N. 908 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 novembre 1997
N. 908 Ordinanza emessa il 3 novembre 1997 dal tribunale di Savona nel procedimento penale a carico di Mirgovi Antonio ed altri Processo penale - Dibattimento - Valutazione delle prove - Nuova normativa - Disciplina transitoria - Dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari da imputati in procedimento connesso di cui sia gia' stata data lettura - Utilizzabilita' di tali dichiarazioni posta la rilevanza al consenso espresso dalla difesa prima dell'entrata in vigore della novella - Irragionevolezza - Disparita' di trattamento rispetto agli imputati che, trovandosi nella stessa posizione processuale, si siano limitati a non opporsi - Violazione dei principi di legalita' e di obbligatorieta' dell'azione penale. Processo penale - Dibattimento - Valutazione delle prove - Nuova normativa - Disciplina transitoria - Esame di persona imputata in procedimento connesso - Esercizio della facolta' di non rispondere - Dichiarazioni gia' acquisite - Previsione di limiti alla valutazione come prove di tali dichiarazioni (attendibilita' confermata da altri elementi di riscontro) - Irragionevolezza - Incidenza sulla formazione del convincimento del giudice. Processo penale - Dibattimento - Lettura delle dichiarazioni rese dall'imputato nel corso delle indagini preliminari o nell'udienza preliminare - Irragionevole diversita' di regime a seconda che il coimputato sia giudicato contestualmente o separatamente. Processo penale - Dibattimento - Esame di persona imputata in procedimento connesso - Modifiche normative - Esercizio della facolta' di non rispondere - Lettura dei verbali contenenti le dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari gia' assunte prima della entrata in vigore della novella - Divieto di acquisizione - Irragionevolezza della preclusione comportante sottrazione al processo di materiale probatorio ritualmente assunto - Disparita' di trattamento tra imputati - Violazione del principio di obbligatorieta' dell'azione penale. Processo penale - Dibattimento - Esame di persona imputata in procedimento connesso - Esercizio della facolta' di non rispondere - Lettura dei verbali contenenti le dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari Preclusione per il giudice salvo l'accordo delle parti - Disparita' di trattamento tra imputati - Lesione del diritto di difesa. (Legge 7 agosto 1997, n. 267, art. 6, comma 2 e 5; c.p.p. 1988, art. 513, comma 2). (Cost., artt. 3, 25, 101 e 112).(GU n.3 del 21-1-1998 )
IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza decidendo sulla eccezione di legittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 2 e 5, legge 7 agosto 1997 in relazione al comma 2 e dell'art. 513 c.p.p. come modificato dalla suddetta legge, in riferimento agli artt. 3, 24, 27, 101, 112, 76, 77 della Costituzione. O s s e r v a 1. - All'udienza del 27 giugno 1996 il p.m. chiedeva l'acquisizione dei verbali delle dichiarazioni rese da Gaggero Paolo nella fase delle indagini preliminari che, citato a comparire per essere esaminato quale imputato di reato in procedimento connesso definito ex art. 444 c.p.p., si era avvalso della facolta' di non rispondere; il tribunale disponeva in conformita', senza che i difensori degli odierni imputati manifestassero esplicitamente consenso, a quel tempo non richiesto, all'acquisizione. Entrata in vigore la legge 7 agosto 1997, n. 267, all'udienza del 20 ottobre scorso il p.m. ha chiesto - ai sensi dell'art. 6, comma 2, legge n. 267/1997 - nuova citazione del Gaggero e di Gaddi Giusto, anch'egli imputato nel procedimento connesso, per entrambi definito separatamente con sentenza di applicazione di pena concordata. Essendosi sia l'uno che l'altro avvalsi della facolta' di non rispondere, il p.m. ha eccepito l'illegittimita' costituzionale della disciplina transitoria prevista dalla citata legge. Poiche' tuttavia del Gaddi non era stato in precedenza domandato l'esame e la richiesta di citazione del p.m. doveva intendersi come richiesta di esame ai sensi del nuovo testo dell'art. 513, comma 2 c.p.p., alla successiva udienza il p.m. ha chiesto l'acquisizione previa lettura delle dichiarazioni predibattimentali del Gaddi, e, avendovi i difensori degli imputati fatto opposizione, ha eccepito l'illegittimita' costituzionale anche del nuovo testo dell'art. 513, comma 2 c.p.p. 2. - Al fine di valutare la rilevanza e la non manifesta infondatezza delle eccezioni sollevate non puo' prescindersi dalla interpretazione delle norme censurate. 