N. 98 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 dicembre 1997
N. 98 Ordinanza emessa il 24 dicembre 1997 dal tribunale della liberta' di Firenze sull'appello proposto dal p.m. presso la pretura di Firenze nei confronti di Peretti Ferdinando ed altro Processo penale - Misure cautelari reali - Richiesta di sequestro conservativo da parte del pubblico ministero - Provvedimento di rigetto - Impugnabilita' - Mancata previsione - Disparita' di trattamento tra le parti, posta la possibilita' di richiedere il riesame del provvedimento da parte del destinatario della misura - Lesione del diritto di difesa. (C.P.P. 1988, art. 322-bis). (Cost., artt. 3 e 24).(GU n.9 del 4-3-1998 )
IL TRIBUNALE DELLA LIBERTA' Ha pronunziato la seguente ordinanza letto l'appello proposto ai sensi dell'art. 322-bis c.p.p. dal pubblico ministero presso la pretura di Firenze in data 8 dicembre 1997 (pervenuto 9 dicembre 1997), avverso l'ordinanza del giudice delle indagini preliminari presso la pretura di Firenze emessa il 28 novembre 1997, con la quale veniva respinta la richiesta dell'appellante di applicazione della misura cautelare del sequestro conservativo nei confronti di Peretti Ferdinando e Modestini Antonio, sciogliendo la riserva di decisione assunta all'udienza del 24 dicembre 1997. Nell'ambito di un procedimento penale relativo all'esportazione clandestina di un dipinto ad olio su tela raffigurante "La morte di Sansone" attribuito al pittore Peter Paul Rubens, la cui esportazione costituisce grave danno per il patrimonio culturale italiano, essendo lo stesso di inestimabile valore storico-artistico oltreche' patrimoniale, accertato in Firenze nel dicembre del 1991, il p.m. richiedeva al giudice per le indagini preliminari presso la pretura di Firenze l'applicazione della misura cautelare reale del sequestro conservativo, ai sensi dell'art. 316 e ss. C.p.p., fino alla concorrenza di lire dieci miliardi sui beni mobili o immobili di proprieta' di Peretti Ferdinando e Modestini Antonio, imputati nel detto procedimento assieme ad altri due concorrenti. Il giudice per le indagini preliminari presso la pretura di Firenze, con ordinanza del 28 novembre 1997, respingeva la richiesta. Avverso tale ordinanza il p.m. proponeva appello, e non gia' richiesta di riesame ai sensi dell'art. 318 c.p.p. Rilevava preliminarmente che la proposta impugnazione avrebbe ben potuto essere considerata inammissibile dal giudice, "Atteso il principio generale di tassativita' dei mezzi di gravame, stabilito dall'art. 568, commi primo e terzo, cod. proc. pen., e avuto riguardo al fatto che, in tema di sequestro conservativo, e' soltanto ammesso, ai sensi dell'art. 318 cod proc. pen., il riesame avverso l'ordinanza applicativa di detta misura", dovendo quindi "escludersi che sia in alcun modo impugnabile il provvedimento con il quale l'applicazione della misura stessa venga negata" (Cass. Sez. I., sentenza n. 874 del 30 maggio 1996). Nonostante le preclusive disposizioni di legge, confidava tuttavia il p.m. che il tribunale adito volesse superare in via interpretativa i dubbi di costituzionalita' relativi proprio alla preclusione dell'appello avverso i provvedimenti di diniego del sequestro conservativo e, in subordine, riconoscere non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' relativa alla mancanza di tale previsione all'interno del codice di procedura penale. Cosi' riassunto il quadro delle questioni poste dal p.m., il tribunale non ritiene di poter superare il disposto normativo con operazioni di ermeneutica. Il richiamato principio della tassativita' dei mezzi di impugnazione ricordato dal supremo collegio nella citata sentenza, porta come inevitabile corollario l'esclusione di qualunque possibilita' di applicazione analogica o estensiva di norme in altri contesti e ad altri fini previste. Il tribunale deve pertanto confrontarsi con la questione di costituzionalita'. La questione e' rilevante ai fini del giudizio incidentale in corso. L'appello proposto dal p.m., infatti, dovrebbe essere dichiarato inammissibile dal tribunale in considerazione della stessa mancata previsione del rimedio invocato, laddove, al contrario, i motivi proposti dal p.m. nella sua impugnazione potrebbero avere ingresso ad un esame di merito qualora, dubitando il tribunale della costituzionalita' della mancata previsione di detto