N. 908 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 novembre 1997

                                N. 908
  Ordinanza  emessa  il  3  novembre  1997 dal tribunale di Savona nel
 procedimento penale a carico di Mirgovi Antonio ed altri
 Processo penale - Dibattimento -  Valutazione  delle  prove  -  Nuova
    normativa  - Disciplina transitoria - Dichiarazioni rese nel corso
    delle indagini preliminari da imputati in procedimento connesso di
    cui  sia  gia'  stata  data  lettura  -  Utilizzabilita'  di  tali
    dichiarazioni posta la rilevanza al consenso espresso dalla difesa
    prima  dell'entrata  in  vigore della novella - Irragionevolezza -
    Disparita' di trattamento rispetto agli imputati  che,  trovandosi
    nella  stessa  posizione  processuale,  si  siano  limitati  a non
    opporsi   -   Violazione   dei   principi   di   legalita'   e  di
    obbligatorieta' dell'azione penale.
 Processo penale - Dibattimento -  Valutazione  delle  prove  -  Nuova
    normativa  - Disciplina transitoria - Esame di persona imputata in
    procedimento connesso - Esercizio della facolta' di non rispondere
    -  Dichiarazioni  gia'  acquisite  -  Previsione  di  limiti  alla
    valutazione  come  prove  di  tali  dichiarazioni  (attendibilita'
    confermata da altri elementi di riscontro)  -  Irragionevolezza  -
    Incidenza sulla formazione del convincimento del giudice.
 Processo  penale  -  Dibattimento  - Lettura delle dichiarazioni rese
    dall'imputato nel corso delle indagini preliminari o  nell'udienza
    preliminare  - Irragionevole diversita' di regime a seconda che il
    coimputato sia giudicato contestualmente o separatamente.
 Processo penale  -  Dibattimento  -  Esame  di  persona  imputata  in
    procedimento  connesso  -  Modifiche  normative  - Esercizio della
    facolta' di non rispondere - Lettura  dei  verbali  contenenti  le
    dichiarazioni  rese  nel  corso  delle  indagini  preliminari gia'
    assunte prima della entrata in vigore della novella -  Divieto  di
    acquisizione  -  Irragionevolezza  della  preclusione  comportante
    sottrazione  al  processo  di  materiale  probatorio   ritualmente
    assunto  - Disparita' di trattamento tra imputati - Violazione del
    principio di obbligatorieta' dell'azione penale.
 Processo penale  -  Dibattimento  -  Esame  di  persona  imputata  in
    procedimento connesso - Esercizio della facolta' di non rispondere
    -  Lettura  dei verbali contenenti le dichiarazioni rese nel corso
    delle  indagini  preliminari  Preclusione  per  il  giudice  salvo
    l'accordo  delle  parti - Disparita' di trattamento tra imputati -
    Lesione del diritto di difesa.
 (Legge 7 agosto 1997, n. 267, art. 6, comma 2 e 5; c.p.p. 1988,  art.
    513, comma 2).
 (Cost., artt. 3, 25, 101 e 112).
(GU n.3 del 21-1-1998 )
                             IL TRIBUNALE
   Ha  emesso  la  seguente  ordinanza  decidendo  sulla  eccezione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 2 e 5, legge 7  agosto
 1997  in  relazione al comma 2 e dell'art. 513 c.p.p. come modificato
 dalla suddetta legge, in riferimento agli artt. 3, 24, 27, 101,  112,
 76, 77 della Costituzione.
                             O s s e r v a
   1. - All'udienza del 27 giugno 1996 il p.m. chiedeva l'acquisizione
 dei  verbali  delle  dichiarazioni  rese  da Gaggero Paolo nella fase
 delle  indagini  preliminari  che,  citato  a  comparire  per  essere
 esaminato  quale  imputato di reato in procedimento connesso definito
 ex art.  444 c.p.p., si era avvalso della facolta' di non rispondere;
 il tribunale disponeva in conformita', senza che  i  difensori  degli
 odierni imputati manifestassero esplicitamente consenso, a quel tempo
 non richiesto, all'acquisizione.
