N. 197 SENTENZA 20 maggio - 3 giugno 1998

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Consulenti tecnici - Tariffe - Mancata previsione della comunicazione
 al  ricorrente  del decreto del Presidente del tribunale, in calce al
 ricorso, con cui viene fissata la comparizione della parti davanti al
 collegio in camera di consiglio con la determinazione del termine per
 la notificazione del  decreto,  e  del  ricorso  stesso,  alla  parte
 interessata  -  Erroneita' delle premesse interpretative da parte del
 giudice rimettente - Non fondatezza nei sensi di cui in motivazione.
 
 (Legge 8 luglio 1980, n. 319, art. 11, sesto comma).
 
 (Cost., artt. 3 e 24).
 
(GU n.23 del 10-6-1998 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco GUIZZI, prof.
 Cesare MIRABELLI, prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI,
 dott.   Cesare   RUPERTO,   dott.  Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo
 ZAGREBELSKY,  prof.  Valerio  ONIDA,  prof.  Carlo  MEZZANOTTE,  avv.
 Fernanda  CONTRI,  prof.  Guido  NEPPI  MODONA,  prof.  Piero Alberto
 CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 29 della  legge
 13  giugno 1942, n. 794 (Norme comuni relative all'applicazione delle
 tariffe degli onorari di avvocato  e  procuratore),  come  richiamato
 dall'art.  11,  sesto  comma,  della  legge  8  luglio  1980,  n. 319
 (Compensi spettanti ai periti, ai consulenti  tecnici,  interpreti  e
 traduttori  per  le  operazioni  eseguite  a richiesta dell'autorita'
 giudiziaria), promosso con ordinanza emessa il 10 ottobre 1995  dalla
 Corte  di  cassazione,  sul  ricorso  proposto da Torre Angelo contro
 Giacumbi Paolo ed altro, iscritta al n.  50  del  registro  ordinanze
 1997  e  pubblicata  nella  Gazzetta Ufficiale Repubblica n. 8, prima
 serie speciale, dell'anno 1997.
   Udito  nella  camera  di consiglio dell'11 febbraio 1998 il giudice
 relatore Cesare Ruperto.
                           Ritenuto in fatto
   Nel corso di un giudizio di legittimita' - proposto  da  un  perito
 d'ufficio  avverso  il  provvedimento con cui il tribunale di Salerno
 aveva disposto l'archiviazione di un  ricorso  presentato  contro  la
 liquidazione  del  compenso  per una perizia espletata in un processo
 penale - la Corte di cassazione, con ordinanza emessa il  10  ottobre
 1995  (pervenuta  alla  Corte  costituzionale il 23 gennaio 1997), ha
 sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 29 della
 legge 13 giugno 1942, n. 794 (Norme comuni relative  all'applicazione
 delle   tariffe  degli  onorari  di  avvocato  e  procuratore),  come
 richiamati dall'art. 11, sesto comma, della legge 8 luglio  1980,  n.
 319  (Compensi spettanti ai periti, ai consulenti tecnici, interpreti
 e traduttori per le operazioni eseguite  a  richiesta  dell'autorita'
 giudiziaria).
   Secondo  la Corte, la norma denunciata si porrebbe in contrasto con
 gli artt. 3 e 24 Cost., in relazione agli  artt.  135  e  136  codice
 procedura civile, "nella parte in cui non prevede la comunicazione al
 ricorrente  del  decreto  del  Presidente  del  tribunale in calce al
 ricorso, con cui viene fissata la comparizione delle parti davanti al
 collegio in camera di consiglio ed e' determinato il termine  per  la
 notificazione  del  decreto  e  del  ricorso  stesso alla controparte
 interessata".
   Premesso che proprio a cagione di  tale  mancata  comunicazione  il
 ricorrente  non  aveva  potuto conoscere il menzionato provvedimento,
 con conseguente intervenuta  archiviazione  del  ricorso,  rileva  la
 Corte  rimettente  che,  allorquando  si  verta in materia di diritti
 soggettivi, la decadenza dall'azione e la perdita del diritto possono
 verificarsi solo con riguardo a situazioni conosciute  dal  soggetto.
