N. 417 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 marzo 1998

                                N. 417
  Ordinanza  emessa  il  25  marzo  1998  dal tribunale di Pistoia nel
 procedimento penale a carico di Comparini Carlo ed altri
 Processo penale - Dibattimento - Dichiarazioni rese nel  corso  delle
    indagini  preliminari da coimputato irreperibile - Utilizzabilita'
    senza  il  consenso  del  coimputato  cui  tali  dichiarazioni  si
    riferiscono  -  Preclusione  -  Irragionevolezza  -  Disparita' di
    trattamento rispetto ad ipotesi analoghe.
 Processo penale  -  Dibattimento  -  Esame  di  persona  imputata  in
    procedimento connesso - Esercizio della facolta' di non rispondere
    -  Lettura  dei verbali contenenti le dichiarazioni rese nel corso
    delle indagini preliminari -  Preclusione  per  il  giudice  salvo
    l'accordo  delle  parti - Irragionevolezza - Lesione del principio
    della responsabilita' penale personale.
 Processo penale - Dibattimento - Valutazione delle prove -  Modifiche
    normative - Mancata applicazione della disciplina transitoria alla
    generalita' dei giudizi in corso - Irragionevolezza.
 (C.P.P.  1988,  art.  513,  commi 1 e 2, legge 7 agosto 1997, n. 267,
    art. 6).
 (Cost., artt. 3, primo comma, e 27, primo comma).
(GU n.24 del 17-6-1998 )
                             IL TRIBUNALE
   Ha emesso la seguente ordinanza.
   Visti gli atti del processo a carico di Comparini Carlo  ed  altri,
 imputati  di  associazione  per delinquere finalizzata al traffico di
 sostanze  stupefacenti  e  di  acquisto,  importazione  e  detenzione
 illecita  delle stesse sostanze, rilevato che numerosi imputati degli
 stessi reati per cui si e' gia' proceduto separatamente,  chiamati  a
 rendere  in dibattimento dichiarazioni ai sensi dell'art. 210 c.p.p.,
 si sono avvalsi  della  facolta'  di  non  rispondere  e  che,  sulla
 richiesta   del   p.m.   per  la  lettura  delle  loro  dichiarazioni
 predibattimentali, i difensori  degli  imputati  non  hanno  dato  il
 consenso  alla utilizzazione ex art. 513.2 c.p.p.; rilevato che anche
 per due degli  imputati,  Basile  Sergio  e  Sapia  Monia  Carmelina,
 contumaci,  il  p.m.  ha  richiesto la acquisizione per lettura delle
 loro precedenti dichiarazioni ex art. 512.1 c.p.p. e i difensori  dei
 coimputati   non   hanno  acconsentito  alla  utilizzazione  di  tali
 dichiarazioni nei confronti dei loro difesi; rilevato che il p.m.  ha
 sollevato  la  questione  di  illegittimita' costituzionale dell'art.
 513, comma 1 e  2,  c.p.p.,  mentre  i  difensori  si  sono  opposti;
 ritenuto  che  entrambe  le  questioni  siano  rilevanti  giacche' la
 lettura, nel primo caso, e la utilizzazione delle  dichiarazioni  dei
 coimputati, nel secondo caso, consentirebbero di acquisire importanti
 prove  nel giudizio a sostegno della tesi accusatoria, osserva quanto
 segue in ordine alla non manifesta infondatezza  delle  questioni  di
 costituzionalita'.
   E'  applicabile  al  caso di specie l'art. 513, comma 1, c.p.p. per
 quanto riguarda il divieto di utilizzazione delle dichiarazioni degli
 imputati Sapia Monia Carmelina e  Basile  Sergio  nei  confronti  dei
 coimputati  senza  il  loro  consenso l'art. 513, comma 2, c.p.p. per
 quanto riguarda la acquisibilita'  per  lettura  delle  dichiarazioni
 rese  nella  fase  delle  indagini  da coloro nei cui confronti si e'
 proceduto  separatamente  e  la  cui  posizione e' stata definita con
 esiti  diversi.  La  questione  di  costituzionalita'   della   prima
 disposizione  di  legge che ha aspetti specifici e deve quindi essere
 esaminata separatamente dall'altra,  giacche'  possono  muoversi  dei
 rilievi  di  irrazionalita',  per  cosi'  dire,  interna all'art. 513
 c.p.p. tali da  dover  essere  valutati  in  relazione  ai  parametri
 costituzionali   dell'art.   3  della  Costituzione;  mentre  l'altra
 questione presenta degli aspetti piu' generali  in  ordine  alla  sua
 compatibilita'  con  il  sistema  costituzionale  e con i principi di
 diritto   costituzionale   piu'   volte   affermati    dalla    Corte
 costituzionale.
