N. 173 SENTENZA 8 - 20 maggio 1998

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Ambiente (Tutela dell') - Regione Friuli-Venezia Giulia  -  Impianti
 di  depurazione - Smaltimento di rifiuti tossici e nocivi - Esenzione
 da autorizzazione di ogni fase  del  procedimento  -  Violazione  dei
 principi   fondamentali  della  legislazione  statale  in  materia  -
 Contrasto con le attribuzioni di autonomia di una regione  a  statuto
 speciale Illegittimita' costituzionale.
 
 (Legge regione Friuli-Venezia Giulia 14 giugno 1996, n. 22, art. 2).
 
 (Cost.,  artt. 3, 9, secondo  comma,  10,  primo  comma,  25, secondo
 comma, 32 e 116).
 
(GU n.21 del 27-5-1998 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici: prof. Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.
 Cesare  MIRABELLI,  prof.  Fernando   SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
 dott.  Cesare  RUPERTO,  dott.  Riccardo   CHIEPPA,   prof.   Gustavo
 ZAGREBELSKY,  prof.  Valerio  ONIDA,  prof.  Carlo  MEZZANOTTE,  avv.
 Fernanda CONTRI,  prof.  Guido  NEPPI  MODONA,  prof.  Piero  Alberto
 CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 2 della legge
 della regione Friuli-Venezia Giulia 14 giugno 1996, n. 22  (Modifiche
 alla  legge  regionale  7 settembre 1987, n. 30 ed ulteriori norme in
 materia di smaltimento dei rifiuti solidi e di attivita' estrattive),
 promosso con ordinanza emessa il 5 marzo 1997 dal  g.i.p.  presso  la
 pretura  di  Udine  nel  procedimento a carico di Giovanni Antonio Di
 Taranto, iscritta al n. 195 del registro ordinanze 1997 e  pubblicata
 nella   Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  17,  prima  serie
 speciale, dell'anno 1997.
   Visto l'atto di intervento della regione Friuli-Venezia Giulia;
   Udito nella camera di consiglio del  14  gennaio  1998  il  giudice
 relatore Piero Alberto Capotosti.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Il pubblico ministero, in data 25 febbraio 1997, chiedeva al
 giudice per le indagini preliminari presso la  pretura  circondariale
 di  Udine  di  disporre l'archiviazione dell'affare rubricato al nome
 del legale rappresentante di una societa'  esercente  l'industria  di
 depurazione  di  acque  reflue  prodotte  da terzi e classificate non
 tossiche ne' nocive, sotto l'ipotesi di reato  di  cui  all'art.  25,
 primo  comma,  del d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, che sanziona con
 l'arresto e con l'ammenda coloro che effettuano  lo  smaltimento  dei
 rifiuti  urbani  e  speciali  prodotti  da  terzi ovvero installano o
 gestiscono impianti di innocuizzazione e di eliminazione dei  rifiuti
 speciali  senza  l'autorizzazione  di  cui  all'art. 6, lettera d) di
 detto decreto.    Il  magistrato  requirente  aveva  acquisito  dalla
 polizia   giudiziaria  la  notizia  che  in  data  19  febbraio  1996
 l'amministrazione provinciale aveva  ritirato  l'autorizzazione  gia'
 concessa per la gestione dell'impianto di depurazione in questione.
   Il  ritiro  dell'atto  era  stato  motivato  con  la  necessita' di
 applicare le direttive contenute  in  una  circolare  del  presidente
 della   Giunta   regionale,   che   aveva   escluso   la   necessita'
 dell'autorizzazione de qua per il trattamento di reflui  non  tossici
 ne'   nocivi,   sul  rilievo  che  la  fattispecie  doveva  ritenersi
 disciplinata dalla legge 10 maggio 1976, n. 319 (cd.  "legge  Merli")
 sulla  tutela  delle acque dall'inquinamento e dal relativo regime di
 autorizzazione. L'interpretazione offerta dalla  circolare  e'  stata
 successivamente  recepita dall'art. 2 della legge regionale 14 giugno
 1996, n. 22 (Modifiche alla legge regionale 7 settembre 1987,  n.  30
 ed  ulteriori norme in materia di smaltimento dei rifiuti solidi e di
 attivita' estrattive). La norma ha,  infatti,  espressamente  escluso
 che  i  titolari  di  impianti  destinati  alla  depurazione di acque
 provenienti da  terzi,  purche'  non  tossiche  ne'  nocive,  debbano
 munirsi   di   specifica  autorizzazione  per  lo  smaltimento  delle
 medesime.
