N. 905 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 novembre 1997

                                N. 905
  Ordinanza emessa  il  10  novembre  1997  dal  giudice  di  pace  di
 Stradella  nel  procedimento  di  opposizione  al  decreto ingiuntivo
 promosso da Riccardi Elisa contro il condominio "Emilia" di Stradella
 Processo  civile  -  Procedimento  davanti  al  giudice  di  pace   -
    Costituzione  del  convenuto  -  Obbligo alla proposizione, con il
    primo atto difensivo, delle eventuali  domande  riconvenzionali  -
    Mancata  previsione  -  Lesione  del  principio  di  eguaglianza -
    Violazione del diritto di difesa.
 Processo civile - Procedimento davanti al giudice di pace  -  Domanda
    introduttiva  del  giudizio  -  Mancata  previsione, nel contenuto
    della  stessa,  dell'invito  al  convenuto  di  costituirsi  entro
    l'udienza  indicata  e  dell'avvertimento  circa  la decadenza dal
    diritto a proporre domande riconvenzionali,  in  caso  di  mancata
    costituzione - Lesione del diritto di eguaglianza - Violazione del
    diritto di difesa.
 Processo  civile  - Procedimento davanti al giudice di pace - Atto di
    opposizione a decreto ingiuntivo - Obbligo alla proposizione nello
    stesso,   a   pena   di   decadenza,   delle   eventuali   domande
    riconvengionali  -  Mancata  previsione - Lesione del principio di
    eguaglianza - Violazione del diritto di difesa.
 Processo  civile  - Procedimento davanti al giudice di pace - Domanda
    di ingiunzione - Mancata previsione, nel contenuto  della  stessa,
    dell'avvertimento  all'opponente di proporre, a pena di decadenza,
    nell'atto di opposizione, le eventuali domande  riconvenzionali  -
    Lesione  del  principio di eguaglianza - Violazione del diritto di
    difesa.
 (C.P.C., artt. 319, comma 1, 318, comma 1, 645, comma 1,  638,  comma
    1, e 641, comma 1).
 (Cost., artt. 3 e 24, secondo comma).
(GU n.3 del 21-1-1998 )
                          IL GIUDICE DI PACE
   Ha   pronunciato   la   seguente   ordinanza  nel  procedimento  di
 opposizione n. 132/97 r.g. al decreto ingiuntivo n.  26/97,  promosso
 da Elisa Riccardi di Monza contro il condominio Emilia di Stradella e
 per esso il suo amministratore pro-tempore rag. Enrico Buscarini.
                               F a t t o
   Enrico   Buscarini,   nella  sua  qualita'  di  amministratore  del
 condominio Emilia di Stradella, con ricorso depositato  il  13  marzo
 1997  ha  chiesto  e  con  decreto 25 marzo 1997 di questo giudice ha
 ottenuto ingiunzione a carico  della  condomina  Elisa  Riccardi  per
 L.3.459.750,  oltre accessori, per la riscossione della residua parte
 non  pagata  dei  contributi  in  base  agli  stati  di  ripartizione
 approvati  dalle  assemblee dei condomini 28 ottobre 1994-10 novembre
 1995 e 29 febbraio 1996, nonche' al verbale di ispezione U.S.S.L.  77
 in  data  6  settembre  1993.  Nei  confronti del decreto ingiuntivo,
 dichiarato immediatamente esecutivo nonostante opposizione  (ex  art.
 63  disp.  att.  c.c.)  e  notificato  il  19  aprile 1997 unitamente
 all'atto di precetto per L. 5.897.399 redatto  in  calce,  l'ingiunta
 Elisa Riccardi ha proposto opposizione con citazione notificata il 28
 maggio   1997  e  ne  ha  chiesta  la  revocazione  per  "nullita'  o
 inefficacia", in ogni caso offrendo la sola somma capitale  ingiunta;
 in  via  subordinata  ha  chiesto  la condanna dell'amministratore al
 risarcimento  del  danno  per  mancata   fatturazione   delle   spese
 straordinarie.    L'opponente  si  e'  costituita in cancelleria il 6
 giugno 1997.
   L'opposto Condominio Emilia,  costituitosi  in  cancelleria  il  22
 settembre 1997 depositando anche comparsa di risposta, ha eccepito la
 "inammissibilita'   ed   improponibilita'"   dell'opposizione   e  ha
 contestato  la  attinenza  delle  motivazioni  di   opposizione   con
 "l'oggetto  della  causa".  Nell'udienza 6 ottobre 1997 (di rinvio ex
 art. 57 disp. att.  c.p.c.), le parti  sono  comparse  personalmente,
 assistite dai rispettivi legali.