   Sulla  prima questione (art. 513, primo comma in relazione all'art.
 3 della  Costituzione)  si  deve  rilevare  in  sostanza  la  diversa
 disciplina  di  utilizzabilita'  in giudizio delle dichiarazioni rese
 nella fase delle indagini preliminari da parte degli stessi  soggetti
 a  seconda  che il giudizio riguardi anche loro (processo cumulativo)
 ovvero che nei loro confronti si proceda separatamente:  cio'  quindi
 in  relazione  a  fatti processuali casuali e certamente non idonei a
 giustificare una diversa  disciplina  probatoria,  quali  quelli,  di
 varia  natura,  rilevanti  per  la  riunione  o  la  separazione  dei
 processi.
   La diversita'  di  disciplina  riguarda  la  utilizzabilita'  delle
 dichiarazioni  di  coimputati  si sono irreperibili. Se per questi si
 procede separatamente la impossibilita' di  avere  la  loro  presenza
 fisica al dibattimento comporta, ai sensi dell'ultima parte del comma
 2, dell'art. 513, c.p.p., la utilizzabilita' delle loro dichiarazioni
 predibattimentali  a  richiesta della parte che ne ha chiesto l'esame
 ex art. 210 c.p.p.  senza condizioni, in  sostanza  senza  necessita'
 del  consenso  di  coloro  nei  cui  confronti  quelle  dichiarazioni
 costituiscono prova a carico:    si  tratta  in  definitiva  di  atti
 irripetibili  per  fatti o circostanze sopravvenute non prevedibili e
 come tali la disciplina e' analoga a quella  prevista  per  gli  atti
 dello  stesso  tipo, quella prevista dall'art. 512 c.p.p. Se, invece,
 si  procede   nei   loro   confronti   dello   stesso   processo   la
 irreperibilita', ancorche' accertata, non consente la utilizzabilita'
 delle loro precedenti dichiarazioni senza il consenso dei coimputati:
 si  da' lettura di quelle dichiarazioni ed i relativi verbali vengono
 acquisiti al fascicolo per il dibattimento, ma la loro  utilizzazione
 come   elemento  di  prova  e'  limitata  soggettivamente  alla  sola
 posizione del dichiarante.
   Ovviamente,  poiche'  dell'imputato  non   puo'   essere   disposto
 l'accompagnamento coattivo perche' renda l'esame richiesto ed ammesso
 stante  il  divieto  dell'art.  490  c.p.p.,  mentre  per  le persone
 indicate  dall'art.  210  c.p.p.  e'   consentito   l'accompagnamento
 coattivo  i  due  casi  non  sempre  appaiono  identici  giacche'  la
 impossibilita'  di  ottenere   la   presenza   del   dichiarante   al
 dibattimento puo' essere accertata in modo compiuto nel secondo e non
 nel  primo: solo per gli imputati in un procedimento connesso nei cui
 confronti si procede o si e' proceduto separatamente  possono  essere
 disposte quelle indagini di reperibilita' dirette a provocare la loro
 comparizione  anche  a  mezzo  della  forza  pubblica, mentre per gli
 imputati in un processo  cumulativo  gli  eventuali  accertamenti  di
 reperibilita'  riguardano  la fase della citazione in giudizio e sono
 talvolta  meno  penetranti.  Anzi  con  l'applicazione  delle  regole
 previste  dall'art.  161  c.p.p. la dichiarazioni di irreperibilita',
 del tutto identica all'accertamento di impossibilita' di ottenere  la
 presenza dei dichiaranti ex art. 210 c.p.p., e' poco frequente:  puo'
 infatti  accadere  che  la  notificazione  del  decreto  di  rinvio a