   2. - Il g.i.p. presso la pretura di  Udine,  con  ordinanza  del  5
 marzo  1997,  ha  sollevato  questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 2 legge della regione Friuli-Venezia Giulia 14 giugno 1996,
 n. 22, in riferimento agli artt.  3,  9,  secondo  comma,  10,  primo
 comma, 25, secondo comma, 32, e 116 della Costituzione.
   Il  giudice  a  quo  ha  dedotto che la norma denunziata si pone in
 contrasto con l'art. 25, secondo comma, della  Costituzione,  perche'
 incide  sul  monopolio statale della potesta' punitiva penale e rende
 lecito un comportamento sanzionato nelle altre regioni;  lede  l'art.
 116 della Costituzione, in quanto viola i principi fondamentali della
 legislazione  statale  in  una  materia  in cui la regione, in virtu'
 dell'art. 6, n. 3, dello statuto di autonomia e' titolare di potesta'
 integrativo-attuativa; reca vulnus  all'art.  3  della  Costituzione,
 perche'  determina  una disparita' di trattamento tra le attivita' di
 impresa svolte in Friuli-Venezia Giulia e quelle identiche esercitate
 fuori dei confini di tale regione; si pone in  contrasto  con  l'art.
 9,  secondo  comma, della Costituzione, perche' attenua la tutela del
 "paesaggio", nonche' con l'art. 32 della Costituzione, dato  che  non
 garantisce  la  salubrita'  ambientale  la  cui  salvaguardia impone,
 invece, di mantenere il vincolo dell'autorizzazione per  il  tipo  di
 industria  in  esame;  viola,  infine,  l'art. 10, primo comma, della
 Costituzione, in quanto  non  ottempera  al  dovere  del  legislatore
 regionale  di adeguare l'ordinamento alle norme comunitarie, le quali
 stabiliscono che deve essere  rilasciata  l'autorizzazione  per  ogni
 fase del ciclo di eliminazione dei rifiuti.
   Il  rimettente,  a  conforto delle censure, richiama l'orientamento
 della  giurisprudenza  di  legittimita',  di  recente   consolidatosi
 nell'affermare,  relativamente  ai liquami non tossici ne' nocivi, il
 carattere complementare delle normative  concernenti  il  trattamento
 dei  rifiuti  e  la  tutela  delle  acque,  in  quanto  riferibili  -
 rispettivamente - a "qualsiasi fase di smaltimento dei rifiuti, anche
 liquidi" e alla "sola fase  di  immissione  diretta  delle  acque  di
 rifiuto nel corpo ricettore".
   La   questione,  osserva  il  rimettente,  e'  rilevante  anzitutto
 perche',  qualora  fosse  accolta,  l'archiviazione  dovrebbe  essere
 disposta  non  per  infondatezza  della  notitia criminis, bensi' per
 difetto dell'elemento soggettivo del reato; inoltre,  perche'  l'art.
 25  del  d.P.R.  n. 915 del 1982, nonostante la sostituzione disposta
 con il d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, e' applicabile  in  virtu'  dei
 principi sulla successione nel tempo delle leggi penali.
   3.  -  La regione-Friuli Venezia Giulia e' intervenuta nel giudizio
 ed ha chiesto che la questione sia dichiarata infondata.
   L'interveniente premette d'essere titolare di potesta'  legislativa
 concorrente  nella  materia  della  "igiene e sanita'", alla quale e'
 riconducibile la disciplina dello smaltimento  dei  rifiuti.  Deduce,
 quindi,  che  la  necessita'  dell'autorizzazione  in  esame e' stata
 esclusa, accogliendo le indicazioni  offerte  in  tal  senso  da  una
 pluralita' di fonti. In particolare, dalle direttive contenute in una
 lettera  circolare  del  Ministero dell'ambiente del 1989, nonche' da
 una  serie  di  disposizioni  statali  di  recepimento  di  direttive
 comunitarie,  le quali individuano il regime autorizzatorio di alcuni
 particolari reflui sull'implicito presupposto che non c'e' illimitata
 vis expansiva delle previsioni del d.P.R. n. 915 del 1982, ed  infine
 dall'interpretazione  offerta  dalla  giurisprudenza  amministrativa.