   L'opponente   personalmente   ha   confermato  di  "non  contestare
 l'ammontare del debito di cui al decreto  ingiuntivo  opposto"  e  ha
 offerto "per la conciliazione la somma di L. 3.459.750 per capitale e
 L. 2.000.000 per le spese legali", ma ha "chiesto che da questa somma
 venga  detratta la somma di L. 500.000, che ritiene di aver pagate in
 piu', delle spese sulla facciata del condominio", il  suo  legale  ha
 chiesto  "ordine  all'amministratore  Buscarini  di  esibizione delle
 fatture per L.  180.000.000 c.ca" relative alle spese di  cui  sopra.
 Il   legale  del  condominio  si  e'  opposto  "alla  richiesta,  non
 riguardando l'oggetto della presente causa".
   Non essendo riuscito il tentativo di conciliazione, le  parti  sono
 state  invitate a precisare le conclusioni e a discutere la causa per
 l'udienza  del  14  ottobre  1997,   nella   quale,   nonostante   le
 dichiarazioni   orali   di   precisare   "come  in  atti",  e'  stato
 inesattamente  verbalizzato  che  le  conclusioni  venivano precisate
 "come da atto di citazione  e  comparsa  di  risposta";  esaurita  la
 discussione, la causa e' stata assegnata a sentenza.
   Questo  giudice, revocata l'ordinanza di assegnazione della causa a
 sentenza,  ritiene   di   sollevare   d'ufficio   la   questione   di
 illegittimita'  costituzionale,  in relazione agli artt. 3 e 24 della
 Costituzione:  del primo comma dell'art. 319 c.p.c., nella  parte  in
 cui  non  prevede  espressamente che il convenuto costituendosi anche
 davanti al giudice, ma entro l'udienza indicata nella  domanda,  deve
 proporre,  a pena di decadenza, le eventuali domande riconvenzionali;
 del primo comma dell'art. 318 c.p.c. nella parte in cui  non  prevede
 espressamente  che  la  domanda  deve  contenere  anche  l'invito  al
 convenuto a costituirsi entro l'udienza indicata, con  l'avvertimento
 che  la  costituzione  oltre il suddetto termine implica la decadenza
 dal diritto di proporre le  eventuali  domande  riconvenzionali;  del
 primo  comma  dell'art.  645  c.p.c.,  nella parte in cui non prevede
 espressamente che l'opponente deve, a  pena  di  decadenza,  proporre
 nell'atto  di  opposizione  le eventuali domande riconvenzionali; dei
 primi commi degli artt. 638 e 641 c.p.c.   nella  parte  in  cui  non
 prevedono  l'avvertimento  che  l'opponente  deve  proporre a pena di
 decadenza   nell'atto   di   opposizione   le    eventuali    domande
 riconvenzionali.
                             D i r i t t o
   1.  -  Nell'udienza  6 ottobre 1997 (di rinvio ex art. 57 disp. att
 c.p.c.) l'opponente ha chiesto che dalla somma dovuta "venga detratta
 la somma di L. 500.000, che ritiene di aver  pagate  in  piu',  delle
 spese sulla facciata del condominio; il suo legale ha chiesto "ordine
 all'amministratore  Buscarini  di  esibizione  delle  fatture  per L.
 180.000.000 c.ca" relative  alle  spese  di  cui  sopra:  la  mancata
 espressa  riproposizione,  nelle  conclusioni  definitive,  di questa
 domanda  riconvenzionale  (che   mira   ad   ottenere   un   positivo
 accertamento  del  credito  vantato  dall'opponente  e la conseguente
 eventuale   compensazione   parziale)   non   costituisce    elemento
 sufficiente  a  far  presumere  la rinuncia tacita alla stessa (conf.
 Cass. 94/7683).
   Il legale  del  condominio  si  e'  opposto  "alla  richiesta,  non
 riguardando l'oggetto della presente causa", con questo rifiutando il
 contraddittorio   per   la   tardivita'   della  domanda:  e  che  la
 riconvenzionale debba essere proposta con il primo atto difensivo  e'
 eccezione   che,   pur  dovendo  essere  espressa,  non  deve  essere
 necessariamente esplicita, ben potendosi  trarre  la  volonta'  della
 parte  interessata  dal  contenuto  sostanziale  delle  sue deduzioni
 (cosi' anche Cass. 95/482).
   Ora, "in seguito all'opposizione il giudizio si svolge  secondo  le
 norme del procedimento ordinario davanti al giudice adito" (art.  645
 c.p.c.  secondo  comma)  e  in  esso  ciascuna  delle  parti viene ad
 assumere la propria naturale posizione sostanziale, nel senso che "la
 qualita' di attore spetta al creditore  che  ha  chiesto  il  decreto
 ingiuntivo  (convenuto  nel  giudizio  di  opposizione)  e  quella di
 convenuto  al  debitore  opponente"  (Cass.  sez.  unite  93/7448  in
 motivazione),  il cui primo atto difensivo, pur avendo la forma della
 citazione, e' una comparsa  di  risposta,  nella  quale  "a  pena  di
 decadenza    devono    essere    proposte    le   eventuali   domande
 riconvenzionali".