 giudizio mediante la  consegna  al  difensore,  prevista  dall'ultimo
 comma  dell'art.  161  c.p.p.,  in  realta'  impedisca  di  fatto  di
 accertare la effettiva irreperibilita'  dell'imputato.  Ma  si  deve,
 d'altra  parte, osservare come per una diversita' meramente apparente
 e solo formale a fronte di una realta' del tutto identica (l'imputato
 non e' reperibile) non pare razionale una tale sostanziale diversita'
 di disciplina giuridica della prova, tanto piu' ove questa  riguarda,
 come  accade  nel caso che qui interessa, non l'imputato-dichiarante,
 ma gli altri imputati. Senza poi considerare i casi in cui, o perche'
 e' stato emesso il decreto di irreperibilita', o perche' comunque nel
 procedimento di notificazione e' stata accertata la non reperibilita'
 dell'imputato, le situazioni sopra considerate sono anche formalmente
 identiche, risultando comunque la irripetibilita' dell'atto per fatti
 imprevedibili posteriori alla dichiarazione  resa  nella  fase  delle
 indagini:  vi  e'  una  impossibilita' di fatto, che prescinde quindi
 dall'esercizio della facolta' di non rispondere, a  che  il  soggetto
 renda dichiarazioni nel dibattimento.
   Nel  caso  degli  imputati  Sapia e Basile, contumaci, non e' stata
 dichiarata la  irreperibilita'  solo  perche'  costoro  aveva  eletto
 domicilio   come   "collaboranti"  presso  il  previsto  ufficio  del
 Ministero degli interni e avendo fatto  perdere  le  loro  tracce  al
 momento  cui  hanno  deciso  di interrompere la loro "collaborazione"
 hanno potuto ricevere ugualmente la notificazione del decreto con cui
 sono stati rinviati a giudizio mediante la sola consegna al difensore
 ex art. 161 u.c.   c.p.p. E'  del  tutto  evidente  che  se  per  una
 qualunque  ragione  - dipendente dalla strategia processuale del p.m.
 ovvero da una delle ipotesi casuali previste dall'art. 18 c.p.p. - si
 procedesse ora separatamente nei loro confronti alla  accertata  loro
 irreperibilita'  seguirebbe  la  utilizzabilita'  delle dichiarazioni
 rese nella fase delle indagini senza  necessita'  di  consenso  degli
 altri imputati.
   Il  rilievo  della  irrazionale diversita' di disciplina di per se'
 non sarebbe sufficiente  ad  una  corretta  soluzione  costituzionale
 giacche'  potrebbe  porsi  in  dubbio  che  tra  le  due disposizioni
 contrastanti non la prima, quella prevista dal primo comma  dell'art.
 513  c.p.p.,  ma  la  seconda  potrebbe  essere  incostituzionale. In
 effetti un tale dubbio  se  metodologicamente  corretto  deve  essere
 sciolto,  a  giudizio  del  tribunale,  nel  senso prospettato per le
 ulteriori piu' generali valutazioni sul "nuovo" art. 513 c.p.p.  alla
 luce  dei principi costituzionali nel processo penale affermati dalla
 Corte  costituzionale  come   desumibili   dalla   Costituzione:   in
 particolare  del  principio della "non dispersione delle acquisizioni
 probatorie",  di   cui   costituisce   inequivoca   applicazione   la
 disposizione del secondo comma dell'art. 513 c.p.p.
   Passando  poi  all'esame  piu'  generale  della  questione  occorre
 riferirsi  ai  principi  applicati   dalle   sentenze   della   Corte
 costituzionale, n. 254/1992 e n. 255/1992.
