N. 347 ORDINANZA (Atto di promovimento) 29 gennaio 1998
N. 347 Ordinanza emessa il 29 gennaio 1998 dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Messina nel procedimento penale a carico di Rizzo Giuseppe Armi e materie esplodenti - Detenzione illegale di armi, gia' denunciate da terzi, pervenute iure successionis - Configurazione come reato - Lamentato eguale trattamento con riferimento all'ipotesi di omessa denuncia originaria. (R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 38; legge 2 ottobre 1967, n. 895, artt. 2 e 7; legge 14 ottobre 1974, n. 497, artt. 10 e 14). (Cost., art. 3).(GU n.21 del 27-5-1998 )
IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Ha emesso la seguente ordinanza, letti gli atti del procedimento penale a carico di Rizzo Giuseppe imputato del delitto previsto e punito dagli artt. 10 e 14, legge 1974, n. 497, per avere illegalmente detenuto presso la propria abitazione un fucile da caccia ad avancarica cal. 32. O s s e r v a Con informativa del 14 giugno 1996 i C.C. di Rometta ( Messina) denunziavano Rizzo Giuseppe per avere illegalmente detenuto un fucile da caccia ad una canna cal. 32. Il fucile, che veniva sequestrato, era stato regolarmente denunziato nel 1949 dal padre, deceduto il 30 novembre 1995 ed era rimasto custodito nella stessa abitazione pervenuta in eredita' al figlio. In data 17 settembre 1996 il p.m. il chiedeva il rinvio a giudizio dell'imputato e veniva fissata ludienza preliminare. All'odierna udienza questo g.i.p. sollevava questione di legittimita' costituzionale degli artt. 38 t.u.l.p.s. e artt. 2 e 7, legge 2 ottobre 1967, n. 895 e 10 e 14, legge 14 ottobre 1974, n. 497 per violazione dell'art. 3 della Costituzione nella parte in cui prevedendo come reato la illegale detenzione di armi comuni da sparo non distinguono la posizione di chi non abbia mai denunciato la detenzione di un'arma da quella di chi non abbia ripetuto la denuncia di un'arma gia' regolarmente denunziata e pervenutagli in eredita', mandando alla cancelleria di trasmettere gli atti alla Corte costituzionale per il giudizio di legittimita'. Denuncia questo giudice l'illegittimita' costituzionale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, degli artt. 38 t.u.l.p.s. e artt. 2 e 7, legge 2 ottobre 1967, n. 895 e 10 e 14, legge 14 ottobre 1974, n. 497 nei termini sopra enunciati, in quanto costituisce una palese disparita' prevedere uno stesso trattamento sanzionatorio e la punizione a titolo di dolo tanto per i cittadini che ereditano un'arma regolarmente denunciata dal de cuius, quanto per i cittadini che detengono un'arma che non e' stata mai denunciata. Va innanzitutto osservato che con riferimento alla ratio delle norme in oggetto - che mirano a garantire la facile ed immediata controllabilita' ai fini di un pronto riconoscimento della provenienza delle armi - non puo' sostenersi che nel caso di un'arma ereditata, che rimanga custodita nello stesso luogo indicato nella denuncia, sia impedito il controllo, essendo in tal caso facilmente individuabile sia il luogo ove dette armi sono detenute, sia il proprietario delle stesse. Non si puo' pertanto assoggettare alla medesima pena ipotesi molto diverse tra loro, quali quella di chi non abbia mai denunciato un'arma rispetto a quella di chi ha omesso di ripetere la denunzia, posto che in quest'ultimo caso il controllo dell'arma e' facilmente garantito: e' infatti sufficiente recarsi nel luogo dove risulta denunziata l'arma e accertato che il legittimo detentore e' deceduto, identificare l'erede e invitarlo in caserma o al commissariato perche' provveda a regolarizzare la sua posizione, magari previo pagamento di un'ammenda, per non averlo fatto entro un determinato termine (da stabilire) dalla morte del de cuius. La circostanza poi che rilevi, secondo la costante giurisprudenza, la denunzia del possesso dell'arma da parte di colui che la detiene e non la denunzia dell'esistenza di essa - sul presupposto che la norma persegue la finalita' di consentire il controllo delle persone che detengono le armi, nonche' il controllo dell'arma in quanto sia nella sfera di disposizione di un certo soggetto - ha senso se riferita, a voler tutto concedere, ai casi di vendita, cessione, permuta, scambio di armi tra persone non legate da uno stretto vincolo familiare, ma non gia' nei casi di eredita', allorche' l'arma continua a restare nello stesso luogo e nella sfera di soggetti facilmente individuabili, perche', come gia' detto, sia il luogo, ove e' detenuta l'arma, che la persona destinataria dell'arma pervenutale in eredita' sono facilmente e prontamente individuabili. Non e' inoltre