N. 457 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 maggio 1998

                                N.  457
 Ordinanza   emessa   il  5  maggio  1998  dal  pretore  di  Roma  nel
 procedimento penale a carico di Ali' Mohamed ed altro
 Immigrazione - Apolide o cittadino extracomunitario condannato per un
    reato non  colposo  o  nei  cui  confronti  si  stata  pronunciata
    sentenza  di applicazione della pena - Possibilita' per il giudice
    di disporre l'espulsione di tale soggetto  a  titolo  di  sanzione
    sostitutiva    della    pena    -   Necessita'   della   richiesta
    dell'interessato - Mancata previsione - Disparita' di  trattamento
    rispetto ai cittadini degli Stati membri dell'Unione europea.
 Immigrazione  -  Apolide  o cittadino extracomunitario - Espulsione a
    titolo di sanzione sostitutiva della pena  -  Prevista  esecuzione
    "anche se la sentenza non e' irrevocabile" - Lesione del principio
    di non colpevolezza sino alla condanna definitiva.
 Immigrazione - Apolide o cittadino extracomunitario nei cui confronti
    si  a  stata  pronunciata  sentenza  di applicazione della pena su
    richiesta   -   Possibilita'   per   il   giudice   di    disporre
    discrezionalmente  l'espulsione  per  un  periodo  non inferiore a
    cinque  anni  a  titolo  di  sanzione  sostitutiva  della  pena  -
    Disparita'  di trattamento "nell'accesso al beneficiario della non
    esecuzione della pena patteggiata in dipendenza  della  condizione
    personale di straniero".
 Immigrazione  - Apolide o cittadino extracomunitario - Espulsione per
    un periodo non inferiore  a  cinque  anni  a  titolo  di  sanzione
    sostitutiva  della pena - Mancata previsione di massimo edittale -
    Lesione del principio di tassativita' della sanzione penale.
 Immigrazione - Apolide o cittadino extracomunitario  -  Espulsione  a
    titolo  di sanzione sostitutiva della pena - Mancata previsione di
    parametri di ragguaglio tra  la  durata  della  pena  detentiva  e
    quella   della   pena  sostituitva  -  Lamentata  possibilita'  di
    trattamento di reati di diversa gravita' - Lesione  del  principio
    della finalita' rieducativa della pena.
 Immigrazione  -  Apolide  o cittadino extracomunitario - Espulsione a
    titolo di sanzione sostitutiva della pena - Condizioni oggettive e
    soggettive di applicabilita' - Mancata previsione  -  Lesione  del
    diritto di difesa - Violazione del principio di tassativita' della
    sanzione penale.
 Immigrazione  -  Apolide  o cittadino extracomunitario - Espulsione a
    titolo di sanzione sostitutiva della pena -  Possibilita'  per  il
    giudice  di  sostituire  alla  pena  detentiva  da  eseguirsi  non
    inferiore ai due anni la sanzione sostitutiva dell'espulsione  non
    inferiore  a  cinque  anni - Lesione del principio della finalita'
    rieducativa della pena.
 (Legge 6 marzo 1998, n. 40, art. 14).
 (Cost., artt. 3, 24, secondo comma, 25, secondo comma, 27, secondo
 e terzo comma).
(GU n.26 del 1-7-1998 )
                              IL PRETORE
   Ha emesso la seguente ordinanza ex art. 23, legge 11 marzo 1953, n.
 87.