2.1. - Art. 6 legge n. 267/1997. Nell'intento di favorire l'instaurazione di un effettivo contraddittorio nel corso delle indagini preliminari dagli imputati nel medesimo procedimento o dagli imputati in procedimento connesso o collegato di cui, al momento della sua entrata in vigore, sia gia' stata disposta la lettura "nei confronti di altri" ma "senza il loro consenso" come consentiva di fare il testo previgente dell'art. 513 c.p.p. L'ambito di applicabilita' della norma transitoria, tanto per l'attivita' istruttoria che essa prevede, quanto per le conseguenze in termini di valutazione della prova disciplinate dal comma 5, e' ristretto ai casi in cui sia stata data lettura delle dichiarazioni di coimputato od imputato in procedimento connesso o probatoriamente collegato senza il consenso dell'imputato. Colui che non abbia consento alla lettura ha infatti la facolta' di provocare la rinnovazione dell'esame, mentre, ove tutti abbiano dato il loro consenso, le dichiarazioni acquisite sono pienamente utilizzabili e valutabili con i soli limiti posti dall'art. 192, commi 3 e 4 c.p.p. senza la necessita' di rinnovare l'atto istruttorio. Si deve ritenere pero' che il consenso alla lettura sia quello dato espressamente facendone istanza o associandosi alla richiesta di altri; a questo non e' equiparabile la condotta della parte che, interpellata, non abbia fatto opposizione alla lettura, ove si consideri che, essendo questa ammessa in forza della legge vigente, e non essendovi quindi legittima ragione di opposizione, la dichiarazione della parte di rimettersi alla decisione del giudice non puo' avere per essa effetto preclusivo dell'uso di strumenti processuali successivamente introdotti. Se dunque anche una sola delle parti, che non abbia in precedenza dato esplicito consenso alla lettura, manifesti, con la richiesta di citazione, l'interesse a un nuovo esame e questo non possa essere compiuto (o perche' il citato non si presenti o perche' si avvalga della facolta' di non rispondere), muta il regime di utilizzabilita' delle dichiarazioni gia' acquisite, che potranno essere valutate con i limiti posti dal comma 5 dell'art. 6. Questa norma non introduce una regola di ammissione o assunzione della prova - che presuppone gia' avvenute - ma fissa un criterio di valutazione dell'elemento di prova restringendo e puntualizzando i criteri e la portata dell'art. 192, commi 3 e 4 c.p.p. L'avv. Zanalda per gli imputati Chiocchetti e Ceresa ha sostenuto che i commi 2 e 5 dell'art. 6, legge n. 267/1997 sarebbero applicabili soltanto nelle ipotesi in cui il giudice, prima dell'entrata in vigore della legge, abbia dato lettura delle dichiarazioni di cui trattasi, per il che, nel caso di specie, il regime transitorio non sarebbe applicabile in quanto le dichiarazioni del Gaggero erano state acquisite al fascicolo per il dibattimento senza esser lette. L'assunto non appare condivisibile sol che si osservi che la lettura non e' l'unico strumento di allegazione di un atto al fascicolo per il dibattimento potendo il giudice, ai sensi del quinto comma dell'art. 511 c.p.p., indicare gli atti utilizzabili ai fini della decisione (a meno che - trattandosi di dichiarazioni - le parti non ne abbiano chiesto esplicitamente la lettura). Il provvedimento con il quale e' stata accolta la richiesta del p.m. di acquisizione dei verbali delle dichiarazioni rese dagli imputati in procedimento connesso ben puo' valere, non avendone le parti chiesto la lettura, come indicazione di atto utilizzabile ai fini della decisione posto che l'acquisizione implica appunto la precisa indicazione dell'atto da acquisire. Si puo' quindi affermare che l'acquisizione di un atto ne assorbe lettura e indicazione (sempre che la lettura non sia stata richiesta da una parte). In ogni caso l'omessa lettura o indicazione costituiscono mere irregolarita' non sanzionate da nullita' o inutilizzabilita' (Cass., sez. I, 10 gennaio 1994, n. 7456, Manitta e 10 febbraio 1994, n. 1723 Citraro). La norma transitoria e' dunque applicabile nel presente giudizio. 