N. 451 ORDINANZA (Atto di promovimento) 4 aprile 1998
N. 451 Ordinanza emessa il 4 aprile 1998 dal pretore di Torino nel procedimento civile vertente tra Rapali Enrico e Camera di commercio di Torino ed altro Titoli di credito - Assegno bancario - Protesto per mancato pagamento - Pubblicazione ufficiale nell'elenco dei protesti, anche in caso di rifiuto legittimo al pagamento da parte del soggetto protestato (nella specie: per evidente contraffazione del titolo) - Lesione del diritto all'onore e alla identita' personale e morale - Violazione del principio di eguaglianza, rispetto al protesto per mancanza di fondi - Incidenza sul diritto di difesa - Riferimento alla sentenza della Corte costituzionale n. 151/1994. (Legge 12 febbraio 1955, n. 77, artt. 1 e 3). (Cost., art. 2, 3 e 24).(GU n.25 del 24-6-1998 )
IL PRETORE Esaminati gli atti e sciogliendo la riserva; O s s e r v a Quanto segue in fatto e in diritto: 1) Con ricorso depositato in data 16 marzo 1998, il sig. Rapali Enrico esponeva di aver inviato alla sede della Bank Americard a mezzo del servizio postale, in data 27 dicembre 1997, un plico contenente un assegno bancario tratto sull'istituto bancario S. Paolo di Torino; il titolo, che doveva servire ad estinguere un debito del ricorrente avverso la medesima Bank Americard, era stato emesso per l'importo di L. 300.000 e vi era stata apposta la clausola di non trasferibilita'; senonche', in data 23 gennaio 1998, l'assegno era stato presentato all'incasso da certo sig. Fiumara Claudio, alterato in varie parti; invero la data di emissione era stata cancellata e vi era stata sostituita quella del 22 gennaio 1998, cosi' come il nome del prenditore, che risultava essere al momento dell'incasso quello di certo sig. Castronuovo Massimiliano; ancora, era stata cancellata la clausola di non trasferibilita', e sul titolo comparivano varie girate (come ultimo giratario era appunto indicato il citato sig. Fiumara); l'importo risultava infine essere di L. 2.300.000, e non di L. 300.000; il S. Paolo, rilevati il furto e la contraffazione, aveva trasmesso l'assegno al notaio Bertani, il quale in data 29 gennaio 1998 aveva levato il protesto indicando espressamente l'intervenuta contraffazione del titolo; il sig. Rapali riteneva quindi di aver diritto all'emissione di un provvedimento ex art. 700 c.p.c. idoneo ad impedire la pubblicazione, nel Bollettino edito dalla Camera di commercio ex legge n. 77/1955, del protesto relativo all'assegno in questione; il periculum in mora era costituito dal pregiudizio che la pubblicazione avrebbe arrecato al buon nome e all'immagine morale e sociale del ricorrente (che era iscritto all'albo professionale degli ingegneri) nonche' dalla probabilita' che la pubblicazione stessa avrebbe negativamente influito sull'attivita' (specie nei rapporti con le aziende di credito) di una societa' della quale il medesimo, sig. Rapali era amministratore; sotto il profilo del fumus boni iuris si faceva notare l'evidente illegittimita' della circolazione dell'assegno de quo, dalla quale conseguiva l'indebita levata del protesto nei confronti del ricorrente; il giudizio veniva instaurato nei confronti della Camera di commercio di Torino nonche' del sig. Fiumara; la causa di merito veniva indicata nella richiesta di accertamento dell'illegittimita' del protesto in questione, con conseguente condanna del sig. Fiumara a risarcire i danni derivanti dalla presentazione del titolo all'incasso nonostante l'evidente alterazione. Non si costituiva nessuno dei due convenuti. All'udienza del 30 marzo 1998 il sig. Rapali forniva ulteriori precisazioni sui fatti indicati in ricorso; veniva poi sentita quale persona informata sui fatti la sig.ra Bosso Renata, dipendente dell'istituto bancario S. Paolo di Torino (che confermava l'evidente alterazione del titolo); alla stessa udienza questo pretore tratteneva la causa a riserva. 