   Con   la  prima  sentenza  la  Corte  dichiaro'  la  illegittimita'
 costituzionale  dell'originario  art.  513.2  c.p.p.  rilevando   una
 irrazionale  diversita'  di  disciplina della prova in casi simili, a
 seconda che si fosse proceduto, nella stessa situazione di fatto, con
 processo  cumulativo  o  con  processi  separati;  infatti  in questo
 secondo caso la disciplina della utilizzabilita' delle  dichiarazioni
 predibattimentali  di  chi,  avendone la facolta', non si sottoponeva
 all'esame era, senza  alcuna  ragione,  piu'  restrittiva  di  quella
 prevista  per  il processo cumulativo.  Nel modificare la disciplina,
 il legislatore ha reso omogenee le due norme prevedendo, in sostanza,
 che  nel  processo  cumulativo  cosi'  come  in  quelli  separati  la
 utilizzazione  di quelle dichiarazioni e' consentita solo se vi e' il
 consenso  della  parte  cui  il  contenuto  delle  dichiarazioni   si
 riferisce:    poiche',    nel    primo    caso,    la   dichiarazione
 predibattimentale di ciascuno degli imputati, che  si  avvalga  della
 facolta'  di  non  sottoporsi all'esame, non puo' non essere letta si
 prevede un divieto di utilizzazione nei confronti degli  altri  senza
 il  loro  consenso; nel secondo caso, senza tale consenso, il verbale
 delle  dichiarazioni  predibattimentali  non  puo'   nemmeno   essere
 acquisito  per  lettura e non entra nemmeno a far parte del fascicolo
 del dibattimento.  Si tratta di modalita' tecnicamente  diverse,  con
 uno stesso sostanziale risultato.
   Stante  quindi,  la  attuale  identita'  di  disciplina  - salva la
 diversita' gia' rilevata nella prima parte di questa ordinanza  -  la
 dichiarazione   di  incostituzionalita'  dell'originario  art.  513.2
 c.p.p. non ha di per se' rilievo.
   Peraltro nella sentenza n. 254  del  1992  la  Corte,  pur  dovendo
 esaminare  la questione sotto il profilo della irrazionale diversita'
 di disciplina per casi identici, ha  individuato  nella  esigenza  di
 evitare  la  "perdita,  ai  fini della decisione, di quanto acquisito
 prima del dibattimento e  che  sia  irripetibile  in  tale  sede"  un
 principio  processuale  penale di rango costituzionale, cui quindi il
 legislatore si deve attenere, pur dovendo contemperarlo  con  l'altro
 principio-guida   del   processo,   quello  della  oralita'  e  della
 formazione  della  prova  la'  dove   si   realizza   pienamente   il
 contraddittorio,  nella sede dibattimentale.  Questo principio, cosi'
 individuato, e' stato poi precisato dalla Corte nella coeva sentenza,
 relativa alla questione  di  costituzionalita'  dell'art.  500.4,  in
 materia  di  esame  testimoniale.  In quel caso e' stato il parametro
 costituzionale   su   cui   si   e'   fondata   la    pronuncia    di
 incostituzionalita',  cosicche' e' utile ripercorrere il ragionamento
 della Corte. In primo luogo si afferma nella sentenza "fine  primario
 ed ineludibile del processo penale non puo' che rimanere quello della
 ricerca  della verita'" ("e' appena il caso di ricordarlo", soggiunge
 la Corte e l'inciso e' molto significativo  dell'importanza  di  quel
 principio,  della  sua  immanenza  nel  processo  penale tanto che e'
 sufficiente  solo  menzionarlo),  cosicche'  "l'oralita',  assunta  a
 principio  ispiratore  del  nuovo  sistema,  non  rappresenta,  nella
 disciplina del codice, il veicolo esclusivo di formazione della prova
 nel dibattimento", "di guisa che in taluni casi in cui la  prova  non
 possa,  di  fatto,  prodursi  oralmente e' dato rilievo, nei limiti e
 alle condizioni di volta in volta indicate, ad atti formatisi prima e
 al di fuori del dibattimento".
   In secondo luogo si evidenziano nella sentenza tutti  gli  istituti
 processuali  che applicando il principio di non dispersione dei mezzi
 di prova derogano alla regola della  oralita'  e  della  immediatezza
 dibattimentale:  queste  (continua  cosi'  la  Corte) non sono regole
 assolute  bensi'  criteri-guida  del  nuovo  processo,  e  tendono  a
 contemperare il rispetto del metodo orale con l'esigenza  di  evitare
 la  perdita,  ai fini della decisione, di quanto, acquisito prima del
 dibattimento, sia divenuta non ripetibile.