 Pertanto, ha concluso l'interveniente, la scelta di assoggettare alla
 sola autorizzazione prevista dall'art. 21, primo comma,  della  legge
 n.  319  del  1976  ogni specie di smaltimento di sostanze reflue non
 tossiche ne' nocive appare immune da censure.
                        Considerato in diritto
   1. -   La questione di legittimita'  costituzionale  sollevata  con
 l'ordinanza  in  epigrafe riguarda l'art. 2 della legge della regione
 Friuli-Venezia Giulia 14 giugno 1996, n. 22, il  quale,  introducendo
 il  comma 2-bis all'art. 2 della legge regionale 7 settembre 1987, n.
 30, dispone che non sono ricompresi fra gli impianti  di  smaltimento
 "gli  impianti  di  depurazione,  di cui alla legge 10 maggio 1976 n.
 319, ricadenti esclusivamente nella regolamentazione di quest'ultima,
 con l'eccezione di quelli che trattano reflui tossici e nocivi".
   Tale norma,  secondo  l'ordinanza  di  rimessione,  esenterebbe  da
 autorizzazione  ogni  fase  dello smaltimento, e cioe' dal momento in
 cui il refluo perviene all'impianto fino  al  momento  immediatamente
 precedente   la  sua  eliminazione,  violando  cosi',  sotto  diversi
 profili, i precetti degli artt. 3, 9, secondo comma, 10, primo comma,
 25, secondo comma, 32 e 116 della  Costituzione.  Il  giudice  a  quo
 ritiene  che  la  norma  impugnata  sia  in  contrasto con i principi
 fondamentali della normativa vigente in materia  di  smaltimento  dei
 rifiuti,  quale risulta in base al "diritto vivente" costituito dalle
 decisioni della Corte di cassazione, secondo cui "qualsiasi  fase  di
 smaltimento dei rifiuti, anche allo stato liquido ... e' regolata dal
 d.P.R.  n.  915/1982, mentre la sola fase di immissione diretta delle
 acque di rifiuto nel corpo ricettore  finale  e'  disciplinato  dalla
 legge  n.  319/1976".  Il  contrasto  della  norma  impugnata  con la
 disciplina statuale in materia di smaltimento dei rifiuti,  la  quale
 costituisce    anche    attuazione   di   obblighi   comunitari,   si
 verificherebbe, inoltre,  sotto  l'ulteriore  profilo  che,  in  modo
 arbitrario,   si  renderebbero  esenti  "dall'obbligo  autorizzatorio
 attivita' che vi sarebbero soggette (nel caso,  lo  stoccaggio  e  il
 trattamento  di  rifiuti  liquidi  speciali  prodotti da terzi)", con
 tutte  le  relative  conseguenze,   peraltro   non   modificate   dal
 soppravvenire del d.lgs.  5 febbraio 1997, n. 22 (cosiddetto "decreto
 Ronchi").
   2. - La questione e' fondata.
   La  Corte  e'  chiamata  a risolvere il dubbio di costituzionalita'
 inerente al comma 2-bis dell'art. 2 della legge regionale n.  22  del
 1996,  che  esclude  dalle  tipologie  d'impianto  assoggettate  alla
 disciplina del d.P.R. 10 settembre 1982 n. 915 e della  normativa  in
 materia  di smaltimento rifiuti gli impianti di depurazione di reflui
 speciali, di cui alla legge 10  maggio  1976,  n.  319.  Tale  norma,
 secondo  l'ordinanza  di  rinvio, "rende pertanto lecita ed esenta da
 autorizzazione ....  tutta la fase del  trattamento  dei  reflui  che
 precede la loro diretta immissione nel corpo ricettore finale".
   Ai  fini dello scrutinio di costituzionalita' della norma regionale
 censurata  appare  dunque  prioritario  stabilire  in   quale   campo
 disciplinare  rientrino  i  reflui speciali non tossici e non nocivi,
 accertando in particolare se la norma censurata  presupponga  per  la
 sua  applicazione  la  regolamentazione  ed  il regime autorizzatorio
 della cosiddetta "legge Merli", anche quando si  tratti  di  "rifiuto
 liquido"  non  destinato  direttamente  allo  "scarico",  bensi' allo
 "stoccaggio" e "trattamento" per conto terzi, o invece presupponga la
 regolamentazione ed il regime autorizzatorio previsti dal  d.P.R.  n.