2) E' fin troppo noto il contrasto dottrinale e giurisprudenziale esistente nella nostra materia. A fronte di chi ammette, in ipotesi simili a quella per cui e' causa, il ricorso alla tutela d'urgenza ex art. 700 c.p.c. per impedire che il protesto venga pubblicato nel bollettino edito dalla Camera di commercio ex legge n. 77)1955, vi e' chi nega in radice tale possibilita'. Secondo altra parte della giurisprudenza, poi, il risultato di impedire la pubblicazione del protesto puo' venire praticamente raggiunto anche sospendendo ex art. 700 c.p.c. l'efficacia esecutiva del titolo di credito (cfr. pret. Taranto, 21 luglio 1991, in Foro It. 1992, I, 971). Vi e' infine discordanza pure sull'individuazione dei soggetti passivi dell'azione, ritenendosi talvolta che sia necessario chiamare in causa anche (o solo) la Camera di commercio, e altre volte il solo presentatore del titolo (cfr. trib. Catanzaro, 7 aprile 1995, in banca, borsa 1995, 491). 3) Per impostare con chiarezza i termini della questione, e' indispensabile svolgere subito una importante considerazione. Nonostante il tenore letterale di varie pronunce, non si puo' affatto ritenere che in genere - nelle fattispecie analoghe a quella ora in esame - sia illegittima la levata del protesto. Semmai, cio' che stride con il comune senso di giustizia e' il fatto che il protesto venga pubblicato nel bollettino, di talche' viene reso "di pubblico dominio" un mancato pagamento che potrebbe essere interpretato come indice di una cattiva volonta' del debitore, ma che invece era nel caso di specie del tutto giustificato. Orbene, giova ripetere che in tutti questi casi il protesto era stato tuttavia legittimamente levato, ricorrendone le condizioni di legge. Basti pensare che, in base alla l.a. (ma il discorso e' analogo per quanto concerne la l.c.), il protesto non e' altro che la constatazione con atto autentico del rifiuto del pagamento (art. 45 l.a.), e serve unicamente per poter esercitare l'azione di regresso. Ora, e' fin troppo evidente che il rifiuto del pagamento (seppure, com'e' ovvio, assai spesso derivi semplicemente dalla mancanza dei fondi) puo' essere peraltro determinato dalle piu' svariate ragioni: nei rapporti diretti sono proponibili anche le eccezioni causali ma, piu' in generale, occorre ricordare che vi sono diverse eccezioni proponibili nei confronti di qualunque possessore (v. art. 1993 c.c.), quali la falsita' della firma, ecc.; le ipotesi di alterazione dell'assegno sono poi espressamente regolate dall'art. 68 l.a. E' chiaro, a questo punto, che il protesto deve essere levato qualunque sia il motivo del rifiuto del pagamento: invero, da un lato, il portatore e' obbligato ad eseguire il protesto (per esercitare e) per mantenere l'azione di regresso agli obbligati aggrediti (v. art. 52 l.a.) e, dall'altro, la l.a. non prevede alcuna ipotesi in cui sia possibile evitare il protesto in funzione delle eccezioni proposte dal debitore (tanto e' vero che, ai sensi dell'art. 63 l.a., il protesto deve contenere tra l'altro le risposte avute all'atto della richiesta di pagamento). Consegue da quanto finora detto che anche nell'ipotesi per cui e' causa (alterazione del testo dell'assegno) il protesto doveva essere levato, di talche' non puo' essere neppure posta in discussione la sua legittimita'. 