   In terzo luogo tra gli istituti processuali anzidetti  si  richiama
 anche  quello  regolato  nell'originario  art.  513 c.p.p. A sostegno
 della  incostituzionalita'  dei  limiti  di   utilizzabilita'   delle
 dichiarazioni  utilizzate  per  le contestazioni nel corso dell'esame
 testimoniale, la Corte in quella  pronuncia  trae  argomento  proprio
 dall'acquisibilita',   tra   gli   altri   atti,  dei  verbali  delle
 dichiarazioni del coimputato o dell'imputato in procedimento connesso
 o collegato che, esaminato nella fase delle indagini, si  e'  avvalso
 della  facolta'  di  non  rispondere nel dibattimento. Cosi' si legge
 nella  sentenza  della  Corte:  ''se  possibile   dare   lettura   in
 dibattimento  (e  quindi  utilizzare  ai  fini  della  decisione)  di
 dichiarazioni rese precedentemente ...  dal coimputato che si  avvale
 della  facolta'  di  non  rispondere e di dichiarazioni rese da altri
 (teste irreperibile, teste deceduto, teste che rifiuti di rispondere,
 dall'imputato che  afferma  cose  diverse)  non  e'  ragionevole  non
 utilizzare  le  dichiarazioni  predibattimentali  del testimone, gia'
 entrato nel  contraddittorio  dibattimentale  attraverso  il  veicolo
 delle contestazioni.
   Ora,  con  la  nuova  disciplina,  proprio  uno  dei  casi presi in
 considerazione  dalla  Corte  nella  sua  sentenza  come  termine  di
 comparazione risulta regolato in modo totalmente diverso.
   Che  cio'  comporta, a giudizio di questo tribunale, due profili di
 irrazionalita'.
   Il primo e' quello della violazione del principio di  conservazione
 di  quanto  acquisito prima del dibattimento. Tale principio, come ha
 insegnato  la  Corte,  e  cosi',  del  resto,  ogni  bene  o  diritto
 costituzionale  tutelato,  va  contemperato  con  altri  confliggenti
 principi di pari grado: e principalmente con  quello  della  garanzia
 difensiva  nella  formazione  della  prova.  Ma  la nuova disciplina,
 perseguendo  soltanto  quest'ultimo,  non  contempera  i  due  valori
 costituzionali  ed  esclude  tout  court  dal materiale probatorio le
 iniziali dichiarazioni del coimputato o degli altri soggetti indicati
 nell'art. 210 c.p.p. Nonostante che - ed ancora una volta il richiamo
 e' alla motivazione della  sentenza  della  Corte  costituzionale  n.
 254/1992  -  "le  dichiarazioni  esame  sono  soggette  ad  un canone
 valutativo particolare ... (art. 192.3 e 4  c.p.p.),  il  quale,  nel
 momento  in  cui  circonda  in  cui circonda di cautela tali mezzi di
 prova, evidenzia allo stesso tempo ancor piu' la irragionevolezza  di
 ipotesi  ...  di assoluta inacquisibilita' dei medesimi ai fini della
 decisione".
   Ne' si puo' considerare come  contemperamento  tra  i  confliggenti
 principi la previsione dell'incidente probatorio senza preclusione di
 condizioni,  giacche',  se, da un lato, tale possibilita' consente di
 "fermare" la prova in un momento vicino alle  iniziali  dichiarazioni
 evitando   i  lunghi  tempi  necessari  per  l'esame  dibattimentale,
 dall'altro  lato  nulla  concede  per  evitare  la  perdita  di  quel
 materiale,  quando,  comunque  la  persona  si avvalga in quella sede
 della  facolta'  di  non  rispondere.  In  definitiva,  sotto  questo
 profilo, si deve dubitare che sia stato in qualche modo tutelato quel
 bene costituzionale individuato dalla Corte.