   Entrata  in  vigore la legge 7 agosto 1997, n. 267, all'udienza del
 20 ottobre scorso il p.m. ha chiesto - ai sensi dell'art. 6, comma 2,
 legge n. 267/1997 - nuova citazione del Gaggero e  di  Gaddi  Giusto,
 anch'egli  imputato  nel procedimento connesso, per entrambi definito
 separatamente con sentenza di applicazione di pena concordata.
   Essendosi sia l'uno che  l'altro  avvalsi  della  facolta'  di  non
 rispondere, il p.m. ha eccepito l'illegittimita' costituzionale della
 disciplina  transitoria prevista dalla citata legge. Poiche' tuttavia
 del Gaddi  non  era  stato  in  precedenza  domandato  l'esame  e  la
 richiesta  di  citazione del p.m. doveva intendersi come richiesta di
 esame ai sensi del nuovo testo dell'art. 513, comma  2  c.p.p.,  alla
 successiva  udienza il p.m.  ha chiesto l'acquisizione previa lettura
 delle  dichiarazioni  predibattimentali  del  Gaddi,  e,  avendovi  i
 difensori    degli    imputati   fatto   opposizione,   ha   eccepito
 l'illegittimita' costituzionale anche del nuovo testo dell'art.  513,
 comma 2 c.p.p.
   2.  -  Al  fine  di  valutare  la  rilevanza  e  la  non  manifesta
 infondatezza delle eccezioni sollevate non  puo'  prescindersi  dalla
 interpretazione delle norme censurate.
   2.1. - Art. 6 legge n. 267/1997.
   Nell'intento   di   favorire   l'instaurazione   di   un  effettivo
 contraddittorio nel corso delle indagini preliminari  dagli  imputati
 nel medesimo procedimento o dagli imputati in procedimento connesso o
 collegato  di  cui,  al momento della sua entrata in vigore, sia gia'
 stata disposta la lettura "nei confronti di altri" ma "senza il  loro
 consenso"  come  consentiva di fare il testo previgente dell'art. 513
 c.p.p.
   L'ambito di  applicabilita'  della  norma  transitoria,  tanto  per
 l'attivita'  istruttoria  che essa prevede, quanto per le conseguenze
 in termini di valutazione della prova disciplinate dal  comma  5,  e'
 ristretto  ai  casi in cui sia stata data lettura delle dichiarazioni
 di coimputato od imputato in procedimento connesso o  probatoriamente
 collegato  senza  il  consenso  dell'imputato.  Colui  che  non abbia
 consento  alla  lettura  ha  infatti  la  facolta'  di  provocare  la
 rinnovazione  dell'esame,  mentre,  ove  tutti  abbiano  dato il loro
 consenso, le dichiarazioni acquisite sono pienamente  utilizzabili  e
 valutabili  con i soli limiti posti dall'art. 192, commi 3 e 4 c.p.p.
 senza la necessita' di rinnovare l'atto istruttorio.
   Si deve ritenere pero' che il consenso alla lettura sia quello dato
 espressamente facendone istanza  o  associandosi  alla  richiesta  di
 altri;  a  questo  non  e'  equiparabile la condotta della parte che,
 interpellata, non  abbia  fatto  opposizione  alla  lettura,  ove  si
 consideri che, essendo questa ammessa in forza della legge vigente, e
 non   essendovi   quindi   legittima   ragione   di  opposizione,  la
 dichiarazione della parte di rimettersi alla  decisione  del  giudice
 non  puo'  avere  per  essa  effetto preclusivo dell'uso di strumenti
 processuali successivamente introdotti.
   Se dunque anche una sola delle parti, che non abbia  in  precedenza
 dato  esplicito consenso alla lettura, manifesti, con la richiesta di
 citazione, l'interesse a un nuovo esame e  questo  non  possa  essere
 compiuto  (o  perche'  il citato non si presenti o perche' si avvalga
 della facolta' di non rispondere), muta il regime di  utilizzabilita'
 delle  dichiarazioni gia' acquisite, che potranno essere valutate con
 i limiti posti dal comma 5 dell'art. 6. Questa  norma  non  introduce
 una  regola  di  ammissione o assunzione della prova - che presuppone
 gia' avvenute - ma fissa un criterio di valutazione dell'elemento  di
 prova  restringendo e puntualizzando i criteri e la portata dell'art.
 192, commi 3 e 4 c.p.p.