4) Da quanto finora esposto emergono in tutta evidenza le ragioni di coloro che negano radicalmente la possibilita' di impedire la pubblicazione di un protesto sul relativo bollettino. Invero, secondo questa opinione, la legittimita' della levata del protesto indipendentemente dal motivo del rifiuto del pagamento, unita alla considerazione che l'art. 1, legge n. 77/1955 impone la pubblicazione di tutti i protesti indistintamente (le ipotesi di cancellazione del nome del protestato ex art. 3, quarto comma, legge n. 77/1955 sono chiaramente relative ad errori o vizi nella procedura di levata del protesto; e non alle eccezioni opposte dal debitore cartolare), non consentono di ritenere ammissibile la richiesta di non pubblicare un protesto correttamente levato (cfr. pret. Roma 5 novembre 1984 e 28 febbraio 1986, in Foro It. 1987, I, 291). La stessa posizione era stata peraltro espressa dalla suprema Corte nelle sentenze meno recenti. Nella importante pronuncia n. 2936 del 18 ottobre 1974 (in Giust. Civ. 1975, I, 271), la Corte aveva infatti ritenuto legittimi sia il protesto sia la sua pubblicazione nei casi di falsita' della firma del traente (affermando il principio che il protesto non doveva essere levato contro il correntista solo nell'ipotesi in cui l'assegno fosse stato sottoscritto con un nome chiaramente e totalmente diverso da quello del titolare del conto corrente, mentre doveva essere protestato il correntista sia nell'ipotesi in cui la firma falsa fosse illeggibile, sia nell'ipotesi in cui fosse leggibile l'effettivo nome del correntista medesimo). Secondo il supremo Collegio, la soluzione "... che potrebbe apparire iniqua nei confronti del correntista derubato si giustifica tuttavia su di un piano di politica legislativa considerando che la legge di regola ha la funzione di dirimere un conflitto di interessi e che nella specie l'art. 62, l. ass. dal quale deriva tale interpretazione, nel conflitto di interesse del correntista e quello dei terzi giratari, ha dato la prevalenza a quest'ultimo, in aderenza ai principi di rigore formale che presiedono alla circolazione cartolare..." (sostanzialmente nello stesso senso Cass. 1683/1968). 5) Piu' di recente, la suprema Corte ha tuttavia mutato completamente indirizzo. La nuova opinione si fonda essenzialmente su una opzione interpretativa fatta propria da numerose pronunce dei giudici di merito (v. trib. Verona 1 luglio 1994, in Giur. merito 1995, 743; pret. Genova 10 giugno 1988, in Giur. merito 1989, 1154; pret. Forli' 10 aprile 1987, in Giur. merito 1988, 20): si suole infatti affermare che, nelle ipotesi in cui il portatore del titolo non poteva legittimamente richiedere il pagamento al debitore cartolare, la stessa levata del protesto sarebbe illegittima. In buona sostanza, se il portatore non aveva il diritto a valersi del titolo sono illegittime anche le conseguenze (il protesto) derivanti dalla presentazione all'incasso. Da quanto appena detto il Supremo Collegio (con la pronuncia a s.u. n. 1612 del 3 aprile 1989, in Giust. Civ. 1989, I, 1043) ha tratto la conseguenza che "... poiche' un protesto illegittimo contrasta con la verita' dei fatti e lede l'onore del protestato, incidendo sulla sua stessa identita' morale e sociale, non par dubbio che la persona lesa da un protesto illegittimo non solo ha il diritto di valersi della rettifica, ma anche di impedire il compiersi della lesione della verita' e del suo onore, ricorrendo alla tutela apprestata dall'art. 700 c.p.c. ..." (v. anche Cass. 12144/1990, 8983/1990 e 4297/1990). 6) l'orientamento interpretativo appena descritto, a parere di questo pretore, non puo' tuttavia considerarsi condivisibile. Invero l'equazione: illegittima presentazione del titolo - illegittimo protesto si fonda su un presupposto contrario al vigente diritto positivo, e cioe' sul presupposto che il protesto non dovrebbe essere levato qualora siano fondate le eccezioni proposte dal debitore cartolare al quale viene richiesto il pagamento. Senonche' tale soluzione, per quanto sopra esposto sub 3), non appare accettabile: la l.a. impone infatti di levare il protesto indipendentemente dalla