N. 232 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 febbraio 1998

                                N. 232
  Ordinanza  emessa  il  16  febbraio 1998 dal giudice conciliatore di
 Milano nel procedimento civile vertente tra  Gandolfi  Paola  e  F.R.
 Grandi Opere s.r.l.
 Ordinamento   giudiziario   -  Istituzione  del  giudice  di  pace  -
    Conseguente soppressione degli uffici dei giudici  conciliatori  -
    Giudizio (nella specie: relativo a contratto di vendita, negoziato
    tra  un  operatore  commerciale  e un consumatore, al di fuori dei
    locali commerciali), non ancora pendente al 1 aprile 1993  e  gia'
    pendente  alla  data  del 30 aprile 1995 - Competenza territoriale
    inderogabile del giudice conciliatore del luogo di residenza o  di
    domicilio  del  consumatore  -  Incompetenza  del  giudice a quo -
    Impossibilita', per la parte, di riassumere il processo presso  il
    conciliatore  territorialmente  competente,  stante, nella specie,
    l'inesistenza di fatto dell'ufficio di detto giudice - Lesione del
    diritto di azione - Violazione del divieto  di  istituire  giudici
    speciali e dei principi posti per la nomina dei magistrati.
 (Legge  21  novembre  1991, n. 374, artt. 39, combinato disposto, 40,
    44, 47 e 1).
 (Cost., artt. 24, 25, 102, secondo comma, 106, primo e secondo comma,
    disposizione transitoria e attuativa della Costituzione, art. VII,
    sezione I, titolo IV).
(GU n.15 del 15-4-1998 )
                     IL VICE GIUDICE CONCILIATORE
   Ha emesso la seguente ordinanza nella causa r.g. n.  2570/1993,  di
 opposizione  al  d.i.  n.  8781/1993, promossa da Paola Gandolfi, con
 l'avv. Massimo Carandente,  attrice  opponente,  contro  F.R.  Grandi
 Opere s.r.l., con l'avv. Marcello Marchese, convenuta opposta.
   Con  atto di citazione ritualmente notificato il 23 aprile 1993, la
 sig.ra Paola Gandolfi, residente in Praticello,  fraz.  di  Gattatico
 (Reggio  Emilia),  via  Salvador  Allende  n. 9, proponeva tempestiva
 opposizione avverso il d.i. in epigrafe,  con  il  quale  il  giudice
 conciliatore  di  Milano le aveva ingiunto il pagamento, in favore di
 F.R.  Grandi  Opere  s.p.a.,  della  somma  di  lire  975.500,  oltre
 interessi   entro  il  limite  di  competenza,  e  spese  legali  per
 complessive lire 278.000.
   L'attrice opponente sosteneva, fra l'altro,  che  il  contratto  21
 novembre 1991, posto a fondamento della concessa ingiunzione, rientra
 nella  fattispecie,  gia' considerata dalla direttiva CEE n. 85/577 e
 successivamente regolata dal  d.lgs.  15  gennaio  1992,  n.  50,  di
 contratto  di  vendita  negoziato  tra  un operatore commerciale e un
 consumatore  al  di  fuori  dei  locali  commerciali.  Allegava,  fra
 l'altro,  di  non essere stata correttamente informata dall'operatore
 commerciale sul proprio diritto di recesso e, pertanto,  invocava  in
 proprio  favore  la  disposizione  di  cui  all'art.  6.2. del citato
 decreto legislativo n. 50/1992, che  estende  a  sessanta  giorni  il
 termine  per l'esercizio del diritto di recesso, nelle ipotesi in cui
 sia  mancata  la  corretta  informazione  prevista  dall'art.  5  del
 suddetto decreto legislativo.  Poiche' tale temine allungato decorre,
 per  i  contratti  riguardanti  la  fornitura  di beni, dalla data di
 ricevimento della merce, e non avendo la F.R. Grandi Opere consegnato
 i beni alla Gandolfi, sia pure, come allega la Grandi Opere,  per  il
 rifiuto  della consegna da parte della destinataria, la dichiarazione
 di recesso in data 20 aprile 1993, inviata  dalla  consumatrice  alla
 Grandi   Opere,  dovrebbe  essere  ritenuta  comunque  tempestiva  ed
 efficace.
   Ha  eccepito  la  Grandi  Opere  che  la  normativa  di  tutela del
 consumatore non dovrebbe trovare applicazione al  contratto  de  quo,
 siccome  stipulato  anteriormente  all'entrata  in vigore del decreto
 legislativo n. 50/1992.