da trascurare il fatto che mentre nel primo caso vi e' un'attivita' specifica e attiva dell'acquirente o del cessionario, direttamente interessati al possesso dell'arma, nell'ipotesi di un'arma pervenuta in eredita' spesso non vi e' neppure una relazione stabile tra l'arma e il soggetto, non avendo l'erede mai usato quell'arma di cui viene ad averne il possesso involontariamente. E' da osservare poi sotto un altro profilo che nei casi di detenzione di arma ereditata da un congiunto, colui il quale omette di provvedere all'obbligo previsto dalla legge ignora l'esistenza di una normativa che prevede la rinnovazione della denuncia. Pur non dimenticando che l'ignoranza della legge penale non scusa, si avverte forte l'esigenza che, oltre alla coscienza e volonta' dell'atto, vi sia la consapevolezza della illiceita' del comportamento e pertanto non puo' mai essere sufficiente la mera coscienza e volonta' dell'atto ai fini del dolo. Il principio affermato dall'art. 5 c.p. che escluderebbe non solo la consapevolezza dell'antigiuridicita' del fatto, ma anche la coscienza dell'illiceita' e' cosi rigido soltanto nella nostra legislazione italiana, mentre e' assai attenuato in tutte le legislazioni vigenti. In tema di delitti, nei casi in cui si richiede il dolo, e' innegabile che nello stesso concetto di dolo e' insita una certa malizia, inconciliabile con comportamenti posti in essere in perfetta buona fede e non lesivi di alcun interesse protetto, sicche' sarebbe da escludere l'antigiuridicita' del fatto. Ma anche ammesso che per il dolo non si richieda ne' la consapevolezza dell'antigiuridicita' ne' quella dell'illiceita', ci era stato insegnato che per l'esistenza del dolo era comunque necessaria la consapevolezza di agire in contrasto con le esigenze della vita in comune ossia di far male ad altri. In altri termini e' indispensabile che vi sia la consapevolezza del carattere antisociale del fatto, vale a dire la possibilita' per ciascuno di rendersi conto che con la propria condotta lede o pone in pericolo interessi che non gli appartengono. La Cassazione, tuttavia, continua a ribadire che la erronea, opinione di non dovere ripetere la denunzia di un'arma regolarmente denunziata si risolve in ignoranza della legge penale e come tale non puo' essere invocata a propria scusa. Questo giudice trova ripugnante condannare per detenzione illegale di arma la moglie o il figlio perche' non hanno ripetuto una denuncia che ignoravano di dovere ripetere. Non bisogna inoltre mai dimenticare il principio della necessaria offensivita' della norma penale, se non si vuole costruire una legislazione di norme formali in cui vi sia solo una astratto potenziale pericolo di beni gia' tutelati da altre norme. Ci si domanda dov'e' mai l'offesa al bene giuridicamente protetto da parte ad es. di una vedova che non abbia rinnovato la denunzia di un fucile regolarmente denunziato dal defunto marito e custodito in una vecchia casa di campagna|? E' veramente paradossale che in un momento in cui si constata che le organizzazioni criminali si servono di mezzi sempre piu' sofisticati per eludere fraudolentemente la legge, mascherando i loro traffici illeciti sotto la forma di una parvente legittimita', e quindi difficili da individuare, e in un'epoca in cui i nostri parlamentari approvano la normativa sull'abuso di ufficio, escludendo che si possa commettere reato con un atto posto in essere intenzionalmente con sviamento dalla causa tipica per favorire terzi, la Cassazione (con singolare coerenza, a differenza dei contrasti giurisprudenziali che si registrano su altri temi continui invece ad affermare che "E' configurabile il delitto di detenzione illegale di arma nell'ipotesi in cui il soggetto ometta di denunciare l'arma stessa di cui sia venuto in possesso iure successionis, ancorche' il precedente possessore avesse presentato regolare denuncia e l'arma continui ad essere detenuta nello stesso luogo. Peraltro, ai fini del perfezionamento dell'elemento soggettivo del reato, e' sufficiente il dolo generico, consistente nella coscienza e volonta' della condotta, senza che sia richiesta la consapevolezza dell'antigiuridicita' della stessa o la volonta' di violare una determinata norma di legge" (vds. sent. Cass. sez. I, 24 ottobre 1996). Restano quindi ancora in vigore reati di "creazione legislativa" dove la violazione del precetto penale non e' certo intenzionale e quindi non si puo' definire dolosa un'omissione in assenza della consapevolezza della illiceita' del comportamento. Se la Cassazione rimane ancorata a vuote e rigorose forme e principi giuridici che nella loro applicazione finiscono