N. 128 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 dicembre 1997

                                N. 128
  Ordinanza  emessa  il  22  dicembre 1997 dal tribunale di Savona nel
 procedimento penale a carico di Agostino Adamo ed altri
 Processo penale - Dibattimento - Esame di coimputato  -  Lettura  dei
    verbali  contenenti le dichiarazioni rese nel corso delle indagini
    preliminari - Preclusione per il  giudice  di  utilizzabilita'  di
    tali dichiarazioni nei confronti di altri senza il loro consenso -
    Disparita'  di  trattamento tra le parti - Violazione dei principi
    di  legalita',  di  obbligatorieta'  e   coerenza   logica   della
    motivazione e di obbligatorieta' dell'azione penale.
 (C.P.P. 1988, art. 513, comma 1).
 (Cost., artt. 3, 25, 101 e 112).
(GU n.10 del 11-3-1998 )
                             IL TRIBUNALE
   Ha  pronunciato la seguente ordinanza, decidendo sulla eccezione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 513, comma 1, c.p.p. nel  testo
 modificato  dalla  legge  7  agosto  1997, n. 267 in riferimento agli
 artt. 3, 24, 27, 101, 112, della Costituzione;
                             O s s e r v a
   1. - Il tribunale  ha  disposto  l'esame  degli  imputati  Agostino
 Adamo,  Capilluto  Domenico  e  Di  Meo  Walter  i  quali non si sono
 presentati all'udienza per renderlo; il p.m.  ha  allora  chiesto  la
 lettura  delle  dichiarazioni  rese dai primi due alla p.g. su delega
 del p.m. rispettivamente il 15 dicembre 1993 ed il 27 settembre 1994,
 e di Di Meo Walter al g.i.p.  durante  l'udienza  preliminare  il  19
 dicembre  1995;  il  tribunale  ha  disposto  l'acquisizione mediante
 lettura  delle  suddette  dichiarazioni  e  la  difesa  dell'imputato
 Agostino  Adamo  non ha consentito alla utilizzabilita' nei confronti
 del proprio assistito delle dichiarazioni rese dai coimputati, mentre
 il difensore di questi ultimi non ha  consentito  alla  utilizzazione
 nei  confronti  dei  propri  assistiti  delle  dichiarazioni  rese da
 Agostino Adamo.
   2. - Sulla rilevanza:  poiche'  ciascuno  degli  imputati  ha  reso
 dichiarazioni   che   riguardano   anche   gli  altri,  in  relazione
 all'episodio per  cui  e'  processo,  la  rilevanza  della  questione
 risulta di tutta evidenza e non abbisogna di ulteriore motivazione.
   3.  -  Sulla non manifesta infondatezza: in via preliminare occorre
 osservare che le dichiarazioni di cui il p.m. ha chiesto  la  lettura
 sono  state assunte prima dell'entrata in vigore della legge 267/1997
 e  con  l'osservanza  delle  norme  allora  vigenti.  Posto  cio'  la
 questione  di  costituzionalita'  appare non manifestamente infondata
 per violazione degli artt. 3, 25, 101, 111 e 112 della Costituzione.
   La disciplina introdotta dalla legge n. 267/1997, se  si  considera
 l'insieme  delle  modifiche  apportate  al  codice,  si  ispira  alla
 finalita' di garantire,  con  il  massimo  rigore,  che  l'esame  del
 coimputato o dell'imputato in procedimento connesso o probatoriamente
 collegato  avvenga  nel  contraddittorio  delle  parti,  mediante  la
 tecnica dell'esame incrociato e con la partecipazione  dei  difensori
 degli imputati nei cui confronti la prova viene assunta.
   Le  uniche  vie  che  -  secondo la nuova disciplina - garantiscono
 l'incondizionata  utilizzabilita'  di  tali  atti   sono   costituite
 dall'esame dibattimentale, dall'incidente probatorio cui partecipi il
 difensore   dell'imputato   e   dall'assunzione   delle  informazioni
 all'udienza prelinanare, purche' anche  questa  avvenga  nelle  forme
 dell'esame  incrociato.  In  tutti  gli  altri casi l'utilizzabilita'
 delle dichiarazioni e' in vario modo condizionata.
   Atteso che le dichiarazioni alla cui utilizzabilita'  le  parti  si
 sono  opposte  sono  state assunte prima dell'entrata in vigore della
 novella, il nuovo testo  dell'art.  513  comma  1  c.p.p.  appare  in
 contrasto   con   il  principio  di  eguaglianza,  di  legalita',  di
 obbligatorieta'  e   coerenza   logica   della   motivazione   e   di
 obbligatorieta' dell'azione penale.
   Un  sistema  processuale  accusatorio, qual e' quello delineato dal
 nostro codice di rito, si caratterizza per  la  normale  introduzione
 della   prova   su   istanza  di  parte,  e  risponde,  com'e'  noto,
 all'esigenza di salvaguardare l'imparzialita' del giudicante da  quei
 preconcetti  che  si  formano in capo a colui che oltre a valutare la
 prova e' anche tenuto a cercarla. Ma il principio accusatorio e' cosa
 diversa dal principio dispositivo che caratterizza il processo civile
 e che in tanto si  giustifica  ed  opera  in  quanto  costituisce  il
 riflesso   della   disponibilita'   della   pretesa   sostanziale   e
 conseguentemente condiziona  non  solo  l'acquisizione  ma  anche  la
 valutazione della prova.