   Per  accertare  e  dichiarare  dunque la eventuale inammissibilita'
 della     domanda     riconvenzionale,     tardivamente      proposta
 dall'opponente-convenuto  nella  udienza  di  rinvio e sulla quale il
 ricorrente-attore  non  ha  accettato   il   contraddittorio   (Cass.
 86/3907),   e'  necessario  stabilire  se,  anche  nel  "procedimento
 ordinario  davanti  al  giudice"  di  pace,  le   eventuali   domande
 riconvenzionali  devono  essere  proposte,  a  pena di decadenza, dal
 convenuto nel suo primo atto  difensivo  ("comparsa  di  risposta"  o
 "processo   verbale"   che   sia)   e   dall'opponente  nell'atto  di
 opposizione; in caso affermativo, se l'irrogazione della  pena  della
 decadenza  e'  condizionata  alla  riproduzione, da parte dell'attore
 nella domanda (comunque proposta) e da  parte  del  ricorrente  nella
 domanda   e   del   giudice   nel   decreto,   dell'avvertimento  che
 rispettivamente il convenuto (costituendosi anche  nei  tempi  e  nei
 modi indicati dal primo comma dell'art. 319 c.p.c.) nella comparsa di
 risposta  (o  se  si  vuole  nel  "processo  verbale")  e l'opponente
 nell'atto di opposizione devono, a pena  di  decadenza,  proporre  le
 eventuali domande riconvenzionali.
   Di  qui,  la  rilevanza  nel  giudizio delle sollevate questioni di
 legittimita' costituzionale.
   2. - L'avvertimento su preclusioni e decadenze  nell'esercizio  dei
 poteri  processuali  esplica  (a fortiori nel procedimento davanti al
 giudice di pace)  una  preziosa  e  (come  e'  gia'  stato  rilevato)
 "essenziale  funzione nei confronti della parte non ancora costituita
 in giudizio (e pertanto a priori svantaggiata rispetto a quella  che,
 probabilmente,  gia' e' munita di difensore tecnico)", soprattutto se
 questa intende costituirsi e  stare  in  giudizio  personalmente  (in
 virtu'  dei  primi  due commi dell'art. 82 c.p.c.); "sicche' dovrebbe
 essere attentamente rimediata" (ma  evidentemente  non  con  sentenze
 interpretative  non  vincolanti)  la illegittimita' costituzionale: o
 della ineluttabile norma di rinvio di cui all'art.  311  c.p.c.,  che
 impone  l'applicazione  diretta  (secondo  i principi di cui al primo
 comma dell'art.  12  preleggi),  anche  delle  norme  che  sanciscono
 preclusioni  e decadenze nel procedimento davanti al tribunale, e non
 consente l'applicazione analogica  (secondo  i  principi  di  cui  al
 secondo  comma  stesso  articolo),  che  gia'  escluderebbe essa sola
 l'applicazione appunto  delle  norme  che  sanciscono  preclusioni  e
 decadenze; o quantomeno delle norme che, soprattutto nei processi nei
 quali  l'assistenza  legale  sia  sempre  facoltativa,  non impongono
 espressamente un preciso obbligo di informazione e di istruzione alle
 parti.
   Con ordinanza 4  agosto  1997  (pubblicata  con  il  n.  675  nella
 Gazzetta  ufficiale  n.  42/1997, 1 serie speciale) questo giudice ha
 gia'  chiesto  l'intervento  radicale  di  codesta  Corte,   con   la
 declaratoria  (qui di ovvio rilievo) di illegittimita' costituzionale
 dell'art. 311  c.p.c.,  nella  parte  in  cui,  estendendo  anche  al
 procedimento davanti al giudice di pace il rinvio alle norme relative
 al  procedimento  davanti  al  tribunale,  ne  impone un'applicazione
 diretta (fatta solo salva la loro  "applicabilita'"  al  procedimento
 davanti  a  giudice  monocratico)  e non consente un giudizio di loro
 compatibilita' con le "disposizioni speciali" o con principi generali
 da queste  sole  ricavati.  Infatti,  da  un  lato  le  "disposizioni
 speciali",   facendo   appunto  eccezione  (per  espressa  previsione
 legislativa)  alle norme ordinarie, sono di stretta interpretazione e
 non consentono di ricavare da esse sole principi generali; dall'altro
 lato  il  giudizio  di   compatibilita'   fra   norme   ordinarie   e
 "disposizioni  speciali" o principi da queste ricavati (consentito ed
 anzi doveroso nel solo caso di applicazione analogica), non ha  senso
 alcuno  (ne'  giuridico ne' logico) nell'applicazione diretta imposta
 dall'art. 311 c.p.c., cosi' come  non  lo  avrebbe  in  generale  fra
 regole  ed eccezioni o altre regole che dalle eccezioni si vorrebbero
 ricavare.