   A. - Esaminati gli atti del presente procedimento, dai quali emerge
 la seguente situazione processuale:
     1) che in data 10 aprile 1998, in Roma, la polizia  di  Stato  ha
 arrestato  in flagranza di tentato furto pluriaggravato due stranieri
 sprovvisti  di  qualsivoglia  documento   di   identificazione,   che
 dichiaravano  chiamarsi  Soudani Salah, nato in Algeria il 24 ottobre
 1967 ed Ali' Mohamed, nato il 5 febbraio 1975,  e  la  cui  identita'
 fisica   quello   stesso   giorno   veniva   accertata   con  rilievi
 identificativi ex art.  349 c.p.p. presso il Centro Interregionale di
 polizia scientifica della polizia di  Stato  (verificandosi  come  in
 occasione  di  precedenti  arresti  e  controlli  di  p.g. gli stessi
 fossero gia' stati  identificati  con  rilievi  e  dattiloscoplici  e
 fotosegnaletici  piu'  volte, dopo aver rilasciato generalita' sempre
 diverse, sino a collezionare Soudani nove, Ali' dodici alias: si veda
 la nota informativa in atti 11 aprile 1998 polizia di Stato);
     2)  che il p.m. li presentava al pretore il giorno successivo per
 la convalida dell'arresto ed il giudizio direttissimo, quali imputati
 "del reato di cui agli artt. 56, 110, 624-625 nn. 4 e 6 c.p,  perche'
 in  concorso  tra  loro  ed al fine di trarne profitto compivano atti
 idonei diretti in modo non equivoco ad  impossessarsi  con  destrezza
 del  portafoglio  di  Fioro  Mara,  commettendo il fatto davanti alla
 biglietteria FF.SS. di Roma Termini; in Roma, 10 aprile 1998";
     3) che ad esito della udienza di  convalida  -  nel  corso  della
 quale  gli  arrestati  ammettevano  di  avere  tentato di rubare "per
 mangiare",  entrambi  dichiarandosi  nati  in  Algeri  (Algeria),   e
 confermando  le  date di nascita in precedenza fornite agli operanti;
 Ali' altresi' dichiarandosi non sposato e senza figli - con ordinanza
 11 aprile 1998 gli arresti venivano convalidati,  senza  applicazione
 di   misure   cautelari,   non  richieste  dal  p.m.,con  conseguente
 liberazione dei due imputati, che chiedevano i termini a difesa;
     4) che all'udienza del 22 aprile 1998 perveniva nota questura  di
 Roma  18  aprile  1998,  attestante  come  entrambi  gli imputati non
 risultino titolari di  alcun  permesso  di  soggiorno,  al  contrario
 risultando gia' espulsa dal prefetto di Roma il 4 giugno 1993 persona
 identificata  come  Mahfoud Toufik nato in Marocco il 5 febbraio 1975
 con rilievi identificativi che la fanno  corrispondere  alla  persona
 dell'attuale imputato Ali' Mohamed;
     5) che nella medesima udienza del 22 aprile 1994, l'imputato Ali'
 Mohamed presentava richiesta ex art. 444 c.p.p. di applicazione della
 pena  di mesi due di reclusione e L. 200.000 di multa (con attenuanti
 generiche equivalenti alle contestate  aggravanti,  pena  base,  gia'
 calcolata  la riduzione per il tentativo, di mesi tre di reclusione e
 L. 300.000 di multa, ridotta di un terzo per il rito), con  richiesta
 dei   benefici  ex  artt.  163  e  175  c.p.p.  ma  espresamente  non
 subordinandosi l'istanza "di patteggiamento" alla loro concessione. E
 che il p.m.  prestava il proprio consenso;
     6)  che  l'esito  dei  riscontri  sui   rilievi   fotografici   e
 dattiloscopici  operati  sulla  e nei confronti della medesima pesona
 fisica nell'occasione dell'arresto per cui si  procede  qualificatasi
 come Ali' Mohamed evidenzia come in una trentina di diverse occasioni
 -  delle  quali 20 per arresto in flagranza, quasi sempre per furto -
 lo stesso si sia sempre qualificato con generalita'  diverse;  e  che
 l'esame  dei  certiticati penali e dei carichi pendenti parimenti per
 restare ai soli dati che paiono per gli alias  certamente  riferibili
 ad  Ali',  una  condanna  definitiva  con  sentenza pretore Savona 13
 agosto 1993 a dodici mesi di reclusione e L. 300.000  di  multa  (per
