale degli enti pubblici (Corte costituzionale n. 68 del 1971, 63 del 1973 e 1032 del 1988), nonche' con quelli del buon andamento della pubblica amministrazione e del controllo contabile, rispettivamente sanciti in detti articoli. Conclusivamente, la sezione ritiene rilevante e non manifestamente infondata, per contrasto con i menzionati articoli della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale del primo comma, lettera a), dell'art. 3 del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543, nel testo convertito nella legge 20 dicembre 1996 n. 639, nella parte in cui, sostituendo l'art. 1, primo comma, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, limita la responsabilita' dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilita' pubblica ai fatti e alle omissioni commessi con dolo o colpa grave.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 della Costituzione, 335 del c.p.c. e 23 della legge 11 febbraio 1953 n. 87; Ordina che, sospeso il giudizio in corso, gli atti siano trasmessi alla Corte costituzionale perche' sia risolta la suddetta questione di legittimita' costituzionale; Dispone che copia della presente ordinanza venga notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti del Senato e della Camera dei deputati. Cosi' pronunciato in Genova, nelle camere di consiglio del 5 dicembre 1996 e del 15 maggio 1997. Il presidente: Pellegrino 97C1440