N. 738 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 luglio 1997

                                N. 738
  Ordinanza emessa il 9 luglio  1997  dal  tribunale  di  Saluzzo  nel
 procedimento penale a carico di Cagnoli Giovanni ed altro
 Ordinamento  giudiziario - Avvocati e procuratori delegati quali vice
    pretori onorari a ricoprire la funzione di giudice  a  latere  del
    tribunale  -  Divieto di esercirare la professione forense dinanzi
    al  tribunale  al  quale  appartengono  -  Mancata  previsione   -
    Disparita' di trattamento rispetto ai limiti territoriali previsti
    per gli avvocati e procuratori svolgenti le funzioni di giudice di
    pace  -  Lesione  del  principio  di  indipendenza e autonomia del
    giudice - Violazione del principio di imparzialita' della pubblica
    amministrazione - Contrasto con il principio di indipendenza degli
    estranei che partecipano all'Amministrazione della giustizia.
 (R.D.  30  gennaio  1941,  n.  12,  art.  32  e  105,  e   successive
    modificazioni).
 (Cost.,  artt.  3,  97, comma primo, 101, comma secondo, e 108, comma
    secondo).
(GU n.44 del 29-10-1997 )
                             IL TRIBUNALE
   Ha emesso la seguente ordinanza ai sensi dell'art. 3, comma  terzo,
 della   legge   11  marzo  1953,  n.  87,  per  la  dichiarazione  di
 incostituzionalita' del combinato disposto degli artt. 32 e  105  del
 r.d.  30  gennaio 1941, n. 12, rubricato "Ordinamento giudiziario", e
 successive modificazioni, per violazione degli  artt.  3,  97,  comma
 primo, 101, comma secondo, e 108, comma secondo, della Costituzione.
                           Rilevato in fatto
   Il  Collegio avanti al quale deve celebrarsi il procedimento penale
 iscritto al n. 73/1996 del r.g. del tribunale di Saluzzo a carico  di
 Cagnoli Giovanni e Bosio Egizio per il reato ex art. 73, commi 1 e 4,
 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, risulta composto, come indicato in
 epigrafe, da due magistrati ordinari (il piu' anziano di servizio con
 funzioni  di  presidente)  affiancati  ex art. 105 ord.   giud. (come
 sostituito dall'art. 7 del d.-l.  28  luglio  1989,  n.  273)  da  un
 avvocato  regolarmente  esercente  nel  circondario  del tribunale di
 Saluzzo e iscritto al ruolo dei vice-pretori onorari.
   Il tribunale di Saluzzo conta un organico effettivo di tre giudici,
 compreso l'attuale presidente (non titolare), il quale, avendo emesso
 in precedenza  con  un  diverso  Collegio  (composto  dal  presidente
 titolare,  poi  ritiratosi  per  raggiunti  limiti  di  eta', e da un
 vice-pretore onorario)  sentenza  c.d.  patteggiata  per  alcuni  dei
 coimputati nel medesimo procedimento penale, si e' reso incompatibile
 (si  legga  il  verbale  di  udienza  in  data  19 febbraio 1997) nel
 giudizio de quo ai sensi dell'art. 34 c.p.p.,  come  integrato  dalla
 sentenza  della  Corte  costituzionale  del  2 novembre 1996, n. 371;
 conseguentemente,  alcun  Collegio  giudicante  diverso   da   questo
 remittente  e'  possibile,  allo  stato,  formare,  per  cui si rende
 inapplicabile l'art. 97 ord.  giud.
   Questo tribunale, nutrendo  fondati  dubbi  sulla  regolarita'  del
 Collegio  con cui si trova composto per il giudizio penale (dubbi che
 non ne consentono la prosecuzione senza il superamento della presente
 questione di costituzionalita'), ha quindi sospeso la prima  udienza,
 in  data  9  luglio  1997, del procedimento in oggetto, enunciando le
 relative  ragioni  mediante  lettura  dibattimentale  della  presente
 ordinanza di remissione alla Corte costituzionale.