2.2. - L'art. 513 c.p.p. nuovo testo. L'art. 513 comma secondo nuovo testo subordina all'accordo di tutte le parti l'acquisizione delle dichiarazioni predibattimentali dell'imputato in procedimento connesso o probatoriamente collegato che si sia avvalso in dibattimento della facolta' di non rispondere. Contrariamente a quel che accade nella disciplina transitoria questa norma regola la fase dell'acquisizione della prova. La disciplina introdotta dalla legge n. 267/1997, se si considera l'insieme delle modifiche apportate al codice, si ispira alla finalita' di garantire con il massimo rigore che l'esame del coimputato o dell'imputato in procedimento connesso o probatoriamente collegato avvenga nel contraddittorio delle parti, mediante la tecnica dell'esame incrociato e con la partecipazione dei difensori degli imputati nei cui confronti la prova viene assunta. Le uniche vie che - secondo la nuova disciplina - garantiscono l'incondizionata utilizzabilita' di tali atti sono costituite dall'esame dibattimentale, dall'incidente probatorio cui partecipi il difensore dell'imputato e dall'assunzione delle infomazioni all'udienza preliminare, purche' anche questa avvenga nelle forme dell'esame incrociato. In tutti gli altri casi l'utilizzabilita' delle dichiarazioni e' in vario modo condizionata. 3. - Sulla rilevanza. E' opportuno premettere altresi' che per l'udienza del 27 giugno 1996 era stato citato ai sensi dell'art 210 c.p.p. De Vincenzo Raffaele - anch'egli imputato in procedimento connesso, nei cui confronti era stata emessa sentenza di non luogo procedere ai sensi dell'art. 425 c.p.p. - e che, essendosi questi avvalso della facolta' di non rispondere, le sue dichiarazioni predibattimentali erano state acquisite su istanza del p.m. Poiche' nessuna delle parti ne ha chiesto la citazione ai sensi dell'art. 6, comma secondo, legge n. 267/1997 e le sue dichiarazioni erano state legittimamente acquisite, esse - alla stregua di quel che si e' detto - sono valutabili senza le limitazioni previste dal comma 5 dell'art. 6. Secondo il tenore letterale della norma e la ratio della stessa, ravvisabile nell'intento di favorire l'effettiva instaurazione del contraddittorio senza tuttavia disperdere il materiale probatorio legittimamente acquisito - mentre le dichiarazioni del De Vincenzo, se ritenute intrinsecamente attendibili, potrebbero trovare riscontro in quelle del Gaggero (che avessero - a loro volta - positivamente superato il giudizio di intrinseca attendibilita'), queste ultime viceversa - in virtu' dell'applicazione della disciplina transitoria - non potrebbero trovarlo in quelle del De Vincenzo. La questione di costituzionalita' proposta con riferimento alla normativa transitoria, pur attenendo non all'assunzione di un elemento di prova, ma alla valutazione di esso nella fase decisionale, assume rilevanza immediata perche' strumentale alla decisione finale, senza che incida su tale giudizio la possibilita' che le dichiarazioni di cui trattasi trovino altri riscontri, anche perche' la lesione dei diritti delle parti puo' derivare da decisioni intermedie in fasi e su atti strumentali al momento decisorio, il cui compimento, sulla base di leggi incostituzionali, puo' causare un pregiudizio al momento della definizione del processo. Parimenti e' rilevante la questione di costituzionalita' dell'art. 513, comma 2, legge n. 267/1997 perche' l'opposizione dei difensori degli imputati impedisce l'acquisizione delle dichiarazioni del Gaddi. 