 fatto   commesso  12  agosto  1993),  un  procedimento  pendente  per
 rapina/lesioni/resistenza (per commesso 9 novembre 1994), due recenti
 sentenze di primo grado non definitive del 14 luglio e del 4 dicembre
 1997 del pretore di Roma per  complessivi  ulteriori  mesi  sette  di
 reclusione  e  L.  700.000 di multa (per fatti commessi in entrambi i
 casi il giorno prima): precedenti giudiziari e penali,  in  relazione
 ai  quali, nonche' in relazione al pluriennale tentativo di sottrarsi
 a  controlli  e  responsabilita'  mediante  rilascio  di  generalita'
 diverse   in   occasione   di   ogni  fermo,  arresto  o  contro  per
 identificazione, deve  ritenersi  che  non  vi  sia  possibilita'  di
 presumere  che  l'Ali' si asterra' in futuro dal commettere ulteriori
 reati per cui si procede, nei suoi confronti essendosi dimostrato non
 avere  alcuna  deterrenza alla commissione di reati ne' le precedenti
 condanne, e per alcune  la  loro  esecuzione,  ne'  la  pendenza  dei
 procedimenti  per reati anche gravi, ne' lo status di espulso; con la
 conseguenza che deve ritenersi sia  non  concedibile  la  sospensione
 condizionale della pena;
     7) ritenuto - con Cass. ss.uu. 11 giugno 1993, n. 5882 - che, non
 essendo  la  richiesta  ex  art.  444  c.p.p.  stata subordinata alla
 concessione del beneficio di cui all'art. 163 c.p.. essa possa essere
 accolta anche  non  disponendosi  la  concessione  della  sospensione
 condizionale; nel merito ritenendosi per altro verso:
      1) di non dover pronunciare sentenza di proscioglimento ai sensi
 dell'art.  129  c.p.p. (in dipendenza della flagranza, constatata nel
 verbale di arresto, e riferita  dall'operante  Trovalusci  nel  corso
 dell'udienza di convalida; nonche' della confessione, pure intevenuta
 in sede di convalida);
      2)  che la qualificazione giuridica del fatto per il quale vi e'
 richiesta ex art. 444 c.p.p. sia corretta, cosi' come  l'applicazione
 e  la  comparizione delle attenuanti generiche (strumento legislativo
 messo  a  disposizione  del  giudice  per   proporzionare   la   pena
 all'effettivo  rilievo  criminale  del reato quando - come nel caso -
 non sia grave ed il reato steso non abbia leso in modo incisivo,  dal
 punto  di  vista  dell'interesse  generale,  beni  costituzionalmente
 protetti);
      3) che, avuto riguardo ai parametri ex art. 133 c.p.,  e  tenuto
 conto della natura dell'episodio, espressione piu' che di capacita' a
 delinquere  di  estrema  marginalita'  sociale se non di disperazione
 ("ho rubato per mangiare", ha affermato Ali' e non sono invero emersi
 dati che facciano ritenere di maniera tale dichiarazione), le pene di
 cui le parti chiedono l'applicazione siano correttamente  determinate
 e  quantificate,  e siano adeguate alle finalita' descritte dall'art.
 27/3 della Costituzione;
     8) rilevato in fatto che il richiedente pena in  applicazione  ex
 art.  444  c.p.  Ali'  Mohamed  non ha allegato cittadinanza di Stato
 dell'Unione europea, ne' di essere apolide,  ne'  la  sussistenza  di
 alcuna  delle  situazioni  ostative all'espulsione in Algeria, di cui
 all'art. 17, legge n. 40/1998; che lo stesso Ali' - a prescindere dal
 decreto di espulsione nei suoi confronti gia' emessosi, di cui  sopra
 -  si  trova  nella  condizione personale per essere espulso ai sensi
 dell'art. 11, comma 2, cit. legge 40/1998; che non risulta  ricorrano
 in  fatto le cause ostative all'espulsione di cui all'art.  12, comma
 1, stessa legge; che Ali'  Mohamed  non  ha  richiesto  l'espulsione;
 Rilevato  come  in  tale  situazione processuale sia dato al giudice,
 accogliendo  la  richiesta  di  "patteggiamento",  di  utilizzare  la
 discrezionale  possibilita'  di  sostituire  la pena detentiva con la
 misura dell'espulsione offertagli dall'art. 14 legge 6 marzo 1998, n.