   Non solo, ma se "fine primario ed ineludibile del processo non puo'
 che  rimanere  quello  della ricerca della verita'" (finalita' cui e'
 stato peraltro attento il legislatore della riforma delle 1988),  non
 si  puo'  non  dubitare  che  le nuove disposizioni di legge siano in
 contrasto anche con  quel  fine,  se  solo  si  considerano  le  loro
 possibili  conseguenze.  Infatti  il nuovo art. 513 c.p.p. ha attuato
 una sorta di "relativizzazione soggettiva" della prova,  introducendo
 un  istituto  alquanto  singolare, quale quello della utilizzabilita'
 (primo comma) e della acquisibilita' (secondo comma) della prova  per
 una  sorta  di "doppio consenso": di chi ha facolta' di astenersi dal
 rendere dichiarazioni in dibattimento, dopo averle  rese  nella  fase
 precedente,  cosi'  ledendo  il  primario  diritto  dell'accusato  al
 "confronto" processuale;  e  della  parte  cui  le  dichiarazioni  si
 riferiscono.  Cio'  ha  fatto confermando per il primo la facolta' di
 non  sottoporsi  all'esame  dibattimentale  su  fatti  anche   altrui
 nonostante  la iniziale decisione di non avvalersi di quella facolta'
 e conferendo al secondo (l'imputato) una sorta di potere  di  "veto":
 espressamente  previsto  dal  primo  comma  per  il  caso di processo
 cumulativo, ed analogamente previsto, anche se espresso  con  formula
 letterale  diversa,  ma avente lo stesso contenuto, dal secondo comma
 per il caso di processi separati.
   Questo potere processuale e' poi conferito solo ad una delle parti,
 all'imputato cioe', con esclusione della parte pubblica: il p.m.  non
 potra' mai considerarsi, pure nel caso  di  dichiarazioni  favorevoli
 all'imputato,  il  soggetto  processuale  nei  cui  confronti  quelle
 dichiarazioni  possono  essere  utilizzate.  E,  gia'  sotto   questo
 profilo,  si  deve  riconoscere  che  una  parita'  tra  le parti nel
 processo non e' realizzata.   Ma, a  prescindere  da  queste  rilievo
 marginale,  sta  il  fatto  che la utilizzabilita' relativa consente,
 anche nel caso piu' semplice di connessione, quale e' quello di  piu'
 persone  imputate  dello  stesso  reato  in  concorso  tra  loro,  ad
 accertamenti giurisdizionali diversi e anche opposti pur in  presenza
 dello  stesso  materiale  originario  di  prova, a causa del concreto
 diverso esercizio da parte di ciascuno di quel potere. A seconda  che
 gli  imputati - uno od alcuni, giacche' anche questo puo' verificarsi
 - consentano o meno la utilizzazione o  la  acquisibilita'  nei  loro
 confronti  la valutazione del materiale probatorio portera' a opposte
 conseguenze:  si  puo'  quindi  ben  ipotizzare  che,  nello   stesso
 processo,  taluno  venga  condannato  per  avere commesso il reato in
 concorso con altri e questi vengano assolti per non aver commesso  il
 fatto o, addirittura, perche' il fatto non sussiste.
   Ulteriore  profilo di valutazione e' quello che pone a confronto le
 disposizioni anzidette (art. 513.1  e  2  c.p.p.)  e  le  altre  che,
 invece,  consentono  la  utilizzazione  ai  fini  del  giudizio delle
 acquisizioni predibattimentali. Il riferimento e' agli  artt.  500.4,
 511-bis,  512  e  512-bis:  il  sistema  prevede  ampi spazi per tale
 utilizzabilita'.   In alcuni casi, quale  quello  del  testimone  che
 renda     dichiarazioni     testimoniali     difformi    da    quelli
 predibattimentali, non  vi  e'  dubbio  che  non  si  puo'  ravvisare
 identita'  di  situazioni  con  i  casi  regolati all'art. 513 c.p.p.