4. - Sulla non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' dell'art. 6, commi 2 e 5, legge n. 267/1997. a) Violazione degli artt. 3, 25, 101 e 112 della Costituzione nella parte in cui attribuisce rilevanza al consenso espresso dalla difesa ai fini della valutazione della prova - consistente in dichiarazioni rese da coimputati e da imputati o indagati in procedimento connesso o probatoriamente collegato di cui sia stata data lettura ai sensi dell'art 513 c.p.p. previgente. La norma appare in contrasto con il principio di eguaglianza, di legalita', di obbligatorieta' e coerenza logica della motivazione e di obbligatorieta' dell'azione penale. Un sistema processuale accusatorio, qual e' quello delineato dal nostro codice di rito, si caratterizza per la normale introduzione della prova su istanza di parte, e risponde, com'e' noto, all'esigenza di salvaguardare l'imparzialita' del giudicante da quei preconcetti che si formano in capo a colui che oltre a valutare la prova e' anche tenuto a cercarla. Ma il principio accusatorio e' cosa diversa dal principio dispositivo che caratterizza il processo civile e che in tanto si giustifica ed opera in quanto costituisce il riflesso della disponibilita' della pretesa sostanziale e conseguentemente condiziona non solo l'acquisizione ma anche la valutazione della prova. Il principio di eguaglianza e il principio di legalita' in materia penale, da cui discende l'indisponibilita' pubblica e privata della pretesa punitiva dello stato, il principio della obbligatorieta' dell'azione penale e la regola dell'obbligo di motivazione delle sentenze (con il corollario della necessaria coerenza intrinseca tra premesse e conclusioni) conducono a ritenere incompatibile con l'ordinamento costituzionale un'interferenza tra volonta' delle parti del processo e valutazione della prova, che potrebbe costringere il giudice a pervenire ad una pronuncia irragionevolmente discriminatrice e contraddittoria, che si fondi non solo sulla valutazione razionale degli elementi legittimamente acquisiti, ma anche sulla volonta' insindacabile delle parti processuali. Macroscopica sarebbe la violazione del principio di eguaglianza nel caso in cui il giudice, essendo obbligato a valutare diversamente le dichiarazioni acquisite ai sensi dell'art. 513 c.p.p. in relazione a ciascun imputato, pervenisse ad una sentenza di condanna nei confronti di quegli imputati i cui difensori, prima dell'entrata in vigore della novella, avessero consentito espressamente alla lettura, e di assoluzione nei confronti di altri imputati, che, trovandosi nell'identica posizione processuale, si fossero limitati a non opporsi. Ma la violazione del principio di eguaglianza si pone anche a prescindere dalla coesistenza nel medesimo processo di posizioni processuali identiche soggette a diversi regimi di valutazione della prova. E' infatti comunque irragionevole, con riguardo all'obbiettivo perseguito dalla norma penale e dalla norma processuale ad essa strumentale, che e', e non puo' non essere, l'accertamento della verita' sostanziale (o materiale o reale che sia) e la sanzione di tutti gli illeciti penali accertati, l'esistenza di una norma che condizioni la valutazione della prova legittimamente acquisita al consenso manifestato dalla difesa in tempo anteriore alla novella, che sotto nessun profilo puo' dirsi strumentale ad una migliore ponderazione dei dati raccolti. b) Intrinseca irrazionalita' dell'art 6, comma 5, legge n. 267/1997 nella parte in cui vieta di valutare le dichiarazioni acquisite ai sensi del testo previgente dell'art 513 c.p.p.: art. 3, 101 comma secondo, 111 comma primo della Costituzione. La norma in esame, al pari di tutte le norme che comprimono un potere e' manifestazione di sospetto nei confronti degli organi che sono chiamati a raccogliere, prima, ed a valutare, poi, le dichiarazioni del coimputato o dell'imputato in procedimento connesso o collegato. L'interprete naturalmente non puo' dolersi di tale sfiducia, essendo, secondo il pensiero