   Ecco  perche'  (come  gia'  evidenziato  nella  precedente   citata
 ordinanza)  esattamente  la  S.C.  (Cass.  93/1789)  ha affermato che
 addirittura "il giudizio di equita', in forza del  generale  richiamo
 operato dall'art.  311 c.p.c. e salvo specifiche deroghe previste nel
 titolo  secondo dello stesso codice o da altre espresse disposizioni,
 continua ad essere retto dalle norme relative al procedimento davanti
 al tribunale".
   Ma se si conviene che in sostanza (se non altro dal punto di  vista
 quantitativo) anche il procedimento davanti al giudice di pace (cosi'
 come  quello  davanti  al  pretore)  e' retto dalle norme relative al
 procedimento ordinario (pur espressamente modificate o derogate dalle
 poche "disposizioni  speciali"),  ne  consegue  inevitabilmente  che,
 all'interno   di   questa  struttura  unitaria  (solo  apparentemente
 semplificata),  non   e'   comunque   consentito   un   giudizio   di
 compatibilita'  fra  le  singole  norme  (quelle  ordinarie  e quelle
 "speciali") che la compongono o fra  la  gran  parte  di  queste  (le
 ordinarie) e principi che immotivatamente si prefigurano, ricavandoli
 da una piccola parte di queste le speciali).
   Ed  ecco perche', ancora esattamente, anche la S.C. (Cass. 96/1953)
 ha anche affermato che "ai giudizi davanti al pretore (e dunque anche
 davanti al  giudice  di  pace),  per  il  (comune)  rinvio  stabilito
 dall'art.    311 c.p.c., sono applicabili tutte le norme che regolano
 il procedimento davanti al tribunale,  eccetto  quelle  incompatibili
 con  la  particolare  struttura  del  procedimento davanti al giudice
 monocratico": il giudizio di "applicabilita'"  (fatto  appunto  salvo
 dall'art. 311 c.p.c. per le sole norme caratterizzate dalla struttura
 collegiale del tribunale) puo' avere dunque come riferimento soltanto
 la   struttura  monocratica  del  giudice  di  pace  e  non  gia'  la
 prefigurata  "struttura  semplificata  del  rito"  davanti  a  questo
 giudice.  In  conclusione, soltanto se verra' accolta la gia' chiesta
 declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art.  311  c.p.c.,
 si potra' procedere alla eventuale applicazione analogica delle norme
 che   regolano  il  procedimento  davanti  al  tribunale,  con  ovvia
 esclusione di quelle che sanciscono preclusioni e/o decadenze,  e  si
 potra'  anche  concordare con codesta Corte (sent. 21-29 maggio 1997)
 sulla prefigurata "incompatibilita'  (di  queste)  con  la  struttura
 semplificata del rito in esame".
   Allo  stato,  anche  concordando sulla ricordata (da codesta Corte)
 "facolta' (del convenuto)  di  costituirsi  in  udienza  mediante  la
 proposizione  anche orale delle proprie difese e di eventuali domande
 riconvenzionali", si concordera' in sostanza soltanto sul  fatto  che
 il  convenuto  puo'  costituirsi  anche  in  udienza (che e' la prima
 "udienza fissa" di cui all'art. 316 c.p.c. 1), ma pur sempre mediante
 la  proposizione  delle  eventuali  domande  riconvenzionali  in  una
 "comparsa  di risposta" che, anziche' essere redatta direttamente dal
 convenuto (rectius:  dal suo legale, come pressoche' sempre accade) e
 conservare   anche   formalmente  questo  nome,  sara'  redatta  "dal
 cancelliere (come pressoche'  mai  accade)  sotto  la  direzione  del
 giudice"  (art. 130 c.p.c.) e per cio' solo acquisira' formalmente il
 nome di "processo verbale", ma non  potra'  comunque  sottrarsi  alla
 normativa  di  cui all'art. 167 c.p.c. secondo comma. In sostanza, e'
 consentito soltanto un semplice ed irrilevante (quantomeno ai  nostri
 fini)  differimento  temporale del termine di tempestiva costituzione
 del  convenuto   e   proposizione   delle   sue   eventuali   domande
 riconvenzionali:   in  particolare,  non  importa  ovviamente  se  la
 tempestiva costituzione sia "anteriore all'udienza" (siccome previsto
 dall'art. 166 c.p.c.) o  con  questa  coincidente  (siccome  previsto
 dall'art.  319  c.p.c.). Ma se cosi' e', e cosi' non puo' non essere,
 allora si' che vi e' "ragione di stabilire (in contrasto con  codesta
 Corte)  che,  tra  gli  elementi dell'atto introduttivo, debba essere
 contenuto l'avvertimento  circa  le  conseguenze  della  costituzione
 tardiva  del  convenuto", successivamente alla "udienza fissa" di cui
 al primo comma dell'art. 316 c.p.c.