natura e dalla fondatezza delle eccezioni sollevate all'atto della richiesta formale di pagamento, di talche' una eventuale azione per impedire la pubblicazione del protesto puo' allo stato essere ammessa solo in ipotesi residuali, e cioe' qualora vengano in rilievo delle fattispecie riconducibili alla illegitimita' o alla erroneita' della levata del protesto (si pensi all'ipotesi, esaminata da Cass. 2936/1974 cit., in cui sia levato il protesto contro il correntista anche se l'assegno trafugato sia stato falsamente sottoscritto con un nome di fantasia, oppure al caso in cui sia stato indicato nel bollettino il nome del legale rappresentante della societa', quale persona fisica che ha sottoscritto il titolo, in caso di protesto levato contro la societa' medesima: cfr. trib. Firenze, 25 marzo 1997 in Giur. merito 1997, 692). La tesi interpretativa in esame, pur dettata da esigenze equitative ampiamente meritevoli di tutela, non puo' quindi essere seguita, in quanto contraria al diritto positivo. 7) A questo punto, occorre ribadire una considerazione gia' svolta piu' sopra. Cio' che risulta idoneo ad arrecare un pregiudizio al debitore cartolare che abbia fondate eccezioni da opporre al portatore del titolo, non e' tanto la levata del protesto, quanto la sua pubblicazione nel bollettino. Invero, e' fatto notorio che nella coscienza comune e nella considerazione sociale la pubblicazione nel bollettino suona quasi come un marchio di inaffidabilita' dei soggetti interessati (cosi' pret. Genova 10 giugno 1988 cit.); per altro verso, e' altrettanto notorio che le informazioni commerciali normalmente assunte per valutare la solidita' patrimoniale di un soggetto fanno di regola riferimento anche alla eventuale pubblicazione di protesti. Un simile pregiudizio all'"onore" alla "identita' morale e sociale" del protestato (cfr. Cass. 1612/1989 cit.) puo' quindi essere ammesso non indistintamente, ma solo qualora sia giustificato da ragioni altrettanto meritevoli di tutela. Per altro verso, le esigenze riconnesse al regime formale della circolazione dei titoli di credito non sembrano affatto vanificate pur riconoscendo che non e' necessaria la pubblicazione di un protesto relativo ad un rifiuto legittimo di pagamento: per quanto concerne gli obbligati cartolari di quel determinato titolo, la conoscenza del rifiuto appare adeguatamente garantita dal disposto dell'art. 47 l.a. mentre la generalita' dei consociati ha interesse ad una adeguata pubblicita' non dei casi in cui un soggetto legittimamente difende i propri interessi, bensi' delle sole ipotesi che possono evidenziare uno scarso affidamento dei soggetti con i quali si desidera contrattare. 8) Questo pretore, per tutto quanto finora esposto, dubita della legittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt. 1 e 3 della legge n. 77/1955, nella parte in cui si prevede la pubblicazione dei protesti legittimamente levati di assegni bancari anche se relativi ad ipotesi in cui fosse legittimo il rifiuto del pagamento da parte del soggetto protestato. Il sospetto di illegittimita' nasce dal possibile contrasto della normativa in esame con gli artt. 2, 3 e 24 della Costituzione. In particolare: nelle ipotesi de quibus il diritto del soggetto all'onore e all'identita' personale e morale non sembra adeguatamente tutelato ex art. 2 della Costituzione, atteso che la lesione che consegue alla pubblicazione (prevista dall'attuale formulazione dell'art. 1, legge n. 77/1955) potrebbe non risultare giustificata a seguito del giudizio di bilanciamento con gli altri interessi costituzionalmente rilevanti; la situazione di colui che venga protestato per mancanza di fondi appare assai diversa da quella di colui che rifiuta il pagamento per legittimi motivi, di talche' la sottoposizione al