N. 10 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 31 marzo 1998

                                 N. 10
  Ricorso  per  conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il
 31 marzo 1998 (del tribunale di Milano)
 Riconosciuta insindacabilita', con  deliberazione  della  Camera  dei
    deputati,  ex  art.  68,  primo  comma, Cost., nella seduta del 20
    marzo 1997, delle dichiarazioni rese dall'on. Marco Boato,  il  23
    febbraio  1990,  come  testimone  dinanzi  alla Corte di assise di
    Milano nel corso di un processo penale,  e  poi  reiterate  in  un
    dibattito  e in interviste alla stampa, dichiarazioni costituenti,
    per il loro contenuto asseritamente diffamatorio,  oggetto  di  un
    giudizio  civile  per  risarcimento  di danni promosso, innanzi al
    tribunale di Milano, contro lo stesso on. Boato, dal  dott.  Guido
    Salvini  -  Conflitto  di  attribuzione  tra  poteri  dello  Stato
    sollevato  dal  tribunale,  al  quale,  a  motivo  della  ritenuta
    estraneita',  in tutto o in parte, della condotta del parlamentare
    ai concetti di "opinione" o di "esercizio delle funzioni", cui  fa
    riferimento  l'invocato precetto costituzionale, non sembra che il
    potere   valutativo   attribuitole   sia   stato   dalla    Camera
    legittimamente esercitato.
 (Delibera della Camera dei deputati 20 marzo 1997).
 (Cost., art. 68).
(GU n.17 del 29-4-1998 )
                             IL TRIBUNALE
   Ha   pronunciato  la  seguente  ordinanza  nella  causa  civile  n.
 10890/1990 promossa da dr. Guido Salvini,  con  gli  avv.ti  Giuseppe
 Bernardi  di  Roma  e  Marcello  Giucastro  di  Milano,  attore,  nei
 confronti di on.   Marco Boato, con gli avv.ti  Umberto  De  Luca  di
 Verona e Alberto Maresca di Milano, convenuto, e di Edit - Editoriale
 Italiana s.r.l., con gli avv.ti Gian Domenico Caizza di Roma e Franco
 Rosso di Milano, convenuta.
   Rilevato  che il presente giudizio civile e' stato promosso dal dr.
 Guido Salvini, magistrato in Milano, per il  risarcimento  dei  danni
 asseritamente subiti a causa delle dichiarazioni rese dall'on.  Boato
 il  23  febbraio  1990  come testimone dinanzi alla Corte d'assise di
 Milano nel corso del processo a carico  di  Adriano  Sofri  e  altri,
 imputati  dell'omicidio  Calabresi,  e  poi reiterate nel corso di un
 dibattito e interviste rese alla stampa, dichiarazioni con  le  quali
 l'on. Boato attribuiva al dr. Salvini di aver interrogato un detenuto
 informalmente,  cercando di fargli dichiarare che lo stesso Boato era
 il mandante dell'omicidio Calabresi;
   Rilevato che la Camera dei deputati,  nella  seduta  del  20  marzo
 1997,  ha deliberato nel senso che i fatti per i quali e' in corso il
 procedimento civile concernono opinioni espresse  da  un  membro  del
 Parlamento  nell'esercizio delle sue funzioni ai sensi dell'art.  68,
 primo comma, Cost.;
   Ritenuto  che  alla  deliberazione  della  Camera   che   riconosce
 l'applicabilita'  dell'art.  68  Cost.  e'  coessenziale    l'effetto
 inibitorio della prosecuzione del giudizio o  dell'emissione  di  una
 pronuncia giudiziale difforme, salvo il controllo che il giudice puo'
 promuovere  con  il mezzo del conflitto di attribuzione (Corte cost.,
 sentenze  nn. 129/1996, 1150/1988);
   Ritenuto che nella fattispecie - da annoverare tra i  casi  in  cui
 l'identificazione  della  linea  di  confine  tra i comportamenti dei
 parlamentari garantiti ex art. 68 Cost.  e  quelli  che  non  possono
 sfuggire  al diritto comune e' piu' problematica per il contrasto che
 si viene a  porre  tra  alcuni  beni  morali  della  persona  (onore,
 reputazione,  pari  dignita')  che e' la stessa Costituzione nei suoi
 principi fondamentali a qualificare inviolabili e  l'insindacabilita'
 dell'opinione  espressa  dal parlamentare come momento insopprimibile
 della  liberta'  della  funzione  (cosi'  Corte  cost.,  sentenza  n.
 379/1996)  -  non  sembra  al  tribunale che il potere valutativo sia
 stato   dalla   Camera    legittimamente    esercitato    a    motivo
 dell'estraneita',   in   tutto   o   in  parte,  della  condotta  del
 parlamentare  ai  concetti  di  "opinione"  e  di  "esercizio   delle
 funzioni"  e  quindi  a motivo dell'insussistenza dei presupposti per
 l'applicazione dell'art. 68, primo comma, Cost.