liberale, il pessimismo circa l'operato di coloro che esercitano un potere pubblico il fondamento di ogni garanzia costituzionale a tutela dei diritti individuali. Ci si deve pero' domandare se la restrizione alla valutazione della prova sia coerente con i principi costituzionali in materia di processo penale e giurisdizione e se non conduca ad irragionevoli disparita' di trattamento. E' noto che le dichiarazioni predibattimentali delle persone indicate nell'art. 513 c.p.p., superato il vaglio preliminare di attendibilita' intrinseca (genuinita', logica interna del racconto, precisione, completezza, disinteresse, autonomia) costituisce elemento di prova da sottoporre a vaglio e verifica sulla base di elementi estrinseci di conferma, ai sensi dell'art. 192, comma terzo, c.p.p. Secondo consolidata giurisprudenza di legittimita', tali ultimi elementi, purche' di fonte diversa rispetto alla dichiarazione che devono riscontrare, possono essere di qualsiasi specie e natura, non devono essi stessi costituire piena prova del fatto (che' altrimenti inutile a tal fine sarebbe la dichiarazione da riscontrare) e possono consistere in altre chiamate in correita' alla tassativa condizione che queste pure abbiano positivamente superato il giudizio di intrinseca attendibilita' e siano tra loro autonome. Sembra corretto ritenere che le dichiarazioni delle persone indicate nell'art. 513 c.p.p., se intrinsecamente attendibili, assumano un valore probatorio intrinseco maggiore dell'elemento di riscontro, al punto che la stessa norma censurata, nell'affermarne l'idoneita' a costituire prova del fatto affermato, se confortate da riscontri di natura diversa, conferma che esse costituiscono il dato principale del procedimento valutativo che porta alla prova, rispetto al quale l'elemento di riscontro e' necessario ma accessorio, come si desume dal comma 3 dell'art. 192 c.p.p. Orbene, posto il principio, desumibile dagli art. 3, 101 comma 2 e 111 della Costituzione, che la decisione del processo deve essere il risultato del razionale e motivato convincimento del giudice, non possono introdursi norme che impongano irrazionalmente al giudice di contraddire la propria motivata convinzione nel contesto della stessa decisione (v. Corte cost. 3 giugno 1992, n. 255). La norma transitoria, invece, mentre consente l'utilizzazione a fini di prova delle dichiarazioni precedentemente rese dalle persone indicate dall'art. 513 se la loro intrinseca attendibilita' e' riscontrata anche soltanto da altri elementi di natura logica, vieta al giudice di utilizzare come riscontro dichiarazioni della stessa natura provenienti da persone diverse delle quali abbia riconosciuto l'attendibilita' e l'autonomia rispetto a quella da riscontrare, cosi' imponendogli di contraddire la propria motivata convinzione nel contesto della medesima decisione. La scelta del legislatore appare irragionevole - in quanto se fosse stata motivata dal rischio di inquinamento reciproco delle dichiarazioni o da manovre illecite degli inquirenti se ne sarebbe dovuto cancellare il valore probatorio (non e' mancata nella storia del nostro diritto processuale penale una norma, l'art. 348 c.p.p. 1930, che a tal punto svalutava le dichiarazioni provenienti da imputati in procedimento connesso, da non prevederne neppure - fino alla riforma che introdusse l'art. 348-bis nell'anno 1977 - la possibilita' di citazione per il dibattimento). Renderne disponibile l'utilizzazione e' scelta contraddittoria perche' in tanto il giudice esamina l'esistenza di riscontri in quanto abbia gia' risolto positivamente il giudizio di attendibilita' e ogni qual volta l'esistenza di un fatto rilevante puo' essere desunta dalla convergenza di dichiarazioni affidabili, i giudice - cui sia vietato di ritenere provato il fatto - e' posto dalla norma censurata nelle condizioni di dover contraddire il proprio motivato convincimento. c) Disparita' di trattamento tra imputati: art. 3 della Costituzione. Appare ingiustificata la diversita' di trattamento tra chi