   La  questione  sorta  dal  contrasto  in  ordine   alla   validita'
 dell'esercizio  del diritto di recesso da parte della Gandolfi appare
 pregiudiziale  rispetto  alla  decisione  sul  merito   del   decreto
 ingiuntivo;  del  resto  e' ben noto che, a prescindere dalla data di
 entrata  in  vigore  della  normativa  nazionale  che  recepisce  una
 direttiva  comunitaria,  il giudice nazionale e' comunque vincolato a
 interpretare il diritto interno in maniera compatibile con il diritto
 comunitario, per la prevalenza del  secondo  sul  primo,  cosi'  come
 affermata  dalla  Corte  di giustizia CEE, fra l'altro, nel noto caso
 Marleasing (sentenza 13 novembre 1990, in causa C-106/89,  Marleasing
 SA contro la Comercial Internacional de Alimentacion SA).
   Si  tratta  peraltro  di  questione  che non puo' essere risolta da
 questo giudice, per le seguenti ragioni: a)  l'art.  12  del  decreto
 legislativo   n.   50/1992   statuisce   la  competenza  territoriale
 inderogabile del giudice del luogo di residenza o  di  domicilio  del
 consumatore,    per    tutte    le   controversie   civili   inerenti
 all'applicazione del suddetto decreto; b) in materia processuale vale
 il principio espresso dal brocardo tempus regit actum; c) la presente
 lite pende soltanto dal 26 marzo 1993, data alla  quale  il  predetto
 art. 12 del decreto legislativo n. 50/1992 era gia' in vigore.
   Le norme sulla competenza che vanno applicate nel presente giudizio
 sono,  ai sensi dell'art. 90, primo comma, legge 26 novembre 1990, n.
 353, nel testo vigente a seguito  dell'ultima  modifica  attuata  con
 l'art.  9  d.-l.  18  ottobre  1995,  n.  432, convertito in legge 20
 dicembre 1995, n. 534, gli artt. 5 e 38 c.p.c., vecchia formulazione,
 in quanto trattasi di giudizio non ancora pendente alla  data  del  1
 aprile 1993 e gia' pendente alla data del 30 aprile 1995.
   Poiche',  nel  caso  di specie, l'inderogabilita' dell'incompetenza
 territoriale  e'  espressamente  disposta  dalla  legge,   si   versa
 nell'ipotesi  di inderogabilita' contemplata dall'art. 28 c.p.c. che,
 ai sensi dell'art. 38, primo comma, c.p.c., vecchia formulazione,  va
 rilevata, anche d'ufficio, in ogni stato e grado del processo.
   Pertanto   il  giudice  competente  sulla  questione  pregiudiziale
 dovrebbe essere il giudice di pace di Reggio  Emilia,  circoscrizione
 nella  quale e' ricompreso il comune di Gattatico, di cui e' parte la
 frazione di Praticello, luogo  di  residenza  dell'attrice  opponente
 Paola Gandolfi.
   Peraltro,  osta  a tale conclusioine il disposto dell'art. 43 legge
 21 novembre 1991, n. 374 (legge istitutiva del giudice di  pace),  la
 cui  disposizione  ha  effetto,  ai  sensi  dell'art.  49 della legge
 stessa,  a  partire  dal  1  maggio  1995.  Secondo  la  disposizione
 dell'art.     43,  primo  comma,  legge  n.  374/1991,  da  ritenersi
 prevalente, in  quanto  lex  specialis,  rispetto  alla  disposizione
 generale   dell'art.   90   legge   n.  353/1990,  "sono  decise  dal
 conciliatore,  dal  pretore  o  dal  tribunale   secondo   le   norme
 anteriormente  vigenti  le  cause pendenti dinanzi agli stessi organi
 anche se attribuite dalla presente legge alla competenza del  giudice
 di pace".
   Pertanto il giudice competente per la questione pregiudiziale e' il
 giudice conciliatore di Gattatico (Reggio Emilia), luogo di residenza
 del  consumatore.  La presente causa di opposizione dovrebbe pertanto
 essere sospesa, dando termine alle parti per  la  riassunzione  della
 causa  sulla  questione pregiudiziale innanzi al giudice conciliatore
 del  comune  di  Gattatico  (Reggio  Emilia),   di   cui   Praticello
 costituisce frazione.
   L'art.  115,  secondo comma, c.p.c., legittima il giudice a porre a
 fondamento della decisione, senza bisogno di  prova,  le  nozioni  di
 fatto  che rientrano nella comune esperienza. Ora, basta una semplice
 telefonata al comune di Gattatico per accertare il fatto notorio  che
 un  giudice  conciliatore  a  Praticello  o  a Gattatico di fatto non
 esiste piu'  da  diversi  anni  e  che,  pertanto,  la  decisione  di
 incompetenza   in   suo  favore  renderebbe  impossibile  alla  parte
 interessata qualunque riassunzione, con ovvia lesione del diritto  di
 difesa   costituzionalmente  garantito  dall'art.  24  della  vigente
 Costituzione della Repubblica italiana.