medesimo trattamento normativo sembra lesiva del principio di uguaglianza ex art. 3 della Costituzione; l'attuale formulazione degli artt. 1 e 3, legge n. 77/1955 appare ingiustamente lesiva dei diritti di difesa e cosi' contrastante con l'art. 24 della Costituzione, atteso che ora il soggetto protestato non gode di alcun soddisfacente strumento per la tutela di situazioni che, al contrario, potrebbero esserne degne (tanto e' vero che la giurisprudenza, per motivi squisitamente equitativi, e' giunta a "dover" interpretare la legge secondo l'impostazione sopra evidenziata); per altro verso le eventuali azioni di risarcimento dei danni a disposizione del protestato potrebbero rivelarsi di minima efficacia. 9) La questione proposta e' rilevante nel presente giudizio. Invero sembrano sussistere nel caso di specie tutti i presupposti per l'esercizio dell'azione cautelare ex art. 700 c.p.c.. A questo punto il sig. Rapali, qualora venisse riconosciuta fondata la presente questione di illegittimita' costituzionale, potrebbe aver diritto alla tutela richiesta. Al contrario, allo stato attuale della legislazione, questo pretore non potrebbe che prendere atto del difetto del requisito del fumus boni iuris e rigettare la domanda atteso che, applicando al caso di specie il disposto degli artt. 1 e 3, legge n. 77/1955, la pubblicazione del protesto (correttamente levato) risultava doverosa e irrinunciabile. Ne deriva che il presente procedimento non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione (art. 23, legge n. 87/1953). Ne' si potrebbe obbiettare che nel caso di specie sia sottoposta al giudice delle leggi una mera questione interpretativa. Invero qui non si tratta di scegliere tra piu' possibili opzioni interpretative, una delle quali una conforme ai precetti costituzionali; viceversa, la legge n. 77/1955 non lascia spazio per alcuna interpretazione diversa da quella che impone la pubblicazione di tutti i protesti indistintamente (purche' ritualmente levati). Neppure, infine, sembra che il protestato possa raggiungere un risultato utile richiedendo la sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo di credito (cfr., pret. Taranto 21 luglio 1991 cit.), ovvero richiedendo che il giudice ordini alla banca trattaria di non levare il protesto (cfr. pret. Milano 8 novembre 1988 in banca, borsa 1990, pag. 415 e pret. Roma 27 luglio 1987, in Foro It. 1988, I, 1808): si tratta invero di azioni la cui esperibilita' e' alquanto contrastata, utilizzabili (anche da coloro che ne riconoscono l'ammissibilita') solo in presenza di particolari presupposti, e che appaiono comunque scarsamente compatibili con i principi generali sulla circolazione dei titoli di credito. 10) La questione appare inoltre non manifestamente infondata. Sul punto bastera' richiamare le considerazioni finora svolte. Si puo' solo aggiungere che, oltretutto, per parte della dottrina la pubblicazione sul bollettino dei protesti ha natura di sanzione amministrativa atipica. Se cosi' fosse ne uscirebbe ulteriormente rafforzato il sospetto di illegittimita' della normativa in esame, atteso che una sanzione presuppone la commissione di un fatto previsto come illecito dalla legge, mentre il rifiuto di pagare un titolo di credito puo' essere determinato da motivi degni di tutela. Deve essere svolta un'ultima riflessione. Profili analoghi a quelli evidenziati nel presente provvedimento sono gia' stati esaminati dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 151 del 14-21 aprile 1994. Con tale sentenza la questione proposta era stata dichiarata non fondata sulla base essenzialmente di due ordini di motivi: da un lato, l'art. 1, legge n. 77/1955 prevede che sul bollettino vengano pubblicate anche le "dichiarazioni di rifiuto" senza contare la possibilita' per