   L'avv. Zanalda per gli imputati Chiocchetti e Ceresa  ha  sostenuto
 che  i  commi  2  e  5  dell'art.  6,  legge    n. 267/1997 sarebbero
 applicabili  soltanto  nelle  ipotesi  in  cui  il   giudice,   prima
 dell'entrata   in  vigore  della  legge,  abbia  dato  lettura  delle
 dichiarazioni  di  cui  trattasi,  per il che, nel caso di specie, il
 regime transitorio non sarebbe applicabile in quanto le dichiarazioni
 del Gaggero erano state acquisite al fascicolo  per  il  dibattimento
 senza esser lette.
   L'assunto  non  appare  condivisibile  sol  che  si  osservi che la
 lettura non e'  l'unico  strumento  di  allegazione  di  un  atto  al
 fascicolo per il dibattimento potendo il giudice, ai sensi del quinto
 comma  dell'art.   511 c.p.p., indicare gli atti utilizzabili ai fini
 della decisione (a meno che - trattandosi di dichiarazioni - le parti
 non ne abbiano chiesto esplicitamente la lettura).  Il  provvedimento
 con  il  quale e' stata accolta la richiesta del p.m. di acquisizione
 dei verbali delle dichiarazioni rese dagli imputati  in  procedimento
 connesso  ben  puo' valere, non avendone le parti chiesto la lettura,
 come indicazione di atto utilizzabile ai fini della  decisione  posto
 che  l'acquisizione  implica appunto la precisa indicazione dell'atto
 da acquisire. Si puo' quindi affermare che l'acquisizione di un  atto
 ne assorbe lettura e indicazione (sempre che la lettura non sia stata
 richiesta  da una parte). In ogni caso l'omessa lettura o indicazione
 costituiscono  mere  irregolarita'  non  sanzionate  da  nullita'   o
 inutilizzabilita' (Cass., sez. I, 10 gennaio 1994, n. 7456, Manitta e
 10 febbraio 1994, n. 1723 Citraro).
   La norma transitoria e' dunque applicabile nel presente giudizio.
   2.2. - L'art. 513 c.p.p. nuovo testo.
   L'art. 513 comma secondo nuovo testo subordina all'accordo di tutte
 le   parti   l'acquisizione   delle  dichiarazioni  predibattimentali
 dell'imputato in procedimento connesso  o  probatoriamente  collegato
 che  si sia avvalso in dibattimento della facolta' di non rispondere.
 Contrariamente a quel che accade nella disciplina transitoria  questa
 norma regola la fase dell'acquisizione della prova.
   La  disciplina  introdotta dalla legge n. 267/1997, se si considera
 l'insieme  delle  modifiche  apportate  al  codice,  si  ispira  alla
 finalita'  di  garantire  con  il  massimo  rigore  che  l'esame  del
 coimputato o dell'imputato in procedimento connesso o probatoriamente
 collegato  avvenga  nel  contraddittorio  delle  parti,  mediante  la
 tecnica  dell'esame  incrociato e con la partecipazione dei difensori
 degli imputati nei cui confronti la prova viene assunta.
   Le uniche vie che - secondo  la  nuova  disciplina  -  garantiscono
 l'incondizionata   utilizzabilita'   di  tali  atti  sono  costituite
 dall'esame dibattimentale, dall'incidente probatorio cui partecipi il
 difensore   dell'imputato   e   dall'assunzione   delle   infomazioni
 all'udienza  preliminare,  purche'  anche  questa avvenga nelle forme
 dell'esame incrociato. In  tutti  gli  altri  casi  l'utilizzabilita'
 delle dichiarazioni e' in vario modo condizionata.
   3. - Sulla rilevanza.
   E'  opportuno  premettere  altresi' che per l'udienza del 27 giugno
 1996 era stato citato  ai  sensi  dell'art  210  c.p.p.  De  Vincenzo
 Raffaele  -  anch'egli  imputato  in  procedimento  connesso, nei cui
 confronti era stata emessa sentenza di non luogo procedere  ai  sensi
 dell'art.    425  c.p.p.  -  e  che,  essendosi  questi avvalso della
 facolta' di non rispondere, le  sue  dichiarazioni  predibattimentali
 erano state acquisite su istanza del p.m. Poiche' nessuna delle parti
 ne ha chiesto la citazione ai sensi dell'art. 6, comma secondo, legge
 n.  267/1997  e  le  sue  dichiarazioni  erano  state  legittimamente
 acquisite,  esse  -  alla  stregua  di  quel  che  si e' detto - sono
 valutabili senza le limitazioni previste dal comma 5 dell'art. 6.