 915 del 1982.
   Il  giudice  rimettente  interpreta  i  rapporti  intercorrenti  al
 riguardo tra la disciplina degli scarichi idrici regolata dalla legge
 n. 319 del 1976 e la disciplina dello smaltimento dei rifiuti liquidi
 regolata dal d.P.R. n. 915 del 1982, invocando il "diritto  vivente",
 che  si  e'  ormai formato sulla base di una serie di decisioni della
 Corte di cassazione penale, tra cui, in particolare, quella a sezioni
 unite n. 12310 del 1995, che  hanno  dimostrato  la  complementarita'
 della  disciplina della legge n. 319 rispetto alla onnicomprensivita'
 dei concetti di "rifiuto" e di "smaltimento" e rispetto alla  parita'
 di  regolamentazione  delle  operazioni  di  trattamento  dei rifiuti
 solidi e dei rifiuti liquidi stabilite dal  d.P.R.  n.  915.  Secondo
 appunto  le  sezioni  unite  della Cassazione - che premettono che il
 d.P.R.  n. 915 regola l'intera materia dei  rifiuti  e  che  in  essa
 s'inserisce,  "come  cerchio  concentrico minore", la normativa sugli
 scarichi  dettata  dalla   c.d.   "legge   Merli"   -   il   criterio
 interpretativo   "fondamentale"  per  l'applicazione  di  queste  due
 normative consiste  nel  fatto  che  "il  decreto  n.  915  del  1982
 disciplina   tutte   le   singole  operazioni  di  smaltimento  (es.:
 conferimento, raccolta,  trasporto,  ammasso,  stoccaggio  ecc.)  dei
 rifiuti  prodotti  da  terzi,  siano essi solidi o liquidi, fangosi o
 sotto forma di liquami, con esclusione di quelle fasi, concernenti  i
 rifiuti   liquidi   (o   assimilabili),   attinenti  allo  scarico  e
 riconducibili alla disciplina stabilita dalla legge n.  319 del 1976,
 con l'unica eccezione dei fanghi e  liquami  tossici  e  nocivi,  che
 sono, sotto ogni profilo, regolati dal d.P.R. n. 915".
   L'adesione  del  giudice  a quo a questo criterio applicativo della
 normativa  vigente,  ormai  consolidato   nella   giurisprudenza   di
 legittimita',  comporta dunque che la disciplina autorizzatoria degli
 impianti di trattamento dei rifiuti liquidi, per conto  terzi,  debba
 ricavarsi  dalle  disposizioni  del  d.P.R.  n.  915,  che,  in linea
 generale, impongono un provvedimento abilitativo espresso  per  tutte
 le  fasi  e  per  tutte  le operazioni delle attivita' di smaltimento
 antecedenti ed autonome rispetto allo "scarico" idrico  espressamente
 previsto, in via esclusiva, dalla legge n. 319.
   In  questo  stesso  senso,  d'altronde,  e' interpretabile anche il
 recente decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, che pur abrogando
 esplicitamente il d.P.R. n. 915 del 1982,  tuttavia  ne  mantiene  la
 stessa  impostazione  rispetto  alla  regolamentazione degli scarichi
 idrici, dato che, all'art. 8, lett. e) ricomprende espressamente  nel
 proprio ambito disciplinare, distinguendoli dalle "acque di scarico",
 i  "rifiuti  allo  stato  liquido", usando proprio gli stessi termini
 dell'art. 2, comma  2,  lett.  d)  della  direttiva  75/442/CEE,  che
 appunto il d.P.R. n. 915 recepiva ed attuava.