 40;  e  ritenuto  di  poter  e  dover  nel  caso  di  disporre   tale
 sostituzione;  B.  -  Osservato  quanto  segue in ordine all'art. 14,
 legge 6 marzo 1998, n. 40.
   La legge 6 marzo 1998, n. 40 -  in  vigore  dal  27  marzo  1998  -
 costituisce,  come  si evidenzia nel suo titolo, la nuova generale ed
 organica "disciplina dell'immigrazione"  e  della  "condizione  dello
 straniero",  definito  come  "il  cittadino di Stato non appartenente
 all'Unione europea" o l'"apolide" (art. 1, comma 1). La legge "non si
 applica ai cittadini degli Stati membri dell'Unione europea,  se  non
 in  quanto  si tratti di norme piu' favorevoli" (art. 1, comma 2, che
 fa  salvo  il  contenuto  del  futuro  decreto  delegato  di  cui  al
 successivo  art.  45,  che  dovra'  contenere  la disciplina organica
 dell'ingresso, del  soggiorno  e  dell'allontanamento  dei  cittadini
 dell'Unione  europea).    Posti  in  via generale i "diritti e doveri
 dello straniero", in attuazione e a volte in pleonastica  ripetizione
 di  principi  costituzionali  (art.  2: tra i diritti, "la parita' di
 trattamento   con   il   cittadino    relativamente    alla    tutela
 giurisdizionale  dei diritti e degli interessi legittimi"), istituito
 il quadro normativo procedurale delle future  "politiche  migratorie"
 (art. 3), regolati i termini fondamentali della disciplina in tema di
 ingresso  e  soggiorno  dell'extracomunitario  nel  territorio  della
 Repubblica, che  il  regolamento  di  attuazione  dovra'  dettagliare
 (artt.  da  4  a  7),  la  legge  passa a regolare il potenziamento e
 coordinazione dei controlli  alle  frontiere  ed  il  "respingimento"
 dalle  stesse  dello straniero che tenti l'ingresso in Italia senza i
 requisiti da essa previsti (artt. 8 e 9), per poi istituire una serie
 di fattispecie penali "contro le immigrazioni clandestine" (art. 10),
 e diversi  generi  di  espulsione.    La  legge  all'art.  11  regola
 innanzitutto  l'espulsione  amministrativa,  istituendone due figure:
 l'espulsione amministrativa  per  motivi  di  ordine  pubblico  o  di
 sicurezza  dello  Stato  (art.  11,  comma  1,  disposta dal Ministro
 dell'interno, figura residuale e "politica" di alta  amministrazione,
 palesemente  concepita come strumento di governo per casi particolari
 se non eccezionali) e  l'espulsione  amministrativa  dello  straniero
 entrato  nel  territorio senza i requisiti previsti dalla legge e non
 respinto alla frontiera, dello straniero trattenutosi nel  territorio
 che  non ha richiesto nel termine prescritto il permesso di soggiorno
 o che non ha chiesto il rinnovo del permesso  annullato,  revocato  o
 scaduto  da  oltre  sessanta  giorni,  dello straniero appartenente a
 talune delle categorie di cui agli artt. 1, legge 27  dicembre  1956,
 n.  1423,  o  1, legge 31 maggio 1965, n. 575.  Regolate le modalita'
 esecutive di  tali  forme  di  espulsione  nonche'  le  procedure  di
 impugnazione  dei  decreti che le dispongono (artt.  11, commi da 3 a
 16, art. 12), la legge istituisce infine  l'espulsione  a  titolo  di
 misura di sicurezza dello straniero condannato per taluno dei delitti
 previsti   dagli   artt.   380   e  381  c.p.p.che  risulti  altresi'
 "socialmente pericoloso" (art. 13), ed infine l'espulsione "a  titolo
 di sanzione sostitutiva della detenzione" (cosi' la rubrica dell'art.