   Secondo il tenore letterale della norma e la  ratio  della  stessa,
 ravvisabile  nell'intento  di  favorire l'effettiva instaurazione del
 contraddittorio senza tuttavia  disperdere  il  materiale  probatorio
 legittimamente  acquisito  - mentre le dichiarazioni del De Vincenzo,
 se ritenute intrinsecamente attendibili, potrebbero trovare riscontro
 in quelle del Gaggero (che avessero - a loro  volta  -  positivamente
 superato  il  giudizio  di  intrinseca attendibilita'), queste ultime
 viceversa - in virtu' dell'applicazione della disciplina  transitoria
 - non potrebbero trovarlo in quelle del De Vincenzo.
   La  questione  di  costituzionalita'  proposta con riferimento alla
 normativa  transitoria,  pur  attenendo  non  all'assunzione  di   un
 elemento   di   prova,   ma  alla  valutazione  di  esso  nella  fase
 decisionale, assume  rilevanza  immediata  perche'  strumentale  alla
 decisione  finale,  senza che incida su tale giudizio la possibilita'
 che le dichiarazioni di cui trattasi trovino altri  riscontri,  anche
 perche' la lesione dei diritti delle parti puo' derivare da decisioni
 intermedie in fasi e su atti strumentali al momento decisorio, il cui
 compimento,  sulla  base  di  leggi incostituzionali, puo' causare un
 pregiudizio al momento della definizione del processo.
   Parimenti e' rilevante la questione di costituzionalita'  dell'art.
 513,  comma  2, legge n. 267/1997 perche' l'opposizione dei difensori
 degli  imputati  impedisce  l'acquisizione  delle  dichiarazioni  del
 Gaddi.
   4.   -   Sulla   non  manifesta  infondatezza  della  questione  di
 costituzionalita' dell'art. 6, commi 2 e 5, legge  n. 267/1997.
   a) Violazione degli artt. 3, 25, 101 e 112 della Costituzione nella
 parte in cui attribuisce rilevanza al consenso espresso dalla  difesa
 ai  fini della valutazione della prova - consistente in dichiarazioni
 rese da coimputati e da imputati o indagati in procedimento  connesso
 o  probatoriamente  collegato  di cui sia stata data lettura ai sensi
 dell'art 513 c.p.p. previgente.
   La norma appare in contrasto con il principio  di  eguaglianza,  di
 legalita',  di  obbligatorieta' e coerenza logica della motivazione e
 di obbligatorieta' dell'azione penale.
   Un sistema processuale accusatorio, qual e'  quello  delineato  dal
 nostro  codice  di  rito, si caratterizza per la normale introduzione
 della  prova  su  istanza  di  parte,  e   risponde,   com'e'   noto,
 all'esigenza  di salvaguardare l'imparzialita' del giudicante da quei
 preconcetti che si formano in capo a colui che oltre  a  valutare  la
 prova e' anche tenuto a cercarla. Ma il principio accusatorio e' cosa
 diversa dal principio dispositivo che caratterizza il processo civile
 e  che  in  tanto  si  giustifica  ed  opera in quanto costituisce il
 riflesso   della   disponibilita'   della   pretesa   sostanziale   e
 conseguentemente  condiziona  non  solo  l'acquisizione  ma  anche la
 valutazione della prova.
   Il principio di eguaglianza e il principio di legalita' in  materia
 penale,  da  cui discende l'indisponibilita' pubblica e privata della
 pretesa punitiva dello  stato,  il  principio  della  obbligatorieta'
 dell'azione  penale  e  la  regola  dell'obbligo di motivazione delle
 sentenze (con il corollario della necessaria coerenza intrinseca  tra
 premesse  e  conclusioni)  conducono  a  ritenere  incompatibile  con
 l'ordinamento costituzionale un'interferenza tra volonta' delle parti
 del  processo  e valutazione della prova, che potrebbe costringere il
 giudice   a   pervenire   ad    una    pronuncia    irragionevolmente
 discriminatrice  e  contraddittoria,  che  si  fondi  non  solo sulla
 valutazione razionale degli  elementi  legittimamente  acquisiti,  ma
 anche sulla volonta' insindacabile delle parti processuali.