appello, la Corte costituzionale rimuovesse la presunta incostituzionalita'. In sostanza questo giudice si trova nella situazione tipica dell'incidente di costituzionalita' per quanto attiene alla rilevanza ai fini' del giudizio, in quanto, nell'alternativa fra applicare la norma sospettata di incostituzionalita' ovvero sollevare il relativo incidente avanti alla Corte costituzionale, il giudizio incidentale in corso non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale. La questione non appare al tribunale manifestamente infondata. Nella sentenza n. 253 del 1994 la Corte costituzionale ha avuto modo di dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 669-terdecies del codice di procedura civile, nella parte in cui non ammette il reclamo ivi previsto, anche avverso l'ordinanza con cui sia stata rigettata la domanda di provvedimento cautelare. Nell'ambito di tale sentenza, a giudizio del tribunale, e' dato cogliere l'esplicitazione di tutta una serie di principi generali non gia' riferibili esclusivamente al solo processo civile ma invece da considerare principi generali del processo, alla stregua del sistema costituito dagli artt. 3 e 24 della Costituzione. Sotto un primo profilo si evidenzia la disparita' di trattamento fra la posizione processuale assunta dal destinatario di una misura di sequestro conservativo, che avra' possibilita' di richiedere il riesame del provvedimento applicativo ai sensi dell'art. 318 c.p.p., ed il p.m., il quale nulla potra' a fronte di un provvedimento di rigetto della propria richiesta da parte del giudice. A tale riguardo, le stesse ragioni che presiedettero alla pronuncia di incostituzionalita' dell'art. 669-terdecies c.p.c., possono oggi essere considerate adattabili, mutatis mutandis, alla mancata previsione dell'appello avverso provvedimenti di diniego dal sequestro conservativo richiesto ai sensi dell'art. 316 e 55. c.p.p. Ed invero appaiono principi di portata generale quelli espressi dalla Corte costituzionale nella ricordata sentenza n. 253 del 1994, giusta i quali: "La mancata previsione della revisio prioris instantiae, (...) in favore della parte che subisca la situazione assunta come lesiva del proprio diritto e che abbia richiesto senza successo una cautela anticipatoria o conservativa, reclamo consentito invece solo in caso di provvedimento concessivo della tutela cautelare, realizza un'amputazione del diritto di difesa, in quanto si attribuisce maggiore possibilita' di far valere le proprie ragioni a chi resiste alla richiesta di provvedimento cautelare rispetto a chi tale richiesta propone; e cio' senza giustificazione di sorta, data la posizione simmetricamente equivalente delle parti nei confronti dell'ordinamento processuale. Ne' vi e' possibilita' logica di ritenere a priori piu' probabile il fondamento giuridico dei provvedimenti di rigetto rispetto a quelli di accoglimento; ne' infine appare giustificato prestare una considerazione privilegiata allo status quo, cio' essendo contrario alla stessa garanzia della tutela giurisdizionale dei diritti. La sperequazione determinata dalla reclamabilita' dei soli provvedimenti di accoglimento non puo' nemmeno considerarsi compensata dalla prevista riproponibilita' dell'istanza al medesimo giudice in caso di mutamento delle circostanze o di deduzione di nuove ragioni di fatto o di diritto, giacche' tra i rimedi della reclamabilita' e della riproponibilita' non vi e' rapporto di equivalenza in termini di garanzia, operando gli stessi su piani diversi, non sovrapponibili ma complementari, si' che la disponibilita' del secondo rimedio non esclude la necessita' di riconoscere la funzione di riequilibrio dei poteri delle parti, propria del primo. L'equivalenza dei mezzi processuali esperibili dalle parti (salvo che la particolarita' di tutela della situazione dedotta in giudizio, come una disparita' delle condizioni materiali di partenza, giustifichi una disciplina differenziata) e' inoltre in rapporto di necessaria strumentalita' con le garanzie di azione e di difesa sancite dall'art 24 della Costituzione, si' che una distribuzione squilibrata dei mezzi di tutela, riducendo la possibilita' di una delle parti di far valere le proprie ragioni, condiziona impropriamente in suo danno ed a favore della controparte l'andamento e l'esito del processo". Le riportate affermazioni, depurate di