 Pertanto  -  secondo  la Suprema Corte - rapportare la presunzione di
 conoscenza al semplice deposito in cancelleria del decreto  in  calce
 al  ricorso,  significherebbe  onerare  l'interessato  di un costante
 accesso  alla  cancelleria  con  modalita'  del  tutto  illogica   ed
 arbitraria,  soprattutto  quando  sia  notevole  il  lasso  di  tempo
 intercorso tra il deposito del ricorso e l'assunzione del decreto.
   Richiamata la sentenza n. 156 del 1986 (con la quale  questa  Corte
 ha  dichiarato  l'illegittimita' costituzionale degli artt. 739 e 741
 codice procedura civile, nella parte in cui, disciplinando il reclamo
 verso i decreti del giudice delegato in materia di determinazione dei
 compensi  ad  incaricati  per  opera  prestata  nell'interesse  della
 procedura  di  amministrazione  controllata,  facevano  decorrere  il
 termine per il reclamo  dal  deposito  del  decreto  in  cancelleria,
 anziche'  dalla  comunicazione),  osserva,  in  particolare, la Corte
 rimettente  come  la   non   presumibile   conoscenza   del   decreto
 presidenziale  di  fissazione dell'udienza camerale e del termine per
 la notificazione alla controparte, se rapportata al semplice deposito
 del decreto in cancelleria, porta alla decadenza del diritto  di  cui
 determina  l'improcedibilita'  e  la  non  riproponibilita'. Per cui,
 ritenuto  che  detto  deposito   e'   inidoneo   a   fare   conoscere
 all'interessato  il  tenore del provvedimento e che l'inutile decorso
 del termine fissato dal giudice  per  la  notifica  alla  controparte
 comporta  la perdita dell'azione, per il giudice a quo sono identiche
 le conseguenze della disciplina normativa sulla tutela dei diritti.
                         Considerato in diritto
   1.   -   La   Corte   di   cassazione   dubita  della  legittimita'
 costituzionale dell'art. 29 della legge 13 giugno 1942, n. 794,  come
 richiamato  dall'art.  11, sesto comma, della legge 8 luglio 1980, n.
 319, "nella parte in cui (nel caso di ricorso avverso la liquidazione
 del  compenso  spettante  al  perito,  per  le  operazioni   peritali
 espletate  a  richiesta  dell'autorita'  giudiziaria)  non prevede la
 comunicazione al ricorrente del decreto del Presidente del  tribunale
 in  calce  al  ricorso,  con  cui viene fissata la comparizione delle
 parti davanti al collegio in camera di consiglio ed e' determinato il
 termine per la notificazione del decreto e del  ricorso  stesso  alla
 controparte interessata".
   Secondo  la  Corte  rimettente,  la  norma  censurata  si  pone  in
 contrasto:   a) con l'art.  3  Cost.,  data  l'irrazionalita'  di  un
 sistema  che  - in base ad una presunzione di conoscenza del deposito
 del decreto - puo' di fatto portare a conseguenze quali la  decadenza
 dall'azione  e  dal relativo diritto; b) con l'art. 24 Cost., poiche'
 il rapportare la presunzione di conoscenza al  semplice  deposito  in
 cancelleria  del  decreto  in  calce  al  ricorso  significa  onerare
 arbitrariamente l'interessato di un costante accesso in cancelleria.
   2. - La questione non e' fondata, nei sensi appresso indicati.
   2.1.   -   Non   si   puo'   non   riconoscere    che    i    dubbi
 d'incostituzionalita'  prospettati dalla rimettente sarebbero fondati
 ove non fosse possibile - attraverso  un'interpretazione  adeguatrice
 della denunciata normativa ai precetti costituzionali - escludere che
 l'inutile  decorso  del  termine  di notifica indicato nel decreto di
 fissazione dell'udienza emesso a' sensi dell'art. 29 della  legge  n.
 794 del 1942 comporti, pur in difetto della comunicazione del decreto
 stesso,  la decadenza dell'impugnazione gia' tempestivamente proposta
 a' sensi dell'art.  11, quinto comma, della legge n.  319  del  1980.
 Infatti,  il  semplice deposito di un provvedimento nella cancelleria
 non  offre  al  soggetto  che  lo  ha  richiesto  quella  ragionevole
 possibilita'  di  tempestiva  conoscenza,  senza  oneri  eccedenti la
 normale diligenza, che - come questa Corte ha piu' volte affermato  e
 intende  ribadire  -  e'  necessaria  quando  viene in considerazione
 l'osservanza d'un termine per l'esercizio del diritto di agire  e  di
 difendersi  in  giudizio  (v. sentenze n.   156 del 1986 e n. 303 del
 1985, nonche' n. 120 del 1986 e n. 15 del 1977).