   Macroscopica sarebbe la violazione del principio di eguaglianza nel
 caso  in cui il giudice, essendo obbligato a valutare diversamente le
 dichiarazioni acquisite ai sensi dell'art. 513 c.p.p. in relazione  a
 ciascun   imputato,  pervenisse  ad  una  sentenza  di  condanna  nei
 confronti di quegli imputati i cui difensori, prima  dell'entrata  in
 vigore della novella, avessero consentito espressamente alla lettura,
 e  di  assoluzione  nei  confronti di altri imputati, che, trovandosi
 nell'identica  posizione  processuale,  si  fossero  limitati  a  non
 opporsi.
   Ma  la  violazione  del  principio  di  eguaglianza si pone anche a
 prescindere dalla coesistenza  nel  medesimo  processo  di  posizioni
 processuali  identiche soggette a diversi regimi di valutazione della
 prova. E' infatti comunque irragionevole, con riguardo all'obbiettivo
 perseguito dalla norma penale  e  dalla  norma  processuale  ad  essa
 strumentale,  che  e',  e  non  puo' non essere, l'accertamento della
 verita' sostanziale (o materiale o reale che sia) e  la  sanzione  di
 tutti  gli  illeciti  penali  accertati, l'esistenza di una norma che
 condizioni la valutazione della  prova  legittimamente  acquisita  al
 consenso  manifestato  dalla  difesa in tempo anteriore alla novella,
 che sotto nessun profilo  puo'  dirsi  strumentale  ad  una  migliore
 ponderazione dei dati raccolti.
   b) Intrinseca irrazionalita' dell'art 6, comma 5, legge n. 267/1997
 nella  parte  in  cui vieta di valutare le dichiarazioni acquisite ai
 sensi del testo previgente dell'art 513 c.p.p.:  art.  3,  101  comma
 secondo, 111 comma primo della Costituzione.
   La  norma  in  esame,  al  pari di tutte le norme che comprimono un
 potere e' manifestazione di sospetto nei confronti degli  organi  che
 sono   chiamati   a  raccogliere,  prima,  ed  a  valutare,  poi,  le
 dichiarazioni del coimputato o dell'imputato in procedimento connesso
 o collegato.
   L'interprete  naturalmente  non  puo'  dolersi  di  tale  sfiducia,
 essendo,  secondo il pensiero liberale, il pessimismo circa l'operato
 di coloro che esercitano un potere pubblico  il  fondamento  di  ogni
 garanzia  costituzionale a tutela dei diritti individuali. Ci si deve
 pero' domandare se la restrizione alla valutazione  della  prova  sia
 coerente  con i principi costituzionali in materia di processo penale
 e giurisdizione e se  non  conduca  ad  irragionevoli  disparita'  di
 trattamento.
   E'  noto  che  le  dichiarazioni  predibattimentali  delle  persone
 indicate nell'art. 513 c.p.p.,  superato  il  vaglio  preliminare  di
 attendibilita'  intrinseca  (genuinita', logica interna del racconto,
 precisione,   completezza,   disinteresse,   autonomia)   costituisce
 elemento  di  prova  da  sottoporre a vaglio e verifica sulla base di
 elementi estrinseci di conferma, ai sensi dell'art. 192, comma terzo,
 c.p.p.  Secondo  consolidata  giurisprudenza  di  legittimita',  tali
 ultimi elementi, purche' di fonte diversa rispetto alla dichiarazione
 che  devono riscontrare, possono essere di qualsiasi specie e natura,
 non devono  essi  stessi  costituire  piena  prova  del  fatto  (che'
 altrimenti   inutile   a   tal   fine  sarebbe  la  dichiarazione  da
 riscontrare) e possono consistere in altre chiamate in correita' alla
 tassativa  condizione  che queste pure abbiano positivamente superato
 il giudizio di intrinseca attendibilita' e siano tra loro autonome.