quel tanto di necessario riferimento alla fattispecie nell'occasione presa in esame, sembrerebbero delineare un quadro in cui, alla stregua dei valori espressi dagli artt. 3 e 24 della Costituzione, le parti assumono una posizione simmetricamente equivalente nei confronti dell'ordinamento processuale nella parita' dei mezzi processuali esperibili e, conseguentemente, risulta necessario garantire un gravame alla parte che veda rigettata la propria istanza di applicazione di una misura cautelare, quando tale gravame sia previsto per la parte che veda contra se accogliere tale istanza, in quanto una distribuzione squilibrata dei mezzi di tutela, riducendo la possibilita' di una delle parti di far valere le proprie ragioni, condiziona impropriamente in suo danno ed a favore della controparte l'andamento e l'esito del processo. E' certo vero che la particolarita' di tutela della situazione dedotta in giudizio, quale una disparita' delle condizioni materiali di partenza, giustifichi una disciplina differenziata, ma non sembra al tribunale che tale disparita' nelle condizioni materiali di partenza possa, nel caso che qui occupa, essere rinvenuta nella differenti funzioni processuali che l'ordinamento non puo' che assegnare all'organo dell'accusa e alla difesa degli imputati. Non puo', in altri termini, ritenersi dalla circostanza che nel procedimento penale solo il p.m. possa rivolgere richiesta al giudice per le indagini preliminari di applicazione della misura cautelare del sequestro conservativo, qualora sussista fondata ragione di ritenere che manchino o si disperdano le garanzie per il pagamento della pena pecuniaria, delle spese del procedimento e di ogni altra somma dovuta all'erario dello Stato, quella sostanziale disparita' delle condizioni materiali di partenza cui pure ha accennato la Corte costituzionale nella citata sentenza. La disparita', qualora la si voglia ravvisare, appare come disparita' di ruoli e funzioni all'interno del processo: se nel processo civile tutti i consociati possono agire in giudizio per la tutela dei loro diritti, l'ordinamento giuridico seleziona poi, dalla generalita', solo quei consociati che possano, in base al principio della domanda giudiziale, vantare un concreto interesse ad agire, ed allora solo l'attore-ricorrente, in quanto portatore di quello specifico interesse, sara' legittimato a richiedere al giudice la misura cautelare ritenuta piu' consona alla tutela della propria posizione sostanziale e processuale, concessa o negata la quale riemerge e si impone, in rapporto al convenuto-resistente, il principio della simmetrica equivalenza nei confronti dell'ordinamento processuale affermato con la citata sentenza. Nel processo penale, invece, l'interesse all'esercizio dell'azione penale e' tassativamente predeterminato dall'art. 112 della Costituzione, allorche' sopravvenga una notizia di reato, imputando tale sistema un potere dovere in capo al pubblico ministero. Ma anche in questo caso, una volta instaurato il processo (o meglio, il procedimento), dovrebbe riemergere e imporsi, in caso di accoglimento o rigetto di richiesta di misura cautelare, il principio della simmetrica equivalenza delle parti nei confronti dell'ordinamento processuale. Cio' che avviene per vero, con la previsione dell'istituto dell'appello, in ordine a tutte le misure cautelari, personali o reali, ad esclusione del sequestro conservativo, con conseguente impedimento del p.m. di gravare l'eventuale provvedimento di rigetto della propria richiesta con un adeguato rimedio che, riequilibrando i mezzi di tutela a disposizione delle parti, riequilibri nel contempo il peso che nel processo penale assume l'interesse dello Stato comunita', nella specie di non vedere andare disperse le garanzie per il pagamento della pena pecuniaria, delle spese del procedimento e di ogni altra somma dovuta all'erario dello Stato, perseguito dal pubblico ministero. Sotto un secondo profilo, la questione posta non appare infondata in relazione all'esigenza costituzionale di garantire alle parti un giusto processo. Come ora ricordato, infatti, nell'ambito delle misure cautelari, personali o reali, la misura del sequestro conservativo risulta l'unica nei confronti della quale, in caso di provvedimento di rigetto della relativa istanza, non sia dato di esperire altro rimedio diverso da quello del riesame. Il