                          Rilevato in diritto
   1.  -  Ritiene il tribunale che la presenza nel Collegio giudicante
 di  un  vice-pretore  onorario,  nella   persona   di   un   avvocato
 regolarmente  esercente  la  professione  forense  nel circondario di
 Saluzzo - situazione  questa  allo  stato  consentita  dal  combinato
 disposto  degli artt. 32 e 105 ord. giud. - urti, in primo luogo, con
 il disposto di cui all'art.  3 della Costituzione, sotto  il  profilo
 della manifesta irragionevolezza e contraddittorieta' della normativa
 qui impugnata.
   1.a.  -  Puo'  ritenersi  ius  receptum  della  recente  e costante
 giurisprudenza del Collegio costituzionale  che  la  presenza  di  un
 elemento  di  incoerenza  o  di  contraddittorieta' in un determinato
 sistema  normativo  (rilevabile  nei  purtroppo  frequenti  casi   di
 involontari   scoordinamenti  legislativi),  si  collochi  in  aperto
 contrasto con  quel  carattere  di  "ragionevolezza"  (logica,  prima
 ancora   che   giuridica)  che,  per  l'appunto,  deve  informare  un
 ordinamento legislativo che voglia dirsi  coerente.  Tale  canone  di
 "ragionevolezza" non a caso assume rilevanza costituzionale ex art. 3
 della  Carta  fondamentale,  come  in  piu'  occasioni ha ribadito la
 stessa Corte costituzionale laddove ha individuato  quale  motivo  di
 censura  di  una  norma  la  sua intrinseca irragionevolezza, purche'
 idonea  a  generare  ingiustificate  disparita'  di  trattamento  (si
 vedano,  tra  le  piu' recenti pronunce in tal senso, Corte cost., 26
 aprile 1989, n. 241, e 28 gennaio 1986, n. 13).
   A  questo  proposito,  deve  essere  considerato pure l'altrettanto
 condivisibile principio  della  c.d.  irragionevolezza  sopravvenuta,
 allorche'   una  norma  successiva  abbia  introdotto  un  motivo  di
 "discontinuita'"   nell'ordinamento   particolare   cui   appartiene,
 contraddicendo il fine primario e costituzionalmente garantito che il
 sistema  normativo  di appartenenza intende perseguire (si vedano, ex
 pluribus, Corte cost., 27 giugno 1973, n. 91, e 25 gennaio  1984,  n.
 1).
   1.b.  -  Secondo questo tribunale, la presente questione s'inquadra
 in tale "area" di censurabilita' costituzionale.
   Si ritiene infatti che sussista  un'insuperabile  e  ingiustificata
 contraddittorieta'  tra  la  previsione  di cui al combinato disposto
 degli artt. 32 e 105 ord. giud. e  quello  espresso  dall'art.  8-bis
 della  legge 21 novembre 1991, n. 374 (introdotto dall'art. 11, comma
 2, del d.-l. 7 ottobre 1994, n. 571, poi  convertito  nella  legge  6
 dicembre  1994,  n.  673), istitutiva del giudice di pace. Ebbene, in
 quest'ultima norma si prevede  che  "Gli  avvocati  e  i  procuratori
 legali  che  svolgono  le  funzioni  di  giudice  di pace non possono
 esercitare la professione forense dinanzi all'ufficio del giudice  di
 pace al quale appartengono".
   Si  rammentera'  il  tormentato  iter  legislativo che ha portato a
 questa disposizione: dopo avere previsto inizialmente un limite forse
 eccessivo all'esercizio della professione da parte dell'avvocato  che
 fosse  giudice  di pace (il quale, secondo l'originario art. 8, comma
 2, della legge 21 novembre  1991,  n.  374,  addirittura  non  poteva
 esercitare   nell'ambito   del   distretto   di  Corte  d'appello  di
 appartenenza), il legislatore ha provveduto man mano a  "restringere"
 il  limite  territoriale  in  questione,  dapprima al circondario del
 tribunale di appartenenza del professionista, anziche'  al  distretto
 (per  effetto  dell'art.    6  del  d.-l. 16 dicembre 1993, n. 521, e
 successive   reiterazioni);   infine   alla    sola    circoscrizione
 dell'ufficio  del  giudice  di  pace  (con l'abrogazione dell'art. 8,
 comma 2, della citata legge 21 novembre 1991, n. 374).