   Ne' si potrebbe ipotizzare la nomina di un giudice conciliatore  ad
 hoc,  poiche', per effetto degli artt. 39, 44 e 47 della citata legge
 n. 374/1991, tutte le norme dell'ordinamento giuridico  italiano  che
 permettono  la  nomina  di  giudici conciliatori sono state abrogate,
 sicche' la suddetta eventuale nomina sarebbe un atto abusivo.
   Si   delineano   dunque   plurimi   profili    di    illegittimita'
 costituzionale  della  suddetta legge 21 novembre 1991, n. 374, nella
 parte in cui ha soppresso il giudice conciliatore, cosi'  privando  i
 cittadini  di  un  giudice  che,  in  casi  come quello di specie, e'
 l'unico funzionalmente competente per la tutela di un loro  specifico
 diritto soggettivo, garantito dall'art. 24 della Costituzione stessa.
   Ne'  si  potrebbe  ipotizzare,  per  ricondurre a ragionevolezza il
 sistema, l'escamotage di ritenere la causa comunque di competenza del
 giudice di pace, perche' cio' avverrebbe in violazione dell'art.  43,
 primo comma, legge 21 novembre 1991, n. 374 e in contrasto con l'art.
 25 Cost., in quanto si sottrarrebbe il giudizio al  giudice  naturale
 precostituito per legge.
   Inoltre cio' sarebbe impedito anche dalla seguente ulteriore e piu'
 generale considerazione.
   Il  giudice  conciliatore,  seppure  non  nominato  per concorso, a
 dispetto   del   primo   comma   dell'art.   106    Cost.,    risulta
 costituzionalmente    legittimo,    in   conformita'   alla   vigente
 disposizione  transitoria  VII,  che  ha  statuito  il   mantenimento
 dell'ordinamento  giudiziario all'epoca vigente, fino "all'emanazione
 delle nuova legge sull'ordinamento giudiziario in conformita' con  la
 Costituzione".  Il  giudice  conciliatore  era,  appunto,  gia' stato
 istituito prima ancora dello Stato  unitario  e,  ancora  nel  vigore
 dello  statuto  albertino, e' stato contemplato dagli artt. 1 e 20-29
 r.d. 30 gennaio 1941, n.  12,  prima  dell'entrata  in  vigore  della
 Costituzione  repubblicana,  che,  con  la  citata  disposizione  VII
 trans.,  ne  ha  mantenuto  transitoriamente  ed  eccezionalmente  la
 funzione.
   Di   contro,   senza   che   sia   stata  emanata  la  nuova  legge
 sull'ordinamento giudiziario  prevista  dalla  suddetta  disposizione
 transitoria  VII,  il legislatore ordinario, con la legge 21 novembre
 1991, n.  374, ha istituito un giudice  che  non  e'  un  "magistrato
 ordinario   istituito   e   regolato   dalle  norme  sull'ordinamento
 giudiziario", ed e' dunque un giudice speciale, e non e' nominato per
 concorso, in palese contrasto  con  le  disposizioni  dell'art.  102,
 primo  e  secondo  comma, Cost., nonche' con l'art. 106, primo comma,
 Cost.
   Del   resto,   volendosi   modificare   la  legge  sull'ordinamento
 giudiziario vigente, e dovendosi allora operare in conformita' con la
 Costituzione (secondo  quanto  prevede  la  disposizione  VII  trans.
 Cost.),  il  problema  e'  verificare  se la Costituzione consenta (a
 prescindere  dal  caso  del  giudice  conciliatore   transitoriamente
 mantenuto)  la istituzione di uffici giudiziari formati unicamente di
 "magistrati onorari" o, se si preferisce, la  istituzione  di  organi
 giurisdizionali preclusi a "magistrati ordinari".
   Per  una  corretta  interpretazione  degli  artt. 101 e segg. della
 Costituzione,    occorre    tenere    presente     il     significato
 tecnico-giuridico  dei  due termini (magistrato, giudice) usato negli
 artt. 101 e segg.  Dalla lettura della sezione I del titolo IV  della
 Costituzione, sembra potersi affermare che ivi:
     il termine "magistrati" si riferisce sempre alle persone che sono
 chiamate  ad  esercitare  la  funzione  giurisdizionale (essi possono
 essere "ordinari" oppure  "onorari"  a  seconda  delle  modalita'  di
 nomina);
     il termine "giudici" si riferisce all'organo giurisdizionale, chi
 e'  all'ufficio giudiziario (monocratico o collegiale) che amministra
 la giustizia.