con il tradursi in palesi e macroscopiche violazioni del piu elementare senso di giustizia - e tali sono quelle massime in cui si continua a ripetere che l'elemento psicologico del delitto di detenzione illegale di arma e' rappresentato dal dolo generico e che non incide su tale elemento l'erroneo convincimento del detentore circa l'obbligo della denuncia, la natura dell'arma, l'asserito mancato accertamento della potenzialita' dell'arma stessa e che tali convincimenti, ove sussistenti, si tradurrebbero in inescusabile ignoranza della legge penale, posto che la genericita' del dolo non richiede la intenzione di violare la legge, ne' la consapevolezza dell'antigiuridicita' del fatto - si deve necessariamente pronunciare la Corte costituzionale per distinguere delle ipotesi che sono sostanzialmente diverse tra loro. La Cassazione ha eliminato poi qualunque "scappatoia" per mandare esente da pena i soggetti imputati del delitto di cui si denuncia la incostituzionalita'. Nel caso in esame si sarebbe potuta ritenere sopravvissuta la contravvenzione prevista dall'art. 697 c.p., ma la Cassazione ha escluso che la detenzione illegale di armi dopo lentrata in vigore della legge 74, n. 497, potesse essere punita a titolo di colpa, tranne che in ipotesi residuali relative ad es. al porto in un luogo che non sia pubblico, e che allo stesso tempo sia fuori dalle appartenenze dell'abitazione. Si dice anche che non rileva la mancata denunzia per dimenticanza. Non si comprende in realta' come si possa affermare che la dimenticanza di fare la denuncia o addirittura la dimenticanza dell'esistenza di un fucile (custodito ad es. in una campagna solo saltuariamente frequentata) attenga al concetto di dolo, laddove e' evidente che in tali casi e' ravvisabile tutt'al piu' la colpa, non potendosi ritenere che l'omessa denunzia sia volontaria. Ha poi affermato che l'avverbio "illegalmente" non rientra nel fatto incriminato, ma e' un dato esterno ad esso, una sua qualificazione giuridica, e quindi una entita' normativa. Anche con questo tipo di sentenze la Cassazione ha eliminato la possibilita' di scriminare la condotta di quel soggetto che ritiene lecita perche' legalmente autorizzata la detenzione dell'arma denunciata dal de cuius, in quanto ha voluto precisare che quell'avverbio non significa che sia necessaria la conoscenza dalla illegalita' perche' al pari dell'antigiuridicita' in generale non e' necessaria ai fini della sussistenza dell'elemento psicologico del reato. Questo giudice aveva sempre creduto che allorche' la legge avesse richiesto che il fatto fosse commesso illegittimamente, abusivamente, indebitamente arbitrariamente ecc. ossia in quelle ipotesi di c.d. illiceita' speciale, l'antigiuridicita' della condotta fosse elemento dei relativi reati e quindi dovesse essere conosciuta, ancorche' il riferimento fosse a quelle norme extrapenali che devono essere conosciute ai sensi dell'ultimo capoverso dell'art. 47, c.p. E su questa ottica si sarebbe potuto sostenere, magari forzando il concetto di errore su legge extra-penale, che vi e' un errore sulle norme contenute nel t.u.l.p.s., non potendosi pretendere che vengano conosciute anche le norme contenute nei testi unici e nei relativi regolamenti. Ed allora a questo punto l'intervento della Corte cstituzionale si impone avendo la Cassazione eliminato qualunque possibilita' per trovare una soluzione favorevole nell'ambito dell'applicazione dei principi generali in tema di dolo, posto che afferma sempre e' comunque nei casi sottoposti al suo esame la configurabilita' dell'elemento psicologico del reato. Questo giudice non ha nessuna difficolta' in questo caso e in altri analoghi a pronunciare sentenza di non luogo a procedere perche' il fatto non costituisce reato per difetto di dolo, ma sa bene che molti altri colleghi di fronte a una giurisprudenza costante della Cassazione che ravvisa la violazione delle norme in oggetto potranno pervenire anche ad un giudizio di condanna. La Corte costituzionale con sentenza n. 364/1988 ha introdotto una deroga all'art. 5, c.p., attribuendo una certa legittimita' al principio della buona fede dovuto alla ignoranza della legge penale e precisamente in quei casi in cui numerose norme peraltro non ben coordinate tra loro siano state emanate a getto continuo impedendo agli stessi tecnici del diritto una corretta interpretazione. Secondo la Corte costituzionale quindi l'ignoranza della legge penale non puo' essere invocata a propria scusa se non nei limiti in cui si tratti di ignoranza inevitabile. La Corte nell'introdurre una deroga all'art. 5, c.p., consente quindi all'interprete di