N. 417 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 marzo 1998
N. 417 Ordinanza emessa il 25 marzo 1998 dal tribunale di Pistoia nel procedimento penale a carico di Comparini Carlo ed altri Processo penale - Dibattimento - Dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari da coimputato irreperibile - Utilizzabilita' senza il consenso del coimputato cui tali dichiarazioni si riferiscono - Preclusione - Irragionevolezza - Disparita' di trattamento rispetto ad ipotesi analoghe. Processo penale - Dibattimento - Esame di persona imputata in procedimento connesso - Esercizio della facolta' di non rispondere - Lettura dei verbali contenenti le dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari - Preclusione per il giudice salvo l'accordo delle parti - Irragionevolezza - Lesione del principio della responsabilita' penale personale. Processo penale - Dibattimento - Valutazione delle prove - Modifiche normative - Mancata applicazione della disciplina transitoria alla generalita' dei giudizi in corso - Irragionevolezza. (C.P.P. 1988, art. 513, commi 1 e 2, legge 7 agosto 1997, n. 267, art. 6). (Cost., artt. 3, primo comma, e 27, primo comma).(GU n.24 del 17-6-1998 )
IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza. Visti gli atti del processo a carico di Comparini Carlo ed altri, imputati di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e di acquisto, importazione e detenzione illecita delle stesse sostanze, rilevato che numerosi imputati degli stessi reati per cui si e' gia' proceduto separatamente, chiamati a rendere in dibattimento dichiarazioni ai sensi dell'art. 210 c.p.p., si sono avvalsi della facolta' di non rispondere e che, sulla richiesta del p.m. per la lettura delle loro dichiarazioni predibattimentali, i difensori degli imputati non hanno dato il consenso alla utilizzazione ex art. 513.2 c.p.p.; rilevato che anche per due degli imputati, Basile Sergio e Sapia Monia Carmelina, contumaci, il p.m. ha richiesto la acquisizione per lettura delle loro precedenti dichiarazioni ex art. 512.1 c.p.p. e i difensori dei coimputati non hanno acconsentito alla utilizzazione di tali dichiarazioni nei confronti dei loro difesi; rilevato che il p.m. ha sollevato la questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 513, comma 1 e 2, c.p.p., mentre i difensori si sono opposti; ritenuto che entrambe le questioni siano rilevanti giacche' la lettura, nel primo caso, e la utilizzazione delle dichiarazioni dei coimputati, nel secondo caso, consentirebbero di acquisire importanti prove nel giudizio a sostegno della tesi accusatoria, osserva quanto segue in ordine alla non manifesta infondatezza delle questioni di costituzionalita'. E' applicabile al caso di specie l'art. 513, comma 1, c.p.p. per quanto riguarda il divieto di utilizzazione delle dichiarazioni degli imputati Sapia Monia Carmelina e Basile Sergio nei confronti dei coimputati senza il loro consenso l'art. 513, comma 2, c.p.p. per quanto riguarda la acquisibilita' per lettura delle dichiarazioni rese nella fase delle indagini da coloro nei cui confronti si e' proceduto separatamente e la cui posizione e' stata definita con esiti diversi. La questione di costituzionalita' della prima disposizione di legge che ha aspetti specifici e deve quindi essere esaminata separatamente dall'altra, giacche' possono muoversi dei rilievi di irrazionalita', per cosi' dire, interna all'art. 513 c.p.p. tali da dover essere valutati in relazione ai parametri costituzionali dell'art. 3 della Costituzione; mentre l'altra questione presenta degli aspetti piu' generali in ordine alla sua compatibilita' con il sistema costituzionale e con i principi di diritto costituzionale piu' volte affermati dalla Corte costituzionale. Sulla prima questione (art. 513, primo comma in relazione all'art. 3 della Costituzione) si deve rilevare in sostanza la diversa disciplina di utilizzabilita' in giudizio delle dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari da parte degli stessi soggetti a seconda che il giudizio riguardi anche loro (processo cumulativo) ovvero che nei loro confronti si proceda separatamente: cio' quindi in relazione a fatti processuali casuali e certamente non idonei a giustificare una diversa disciplina probatoria, quali quelli, di varia natura, rilevanti per la riunione o la separazione dei processi. La diversita' di disciplina riguarda la utilizzabilita' delle dichiarazioni di coimputati si sono irreperibili. Se per questi si procede