   Il  principio di eguaglianza e il principio di legalita' in materia
 penale, da cui discende l'indisponibilita' pubblica e  privata  della
 pretesa  punitiva  dello  Stato,  il  principio della obbligatorieta'
 dell'azione penale e la  regola  dell'obbligo  di  motivazione  delle
 sentenze  (con il corollario della necessaria coerenza intrinseca tra
 premesse  e  conclusioni)  conducono  a  ritenere  incompatibile  con
 l'ordinamento costituzionale un'interferenza tra volonta' delle parti
 del  processo  e valutazione della prova, che potrebbe costringere il
 giudice   a   pervenire   ad    una    pronuncia    irragionevolmente
 discriminatrice  e  contraddittoria,  che  si  fondi  non  solo sulla
 valutazione razionale degli  elementi  legittimamente  acquisiti,  ma
 anche sulla volonta' insindacabile delle parti processuali.
   Macroscopica sarebbe la violazione del principio di eguaglianza nel
 caso  in  cui  il  giudice,  essendo  obbligato  a non utilizzare nei
 confronti di alcuni imputati  le  dichiarazioni  acquisite  ai  sensi
 dell'art.  513  c.p.p.  pervenisse  ad  una  sentenza di condanna nei
 confronti di quegli imputati i cui difensori abbiano consentito  alla
 utilizzazione  e  di assoluzione nei confronti di altri imputati che,
 trovandosi  nell'identica posizione processuale, non abbiano prestato
 il loro consenso.
   Ma la violazione del principio  di  eguaglianza  si  pone  anche  a
 prescindere  dalla  coesistenza  nel  medesimo  processo di posizioni
 processuali identiche soggette a diversi regimi di valutazione  della
 prova. E' infatti comunque irragionevole, con riguardo all'obbiettivo
 perseguito  dalla  norma  penale  e  dalla  norma processuale ad essa
 strumentale - che e', e non puo'  non  essere,  l'accertamento  della
 verita'  sostanziale  (o  materiale o reale che sia) e la sanzione di
 tutti gli illeciti penali accertati - l'esistenza di  una  norma  che
 condizioni  la  valutazione  della  prova legittimamente acquisita al
 consenso manifestato dalla difesa.
   Inoltre, in riferimento agli artt. 101, comma secondo, e 111, comma
 primo, della Costituzione, posto che la decisione del  processo  deve
 essere  il  risultato  del  razionale  e  motivato  convincimento del
 giudice,   non   possono   introdursi   norme   che   gli   impongano
 irrazionalmente  di  contraddire  la propria motivata convinzione nel
 contesto della stessa decisione (v. Corte cost., 3  giugno  1992,  n.
 255).
   E'  evidente  che,  con la novella, il legislatore ha perseguito il
 fine di favorire il  ricorso  all'incidente  probatorio  come  metodo
 normale  di  assunzione di questo genere di prova, ritenendo che solo
 l'esame incrociato garantisca appieno il  diritto  di  difesa  ed  ha
 inteso  sanzionare,  con l'inutilizzabilita' dibattimentale, la prova
 non formata secondo  i  canoni  della  cross  examination  e  con  la
 partecipazione del difensore.
   Senonche'   altro   e'  porre  la  sanzione  dell'inutilizzabilita'
 soggettivamente relativa come conseguenza  della  violazione  di  una
 garanzia  difensiva,  (come dispone l'art. 63, comma 1, c.p.p. e come
 potrebbe verificarsi in caso di inosservanza  delle  norme  che  oggi
 consentono  il ricorso all'incidente probatorio) altro e' ricollegare
 una tale sanzione ad un comportamento dell'inquirente che non  aveva,
 al  momento  del  suo  compimento,  alternative,  non  essendo, prima
 dell'entrata in vigore della novella, consentito  dal  codice,  nella
 fattispecie, il ricorso all'incidente probatorio.
   Se  nel  primo  caso  la  sanzione  e'  funzionale  ad una corretta
 acquisizione della prova e persegue finalita' di tutela  dei  diritti
 dell'imputato,  anche a prezzo della perdita di frammenti di verita',
 nel secondo caso la sanzione  si  traduce  in  una  pura  e  semplice
 sottrazione  al processo di materiale probatorio ritualmente assunto,
 di cui e' divenuta impossibile la ripetizione, per l'esercizio di una
 facolta' legittima del dichiarante.
   Se anche dovesse considerarsi come prevedibile  la  irripetibilita'
 della  dichiarazione  del  correo,  essendo  questi  sempre libero di
 avvalersi della facolta' di non rispondere o di  non  partecipare  al
 dibattimento,  e'  evidente  che una tale distinzione non aveva alcun
 senso prima  della  legge  di  riforma,  allorche'  ai  soggetti  del
 processo  non  era consentito - in tale caso - il ricorso a modalita'
 di assunzione della prova finalizzate a non disperderne il contenuto.
   Se  le  considerazioni  che  precedono  sono  corrette,  la   norma
 contrasta  anche  con  l'art. 112 della Costituzione, nella misura in
 cui, il p.m., obbligato  a  svolgere  indagini  e  ad  assicurare  al
 dibattimento  le prove che potrebbero essere disperse, si trova nelle
 condizioni di poter utilizzare la prova  raccolta  -  qualora  l'atto
 divenga   irripetibile  a  seguito  dell'esercizio  di  una  facolta'
 legittima del dichiarante - soltanto con il consenso  del  coimputato
 nei cui confronti le dichiarazioni sono rese.
                               P. Q. M.
   Visto  l'art.  23  della  legge  11  marzo  1953,  n.  87, dichiara
 rilevante  e   non   manifestamente   infondata   la   questione   di
 costituzionalita' dell'art. 513, comma 1, c.p.p. per violazione degli
 artt.  3,  25,  101  e  112  della Costituzione nei termini di cui in
 motivazione;
   Sospende il processo in corso;
   Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
   Ordina che a cura della cancelleria copia della presente  ordinanza
 sia  notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata
 ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
     Savona, addi' 22 dicembre 1997
                  Il presidente: (firma illeggibile)
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