   Sembra  corretto  ritenere  che  le  dichiarazioni  delle   persone
 indicate   nell'art.  513  c.p.p.,  se  intrinsecamente  attendibili,
 assumano un valore probatorio intrinseco  maggiore  dell'elemento  di
 riscontro,  al  punto  che la stessa norma censurata, nell'affermarne
 l'idoneita' a costituire prova del fatto affermato, se confortate  da
 riscontri  di natura diversa, conferma che esse costituiscono il dato
 principale del procedimento valutativo che porta alla prova, rispetto
 al quale l'elemento di riscontro e' necessario ma accessorio, come si
 desume dal comma 3 dell'art. 192 c.p.p.
   Orbene, posto il principio, desumibile dagli art. 3, 101 comma 2  e
 111  della Costituzione, che la decisione del processo deve essere il
 risultato del razionale e motivato  convincimento  del  giudice,  non
 possono  introdursi norme che impongano irrazionalmente al giudice di
 contraddire la propria motivata convinzione nel contesto della stessa
 decisione (v. Corte cost. 3 giugno 1992, n. 255).
   La norma transitoria, invece,  mentre  consente  l'utilizzazione  a
 fini  di prova delle dichiarazioni precedentemente rese dalle persone
 indicate dall'art.  513  se  la  loro  intrinseca  attendibilita'  e'
 riscontrata  anche soltanto da altri elementi di natura logica, vieta
 al giudice di utilizzare come riscontro  dichiarazioni  della  stessa
 natura  provenienti da persone diverse delle quali abbia riconosciuto
 l'attendibilita' e l'autonomia  rispetto  a  quella  da  riscontrare,
 cosi' imponendogli di contraddire la propria motivata convinzione nel
 contesto della medesima decisione.
   La scelta del legislatore appare irragionevole - in quanto se fosse
 stata   motivata   dal   rischio   di  inquinamento  reciproco  delle
 dichiarazioni o da manovre illecite degli inquirenti  se  ne  sarebbe
 dovuto  cancellare  il valore probatorio (non e' mancata nella storia
 del nostro diritto processuale penale una norma,  l'art.  348  c.p.p.
 1930,  che  a  tal  punto  svalutava  le dichiarazioni provenienti da
 imputati in procedimento connesso, da non prevederne neppure  -  fino
 alla  riforma  che  introdusse  l'art.  348-bis  nell'anno  1977 - la
 possibilita' di citazione per il dibattimento). Renderne  disponibile
 l'utilizzazione e' scelta contraddittoria perche' in tanto il giudice
 esamina  l'esistenza  di  riscontri  in  quanto  abbia  gia'  risolto
 positivamente  il  giudizio  di  attendibilita'  e  ogni  qual  volta
 l'esistenza   di   un  fatto  rilevante  puo'  essere  desunta  dalla
 convergenza di dichiarazioni affidabili, i giudice - cui sia  vietato
 di  ritenere  provato il fatto - e' posto dalla norma censurata nelle
 condizioni di dover contraddire il proprio motivato convincimento.
   c)  Disparita'  di  trattamento  tra   imputati:   art.   3   della
 Costituzione.
   Appare  ingiustificata  la  diversita'  di  trattamento  tra chi e'
 raggiunto da piu' chiamate in  correita'  convergenti,  acquisite  ex
 art. 513 e chi lo e' soltanto, o anche, da dichiarazioni acquisite ex
 art.    503  c.p.p.  per avere il dichiarante rifiutato di rispondere
 soltanto   a   singole   domande   o,   ancora,   da    dichiarazioni
 predibattimentali  acquisite  ex art. 512 c.p.p. Si puo' discutere se
 l'esercizio della facolta' di non rispondere in dibattimento possa  o
 no  configurare  un fatto imprevedibile, ma cio' che rileva in questo
 momento  e'  che  dichiarazioni  predibattimentali  di  persone   che
 sarebbero  state  chiamate  al  dibattimento  ai  sensi dell'art. 513
 c.p.p. devono essere valutate  diversamente,  benche'  tutte  assunte
 nelle  indagini preliminari, per esempio dal p.m., senza l'assistenza
 del  difensore  del  chiamato  in  correita',  e  con  i  rischi   di
 inquinamento  reciproco  e  di quelle manovre che si pretenderebbe di
 neutralizzare con la nuova disciplina.