separatamente la impossibilita' di avere la loro presenza fisica al dibattimento comporta, ai sensi dell'ultima parte del comma 2, dell'art. 513, c.p.p., la utilizzabilita' delle loro dichiarazioni predibattimentali a richiesta della parte che ne ha chiesto l'esame ex art. 210 c.p.p. senza condizioni, in sostanza senza necessita' del consenso di coloro nei cui confronti quelle dichiarazioni costituiscono prova a carico: si tratta in definitiva di atti irripetibili per fatti o circostanze sopravvenute non prevedibili e come tali la disciplina e' analoga a quella prevista per gli atti dello stesso tipo, quella prevista dall'art. 512 c.p.p. Se, invece, si procede nei loro confronti dello stesso processo la irreperibilita', ancorche' accertata, non consente la utilizzabilita' delle loro precedenti dichiarazioni senza il consenso dei coimputati: si da' lettura di quelle dichiarazioni ed i relativi verbali vengono acquisiti al fascicolo per il dibattimento, ma la loro utilizzazione come elemento di prova e' limitata soggettivamente alla sola posizione del dichiarante. Ovviamente, poiche' dell'imputato non puo' essere disposto l'accompagnamento coattivo perche' renda l'esame richiesto ed ammesso stante il divieto dell'art. 490 c.p.p., mentre per le persone indicate dall'art. 210 c.p.p. e' consentito l'accompagnamento coattivo i due casi non sempre appaiono identici giacche' la impossibilita' di ottenere la presenza del dichiarante al dibattimento puo' essere accertata in modo compiuto nel secondo e non nel primo: solo per gli imputati in un procedimento connesso nei cui confronti si procede o si e' proceduto separatamente possono essere disposte quelle indagini di reperibilita' dirette a provocare la loro comparizione anche a mezzo della forza pubblica, mentre per gli imputati in un processo cumulativo gli eventuali accertamenti di reperibilita' riguardano la fase della citazione in giudizio e sono talvolta meno penetranti. Anzi con l'applicazione delle regole previste dall'art. 161 c.p.p. la dichiarazioni di irreperibilita', del tutto identica all'accertamento di impossibilita' di ottenere la presenza dei dichiaranti ex art. 210 c.p.p., e' poco frequente: puo' infatti accadere che la notificazione del decreto di rinvio a giudizio mediante la consegna al difensore, prevista dall'ultimo comma dell'art. 161 c.p.p., in realta' impedisca di fatto di accertare la effettiva irreperibilita' dell'imputato. Ma si deve, d'altra parte, osservare come per una diversita' meramente apparente e solo formale a fronte di una realta' del tutto identica (l'imputato non e' reperibile) non pare razionale una tale sostanziale diversita' di disciplina giuridica della prova, tanto piu' ove questa riguarda, come accade nel caso che qui interessa, non l'imputato-dichiarante, ma gli altri imputati. Senza poi considerare i casi in cui, o perche' e' stato emesso il decreto di irreperibilita', o perche' comunque nel procedimento di notificazione e' stata accertata la non reperibilita' dell'imputato, le situazioni sopra considerate sono anche formalmente identiche, risultando comunque la irripetibilita' dell'atto per fatti imprevedibili posteriori alla dichiarazione resa nella fase delle indagini: vi e' una impossibilita' di fatto, che prescinde quindi dall'esercizio della facolta' di non rispondere, a che il soggetto renda dichiarazioni nel dibattimento. Nel caso degli imputati Sapia e Basile, contumaci, non e' stata dichiarata la irreperibilita' solo perche' costoro aveva eletto domicilio come "collaboranti" presso il previsto ufficio del Ministero degli interni e avendo fatto perdere le loro tracce al momento cui hanno deciso di interrompere la loro "collaborazione" hanno potuto ricevere ugualmente la notificazione del decreto con cui sono stati rinviati a giudizio mediante la sola consegna al difensore ex art. 161 u.c. c.p.p. E' del tutto evidente che se per una qualunque ragione - dipendente dalla strategia processuale del p.m. ovvero da una delle ipotesi casuali previste dall'art. 18 c.p.p. - si procedesse ora separatamente nei loro confronti alla accertata loro irreperibilita' seguirebbe la utilizzabilita' delle dichiarazioni rese nella fase delle indagini senza necessita' di consenso degli altri imputati. Il rilievo della irrazionale diversita' di disciplina di per se' non sarebbe sufficiente ad una corretta soluzione costituzionale giacche' potrebbe porsi in dubbio che tra le due disposizioni contrastanti non la prima, quella prevista dal