   3.  -  Piu'  in  particolare,   la   proposizione   della   domanda
 riconvenzionale  da  parte  del  convenuto e le conseguenze della sua
 tardivita' "non sono regolate nel titolo secondo o in altre  espresse
 disposizioni"   speciali  e  conseguentemente  (grazie  all'art.  311
 c.p.c.) "sono rette dalle norme relative al procedimento  davanti  al
 tribunale",   anche   se  come  (implicitamente  ma  necessariamente)
 modificate dalle "disposizioni  speciali"  e  dalle  "altre  espresse
 disposizioni",  in  qualche  modo  collegate  alla  costituzione  del
 convenuto davanti al  giudice  di  pace.    In  forza  dei  combinati
 disposti  dei vari articoli, si puo' pero' affermare che il convenuto
 "a  pena  di   decadenza   deve   proporre   le   eventuali   domande
 riconvenzionali"  (art.  167  c.p.c.  secondo  comma)  o direttamente
 scrivendole nella "comparsa di  risposta",  o  verbalmente  e  quindi
 facendole scrivere nel "processo verbale" redatto fuori udienza (art.
 316  c.p.c.  secondo  comma)  o ancora verbalmente e quindi facendole
 scrivere nel "processo verbale" redatto in prima  udienza  (art.  319
 c.p.c. primo comma).
   lnfatti,  come  l'attore  puo'  "proporre  la  sua domanda mediante
 citazione" o "verbalmente" (ma in tal caso "il  giudice  di  pace  fa
 redigere  processo  verbale"  -  art 316 c.p.c. secondo comma), cosi'
 anche il convenuto puo' a  sua  volta,  "proporre  le  sue  eventuali
 domande  riconvenzionali  nella  comparsa di risposta" o (in veste di
 attore in riconvenzione interessato alla interpretazione estensiva  a
 suo  favore  della citata norma) "verbalmente" fuori udienza (e anche
 in tal caso, come parita' fra le parti esige, "il giudice di pace  fa
 redigere processo verbale"):  la parte convenuta si costituira' cosi'
 "depositando  in  cancelleria"  (oltre  agli altri atti espressamente
 previsti dal primo comma dell'art.  319 c.p.c.) anche la "comparsa di
 risposta" o il "processo verbale", oppure "presentando" il tutto  "al
 giudice in udienza" (come per prassi normalmente accade).
   Ma  il  convenuto (come e' gia' stato piu' sopra ricordato) ha pure
 la facolta' di "costituirsi in udienza mediante la proposizione anche
 orale delle proprie difese e di  eventuali  domande  riconvenzionali"
 (cosi' testualmente codesta Corte).
   Comunque  sia,  le  domande  riconvenzionali  risulteranno sempre e
 necessariamente nel primo atto difensivo, chiamato di volta in  volta
 "comparsa  di  risposta" o "processo verbale" redatto fuori udienza o
 "processo verbale" di prima udienza: atti questi, tutti assolutamente
 congruenti (quantomeno ai fini della applicabilita'  della  decadenza
 di cui all'art. 167 c.p.c. secondo comma).
   Potra' anche accadere pero' che il convenuto (non "avvertito"), che
 non  abbia  proposto  le  eventuali domande riconvenzionali ne' nella
 "comparsa di risposta" ne' nel "processo verbale" ex art. 316  c.p.c.
 secondo  comma,  non  possa poi proporle neanche oralmente in udienza
 (quella "fissa" di cui all'art.  316  c.p.c.  primo  comma)  e  farle
 trascrivere   nel   relativo   "processo  verbale",  con  conseguente
 decadenza dal diritto di proporle successivamente.