   Questa in realta', non e' in grado di farlo in  quanto  -  ove  per
 ipotesi  sussistessero  tali  manovre  -  si  limita  ad escludere il
 ricorso a criteri di valutazione e incrementa solo apparentemente  il
 contraddittorio,  dal  momento che e' ben difficile che chi ha fatto,
 per qualunque motivo, la scelta di non rispondere possa rivederla per
 effetto della richiesta di un nuovo esame.
   5.  -  Sulla  non  manifesta  infondatezza   della   questione   di
 costituzionalita'  dell'art.  513, comma 2 c.p.p. nel testo novellato
 dalla legge n.  267/1997.
   a) violazione dell'art. 3 della Costituzione  nella  parte  in  cui
 prevede  un  diverso  regime di lettura e conseguente utilizzabilita'
 delle dichiarazioni del coimputato a seconda che questi sia giudicato
 contestualmente o separatamente.
   Se entrambi i primi due commi dell'art.  513  c.p.p.  non  sembrano
 sfuggire a censure di incostituzionalita', con riguardo al comma 1 la
 questione  non  ha  rilevanza nel presente processo. In ogni caso, la
 coesistenza di due  regimi  di  lettura  ed  utilizzazione  introduce
 un'irragionevole  disparita'  di  trattamento  tra  imputati in reati
 connesssi o collegati  probatoriamente,  a  seconda  che  essi  siano
 giudicati   insieme  al  dichiarante  o  separatamente,  per  motivi,
 indicati dagli artt. 17 e 18 c.p.p., che sono orientati  all'economia
 del processo non funzionali all'accertamento della verita'.
   In  proposito si puo' richiamare integralmente la motivazione della
 sentenza della Corte costituzionale n. 254 del  1992  (e  le  ragioni
 confermate nella sentenza n. 60 del 1995), essendo il caso pressoche'
 identico.
   b)  Violazione degli artt. 3, 112 della Costituzione nella parte in
 cui non consente la lettura di dichiarazioni rese al p.m., alla  p.g.
 delegata  o  al  g.i.p.  nella  fase  delle indagini ovvero al g.u.p.
 senza le forme degli art. 498 e 499  c.p.p.  da  persone  indagate  o
 imputate  in procedimento connesso o probatoriamente collegato che si
 siano avvalse della facolta'  di  non  rispondere  nel  caso  che  le
 dichiarazioni  siano state assunte prima dell'entrata in vigore della
 novella.
   E' evidente che il legislatore ha perseguito il fine di favorire il
 ricorso all'incidente probatorio come metodo normale di assunzione di
 questo  genere  di  prova,  ritenendo  che  solo  l'esame  incrociato
 garantisca  appieno il diritto di difesa ed ha inteso sanzionare, con
 l'inutilizzabilita' dibattimentale, la prova non  formata  secondo  i
 canoni della cross examination e con la partecipazione del difensore.
   Senonche'  altro  e'  porre la sanzione dell'inutilizzabilita' come
 conseguenza della violazione di una garanzia difensiva, come  dispone
 l'art.  63,  comma  2 c.p.p.,   secondo l'orientamento interpretativo
 letterale e piu' garantista, altro e' ricollegare una  tale  sanzione
 ad un comportamento dell'inquirente che non aveva, al momento del suo
 compimento,  alternative,  non  essendo, prima dell'entrata in vigore
 della novella, consentito dal codice, nella fattispecie,  il  ricorso
 all'incidente probatorio.
   Se  nel  primo  caso  la  sanzione  e'  funzionale  ad una corretta
 acquisizione della prova e persegue finalita' di tutela  dei  diritti
 dell'imputato,  anche a prezzo della perdita di frammenti di verita',
 nel secondo caso la sanzione  si  traduce  in  una  pura  e  semplice
 sottrazione  al processo di materiale probatorio ritualmente assunto,
 di cui e' divenuta impossibile la ripetizione, per l'esercizio di una
 facolta' legittima del dichiarante.
   Se anche dovesse considerarsi come prevedibile  la  irripetibilita'
 della  dichiarazione  del  correo,  essendo  questi  sempre libero di
 avvalersi della facolta' di non rispondere, e' evidente che una  tale
 distinzione  non  aveva  alcun  senso  prima  della legge di riforma,
 allorche' ai soggetti del processo non era consentito - in tale  caso
 -  il ricorso a modalita' di assunzione della prova finalizzate a non
 disperderne il contenuto.