   In questo quadro normativo, va ricordato che l'art. 6, lett. d) del
 decreto delegato n. 915 del 1982, emanato in base alla legge delega 9
 febbraio 1982, n. 42 per l'attuazione delle direttive della Comunita'
 europea  in  materia  di  rifiuti (n. 75/442, n.76/403 e n.  78/319),
 stabilisce che alle regioni compete dare "l'autorizzazione ad enti  o
 imprese  ad  effettuare  lo smaltimento dei rifiuti urbani e speciali
 prodotti da terzi". D'altra parte, anche il citato decreto n. 22  del
 1997  attribuisce,  all'art.  19,  alle  regioni,  "nel  rispetto dei
 principi  previsti  dalla  normativa  vigente",   la   competenza   a
 rilasciare   "l'autorizzazione   all'esercizio  delle  operazioni  di
 smaltimento  e  recupero   dei   rifiuti".   L'ampiezza   di   questo
 provvedimento autorizzatorio va dunque individuata non solo alla luce
 di  queste  norme,  ma  anche  sulla  base del contenuto delle citate
 direttive comunitarie, le quali - ed ancor piu' la recente  direttiva
 n.  91/156 - per assicurare un alto livello di protezione alla salute
 umana ed all'ambiente prevedono un sistema  di  autorizzazioni  e  di
 controllo  continuo  della  gestione dei rifiuti, siano essi solidi o
 liquidi, dalla produzione allo smaltimento definitivo.
   3.  -   Nell'ambito   dei   prospettati   indirizzi   normativi   e
 giurisprudenziali  va  pertanto  scrutinato il censurato art. 2 della
 legge della regione  Friuli-Venezia  Giulia  n.  22  del  1996,  che,
 nell'esercizio  della  potesta' legislativa concorrente in materia di
 igiene e sanita', sostanzialmente esonera dall'obbligo  di  specifica
 autorizzazione  l'attivita'  di  gestione di impianti di depurazione,
 per conto terzi, di rifiuti liquidi.
   E' evidente il  contrasto  di  questa  disciplina  con  i  principi
 espressi  dalla legislazione statale in materia - in  particolare con
 le disposizioni del decreto delegato n. 915 del 1982,  ma  anche  con
 quelle  del  successivo decreto n. 22 del 1997 che espressamente sono
 qualificate "norme di  riforma  economico-sociale  -  che  stabilisce
 l'obbligatorieta',  anche  secondo  il  ricordato  orientamento della
 Corte di cassazione, dell'autorizzazione per ogni  fase  e  per  ogni
 operazione  dell'intero processo di smaltimento dei rifiuti, compresi
 quelli allo stato liquido, "con l'evidente finalita' di consentire ed
 agevolare  un'efficace  vigilanza   ed   il   complessivo   controllo
 dell'intero  processo di smaltimento dei rifiuti" (sentenza n. 96 del
 1994).
   La  necessita'  di  autorizzazione  per  le singole attivita' della
 gestione dei rifiuti e', d'altra parte, secondo le ripetute  pronunce
 di  questa  Corte,  posta  dal  legislatore  statale  come  principio
 fondamentale, al quale  la  legislazione  regionale  deve  attenersi,
 proprio in considerazione dei valori della salute e dell'ambiente che
 si   intendono  tutelare  in  modo  omogeneo  sull'intero  territorio
 nazionale. Del resto, questo complesso  normativo  opera  in  stretta
 correlazione   con  l'esigenza  di  dare  attuazione  alle  direttive
 comunitarie in materia e concorre pertanto a delineare gli  obiettivi
 essenziali  ed  i limiti di operativita' della regolamentazione dello
 smaltimento dei rifiuti (sentenze nn.  96 del 1994, 194  del  1993  e
 306 del 1992).
   L'art.  2  della  legge  regionale  Friuli-Venezia Giulia 14 giugno
 1996, n. 22, nella parte in cui esclude dagli impianti di smaltimento
 gli impianti di depurazione, per conto  terzi,  di  rifiuti  liquidi,
 cosi'  esonerando la loro gestione dall'obbligo di autorizzazione, si
 discosta   illegittimamente   dai   principi    fondamentali    della
 legislazione  statale  in  materia  e contrasta quindi con l'art. 116
 della Costituzione.
   Va pertanto dichiarata, in riferimento al  predetto  parametro,  la
 illegittimita'   costituzionale   della   norma  impugnata,  restando
 assorbite le ulteriori censure.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art.  2  della  legge
 della  regione Friuli-Venezia Giulia 14 giugno 1996, n. 22 (Modifiche
 alla legge regionale 7 settembre 1987, n. 30 ed  ulteriori  norme  in
 materia di smaltimento dei rifiuti solidi e di attivita' estrattive).
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, l'8 maggio 1998.
                        Il Presidente: Granata
                        Il redattore: Capotosti
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 20 maggio 1998.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
 98C0561