   E  questo  accadra':  sia  nel  caso   in   cui,   "decorsa   l'ora
 dall'apertura   dell'udienza",   questa   sia  stata  chiusa  con  la
 "dichiarazione di (sua) contumacia fatta dal giudice di pace a  norma
 dell'art.  171,  ultimo comma, c.p.c." (art. 59 disp. att. c.p.c.), o
 per non essere il convenuto comparso o, pur comparso, per non essersi
 "formalmente" costituito (nei modi di cui all'art. 319  c.p.c.  primo
 comma), o ancora, pur comparso e pur avendo i "documenti" necessari e
 sufficienti  per  la  sua  costituzione,  non sia stato autorizzato a
 stare in giudizio di persona (art. 82 c.p.c. secondo comma); sia  nel
 caso  in  cui  la "udienza fissa" di cui al primo comma dell'art. 316
 c.p.c. non sia tenuta e nessuna delle  parti  si  sia  costituita  in
 cancelleria,  disponendo  l'art.  56  delle  disp. att. c.p.c. che la
 causa  e'  rinviata  d'ufficio  alla  prima  udienza  del  magistrato
 designato  "dopo la costituzione delle parti" e dovendo il giudice in
 tal caso "disporre la  cancellazione  della  causa  dal  ruolo,  come
 sancito dal primo comma dell'art. 171 e dal primo comma dell'art. 307
 c.p.c."  (cosi'  anche Cass. 96/11205).  Comunque sia, parita' fra le
 parti esige (anche nel procedimento davanti al giudice di pace)  che,
 come  l'attore  e' obbligato ovviamente a proporre la sua domanda nel
 suo  primo  atto  scritto  (non  importa   ovviamente   se   chiamato
 "citazione"  o  processo  verbale")  da  comunicare alla controparte,
 cosi' anche  il  convenuto  e'  obbligato  a  sua  volta  a  proporre
 tempestivamente  le  eventuali  domande riconvenzionali nel suo primo
 scritto (e anche qui non importa se chiamato "comparsa di risposta" o
 "processo verbale", redatto che sia fuori udienza o  anche  in  prima
 udienza),  su  cui  l'attore  venga  reso  in qualche modo edotto: se
 contumace,  mediante  notificazione  appunto   della   "comparsa   (o
 "processo verbale") contenente la domanda riconvenzionale" (art.  292
 c.p.c.,  richiamato dall'art. 311, anche se come modificato dall'art.
 316 c.p.c. secondo comma).
   E cosi', mentre nel rito  davanti  al  tribunale  e'  espressamente
 previsto   che  il  convenuto  deve  proporre  le  eventuali  domande
 riconvenzionali in un solo modo ed e' espressamente  avvertito  della
 decadenza  cui  va  incontro  se  non lo fa tempestivamente; nel rito
 davanti al giudice di pace invece, non essendovi previsioni espresse,
 il convenuto non e' espressamente avvertito, ne' della decadenza  cui
 va  incontro  se non si costituisce tempestivamente e non propone nel
 suo primo atto difensivo le eventuali domande riconvenzionali, ne' di
 quali rischi di decadenza corre a scegliere un modo piuttosto che  un
 altro di costituzione e proposizione della sua domanda, ne' del fatto
 che addirittura corre maggiori rischi di decadenza se sceglie il modo
 apparentemente meno informale.
   Come  si  vede  dunque, la mitizzata "massima semplificazione delle
 forme" e la decantata facolta' di "costituirsi in udienza mediante la
 proposizione anche orale delle proprie difese e di eventuali  domande
 riconvenzionali",  non  solo  sono  del tutto virtuali, ma sono anche
 oltremodo ingannevoli: in realta', la  domanda  riconvenzionale  deve
 sempre   essere   proposta   a   pena  di  decadenza,  dal  convenuto
 costituitosi tempestivamente, nel primo "atto difensivo"  (quale  che
 sia  il nome dato alla forma scritta che in ogni caso la proposizione
 viene necessariamente prima o dopo ad assumere), anche se presentato"
 oralmente "al giudice in udienza".
   Ma, anche a ritenere non convincente quanto sopra  evidenziato,  e'
 pur  sempre  da  considerare  che,  oltre  ai  principi  di  "massima
 semplificazione delle forme" e di  "incompatibilita'  del  regime  di
 preclusioni  e  decadenze  con  la struttura semplificata del rito in
 esame", codesta Corte ha di recente anche affermato (con sent.  18-23
 luglio  1997)  il "principio ispiratore della riforma che si richiama
 alla  immediatezza  e  alla  concentrazione  del   processo   e   che
 rappresenta  l'in  se' della novella", talche', "una volta che si sia
 definitivamente delineato il thema decidendum"  con  la  costituzione
 tempestiva   delle   parti,  non  sono  consentiti  "ampliamenti  che
 potrebbero pregiudicare la sollecita definizione del processo,  cosi'
 come voluta dal legislatore".
   E  non  e'  contestabile  che  "la  piena  attuazione dell'indicato
 principio di immediatezza e concentrazione"  e'  portato  addirittura
 alla  esasperazione dall'art. 320 c.p.c., per espressa previsione del
 quale peraltro il giudice  soltanto  "invita  le  parti  a  precisare
 definitivamente i fatti" (gia' prima esposti).
   Tanto  che c'e' chi ha gia' affermato, sia che "lo sbarramento" (di
 preclusioni e decadenze) predisposto  dal  legislatore  per  il  rito
 davanti al giudice di pace e' "piu rigoroso di quello previsto per il
 rito davanti al tribunale"; sia che "il regime preclusivo (davanti al
 giudice  di pace) ... appare (rectius: e') addirittura piu' severo di
 quello previsto per il processo davanti al tribunale";  sia  che  "il
 mito  della  concentrazione  processuale  e'  inseguito  al prezzo di
 inaccettabili compromessi della garanzia del contraddittorio".