 giacche'  li'  si  realizza  in   modo   pieno   il   contraddittorio
 dibattimentale  delle  parti  nell'esame  del  dichiarante e, qui, la
 difesa non puo' sottoporre  la  persona  che  si  sia  avvalsa  della
 facolta'  di  non  rispondere,  ad  alcun esame. Ma, in altri casi la
 situazione appare identica  ed  anzi,  sotto  il  profilo  difensivo,
 talvolta  deteriore:    se  il  testimone  e'  reticente o rifiuta di
 rispondere alle domande le  dichiarazioni  predibattimentali  possono
 essere  utilizzate,  salvo  un  criterio  prudenziale  di valutazione
 probatoria, analogo a quello previsto dall'art. 192.3 c.p.p.;  se  il
 testimone risiede all'estero o se e' divenuto irreperibile, per fatti
 o    circostanze   imprevedibili,   analogamente   le   dichiarazioni
 predibattimentali possono essere utilizzate, nel secondo caso,  senza
 la  necessita'  di  applicare alcun criterio prudenziale e, nel primo
 caso, alla sola condizione che si tenga conto degli altri elementi di
 prova acquisiti.
   In definitiva anche sotto  questo  profilo  si  deve  rilevare  una
 totale  diversita' di disciplina, nonostante i criteri di valutazione
 probatoria rigorosi  previsti  per  le  dichiarazioni  delle  persone
 indicate nell'art.  210 c.p.p.
   Pertanto   il   tribunale  ritiene  che  non  siano  manifestamente
 infondate le questioni di incostituzionalita':
      a) quella del primo comma dell'art. 513 c.p.p.  nella  parte  in
 cui  non  prevede  la  utilizzabilita' delle dichiarazioni rese nella
 fase  delle  indagini  preliminari  senza  necessita'   di   consenso
 dell'imputato   cui  quelle  si  riferiscono  quando  il  dichiarante
 coimputato sia irreperibile;
     b) quella del primo e del  secondo  comma  dell'art.  513  c.p.p.
 nella  parte  in  cui  si  prevede  la inutilizzabilita' delle stesse
 dichiarazioni nei  confronti  dell'imputato  che  non  consente  alla
 utilizzazione;  entrambe in relazione all'art. 3.1 della Costituzione
 e la seconda anche in relazione all'art. 27.1 della Costituzione.
   In via subordinata, con  riferimento  alla  disciplina  transitoria
 della  legge  n.  267  delle  7 agosto 1997, rileva il tribunale come
 anch'essa non si sottrae a  censura  di  legittimita'  costituzionale
 nella parte in cui, nulla prevedendo per casi, come quello di specie,
 cui  non  si  puo'  applicare,  essendo  gia'  conclusa la fase delle
 indagini preliminari,  la  disciplina  transitoria  del  primo  comma
 dell'art.    6,  non  consente,  per  mancanza  delle  condizioni ivi
 previste, la applicabilita' della disciplina del secondo comma  dello
 stesso  articolo,  che  pure riguarda i processi in corso di giudizio
 alla data della entrata in vigore della legge.
   Infatti la prima disposizione (art. 6.1), con cui si attribuisce la
 competenza al giudice per le  indagini  preliminari  per  l'incidente
 probatorio  da  richiedere  entro  il  termine  di  sessanta  giorni,
 chiaramente delimita l'ambito della sua applicazione ai  procedimenti
 per  cui non sia stato gia' disposto il rinvio a giudizio. La seconda
 disposizione transitoria (art. 6.2), poi, riguarda, si, i giudizi  di
 primo  grado  in  corso  alla data di entrata in vigore della legge -
 quale e' il presente giudizio -, ma presuppone  che  sia  stata  gia'
 disposta   la   lettura  delle  dichiarazioni  predibattimentali  del
 coimputato senza il consenso degli altri.
   Si verifica, quindi, un  vuoto  nella  disciplina  transitoria  per
 tutti  giudizi  in corso, iniziati prima della legge, per i quali non
 si e' realizzata quella condizione. Tale lacuna non puo' certo essere
 superata, a giudizio del Collegio, per via interpretativa  stante  la
 chiara e inequivoca lettera della legge. Ne consegue la disparita' di
 trattamento,  dipendente  da  fattori  temporali  causali, quali sono
 quelli   della  diversa  progressione  nell'attivita'  di  istruzione
 dibattimentale, non solo per la acquisibilita' della prova, ma  anche
 per  il  regime  della sua valutazione giacche', pur con le ulteriori
 limitazioni previste  dal  quinto  comma  dello  stesso  art.  6,  le
 dichiarazioni  predibattimentali  di  un imputato, in alcuni giudizi,
 possono essere utilizzate e, in altri (come accade nel presente), non
 possono esser utilizzate.