invocare il principio della scusabilita' dell'errore inevitabile anche in casi come quello in esame, in cui potrebbe essere consentito scusare l'ignoranza della legge penale per l'impossibilita' di conoscere tutte le norme del t.u.l.p.s. e del relativo regolamento di esecuzione. Infatti nei casi in esame l'arma e' gia' regolarmente denunziata e questo particolare non e' certo trascurabile perche' il soggetto imputato ben puo' difendersi affermando che e' consapevole del precetto penale che impone l'obbligo di denunciare l'arma - e difatti l'arma e' regolarmente denunciata - ma di non sapere che la denunzia debba essere rinnovata, ne' si puo' pretendere che tutti sappiano interpretare le norme penali e ritenerle responsabili per non avere saputo interpretare delle norme che spesso sono oscure anche per gli esperti. Del resto le norme di cui si eccepisce l'incostituzionalita' non contengono con chiarezza il precetto penale in questione, nel senso che nessuna norma stabilisce che la denunzia dell'arma deve essere ripetuta, ricavandosi cio' solo indirettamente da parte di chi e' esperto di diritto. Il nuovo detentore di un'arma ha l'obbligo di farne regolare denuncia ex art 38 t.u.l.p.s., ma il precetto penale non e' certo di intuitiva conoscibilita' per cui l'errore degli eredi e' inevitabile. Tuttavia il principio della scusabilita' dell'errore inevitabile per la sua genericita' e discrezionalita' potrebbe essere applicato solo da quei giudici dotati di una certa sensibilita'. Peraltro trattandosi di un principio applicabile in casi concreti, non puo' ricavarsene un principio di ordine generale, perche' se cosi' e' tanto vale dichiarare l'incostituzionalita' della norma denunciata, nei termini sopra precisati. Le norme devono essere chiare per potere essere applicate in maniera uguale da tutti, non potendosi lasciare al magistrato la responsabilita' di fare dottrina o giurisprudenza sulla pelle dei cittadini. Sarebbe poi auspicabile che cotesta Corte non decidesse affermando che trattasi di una scelta legislativa e quindi di un problema del legislatore, perche', fino a quando non sara' emanata una norma che prevede un reato contravvenzionale per i casi in cui l'arma risulti regolarmente denunciata dal de cuius, il fatto verra' sanzionato dagli artt. 10 e 14, legge 74, n. 497, ed e' per questo che se ne denunzia la illegittimita' costituzionale, in quanto prevedono un medesimo trattamento sanzionatorio per casi che sono completamente diversi tra loro con violazione dell'art. 3 della Costituzione. Qui non si tratta di graduare le responsabilita' a seconda la pericolosita' dei soggetti o la gravita' del fatto, qui vi e' una vera e propria disparita' di trattamento dei cittadini rilevante ai sensi dell'art. 3 della Costituzione. Non si puo' infatti fare riferimento a graduazione di pena oppure a attenuanti generiche o all'attenuante del fatto lieve, perche' anche il trattamento piu' favorevole sarebbe iniquo. La soluzione deve essere adottata in linea generale stabilendo che in tutti i casi analoghi a quello in esame si verte in una ipotesi contravvenzionale. In definitiva colui il quale detiene un'arma gia' denunziata dal congiunto deve essere esente da responsabilita' o tutt'al piu' punito a titolo di colpa per non essersi informato presso le competenti autorita' di p.s. in merito agli obblighi conseguenti alla morte di un congiunto detentore di armi regolarmente denunziate, ovvero con una sanzione amministrativa per non avere tempestivamente segnalato agli organi di polizia il possesso dell'arma ereditata.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953; Il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Messina solleva d'ufficio questione di legittimita' costituzionale degli artt. 38 t.u.l.p.s. e artt. 2 e 7, legge 2 ottobre 1967, n. 895 e 10 e 14, legge 14 ottobre 1974, n. 497, nella parte in cui prevedendo come reato la illegale detenzione di armi comuni da sparo non distinguono la posizione di chi non abbia ripetuto la denuncia di un'arma da quella di chi non abbia ripetuto la denuncia di un'arma gia' regolarment denunziata e pervenutagli in eredita' per violazione dell'art. 3 della Costituzione; Sospende il giudizio nei confronti di Rizzo Giuseppe fino alla decisione della questione da parte della Corte costituzionale; Dispone che a cura della cancelleria gli atti siano trasmessi alla Corte costituzionale e che la presente ordinanza sia notificata ai difensori, al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonche' comunicata ai Presidenti delle due camere del Parlamento. Messina, addi' 29 gennaio 1998 Il giudice: (firma illeggibile) 98C0539