   A questo punto, non  si  puo'  non  ravvisare  una  violazione  dei
 precetti  costituzionali di uguaglianza (art. 3 della Costituzione) e
 inviolabilita' del diritto  di  difesa  in  ogni  fase  e  grado  del
 procedimento  (art.   24 della Costituzione, secondo comma), e dunque
 chiedere   venga   emessa   sentenza   additiva   che   dichiari   la
 illegittimita'  costituzionale  del  primo comma dell'art. 319 c.p.c.
 nella parte in  cui  non  prevede  espressamente  che  il  convenuto,
 costituendosi  in  giudizio entro l'udienza di comparizione fissata a
 norma  dell'art.  316  c.p.c.  (anzi,  entro  "l'ora   dall'apertura"
 eventuale  della  stessa),  deve proporre a pena di decadenza nel suo
 primo atto difensivo le eventuali domande riconvenzionali.
    4. - Ma (come e' gia' stato evidenziato sopra nel n. 1) l'atto con
 il quale l'opponente a decreto ingiuntivo insorge contro  la  pretesa
 avversaria,   facendo   valere   le   sue   eccezioni  e  difese,  e'
 sostanzialmente una vera e propria risposta  alla  domanda  contenuta
 nel  ricorso:  con l'opposizione, solo apparentemente si invertono le
 posizioni processuali delle parti, giacche' attore  resta  sempre  il
 ricorrente e convenuto l'opponente.
   Ne  consegue  che l'opponente, "formalmente e sostanzialmente parte
 convenuta" (cosi' ancora da ultimo Cass. 95/393 in motivazione), deve
 proporre a pena di decadenza nell'opposizione  le  eventuali  domande
 riconvenzionali.
   E  questo  anche  perche',  soltanto  il  ricorrente-attore che sia
 convenuto in riconvenzione ha la facolta' di "costituirsi in  udienza
 mediante  la  proposizione  anche  orale  delle  proprie  difese e di
 eventuali domande riconvenzionali" (in reconventio reconventionis).
   Ne  consegue,   parallelamente   alla   dimostrata   illegittimita'
 dell'art.    319  c.p.c.  primo comma (nella parte in cui non prevede
 espressamente che il convenuto deve proporre a pena di decadenza  nel
 primo  atto  difensivo  le  eventuali  domande  riconvenzionali),  la
 illegittimita' costituzionale, sempre in riferimento agli art. 3 e 24
 della Costituzione, dell'art. 645 c.p.c.,  nella  parte  in  cui  non
 prevede  espressamente  che  l'opponente  deve  a  pena  di decadenza
 proporre   nell'atto   di   opposizione    le    eventuali    domande
 riconvenzionali.
   5.  -  A questo punto, non si puo' non ravvisare una violazione dei
 precetti costituzionali di uguaglianza (art. 3 della Costituzione)  e
 inviolabilita'  del  diritto  di  difesa  in  ogni  fase  e grado del
 procedimento (art.  24  della  Costituzione,  secondo  comma),  anche
 allorquando  il  convenuto  nel giudizio davanti al giudice di pace e
 l'opponente a decreto ingiuntivo, contrariamente  a  quanto  previsto
 per  il convenuto nel procedimento ordinario di cognizione introdotto
 con citazione davanti al tribunale, non siano avvertiti  che  debbono
 proporre  a  pena  di decadenza le eventuali domande riconvenzionali,
 rispettivamente, il primo costituendosi in giudizio  entro  l'udienza
 di  comparizione  fissata  a  norma dell'art. 316 c.p.c. (anzi, entro
 "l'ora dall'apertura" eventuale della stessa) e il secondo con l'atto
 di opposizione al decreto ingiuntivo.
   E' vero che codesta Corte (con sent. 22 aprile 1980 n.    61)  ebbe
 gia'   a   dichiarare   infondata   la   questione   di  legittimita'
 costituzionale degli  artt.  415  e  416,  nella  parte  in  cui  non
 prevedono  l'obbligo  di  portare  a conoscenza del convenuto, con la
 notificazione  dell'atto  introduttivo  del   giudizio   (ricorso   e
 decreto),  che  dieci giorni prima dell'udienza egli deve costituirsi
 mediante deposito in cancelleria  di  una  memoria  difensiva,  nella
 quale  devono  essere proposte a pena di decadenza anche le eventuali
 domande riconvenzionali; questo perche' (ad avviso di codesta  Corte)
 la  disapplicazione del principio della legale conoscenza della norma
 legislativa nulla ha a che vedere con il principio di  uguaglianza  e
 con la tutela del diritto di difesa".
   Ma e' altrettanto vero che questa motivazione ha perso ogni valenza
 di fronte alle espresse previsioni legislative analizzate sopra al n.
 3,  che  hanno  superato  (almeno  in  questo)  il  troppo  rigido  e
 formalistico concetto della presunzione della conoscenza della  legge
 e del principio dispositivo.