   Al riguardo si osserva che:
     1) l'iter argomentativo della relazione  della  Giunta  approvata
 dall'Assemblea parlamentare muove in sostanza dal fatto notorio della
 battaglia politica che l'on. Boato conduce da moltissimi anni su temi
 della  giustizia  (e  in  particolare  delle  garanzie  difensive nel
 processo penale) e sulla ricostruzione delle  vicende  realtive  alle
 numerose  stragi verificatesi nel nostro paese, per poi qualificare i
 fatti addebitati all'on. Boato dal  dr.  Salvini  come  "denuncia  di
 chiara  ed  evidente natura politica", in quanto "intesa a denunciare
 un  preteso  uso  distorto  delle  regole  processuali  sull'uso  dei
 collaboratori  di  giustizia" e in quanto inserita "nell'ambito di un
 processo, quello  Calabresi,  che  ha  assunto  in  questi  anni  una
 straordinaria  rilevanza  politica,  sia  perche' collegato a vicende
 propriamente politiche, sia perche' incentrato, per  quanto  riguarda
 le  regole  del  processo, sul ruolo dei collaboratori di giustizia e
 sull'utilizzo che di tale strumento  ha  fatto  la  magistratura  nel
 corso di questi anni";
     2)  con  cio',  peraltro,  si da' per scontato il superamento del
 problema dell'estensione dell'area di insindacabilita' dall'esercizio
 delle funzioni  tipicamente  parlamentari  o  para-parlamentari  allo
 svolgimento  di  attivita'  politica anche genericamente intesa e non
 funzionale, ne' collegata, allo svolgimento del mandato parlamentare,
 superamento che, nella dottrina costituzionalistica, non  costituisce
 certo  un dato acquisito e che neppure sembra agevolmente ravvisabile
 nella giurisprudenza della Corte  costituzionale  (cfr.  sentenza  n.
 443/1993,  che in tutt'altra fattispecie ha confermato la correttezza
 della insindacabilita' ex art. 68, primo comma, Cost., deliberata dal
 Senato: si trattava infatti di un parlamentare che aveva riferito  in
 un convegno pubblico fatti e circostanze apprese nell'esercizio delle
 sue  funzioni  di vicepresidente della commissione di inchiesta sulla
 loggia massonica P2, manifestando le opinioni e  le  convinzioni  che
 avevano  ispirato o cui in seguito avrebbe ispirato sull'argomento il
 proprio comportamento parlamentare);
     3) in ogni caso, non sembra possibile ricondurre all'ambito delle
 attivita' parlamentari o politiche le dichiarazioni circa  i  pretesi
 illeciti  del  dr. Salvini rese dall'on. Boato come testimone dinanzi
 alla Corte d'assise di Milano  il  23  febbraio  1990  e  cio'  anche
 tenendo   conto   della   natura   della   notizia   (che  riguardava
 personalmente il  dr.  Boato),  della  fonte  (un  colloquio  con  un
 professionista,  l'avv.   Ceola; colloquio che in nessun modo risulta
 collegato allo svolgimento di attivita' parlamentari), del  lasso  di
 tempo  trascorso  tra  la sua acquisizione (risalente almeno al 1986,
 data della lettera al Salvini) e l'inizio della sua divulgazione  (23
 aprile  1990),  della  sede  prescelta  per  la  divulgazione  stessa
 (testimonianza resa in processo penale avanti la Corte  d'assise,  in
 cui  viene in considerazione l'obbligo del teste di dire la verita' e
 non di esprimere opinioni: altre e diverse  erano  le  sedi  deputate
 all'accertamento  e  alla  repressione di eventuali illecite condotte
 del magistrato);
     4) infine e  soprattutto,  non  sembra  possibile  ricondurre  le
 dichiarazioni   dell'on.   Boato   alla   categoria  delle  "opinioni
 espresse",  ossia  delle  valutazioni  soggettive  manifestate  circa
 eventi riconosciuti nella loro oggettivita', trattandosi invece della
 concreta   (e   dall'attore  contestata)  attribuzione  di  un  fatto
 determinato, astrattamente idoneo, nella sua specificita' e gravita',
 ad integrare un illecito,  la  cui  cognizione,  anche  in  forza  di
 precetti  costituzionali  (artt.  24,  101  e  102),  dovrebbe essere
 riservata all'autorita' giudiziaria ordinaria;
   Ritenuto,  pertanto,  che  sembra  necessario  a  questo   collegio
 sollevare  conflitto  di  attribuzione  tra  i  poteri  dello  Stato,
 conflitto ammissibile sia sotto il profilo soggettivo - il  tribunale
 essendo  organo  competente  a  decidere definitivamente, nell'ambito
 delle funzioni giurisdizionali attribuite,  sull'asserita  illiceita'
 delle  condotte  oggetto  delle  doglianze  dell'attore  -, sia sotto
 quello oggettivo - trattandosi qui, per un verso,  della  sussistenza
 dei  presupposti  per l'applicazione dell'art. 68, primo comma, Cost.
 e, per altro verso, della  lesione  di  attribuzioni  giurisdizionali
 costituzionalmente  garantite (cfr.  Corte cost., ordinanze nn. 269 e
 6 del 1996).
                               P. Q. M.
   Visti gli artt. 134 Cost. e 37 legge 11 marzo 1953, n. 87;
   Dispone   la  sospensione  del  giudizio  in  corso  e  l'immediata
 trasmissiione  degli  atti  alla  Corte  costituzionale,   sollevando
 conflitto  di  attribuzione tra poteri dello Stato e chiedendo che la
 Corte:
     a)  dichiari  che  non  spettava  alla  Camera  dei  deputati  la
 valutazione  della condotta attribuita all'on. Marco Boato, in quanto
 estranea in tutto o in parte  alla  previsione  dell'art.  68,  primo
 comma, Cost.;
     b) annulli la relativa deliberazione della Camera dei deputati in
 data 20 marzo 1997 (atti Camera, doc.  IV-quater, n. 6);
   Si comunichi alle parti costituite e alla Camera dei deputati.
   Cosi'  deciso  in  Milano,  nella  camera di consiglio del 3 aprile
 1997.
                        Il presidente: de Sapia
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