primo comma dell'art. 513 c.p.p., ma la seconda potrebbe essere incostituzionale. In effetti un tale dubbio se metodologicamente corretto deve essere sciolto, a giudizio del tribunale, nel senso prospettato per le ulteriori piu' generali valutazioni sul "nuovo" art. 513 c.p.p. alla luce dei principi costituzionali nel processo penale affermati dalla Corte costituzionale come desumibili dalla Costituzione: in particolare del principio della "non dispersione delle acquisizioni probatorie", di cui costituisce inequivoca applicazione la disposizione del secondo comma dell'art. 513 c.p.p. Passando poi all'esame piu' generale della questione occorre riferirsi ai principi applicati dalle sentenze della Corte costituzionale, n. 254/1992 e n. 255/1992. Con la prima sentenza la Corte dichiaro' la illegittimita' costituzionale dell'originario art. 513.2 c.p.p. rilevando una irrazionale diversita' di disciplina della prova in casi simili, a seconda che si fosse proceduto, nella stessa situazione di fatto, con processo cumulativo o con processi separati; infatti in questo secondo caso la disciplina della utilizzabilita' delle dichiarazioni predibattimentali di chi, avendone la facolta', non si sottoponeva all'esame era, senza alcuna ragione, piu' restrittiva di quella prevista per il processo cumulativo. Nel modificare la disciplina, il legislatore ha reso omogenee le due norme prevedendo, in sostanza, che nel processo cumulativo cosi' come in quelli separati la utilizzazione di quelle dichiarazioni e' consentita solo se vi e' il consenso della parte cui il contenuto delle dichiarazioni si riferisce: poiche', nel primo caso, la dichiarazione predibattimentale di ciascuno degli imputati, che si avvalga della facolta' di non sottoporsi all'esame, non puo' non essere letta si prevede un divieto di utilizzazione nei confronti degli altri senza il loro consenso; nel secondo caso, senza tale consenso, il verbale delle dichiarazioni predibattimentali non puo' nemmeno essere acquisito per lettura e non entra nemmeno a far parte del fascicolo del dibattimento. Si tratta di modalita' tecnicamente diverse, con uno stesso sostanziale risultato. Stante quindi, la attuale identita' di disciplina - salva la diversita' gia' rilevata nella prima parte di questa ordinanza - la dichiarazione di incostituzionalita' dell'originario art. 513.2 c.p.p. non ha di per se' rilievo. Peraltro nella sentenza n. 254 del 1992 la Corte, pur dovendo esaminare la questione sotto il profilo della irrazionale diversita' di disciplina per casi identici, ha individuato nella esigenza di evitare la "perdita, ai fini della decisione, di quanto acquisito prima del dibattimento e che sia irripetibile in tale sede" un principio processuale penale di rango costituzionale, cui quindi il legislatore si deve attenere, pur dovendo contemperarlo con l'altro principio-guida del processo, quello della oralita' e della formazione della prova la' dove si realizza pienamente il contraddittorio, nella sede dibattimentale. Questo principio, cosi' individuato, e' stato poi precisato dalla Corte nella coeva sentenza, relativa alla questione di costituzionalita' dell'art. 500.4, in materia di esame testimoniale. In quel caso e' stato il parametro costituzionale su cui si e' fondata la pronuncia di incostituzionalita', cosicche' e' utile ripercorrere il ragionamento della Corte. In primo luogo si afferma nella sentenza "fine primario ed ineludibile del processo penale non puo' che rimanere quello della ricerca della verita'" ("e' appena il caso di ricordarlo", soggiunge la Corte e l'inciso e' molto significativo dell'importanza di quel principio, della sua immanenza nel processo penale tanto che e' sufficiente solo menzionarlo), cosicche' "l'oralita', assunta a principio ispiratore del nuovo sistema, non rappresenta, nella disciplina del codice, il veicolo esclusivo di formazione della prova nel dibattimento", "di guisa che in taluni casi in cui la prova non possa, di fatto, prodursi oralmente e' dato rilievo, nei limiti e alle condizioni di volta in volta indicate, ad atti formatisi prima e al di fuori del dibattimento". In secondo luogo si evidenziano nella sentenza tutti gli istituti processuali che applicando il principio di non dispersione dei mezzi di prova derogano alla regola della oralita' e della immediatezza dibattimentale: queste (continua cosi' la Corte) non sono regole assolute bensi' criteri-guida del nuovo processo, e tendono a contemperare il rispetto del metodo orale