   Se le considerazioni che precedono sono corrette,  la  norma  cosi'
 formulata  conduce  ad  irragionevoli  disparita'  di trattamento tra
 imputati che si trovino attinti  da  chiamate  in  correita'  la  cui
 irripetibilita'   dipenda   da   cause   diverse   dall'esercizio  in
 dibattimento della facolta' di non rispondere e imputati accusati  da
 chiamate  in  correita'  di  soggetti  che  se  ne  sono  avvalsi  in
 dibattimento.
   Ma  la  norma  in  esame  contrasta  anche  con  l'art.  112  della
 Costituzione  nella  misura  in  cui,  il  p.m., obbligato a svolgere
 indagini e ad assicurare al  dibattimento  le  prove  che  potrebbero
 essere  disperse, si trova nelle condizioni di non poter utilizzare -
 per effetto della irripetibilita' dell'atto, a seguito dell'esercizio
 di una facolta' legittima del dichiarante - la prova  raccolta  e  di
 non   poterne  piu'  chiedere  l'assunzione  con  modalita'  tali  da
 impedirne la dispersione.   Il meccanismo introdotto  dalla  riforma,
 mentre  non  rafforza  il  diritto  di  difesa, rimette ad una scelta
 libera di persona estranea al processo l'acquisizione di una prova.
   c) Violazione degli artt. 3, 24 della Costituzione nella  parte  in
 cui la norma subordina l'acquisizione delle dichiarazioni al consenso
 di tutte le parti.
   Se  e' corretta l'interpretazione che si e' data alla norma, appare
 palese che attribuire alle parti, non il  diritto  di  introdurre  la
 prova  nel  processo,  ma di vietarne l'acquisizione, puo' condurre a
 conseguenze inammissibili ed incoerenti con gli stessi  principi  del
 processo  accusatorio,  dove  l'iniziativa  di  parte  e'  mezzo  per
 ampliare, mai per restringere la conoscenza del giudice.
   Non e' difficile immaginare esempi paradossali in cui,  se  non  il
 p.m.,  portatore  di  un  interesse  pubblico  all'accertamento della
 verita' sostanziale, la p.c., portatrice di un interesse privato,  si
 opponga  alla lettura richiesta da un imputato, con la conseguenza di
 impedire l'acquisizione di dichiarazioni in tutto o in  parte  a  lui
 favorevoli.    Ma  puo'  anche  accadere,  in  un  processo  con piu'
 imputati,  che  uno  di  essi,  perseguendo  una  propria   strategia
 difensiva, si opponga alla lettura che scagionerebbe altri.
   Non  solo  gli  interessi  di  cui sono portatori il p.m. o la p.c.
 potrebbero essere ingiustamente sacrificati per  l'impossibilita'  di
 dare  lettura  di  un  atto,  ma  la stessa difesa - che potrebbe non
 essere  stata  nemmeno  in  condizione   di   domandare   l'incidente
 probatorio  ai  sensi  del  nuovo  art.  392-bis  al  tempo in cui il
 dichiarante e' stato sentito - finirebbe incolpevolmente  per  subire
 le  conseguenze  negative della novella essendo spogliata del diritto
 di difendersi provando.
   6. - Non si pongono problemi di violazione della  legge-delega  per
 l'emanazione del codice di procedura penale 1988, perche' le leggi di
 modifica  di un decreto legislativo delegato non devono soggiacere ai
 principi e criteri direttivi indicati dal delegante.
                               P. Q. M.
   Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
   Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la  questione  di
 costituzionalita' dell'art. 6, commi 2 e 5 della legge 7 agosto 1997,
 n.   267  per  violazione  degli.  artt.  3,  25,  101  e  112  della
 Costituzione e dell'art. 513, comma 2 c.p.p.,  per  violazione  degli
 artt.  3,  25,  101,  112  della  Costituzione  nei termini di cui in
 motivazione;
   Sospende il processo in corso;
   Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
   Ordina che a cura della cancelleria copia della presente  ordinanza
 sia  notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata
 ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
     Savona, addi' 3 novembre 1997
                   Il presidente: (firma illeggibile)
 98C0027