   Sanzionando  ora  (con  la  novella)  la mancanza dell'avvertimento
 addirittura con nullita'  rilevabile  d'ufficio,  il  legislatore  ha
 riconosciuto  evidentemente  l'opportunita' (ancor piu' pressante nel
 procedimento  davanti  al  giudice  di  pace  per  la  tutela   della
 effettivita'  del  diritto di difesa) che il convenuto e dunque anche
 l'opponente (normalmente privi ovviamente, anche se autorizzati dalla
 legge o dal giudice a stare in giudizio personalmente, di  cognizioni
 tecniche  sulle preclusioni collegate alla loro costituzione) vengano
 edotti con lo stesso atto introduttivo (ricorso e decreto) dell'onere
 di  proporre  tempestivamente  le  eventuali domande riconvenzionali:
 qui, con la piu' attenta dottrina, si puo' apprezzare che "il  monito
 generico,  la  facolta'  genericamente  sancita dal precetto astratto
 della  legge  viene   fatta   conoscere   direttamente   al   singolo
 interessato, per facilitargli la decisione della condotta da seguire,
 con naturale aumento di efficacia".
   D'altra  parte,  lo scopo e' lo stesso che il legislatore ha inteso
 perseguire con la prescrizione  che  nel  decreto  ingiuntivo  devono
 essere   contenuti   la   indicazione   del   termine  e  "l'espresso
 avvertimento", sia della proponibilita'  dell'opposizione  che  delle
 conseguenze della non proposizione di questa.
   Anche  qui  dunque  si  chiede che venga rimediata (ma con sentenza
 additiva vincolante) la  illegittimita'  costituzionale  delle  norme
 che, soprattutto nei processi nei quali l'assistenza legale e' sempre
 facoltativa,  non  impongono  espressamente  un  preciso  obbligo  di
 informazione e di istruzione alle parti: in  particolare,  si  chiede
 venga dichiarata la illegittimita' costituzionale, per violazione dei
 precetti  costituzionali di uguaglianza (art. 3 della Costituzione) e
 inviolabilita' del diritto  di  difesa  in  ogni  fase  e  grado  del
 procedimento  (art.  24  della Costituzione, secondo comma): dell'art
 318 c.p.c nella  parte  in  cui  non  prevede  espressamente  che  la
 domanda,  comunque  proposta,  deve contenere l'invito al convenuto a
 costituirsi   entro   l'udienza   indicata   (anzi,   entro    "l'ora
 dall'apertura"  eventuale  della  stessa),  con l'avvertimento che la
 costituzione oltre il  suddetto  termine  implica  la  decadenza  dal
 diritto  di  proporre le eventuali domande riconvenzionali; dei primi
 commi degli art. 638 e 641 c.p.c. nella parte in  cui  non  prevedono
 l'espresso  avvertimento  che  nell'atto di opposizione devono essere
 proposte a pena di decadenza le eventuali domande riconvenzionali.
                                P. Q. M.
   Visto l'art. 23 della legge il marzo 1953 n. 87;
   Solleva d'ufficio la questione di legittimita'  costituzionale,  in
 relazione  agli  artt.  3  e  24  della Costituzione: del primo comma
 dell'art. 319 c.p.c, nella parte in cui non prevede espressamente che
 il convenuto costituendosi deve, a pena di decadenza, proporre con il
 suo primo atto difensivo le eventuali  domande  riconvenzionali;  del
 primo  comma  dell'art  318  cp.c.  nella  parte  in  cui non prevede
 espressamente che la domanda, comunque proposta, deve contenere anche
 l'invito al convenuto a costituirsi entro l'udienza  indicata  (anzi,
 entro    "l'ora   dall'apertura"   eventuale   della   stessa),   con
 l'avvertimento che la costituzione oltre il suddetto termine  implica
 la   decadenza   dal   diritto   di  proporre  le  eventuali  domande
 riconvenzionali; del primo comma dell'art. 645 c.p.c: nella parte  in
 cui  non  prevede espressamente che l'opponente deve proporre, a pena
 di  decadenza,  nell'atto  di  opposizione   le   eventuali   domande
 riconvenzionali;  dei  primi commi degli artt. 638 e 641 c.p.c. nella
 parte in  cui  non  prevedono  l'avvertimento  che  l'opponente  deve
 proporre  a  pena  di decadenza nell'atto di opposizione le eventuali
 domande riconvenzionali;
   Sospende il procedimento ordinario in corso;
   Dispone  la  immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale;
   Ordina che a cura della cancelleria questa ordinanza sia notificata
 alle  parti  in  causa  e  al  Presidente del Consiglio dei Ministri,
 nonche' comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
   In Stradella, il giorno 10 novembre 1997
                      Il giudice di pace: Magaldi
 98C0018