con l'esigenza di evitare la perdita, ai fini della decisione, di quanto, acquisito prima del dibattimento, sia divenuta non ripetibile. In terzo luogo tra gli istituti processuali anzidetti si richiama anche quello regolato nell'originario art. 513 c.p.p. A sostegno della incostituzionalita' dei limiti di utilizzabilita' delle dichiarazioni utilizzate per le contestazioni nel corso dell'esame testimoniale, la Corte in quella pronuncia trae argomento proprio dall'acquisibilita', tra gli altri atti, dei verbali delle dichiarazioni del coimputato o dell'imputato in procedimento connesso o collegato che, esaminato nella fase delle indagini, si e' avvalso della facolta' di non rispondere nel dibattimento. Cosi' si legge nella sentenza della Corte: ''se possibile dare lettura in dibattimento (e quindi utilizzare ai fini della decisione) di dichiarazioni rese precedentemente ... dal coimputato che si avvale della facolta' di non rispondere e di dichiarazioni rese da altri (teste irreperibile, teste deceduto, teste che rifiuti di rispondere, dall'imputato che afferma cose diverse) non e' ragionevole non utilizzare le dichiarazioni predibattimentali del testimone, gia' entrato nel contraddittorio dibattimentale attraverso il veicolo delle contestazioni. Ora, con la nuova disciplina, proprio uno dei casi presi in considerazione dalla Corte nella sua sentenza come termine di comparazione risulta regolato in modo totalmente diverso. Che cio' comporta, a giudizio di questo tribunale, due profili di irrazionalita'. Il primo e' quello della violazione del principio di conservazione di quanto acquisito prima del dibattimento. Tale principio, come ha insegnato la Corte, e cosi', del resto, ogni bene o diritto costituzionale tutelato, va contemperato con altri confliggenti principi di pari grado: e principalmente con quello della garanzia difensiva nella formazione della prova. Ma la nuova disciplina, perseguendo soltanto quest'ultimo, non contempera i due valori costituzionali ed esclude tout court dal materiale probatorio le iniziali dichiarazioni del coimputato o degli altri soggetti indicati nell'art. 210 c.p.p. Nonostante che - ed ancora una volta il richiamo e' alla motivazione della sentenza della Corte costituzionale n. 254/1992 - "le dichiarazioni esame sono soggette ad un canone valutativo particolare ... (art. 192.3 e 4 c.p.p.), il quale, nel momento in cui circonda in cui circonda di cautela tali mezzi di prova, evidenzia allo stesso tempo ancor piu' la irragionevolezza di ipotesi ... di assoluta inacquisibilita' dei medesimi ai fini della decisione". Ne' si puo' considerare come contemperamento tra i confliggenti principi la previsione dell'incidente probatorio senza preclusione di condizioni, giacche', se, da un lato, tale possibilita' consente di "fermare" la prova in un momento vicino alle iniziali dichiarazioni evitando i lunghi tempi necessari per l'esame dibattimentale, dall'altro lato nulla concede per evitare la perdita di quel materiale, quando, comunque la persona si avvalga in quella sede della facolta' di non rispondere. In definitiva, sotto questo profilo, si deve dubitare che sia stato in qualche modo tutelato quel bene costituzionale individuato dalla Corte. Non solo, ma se "fine primario ed ineludibile del processo non puo' che rimanere quello della ricerca della verita'" (finalita' cui e' stato peraltro attento il legislatore della riforma delle 1988), non si puo' non dubitare che le nuove disposizioni di legge siano in contrasto anche con quel fine, se solo si considerano le loro possibili conseguenze. Infatti il nuovo art. 513 c.p.p. ha attuato una sorta di "relativizzazione soggettiva" della prova, introducendo un istituto alquanto singolare, quale quello della utilizzabilita' (primo comma) e della acquisibilita' (secondo comma) della prova per una sorta di "doppio consenso": di chi ha facolta' di astenersi dal rendere dichiarazioni in dibattimento, dopo averle rese nella fase precedente, cosi' ledendo il primario diritto dell'accusato al "confronto" processuale; e della parte cui le dichiarazioni si riferiscono. Cio' ha fatto confermando per il primo la facolta' di non sottoporsi all'esame dibattimentale su fatti anche altrui nonostante la iniziale decisione di non avvalersi di quella facolta' e conferendo al secondo (l'imputato) una sorta di potere di "veto": espressamente previsto dal primo comma per il caso di processo cumulativo, ed analogamente previsto, anche se espresso con formula letterale