   Ma ritiene la Corte che l'esame complessivo  dell'insieme  di  dati
 ermeneutici   (testuali,  storici  e  sistematici)  qui  di  se'guito
 indicati   possa   condurre   proprio   a   codesta   interpretazione
 adeguatrice,  la  quale  sembra  non  meno plausibile di quella posta
 dalla rimettente a base della sollevata questione.
   2.2. - La piu' significativa innovazione apportata dalla  legge  n.
 319 del 1980 alla previgente legge 1 dicembre 1956, n. 1426, e' stata
 quella  di  prevedere  e  regolamentare  nell'a'mbito  di un organico
 contesto normativo l'impugnabilita' del provvedimento di liquidazione
 degli  onorari  dei  periti,   consulenti   tecnici,   interpreti   e
 traduttori,  per  le  operazioni  eseguite a richiesta dell'autorita'
 giudiziaria.
   La possibilita' di ricorso non trovava  infatti  riscontro  diretto
 nell'abrogata  disciplina  legislativa,  ma  solo  nella  consolidata
 costruzione giurisprudenziale di  legittimita',  che  riconduceva  il
 summenzionato provvedimento (allora pronunciato ai sensi dell'art. 24
 disp.  att.    cod.  proc.  civ., oppure dell'art. 23 disp. att. cod.
 proc.  pen.  del  1930)  tra  quelli  speciali a carattere monitorio,
 emessi  dal  giudice  in   via   provvisoria   e   senza   preventiva
 contestazione   della   domanda,   con  cio'  assimilandolo  -  anche
 relativamente  all'utilizzazione,  con  gli   opportuni   adattamenti
 procedurali,  degli  strumenti di opposizione - al decreto ingiuntivo
 disciplinato  dagli  artt.  633  e  segg.  cod.    proc.  civ.  Donde
 l'esclusione,   da   parte   di   questa  Corte,  dell'illegittimita'
 costituzionale del  sistema,  proprio  in  ragione  del  differimento
 dell'attuazione   del   contraddittorio   alla  fase  processuale  di
 opposizione (v. sentenza n. 125 del 1972).
   Cosi' - anche al fine di ovviare, comunque, alle problematiche  cui
 dava  luogo l'assenza di una coerente disciplina organica - il quinto
 comma dell'art. 11 della legge n.  319  del  1980  ha  esplicitamente
 previsto  che  "avverso  il  decreto  di  liquidazione  il perito, il
 consulente  tecnico,  l'interprete,  il   traduttore,   il   pubblico
 ministero  e  le  parti  private possono proporre ricorso entro venti
 giorni dall'avvenuta comunicazione davanti al tribunale o alla  corte
 d'appello  alla  quale appartiene il giudice o presso cui esercita le
 sue funzioni il pubblico ministero ovvero nel cui circondario ha sede
 il pretore che ha emesso il decreto".  A  sua  volta,  il  denunciato
 sesto  comma  dello  stesso  art.  11  ha  stabilito  che il relativo
 procedimento "e' regolato dall'art.  29 della legge 13  giugno  1942,
 n.  794",  il quale sancisce che "il Presidente del tribunale o della
 corte  d'appello  ordina,  con  decreto  in  calce  al  ricorso,   la
 comparizione  degli  interessati  davanti  al  collegio  in camera di
 consiglio" e che "il decreto e' notificato a cura dell'interessato".
   2.3. - Lo schema procedurale disciplinato da tale ultima norma  con
 riferimento  al  giudizio di liquidazione degli onorari di avvocato e
 procuratore, non include nel suo contenuto precettivo  alcun  termine
 di  decadenza.  La  norma  infatti  si  limita  a  stabilire, in modo
 assolutamente neutro, una mera sequenza  ordinatoria  di  adempimenti
 necessari  per  la  regolare  instaurazione  del  contraddittorio. La
 mancanza di un'espressa  previsione  dell'obbligo  di  comunicare  il
 decreto di fissazione dell'udienza e del termine di notificazione del
 ricorso  alla  controparte, si spiega in quanto trova applicazione il
 generale  principio  di  cui  all'art.    136  cod.  proc.  civ.,  in
 conformita'   ad   altri   numerosi  moduli  procedimentali  regolati
 nell'a'mbito dello stesso codice.