e' raggiunto da piu' chiamate in correita' convergenti, acquisite ex art. 513 e chi lo e' soltanto, o anche, da dichiarazioni acquisite ex art. 503 c.p.p. per avere il dichiarante rifiutato di rispondere soltanto a singole domande o, ancora, da dichiarazioni predibattimentali acquisite ex art. 512 c.p.p. Si puo' discutere se l'esercizio della facolta' di non rispondere in dibattimento possa o no configurare un fatto imprevedibile, ma cio' che rileva in questo momento e' che dichiarazioni predibattimentali di persone che sarebbero state chiamate al dibattimento ai sensi dell'art. 513 c.p.p. devono essere valutate diversamente, benche' tutte assunte nelle indagini preliminari, per esempio dal p.m., senza l'assistenza del difensore del chiamato in correita', e con i rischi di inquinamento reciproco e di quelle manovre che si pretenderebbe di neutralizzare con la nuova disciplina. Questa in realta', non e' in grado di farlo in quanto - ove per ipotesi sussistessero tali manovre - si limita ad escludere il ricorso a criteri di valutazione e incrementa solo apparentemente il contraddittorio, dal momento che e' ben difficile che chi ha fatto, per qualunque motivo, la scelta di non rispondere possa rivederla per effetto della richiesta di un nuovo esame. 5. - Sulla non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' dell'art. 513, comma 2 c.p.p. nel testo novellato dalla legge n. 267/1997. a) violazione dell'art. 3 della Costituzione nella parte in cui prevede un diverso regime di lettura e conseguente utilizzabilita' delle dichiarazioni del coimputato a seconda che questi sia giudicato contestualmente o separatamente. Se entrambi i primi due commi dell'art. 513 c.p.p. non sembrano sfuggire a censure di incostituzionalita', con riguardo al comma 1 la questione non ha rilevanza nel presente processo. In ogni caso, la coesistenza di due regimi di lettura ed utilizzazione introduce un'irragionevole disparita' di trattamento tra imputati in reati connesssi o collegati probatoriamente, a seconda che essi siano giudicati insieme al dichiarante o separatamente, per motivi, indicati dagli artt. 17 e 18 c.p.p., che sono orientati all'economia del processo non funzionali all'accertamento della verita'. In proposito si puo' richiamare integralmente la motivazione della sentenza della Corte costituzionale n. 254 del 1992 (e le ragioni confermate nella sentenza n. 60 del 1995), essendo il caso pressoche' identico. b) Violazione degli artt. 3, 112 della Costituzione nella parte in cui non consente la lettura di dichiarazioni rese al p.m., alla p.g. delegata o al g.i.p. nella fase delle indagini ovvero al g.u.p. senza le forme degli art. 498 e 499 c.p.p. da persone indagate o imputate in procedimento connesso o probatoriamente collegato che si siano avvalse della facolta' di non rispondere nel caso che le dichiarazioni siano state assunte prima dell'entrata in vigore della novella. E' evidente che il legislatore ha perseguito il fine di favorire il ricorso all'incidente probatorio come metodo normale di assunzione di questo genere di prova, ritenendo che solo l'esame incrociato garantisca appieno il diritto di difesa ed ha inteso sanzionare, con l'inutilizzabilita' dibattimentale, la prova non formata secondo i canoni della cross examination e con la partecipazione del difensore. Senonche' altro e' porre la sanzione dell'inutilizzabilita' come conseguenza della violazione di una garanzia difensiva, come dispone l'art. 63, comma 2 c.p.p., secondo l'orientamento interpretativo letterale e piu' garantista, altro e' ricollegare una tale sanzione ad un comportamento dell'inquirente che non aveva, al momento del suo compimento, alternative, non essendo, prima dell'entrata in vigore della novella, consentito dal codice, nella fattispecie, il ricorso all'incidente probatorio. Se nel primo caso la sanzione e' funzionale ad una corretta acquisizione della prova e persegue finalita' di tutela dei diritti dell'imputato, anche a prezzo della perdita di frammenti di verita', nel secondo caso la