   A prescindere da  tale  continuativo  revirement  del  legislatore,
 questi ha tuttavia posto un'importante e condivisibile presunzione di
 non  terzieta'  e di parzialita' del giudice di pace (giudice a tutti
 gli effetti ex art. 106, comma secondo, della Costituzione, ancorche'
 non togato) che sia anche avvocato  o  procuratore  legale  esercente
 dinanzi  all'ufficio al quale appartiene. Siffatta presunzione ben si
 giustifica   innanzi   al   superiore   e   fondamentale    interesse
 dell'autonomia  e  dell'indipendenza  della  magistratura,  garantito
 dagli artt. 101, comma secondo, e 104, comma primo, Cost.;  interesse
 tendenzialmente compromesso laddove si fosse consentito a un avvocato
 di  mantenere  una  "doppia  natura" e di essere, contemporaneamente,
 giudice in  una  causa  e  difensore  m  un  altra,  con  un'evidente
 commistione  -  che  il  legislatore  ha  chiaramente voluto a priori
 evitare - tra interessi "pubblici" (quelli persegniti con la funzione
 giurisdizionale) e interessi  "privati"  (quelli  perseguiti  con  la
 professione forense).
   1.c.  - Se questa e' dunque la ratio dell'art. 8-bis della legge 21
 novembre  1991,  n.  374  -  e  non  si  ritiene   infondata   questa
 interpretazione  -  allora non e' dato intendere per quale ragione la
 cautela adottata dal legislatore del 1991 non sia prevista anche  per
 l'art.  32  ord.    giud.,  che,  invece,  consente  ai  "procuratori
 esercenti che hanno compiuto l'eta' di anni 25"  di  essere  nominati
 vice-pretori e di sedere, per effetto dell'art. 105 ord. giud., quali
 giudici a latere in un tribunale.
   Il  carattere  irragionevole e contraddittorio di tale disposizione
 si ricava a fortiori riflettendo sul fatto che il limite territoriale
 all'esercizio della professione forense e' imposto dalla legge per il
 giudice - absit iniuria verbis - delle cause minori e meno complesse,
 mentre, inspiegabilmente, nessun limite di tale genere  e'  posto  al
 vice-pretore  allorche' sieda come giudice di tribunale (tanto civile
 quanto penale, come nella fattispecie), competente per materie di ben
 diverso spessore giuridico.
   Il rilievo che si  ritiene  di  avere  evidenziato  costituisce  un
 ingiustificato  elemento  di  "discontinuita'" e di "irragionevolezza
 sopravvenuta"  del  sistema  normativo  in  materia  di  magistratura
 onoraria,  laddove si consideri la concomitante presenza di una norma
 (quella di cui all'art. 8-bis della legge 21 novembre 1991,  n.  374)
 che  ben  interpreta  e realizza la finalita' perseguita dal precetto
 costituzionale ex  art.  104,  comma  1,  della  Costituzione,  e  di
 un'altra  norma (quella di cui al combinato disposto degli artt. 32 e
 105 ord.  giud.)  che,  al  contrario,  contraddice  puntualmente  la
 suddetta essenziale finalita'.
   1.d.  -  Non occorrono - a giudizio di questo tribunale - ulteriori
 argomenti a sostegno della grave contraddizione legislativa insita in
 subiecta materia; basti segnalare ulteriormente come essa sia foriera
 di  un'ingiustificata  disparita'  di  trattamento  tra  avvocati   e
 procuratori  legali  che  svolgono  la  funzione di giudice di pace e
 quelli che rivestono la qualifica di vice-pretori  onorari:  i  primi
 subiscono  una  limitazione  territoriale all'esercizio della propria
 attivita'  professionale;  i  secondi  -  immotivatamente  -  non  ne
 subiscono alcuna.