   Ma il rito camerale disciplinato dall'art. 29 della  legge  n.  794
 del  1942  si  correla  ontologicamente  ad  uno  specifico  giudizio
 contenzioso finalizzato soltanto alla  sollecita  liquidazione  degli
 onorari di avvocato e procuratore (cfr. sentenze n. 238 del 1976 e n.
 22  del  1973), che il professionista chiede col ricorso previsto dal
 precedente  art.  28,  avente  natura  di  semplice  domanda,  sempre
 rinnovabile  ove non dovesse essere notificato dalla parte istante il
 decreto emesso per la comparizione davanti al collegio in  camera  di
 consiglio.  Mentre, viceversa, il ricorso proposto a' sensi dell'art.
 11, quinto e sesto comma,  della  legge  n.  319  del  1980  e'  atto
 impugnatorio  della  liquidazione  gia'  operata  dal  giudice  o dal
 pubblico ministero che  ha  nominato  il  perito  avente  diritto  al
 compenso.  Atto,  che costituisce espressione d'un diritto attribuito
 dalla norma col solo onere di osservare il termine  di  venti  giorni
 "dall'avvenuta comunicazione".
   Osservato   tale   termine,   una  decadenza  dalla  gia'  proposta
 impugnazione   potrebbe   ricollegarsi    alla    mera    inattivita'
 relativamente ad adempimenti successivi, solo in quanto il ricorrente
 sia  stato  posto  in condizione di conoscere il momento iniziale del
 termine entro cui provvedere agli adempimenti stessi: il che non puo'
 ragionevolmente ritenersi verificato a se'guito del semplice deposito
 del decreto previsto nell'art. 29, primo comma, della  legge  n.  794
 del 1942.
   Da un lato infatti e' da rilevare che nessuna decadenza per codesta
 inattivita'  viene espressamente prevista nell'art. 11 della legge n.
 319 del 1980, mentre, dall'altro, in mancanza di dati che suffraghino
 l'avviso contrario, e' da ritenersi che esula dal rinvio all'art.  29
 della legge n. 794 del 1942 l'intentio  legislativa  di  pervenire  a
 codesto  risultato,  il quale contrasterebbe con i princi'pi generali
 del sistema delle impugnazioni, piu' volte affermati da questa Corte.
 A tal proposito  giova  in  particolare  richiamare  la  gia'  citata
 sentenza   n.   15  del  1977,  che  ha  dichiarato  l'illegittimita'
 costituzionale dell'art. 435, secondo comma, cod. proc.  civ.,  nella
 parte  in  cui  non  disponeva  che  l'avvenuto  deposito del decreto
 presidenziale  di  fissazione  dell'udienza  di   discussione   fosse
 comunicato  all'appellante,  decorrendo  da  codesta comunicazione il
 termine per la notificazione all'appellato.  Sentenza,  codesta,  che
 enuncia in generale criterio interpretativo (cfr. sentenza n. 358 del
 1996)   relativamente   a  tutte  le  norme  riguardanti  giudizi  di
 impugnazione, le quali prevedano termini di decadenza.
   2.4. - Il risultato ermeneutico cosi'  conseguito  -  da  preferire
 proprio   perche'   rispettoso   dei  valori  costituzionali  che  la
 rimettente  pone  in  evidenza  nel   sollevare   la   questione   di
 costituzionalita'  -  rende  la  denunciata normativa immune dai vizi
 prospettati muovendo da diversa premessa interpretativa.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione
 di legittimita' costituzionale dell'art. 11, sesto comma, della legge
 8 luglio 1980, n. 319 (Compensi spettanti ai  periti,  ai  consulenti
 tecnici,  interpreti  e  traduttori  per  le  operazioni  eseguite  a
 richiesta dell'autorita' giudiziaria), sollevata, in riferimento agli
 artt.   3 e 24 della Costituzione,  dalla  Corte  di  cassazione  con
 l'ordinanza indicata in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 20 maggio 1998.
                        Il Presidente: Granata
                         Il redattore: Ruperto
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 3 giugno 1998.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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