diversa, ma avente lo stesso contenuto, dal secondo comma per il caso di processi separati. Questo potere processuale e' poi conferito solo ad una delle parti, all'imputato cioe', con esclusione della parte pubblica: il p.m. non potra' mai considerarsi, pure nel caso di dichiarazioni favorevoli all'imputato, il soggetto processuale nei cui confronti quelle dichiarazioni possono essere utilizzate. E, gia' sotto questo profilo, si deve riconoscere che una parita' tra le parti nel processo non e' realizzata. Ma, a prescindere da queste rilievo marginale, sta il fatto che la utilizzabilita' relativa consente, anche nel caso piu' semplice di connessione, quale e' quello di piu' persone imputate dello stesso reato in concorso tra loro, ad accertamenti giurisdizionali diversi e anche opposti pur in presenza dello stesso materiale originario di prova, a causa del concreto diverso esercizio da parte di ciascuno di quel potere. A seconda che gli imputati - uno od alcuni, giacche' anche questo puo' verificarsi - consentano o meno la utilizzazione o la acquisibilita' nei loro confronti la valutazione del materiale probatorio portera' a opposte conseguenze: si puo' quindi ben ipotizzare che, nello stesso processo, taluno venga condannato per avere commesso il reato in concorso con altri e questi vengano assolti per non aver commesso il fatto o, addirittura, perche' il fatto non sussiste. Ulteriore profilo di valutazione e' quello che pone a confronto le disposizioni anzidette (art. 513.1 e 2 c.p.p.) e le altre che, invece, consentono la utilizzazione ai fini del giudizio delle acquisizioni predibattimentali. Il riferimento e' agli artt. 500.4, 511-bis, 512 e 512-bis: il sistema prevede ampi spazi per tale utilizzabilita'. In alcuni casi, quale quello del testimone che renda dichiarazioni testimoniali difformi da quelli predibattimentali, non vi e' dubbio che non si puo' ravvisare identita' di situazioni con i casi regolati all'art. 513 c.p.p. giacche' li' si realizza in modo pieno il contraddittorio dibattimentale delle parti nell'esame del dichiarante e, qui, la difesa non puo' sottoporre la persona che si sia avvalsa della facolta' di non rispondere, ad alcun esame. Ma, in altri casi la situazione appare identica ed anzi, sotto il profilo difensivo, talvolta deteriore: se il testimone e' reticente o rifiuta di rispondere alle domande le dichiarazioni predibattimentali possono essere utilizzate, salvo un criterio prudenziale di valutazione probatoria, analogo a quello previsto dall'art. 192.3 c.p.p.; se il testimone risiede all'estero o se e' divenuto irreperibile, per fatti o circostanze imprevedibili, analogamente le dichiarazioni predibattimentali possono essere utilizzate, nel secondo caso, senza la necessita' di applicare alcun criterio prudenziale e, nel primo caso, alla sola condizione che si tenga conto degli altri elementi di prova acquisiti. In definitiva anche sotto questo profilo si deve rilevare una totale diversita' di disciplina, nonostante i criteri di valutazione probatoria rigorosi previsti per le dichiarazioni delle persone indicate nell'art. 210 c.p.p. Pertanto il tribunale ritiene che non siano manifestamente infondate le questioni di incostituzionalita': a) quella del primo comma dell'art. 513 c.p.p. nella parte in cui non prevede la utilizzabilita' delle dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari senza necessita' di consenso dell'imputato cui quelle si riferiscono quando il dichiarante coimputato sia irreperibile; b) quella del primo e del secondo comma dell'art. 513 c.p.p. nella parte in cui si prevede la inutilizzabilita' delle stesse dichiarazioni nei confronti dell'imputato che non consente alla utilizzazione; entrambe in relazione all'art. 3.1 della Costituzione e la seconda anche in relazione all'art. 27.1 della Costituzione. In via subordinata, con riferimento alla disciplina transitoria della legge n. 267 delle 7 agosto 1997, rileva il tribunale come anch'essa non si sottrae a censura di legittimita' costituzionale nella parte in cui, nulla prevedendo per casi, come quello di specie, cui non si puo' applicare, essendo gia' conclusa la fase delle indagini preliminari, la disciplina transitoria del primo comma dell'art. 6, non consente, per mancanza delle condizioni ivi previste, la applicabilita' della disciplina del secondo comma dello stesso articolo, che pure riguarda i processi in corso di giudizio alla data della entrata in vigore della legge. Infatti la prima disposizione (art. 6.1), con cui si attribuisce la competenza al giudice per le indagini preliminari per l'incidente probatorio da richiedere entro il termine di sessanta giorni, chiaramente delimita l'ambito della sua applicazione ai procedimenti per cui non sia stato gia' disposto il rinvio a giudizio. La seconda disposizione transitoria (art. 6.2), poi, riguarda, si, i giudizi di primo grado in corso alla data di entrata in vigore della legge - quale e' il presente giudizio -, ma presuppone che sia stata gia' disposta la lettura delle dichiarazioni predibattimentali del coimputato senza il consenso degli altri. Si verifica, quindi, un vuoto nella disciplina transitoria per tutti giudizi in corso, iniziati prima della legge, per i quali non si e' realizzata quella condizione. Tale lacuna non puo' certo essere superata, a giudizio del Collegio, per via interpretativa stante la chiara e inequivoca lettera della legge. Ne consegue la disparita' di trattamento, dipendente da fattori temporali causali, quali sono quelli della diversa progressione nell'attivita' di istruzione dibattimentale, non solo per la acquisibilita' della prova, ma anche per il regime della sua valutazione giacche', pur con le ulteriori limitazioni previste dal quinto comma dello stesso art. 6, le dichiarazioni predibattimentali di un imputato, in alcuni giudizi, possono essere utilizzate e, in altri (come accade nel presente), non possono esser utilizzate. Tale disparita' - che sembra sia totalmente sfuggita al legislatore - pare irrazionale, ai sensi dell'art. 3.1 della Costituzione, giacche' non si ravvisa alcuna ragione perche' in situazioni ontologicamente identiche si debbano applicare discipline cosi' diverse in relazione al momento in cui una delle parti (nel caso il p.m.) chieda sia data lettura delle dichiarazioni predibattimentali rese dall'imputato contumace o da chi si sia avvalzo della facolta' di non sottoporsi all'esame: la disciplina transitoria, quindi, che consente la utilizzabilita' di tali dichiarazioni nei confronti dei coimputati ovvero la disciplina dell'art. 513 c.p.p. che condiziona la utilizzabilita' al consenso delle altre parti. Si tratta, poi, di un vuoto normativo della disciplina transitoria che pare debba essere risolto, previa declaratoria di incostituzionalita', con la applicazione a tutti i casi di giudizio in scorso della disposizione prevista dal secondo comma dell'art. 6, posto che l'altra disposizione transitoria sarebbe comunque inapplicabile per almeno due incongruenze: la competenza del g.i.p. la attualita' della fase del giudizio. Quanto all'aspetto della rilevanza della questione nel caso di specie non puo' esservi dubbio alcuno: le dichiarazioni dell'imputato Casini - dipendente con mansioni di magazziniere della Kovest S.r.l. - sono chiaramente influenti sull'accertamento dei fatti e della eventuale responsabilita' dei suoi coimputati. Cio' vale tanto per la questione prospettata in via principale quanto per la questione che si prospetta in via subordinata. Tra le due questioni vi e' evidentemente un rapporto di subordinazione: la declaratoria di incostituzionalita' dell'art. 513.1 c.p.p. comporterebbe necessariamente la caducazione della disciplina transitoria; la declaratoria di costituzionalita' di quella disposizione non precluderebbe la valutazione delle censure proposte per la disciplina transitoria.
P. Q. M. dichiara rilevante e non manifestamente infondata: a) la questione di incostituzionalita' del comma primo dell'art. 513, c.p.p. nella parte in cui non prevede la utilizzabilita' delle dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari dal dichiarante coimputato irreperibile senza necessita' di consenso da parte del coimputato cui quelle dichiarazioni si riferiscono; b) la questione di incostituzionalita' del comma secondo dell'art. 513, c.p.p. nella parte in cui subordina all'accordo delle parti la lettura dei verbali delle dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari delle persone indicate dell'art. 210 c.p.p. che si siano avvalse della facolta' di non rispondere; entrambe in relazione all'art. 3, comma primo della Costituzione e la seconda in relazione anche all'art. 27, comma primo della Costituzione; Dispone la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale ed ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e che sia comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Sospende il presente processo. Pistoia, addi' 25 marzo 1998 Il presidente: Signorelli 98C0641