   Tale disparita' - che sembra sia totalmente sfuggita al legislatore
 - pare  irrazionale,  ai  sensi  dell'art.  3.1  della  Costituzione,
 giacche'   non  si  ravvisa  alcuna  ragione  perche'  in  situazioni
 ontologicamente  identiche  si  debbano  applicare  discipline  cosi'
 diverse  in  relazione al momento in cui una delle parti (nel caso il
 p.m.) chieda sia data lettura delle  dichiarazioni  predibattimentali
 rese  dall'imputato  contumace o da chi si sia avvalzo della facolta'
 di non sottoporsi all'esame: la disciplina transitoria,  quindi,  che
 consente  la  utilizzabilita' di tali dichiarazioni nei confronti dei
 coimputati ovvero la disciplina dell'art. 513 c.p.p.  che  condiziona
 la utilizzabilita' al consenso delle altre parti.
   Si  tratta, poi, di un vuoto normativo della disciplina transitoria
 che   pare   debba   essere   risolto,   previa    declaratoria    di
 incostituzionalita',  con  la applicazione a tutti i casi di giudizio
 in scorso della disposizione prevista dal secondo comma dell'art.  6,
 posto   che   l'altra   disposizione   transitoria  sarebbe  comunque
 inapplicabile per almeno due incongruenze:  la competenza del  g.i.p.
 la attualita' della fase del giudizio.
   Quanto  all'aspetto  della  rilevanza  della  questione nel caso di
 specie non puo' esservi dubbio alcuno: le dichiarazioni dell'imputato
 Casini - dipendente con mansioni di magazziniere della Kovest  S.r.l.
 -  sono  chiaramente  influenti  sull'accertamento  dei fatti e della
 eventuale responsabilita' dei suoi coimputati. Cio' vale tanto per la
 questione prospettata in via principale quanto per la  questione  che
 si prospetta in via subordinata.
   Tra   le   due   questioni  vi  e'  evidentemente  un  rapporto  di
 subordinazione:   la declaratoria  di  incostituzionalita'  dell'art.
 513.1  c.p.p.  comporterebbe  necessariamente  la  caducazione  della
 disciplina  transitoria;  la  declaratoria  di  costituzionalita'  di
 quella  disposizione  non  precluderebbe la valutazione delle censure
 proposte per la disciplina transitoria.
                               P. Q. M.
   dichiara rilevante e non manifestamente infondata:
     a) la questione di incostituzionalita' del comma primo  dell'art.
 513,  c.p.p.  nella parte in cui non prevede la utilizzabilita' delle
 dichiarazioni  rese  nella  fase  delle  indagini   preliminari   dal
 dichiarante  coimputato  irreperibile senza necessita' di consenso da
 parte del coimputato cui quelle dichiarazioni si riferiscono;
     b)  la  questione  di  incostituzionalita'  del   comma   secondo
 dell'art.  513, c.p.p. nella parte in cui subordina all'accordo delle
 parti  la  lettura  dei  verbali  delle dichiarazioni rese nella fase
 delle indagini  preliminari  delle  persone  indicate  dell'art.  210
 c.p.p.  che si siano avvalse della facolta' di non rispondere;
 entrambe in relazione all'art. 3, comma primo della Costituzione e la
 seconda   in   relazione   anche   all'art.  27,  comma  primo  della
 Costituzione;
   Dispone   la   immediata   trasmissione   degli   atti  alla  Corte
 costituzionale ed ordina che, a cura della cancelleria,  la  presente
 ordinanza  sia  notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e
 che sia comunicata ai Presidenti della  Camera  dei  deputati  e  del
 Senato della Repubblica.
   Sospende il presente processo.
     Pistoia, addi' 25 marzo 1998
                       Il presidente: Signorelli
 98C0641