codice di procedura penale contempla, in effetti, l'appello previsto dall'art. 310 contro le ordinanze in materia di misure cautelari personali, proponibile dal pubblico ministero, dall'imputato e dal suo difensore, fuori dai casi di richiesta di riesame di ordinanza applicativa di misura coercitiva ai sensi dell'art. 309, e l'appello previsto dall'art. 322-bis, introdotto dall'art. 17 del d.lgs. 14 gennaio 1991 n. 12, contro le ordinanze in materia di sequestro preventivo e contro il decreto di revoca del sequestro emesso dal pubblico ministero, proponibile dal pubblico ministero stesso, dall'imputato e dal suo difensore, dalla persona alla quale le cose sono state sequestrate e da quella che avrebbe diritto alla loro restituzione, fuori dai casi di richiesta di riesame del decreto applicativo di sequestro preventivo ai sensi dell'art. 322. Nel caso di sequestro conservativo e' invece dato il solo rimedio del riesame previsto dall'art. 318 c.p.p., contro la relativa ordinanza applicativa, esperibile da chiunque vi abbia interesse. In questa seconda e diversa prospettiva risulta particolarmente evidente che, con riferimento alle misure cautelari reali, il sistema cosi' venutosi a delineare determina una sensibile diversita' di disciplina e di istituti applicabili fra il sequestro preventivo e quello conservativo, senza che appaiano sussistere insuperabili ragioni per tale diversificazione. Al contrario, la stessa Corte costituzionale, nella citata sentenza n. 253 del 1994, ha avuto modo di sottolineare un enunciato che ancora una volta parrebbe al tribunale riferibile a principi generali del giusto processo, giusta il quale: "La disponibilita' di misure cautelari costituisce espressione precipua del "principio per il quale la durata del processo non deve andare a danno dell'attore che ha ragione" (nel caso di specie del p.m., o dello Stato comunita', che ha ragione); ed una siffatta funzione strumentale all'effettivita' della stessa tutela giurisdizionale, essendo innegabilmente comune sia alle misure di contenuto anticipatorio che a quelle conservative, giustifica l'introduzione di una uniforme disciplina che assicuri i requisiti propri (e minimi) imposti al modulo processuale dalle garanzie di cui al "sistema" costituito dagli artt. 3 e 24 della Costituzione; in tema di contraddittorio, di obbligo di motivazione e di posizione delle parti nell'esercizio dei rispettivi diritti". Se dunque puo' ritenersi diritto, o piu' propriamente potesta', del p.m. richiedere al giudice l'applicazione della misura cautelare del sequestro conservativo, qualora ritenga ricorrerne i presupposti, non potra' negarsi alla misura conservativa richiesta una precipua funzione strumentale all'effettivita' della stessa tutela giurisdizionale, con la conseguenza di ben poter far sospettare di illegittimita' costituzionale una disciplina che non assicuri uniformemente i requisiti propri (e minimi) imposti al modello processuale dalle garanzie di cui al "sistema" costituito dagli artt. 3 e 24 della Costituzione, in tema di contraddittorio, di obbligo di motivazione e, per quanto qui occorre, di posizione delle parti nell'esercizio dei rispettivi diritti. D'altra parte, puo' essere ulteriormente evidenziato che una disciplina che estendesse anche al sequestro conservativo la disponibilita' del rimedio dell'appello, ben difficilmente potrebbe risultare sperequata a sfavore dell'imputato o delle altre parti private nel processo, posto che il rimedio in parola non avrebbe altra possibilita' di essere concepito se non a favore di tutte le parti del processo. Pertanto, ritenuta la rilevanza ai fini del giudizio incidentale in corso e la non manifesta infondatezza.
P. Q. M. Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953 n. 87; Solleva d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 322-bis del codice di procedura penale nella parte in cui non prevede che le parti ivi indicate possano proporre appello anche contro le ordinanze in materia di sequestro conservativo, con riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso; Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa, al pubblico ministero e al presidente del Consiglio dei Ministri nonche' comunicata ai presidenti delle due Camere del Parlamento. Firenze, addi' 24 dicembre 1997. Il presidente: Monti Il giudice estensore: Monteverde 98C0161