sanzione si traduce in una pura e semplice sottrazione al processo di materiale probatorio ritualmente assunto, di cui e' divenuta impossibile la ripetizione, per l'esercizio di una facolta' legittima del dichiarante. Se anche dovesse considerarsi come prevedibile la irripetibilita' della dichiarazione del correo, essendo questi sempre libero di avvalersi della facolta' di non rispondere, e' evidente che una tale distinzione non aveva alcun senso prima della legge di riforma, allorche' ai soggetti del processo non era consentito - in tale caso - il ricorso a modalita' di assunzione della prova finalizzate a non disperderne il contenuto. Se le considerazioni che precedono sono corrette, la norma cosi' formulata conduce ad irragionevoli disparita' di trattamento tra imputati che si trovino attinti da chiamate in correita' la cui irripetibilita' dipenda da cause diverse dall'esercizio in dibattimento della facolta' di non rispondere e imputati accusati da chiamate in correita' di soggetti che se ne sono avvalsi in dibattimento. Ma la norma in esame contrasta anche con l'art. 112 della Costituzione nella misura in cui, il p.m., obbligato a svolgere indagini e ad assicurare al dibattimento le prove che potrebbero essere disperse, si trova nelle condizioni di non poter utilizzare - per effetto della irripetibilita' dell'atto, a seguito dell'esercizio di una facolta' legittima del dichiarante - la prova raccolta e di non poterne piu' chiedere l'assunzione con modalita' tali da impedirne la dispersione. Il meccanismo introdotto dalla riforma, mentre non rafforza il diritto di difesa, rimette ad una scelta libera di persona estranea al processo l'acquisizione di una prova. c) Violazione degli artt. 3, 24 della Costituzione nella parte in cui la norma subordina l'acquisizione delle dichiarazioni al consenso di tutte le parti. Se e' corretta l'interpretazione che si e' data alla norma, appare palese che attribuire alle parti, non il diritto di introdurre la prova nel processo, ma di vietarne l'acquisizione, puo' condurre a conseguenze inammissibili ed incoerenti con gli stessi principi del processo accusatorio, dove l'iniziativa di parte e' mezzo per ampliare, mai per restringere la conoscenza del giudice. Non e' difficile immaginare esempi paradossali in cui, se non il p.m., portatore di un interesse pubblico all'accertamento della verita' sostanziale, la p.c., portatrice di un interesse privato, si opponga alla lettura richiesta da un imputato, con la conseguenza di impedire l'acquisizione di dichiarazioni in tutto o in parte a lui favorevoli. Ma puo' anche accadere, in un processo con piu' imputati, che uno di essi, perseguendo una propria strategia difensiva, si opponga alla lettura che scagionerebbe altri. Non solo gli interessi di cui sono portatori il p.m. o la p.c. potrebbero essere ingiustamente sacrificati per l'impossibilita' di dare lettura di un atto, ma la stessa difesa - che potrebbe non essere stata nemmeno in condizione di domandare l'incidente probatorio ai sensi del nuovo art. 392-bis al tempo in cui il dichiarante e' stato sentito - finirebbe incolpevolmente per subire le conseguenze negative della novella essendo spogliata del diritto di difendersi provando. 6. - Non si pongono problemi di violazione della legge-delega per l'emanazione del codice di procedura penale 1988, perche' le leggi di modifica di un decreto legislativo delegato non devono soggiacere ai principi e criteri direttivi indicati dal delegante.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 6, commi 2 e 5 della legge 7 agosto 1997, n. 267 per violazione degli. artt. 3, 25, 101 e 112 della Costituzione e dell'art. 513, comma 2 c.p.p., per violazione degli artt. 3, 25, 101, 112 della Costituzione nei termini di cui in motivazione; Sospende il processo in corso; Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che a cura della cancelleria copia della presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Savona, addi' 3 novembre 1997 Il presidente: (firma illeggibile) 98C0027