   2.  -  Da  tutto  quanto  sopra sostenuto, discende pure il secondo
 profilo di censurabilita' costituzionale ravvisato nella normativa de
 qua. Atteso che, pacificamente, il principio di imparzialita' imposto
 all'azione amministrativa dall'art. 97, comma 1,  Cost.,  si  estende
 alla  pubblica amministrazione intesa lato sensu (e quindi anche agli
 uffici giudiziari: si veda Corte cost., 18 gennaio 1989, n. 18) -  e'
 palese  che il combinato disposto degli artt. 32 e 105 ord. giud. non
 consente all'amministrazione della giustizia  di  svolgere  un'azione
 imparziale.
   La  presenza  in  un  Collegio penale giudicante di un avvocato che
 legittimamente eserciti (senza alcun  limite  di  sorta)  la  propria
 professione  nella  medesima  circoscrizione giudiziaria dell'ufficio
 cui appartiene (e che, alternativamente, mette i  panni  del  giudice
 per  smettere  quelli  del  difensore),  puo' legittimare i cittadini
 fruitori del servizio-giustizia (e gli imputati nella fattispecie)  a
 nutrire   dubbi   sulla  "asetticita'"  da  possibili  contaminazioni
 extragiudiziarie e sulla  collocazione  super  partes  del  tribunale
 chiamato a giudicarli.
   3.  -  Analoga  argomentazione  si  richiama per quanto riguarda il
 terzo profilo di incostituzionalita', relativo alla violazione  dell'
 art.   101,   comma   secondo,  della  Costituzione,  finalizzato  ad
 assicurare l'indipendenza dell'ordine giudiziario, soggetto solo alla
 legge;   cio'    con    particolare    riferimento    al    principio
 dell'indipendenza  personale  del  giudice,  su  cui  hanno insistito
 numerose pronunce del Collegio costituzionale (si vedano, ad esempio,
 Corte cost., 8 giugno 1981, n. 100, e 9 luglio 1970, n. 123).
   Il   problema  della  presenza  nel  Collegio  di  un  vice-pretore
 svincolato   da   qualsivoglia   limite   alla   propria    attivita'
 professionale  nello stesso ambito territoriale del tribunale, assume
 una particolare gravita' allorche' il Collegio in  questione  -  come
 quello remittente - sia chiamato ad emettere una sentenza penale, per
 gli  interessi  fondamentali  coinvolti  in  una  simile pronuncia. A
 questo proposito, non si ritiene piu' sufficiente il mero richiamo ai
 normali istituti approntati dal codice di procedura penale a garanzia
 dell'imparzialita'    del    giudice    (quali    l'incompatibilita',
 l'astensione  e  la  ricusazione),  giacche' e' lo stesso legislatore
 che,  introducendo  nell'ordinamento  l'art.  8-bis  della  legge  21
 novembre  1991,  n.  374 (ancorche' in materia civile, ma il discorso
 mutatis mutandis rimane il medesimo anche per la materia penale),  ha
 dimostrato   di  prescindere  da  tali  cautele,  evidentemente  poco
 appropriate alla fattispecie in questione.
   Se cosi' non fosse,  non  si  capirebbe  perche'  mai,  accanto  al
 suddetto  art.  8-bis,  la  legge  21  novembre  1991,  n. 374, abbia
 previsto espressamente l'applicabilita'  al  giudice  di  pace  della
 disciplina dell'astensione ex art. 51 c.p.c.; se infatti quest'ultimo
 istituto  fosse  stato  ritenuto  sufficiente  di per se' a garantire
 l'imparzialita' del giudice di pace, l'art. 8-bis sarebbe  stato  del
 tutto superfluo (il discorso, poi, e' identico anche sotto il profilo
 penale, giacche' gli artt.  35 e ss. della legge 21 novembre 1991, n.