il debitore di far pubblicare sul bollettino stesso le rettifiche necessarie), di talche' il protestato avrebbe comunque gli strumenti per rendere pubblica l'incolpevolezza dell'inadempimento; dall'altro e' stata sottolineata l'esistenza della giurisprudenza sopra citata, secondo la quale sarebbe possibile impedire la pubblicazione del protesto del debitore incolpevole. Orbene, ritiene questo pretore che i rimedi evidenziati dalla Corte non siano ancora sufficienti per la tutela dei diritti costituzionalmente garantiti. Invero, per un verso, lo stesso formarsi della giurisprudenza cui ha fatto riferimento il giudice delle leggi (giurisprudenza che, come sopra evidenziato, si fonda sulla forzatura di ritenere illegittimo il protesto del debitore incolpevole) dimostra che gli strumenti di cui alla legge n. 77/1955 (e in particolare la pubblicazione delle dichiarazioni di rifiuto) sono avvertiti come del tutto insufficienti per la tutela del protestato. Per altro verso una ulteriore espansione e diffusione della giurisprudenza in esame rischia paradossalmente di aggravare il pregiudizio arrecato al debitore: basti pensare che, ove comparisse sul bollettino la pubblicazione di un protesto giustificato dal debitore con motivi legittimi in presenza di un orientamento come quello citato ormai pacifico e costante, il fatto stesso della pubblicazione potrebbe essere interpretato quale palese infondatezza dei motivi addotti (atteso che si potrebbe dubitare che il debitore non sia riuscito o non si sia attivato per ottenere giudizialmente che il protesto non venisse inserito nell'elenco). In realta', a parere dello scrivente, la questione deve essere meditata alla luce della considerazione che ormai, per il quisque de populo, la pubblicazione sul bollettino e' considerata indice dell'inaffidabilita' del debitore e puo' comportare una serie di ripercussioni "a catena" sulla vita stessa dell'impresa: ne consegue che una eventuale dichiarazione di illegittimita' della normativa sottoposta al vaglio della Corte (pur portando con se', con ogni probabilita', l'effetto negativo di un incremento del contenzioso giudiziario) potrebbe forse contribuire a determinare anche il giusto effetto di vedere inseriti nell'elenco i soli protesti meritevoli della pubblicita'. 11) Viste le particolarita' del caso di specie, appare ammissibile un provvedimento urgente che impedisca la pubblicazione del protesto de quo durante la sospensione del presente giudizio per l'incidente di legittimita' costituzionale (cfr. app. Palermo 30 giugno 1992, in Giust. civ. 1993, 2235).
P. Q. M. Ordina alla Camera di commercio di Torino di non pubblicare nell'elenco dei protesti edito ex legge n. 77/1955, fino all'esito del presente giudizio, il protesto levato contro il sig. Rapali Enrico per atto del notaio Bertani 29 gennaio 1998 e relativo all'assegno bancario n. 0716728414 tratto sull'istituto bancario S. Paolo di Torino; Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, per contrasto con gli artt. 2, 3 e 24 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt. 1 e 3, legge 12 febbraio 1955, n. 77, nella parte in cui si prevede la pubblicazione dei protesti legittimamente levati di assegni bancari anche se relativi ad ipotesi in cui fosse legittimo il rifiuto del pagamento da parte del soggetto protestato; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso, iscritto al n. 2114, r.g. 1998 della pretura di Torino e vertente tra il sig. Rapali Enrico e la Camera di commercio di Torino nonche' il sig. Fiumara Claudio; Dispone che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri, e comunicata al Presidente della Camera dei deputati e al Presidente del Senato della Repubblica. Cosi' deciso in Torino, il 4 aprile 1998. Il pretore: Furlan 98C0696