   Orbene, rileggendo gli artt. 101 e segg. della Costituzione, ed  in
 particolare  l'art. 106, sembra evidente che una cosa e' disciplinare
 (con  legge  ordinaria)  le  modalita'  dei  "nomina"  di  magistrati
 onorari,  cioe'  le  modalita'  di  "nomina"  di  persone che possono
 esercitare  le  funzioni  giurisdizionali  al  pari  dei   magistrati
 ordinari; ben altra cosa e' invece prevedere (con legge ordinaria) la
 istituzione  di  uffici  giudiziari,  cioe'  (secondo la terminologia
 della Costituzione) la istituzione di "giudici"  costituiti  soltanto
 di  magistrati  onorari.    L'art.  106 consente solo la nomina anche
 elettiva di magistrati  onorari,  cioe'  la  nomina  di  persone  cui
 attribuire le funzioni spettanti a "giudici" singoli (cioe' ad uffici
 giudiziari  monocratici);  viceversa,  non consente la istituzione di
 organi giurisdizionali monocratici riservati a "magistrati onorari".
   Ad esempio,  essendo  le  preture  "giudici  singoli"  (secondo  la
 dizione   usata   dall'art.   106   Cost.),   sarebbe  conforme  alla
 Costituzione disciplinare le modalita' per la "nomina anche elettiva"
 di magistrati onorari per tutte le funzioni del pretore. Non sarebbe,
 invece, consentito istituire preture riservate per legge a magistrati
 onorari, cioe' formate per legge soltanto da magistrati onorari.
   Se  questo  fosse  ammissibile  secondo  la   Costituzione,   nulla
 vieterebbe,  allora,  di  istituire  oggi  anche  preture... onorarie
 riservando solo a magistrati onorari le funzioni di  pretore;  cosi',
 qualora  i  tribunali  venissero trasformati in "giudici singoli" (la
 proposta del tribunale monocratico era  stata  gia'  avanzata  a  suo
 tempo),  nulla vieterebbe domani di istituire anche tribunali formati
 per legge soltanto da magistrati onorari. In  definitiva,  una  volta
 ammesso   il   principio,   tutto  cio'  sarebbe  fattibile,  con  la
 conseguenza che si potrebbe giungere a relegare i magistrati ordinari
 (di carriera) a funzioni meramente di appello o di cassazione e/o con
 funzioni limitate ad un sindacato di  mera  legittimita',  mentre  la
 giurisdizione  di  merito  anche  penale  potrebbe  essere attribuita
 prevalentemente a magistrati  onorari  necessariamente  sensibili  al
 potere politico e di questo sostanzialmente espressione.
   Ovviamente,  la  magistratura,  intesa  come corpo di magistrati di
 carriera  indipendenti  da  ogni  altro  potere,  non  e'  un  tabu'.
 Tuttavia, se si volesse scegliere una via diversa da quella delineata
 dalla   Costituzione,   sarebbe  necessario  esserne  consapevoli  ed
 affrontare il problema con le  procedure  previste  per  la  modifica
 delle    norme   costituzionali;   non   sembra,   quindi,   corretto
 contrabbandare per mera riforma di un ufficio giudiziario  conservato
 in  via transitoria (il conciliatore) una operazione avente invece il
 fine   recondito   di   stravolgere   sostanzialmente   l'ordinamento
 giurisdizionale   delineato   dagli   artt.      101  e  segg.  della
 Costituzione.
                               P. Q. M.
   Il vice giudice conciliatore di Milano,  ritenendola  rilevante  ai
 fini  del  decidere e non manifestamente infondata, solleva d'ufficio
 innanzi a se', ai sensi dell'art. 23 legge 11 marzo 1953, n.  87,  la
 questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto degli
 artt.  39,  43, 44 e 47 legge 21 novembre 1991, n. 374, per contrasto
 con gli artt. 24 e 25 Cost. e con l'art. VII disposizioni transitorie
 e di attuazione della Costituzione stessa, nonche'  la  questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  1 legge 21 novembre 1991, n.
 374 (e per conseguenza dell'intera  legge),  per  contrasto  con  gli
 artt.  102, primo e secondo comma, 106, primo e secondo comma, Cost.,
 con l'art. VII disp. trans. e att. Cost., e, piu'  in  generale,  con
 tutte le norme della sezione I del titolo IV della Costituzione.
   Dispone   la   trasmissione   degli   atti   di  causa  alla  Corte
 costituzionale, sospendendo il presente giudizio pendente  innanzi  a
 se'.
   Ordina  che,  a  cura  della  cancelleria, la presente ordinanza di
 trasmissione degli atti alla Corte costituzionale sia notificata alle
 parti in causa, nonche' al Presidente del Consiglio dei  Ministri,  e
 comunicata  al  Presidente  della Camera dei deputati e al Presidente
 del Senato.
     Milano, addi' 16 febbraio 1998
           Il vice giudice conciliatore di Milano: De Stasio
 98C0350