 374, attribuiscono al giudice di pace anche competenze penali).
   Con  cio'  si  ritengono superate de iure condito le pur autorevoli
 pronunce del Collegio costituzionale che, in passato,  avevano  avuto
 occasione  di  dirimere  questioni di costituzionalita' analoghe alla
 presente, dichiarandole manifestamente  infondate  (si  vedano  Corte
 cost., 5 aprile 1971, n. 71, e 28 maggio 1987, n. 202).
   4.  -  Consegue  da  tutto  cio', infine, anche l'ultimo profilo di
 illegittimita' che questo tribunale ha inteso ravvisare nel combinato
 disposto degli artt. 32 e 105 ord. giud., in relazione all'art.  108,
 comma   secondo,   della  Costituzione.  La  finalita'  contenuta  in
 quest'ultimo precetto - quella, cioe', di assicurare  "l'indipendenza
 (...)   degli  estranei  che  partecipano  all'amministrazione  della
 giustizia" (tra i quali devono ricomprendersi  anche  i  vice-pretori
 onorari)   -  risulta  in  effetti  vanificata  dalla  normativa  qui
 censurata. Questa, infatti,  non  predispone  le  necessarie  cautele
 tecniche   che   possano  impedire  (anche  solo  potenzialmente)  il
 verificarsi  di  quei   pericolosi   conflitti   d'interesse,   sopra
 segnalati,   tra   la   professione   forense  (che  rimane  comunque
 un'attivita' a carattere privatistico ex art.  2230  c.c.,  sorretta,
 pur    se    non    preminentemente,    da    un'intrinseca    natura
 economico-patrimoniale ex artt.  1321  e  2233  c.c.)  e  l'attivita'
 giurisdizionale  (che  rappresenta invece uno dei fondamentali poteri
 in cui si articola l'azione sovrana dello Stato).
   Si fa altresi'  presente  che  tale  premura  si  e'  evidentemente
 manifestata  nell'autorevole  sede del C.S.M., il quale nella recente
 circolare n. 7 del 1997 relativa ai criteri per la nomina e  conferma
 dei  vice-pretori onorari per il triennio 1998-2000, ha espressamente
 disposto all'art.   11, lett. m),  che  l'avvocato  interessato  alla
 nomina  a  vice-pretore  onorario  si  impegni  a  non  esercitare la
 professione forense dinanzi alla pretura (ma non anche al  tribunale)
 presso cui chiede di essere nominato.
   5. - Si ribadisce, in conclusione, la piena convinzione maturata da
 questo   tribunale   circa   la   necessita'  della  declaratoria  di
 incostituzionalita' del combinato disposto degli artt. 32 e  105  del
 r.d.  30  gennaio 1941, n. 12 (ordinamento giudiziario), e successive
 modificazioni, nella parte in cui non prevede che gli  avvocati  e  i
 procuratori,  che  siano  nominati  vice-pretori  onorari e che siano
 delegati a ricoprire la funzione di giudice a latere  del  tribunale,
 non possano esercitare la professione forense dinanzi al tribunale al
 quale essi appartengono.
                                P. Q. M.
   Visto  l'art.  23, comma terzo, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e
 ritenuta  fondata  e  rilevante  la   questione   di   illegittimita'
 costituzionale  del  combinato disposto degli artt. 32 e 105 del r.d.
 30 gennaio 1941, n. 12, e  successive  modificazioni  per  violazione
 degli  artt.  3,  97,  primo comma, 101, secondo comma e 108, secondo
 comma, della Costituzione:
   Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla    Corte
 costituzionale e sospende il procedimento in corso;
   Ordina  che  a  cura  della  cancelleria  si notifichi il superiore
 provvedimento al Presidente del Consiglio dei Ministri;
   Ordina che la presente  ordinanza  sia  comunicata,  a  cura  della
 cancelleria, ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
     Data in Saluzzo, il 9 luglio 1997
                        Il presidente: Bonaudi
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