 14).    E' quest'ultima forma di espulsione che viene in questa  sede
 in rilievo.  Statuisce dunque l'art. 14 della  legge  in  esame:  "il
 giudice,  nel  pronunciare  sentenza  di  condanna  per  un reato non
 colposo o nell'applicare la pena su richiesta ai sensi dell'art.  444
 c.p.p.  nei  confronti  dello  straniero che si trovi in taluna delle
 situazioni indicate nell'art. 11, comma 2, quando  ritiene  di  dover
 irrogare  la  pena  detentiva  entro  il  limite  di  due  anni e non
 ricorrono le condizioni  per  ordinare  la  sospensione  condizionale
 della  pena  ai  sensi  dell'art.  163  c.p.    ne' le cause ostative
 indicate nell'art. 12, comma 1, della presente legge, puo' sostituire
 la medesima pena con la misura dell'espulsione  per  un  periodo  non
 inferiore  a  cinque  anni  (comma  1).  L'espulsione e' eseguita dal
 questore anche  se  la  sentenza  non  e'  irrevocabile,  secondo  le
 modalita'  di cui all'art. 11, comma 4." (comma 2) (vale a dire: "dal
 questore, con accompagnamento alla  frontiera  a  mezzo  della  forza
 pubblica").    L'art.  17  successivo,  con  norma  "di chiusura" del
 capitolo della legge dedicato alle espulsioni, che idealmente integra
 la serie dei presupposti di legge dei diversi generi delle  stesse  e
 quindi anche dell'espulsione di cui all'art. 14, aggiunge poi che "in
 nessun  caso  puo'  disporsi l'espulsione o il respingimento" - oltre
 che della donna in stato di gravidanza o  nei  sei  mesi  dal  parto,
 dello  straniero  convivente  con parenti entro il quarto grado o con
 coniuge di nazionalita' italiana, dello straniero in  possesso  della
 carta  di soggiorno (salvo il disposto dell'art. 7, commi 5 e 9), del
 minore di anni 18 che non debba seguire il genitore  o  l'affidatario
 espulsi,  e  salva la possibilita' dell'espulsione "politica" ex art.
 11, comma 1, - "verso uno Stato in  cui  lo  straniero  possa  essere
 oggetto  di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di
 cittadinanza, di religione, di opinioni, di  condizioni  personali  o
 sociali,  ovvero  possa  rischiare  di essere rinviato verso un altro
 Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione".  Se  l'ampiezza
 di  tale  ultimo  presupposto  -  di  per  se' espressione di una nel
 sistema irrinunciabile applicazione di  principi  fondamentali  della
 nostra  Costituzione  oltre  che  in  ogni  Stato  democratico  e non
 confessionale - appare potenzialmente  in  grado  di  paralizzare  la
 pratica  applicazione  dei  vari tipi di espulsione in presenza anche
 solo dalla semplice allegazione da parte dell'interessato di un  mero
 rischio  di  discriminazione  ad  es.  per ragioni "sociali" (le meno
 facilmente distinguibili tra quelle elencate:  non  si  vede  infatti
 come  il  prefetto  od  il  giudice  possa  in  concreto escludere la
 sussistenza anche del solo rischio di una delle tante discriminazioni
 nominate:  forse preferibile sarebbe stato  oggettivare  maggiormente
 il  presupposto,  e legarlo al rischio documentato per il soggetto di
 subire nel Paese di destinazione pena capitale  o  altre  sanzioni  o
 limitazioni   contrarie   al   senso  di  umanita'  o  a  convenzioni
 internazionali), deve osservarsi come l'espulsione di cui all'art. 14
 obblighi, per la sua novita' nel sistema, ad  un  accertamento  sulla
 sua  natura  giuridica  e  ad  una  deliberazione  di  conformita'  a
 Costituzione.   Primo  accertamento  da  compiersi  e'  evidentemente
 quello  in ordine alla natura giuridica dell'espulsione istituita dal
 riportato art.  14: se si tratti di un nuovo genere di pena criminale
 sostitutiva, che va ad aggiungersi a quelle tradizionali di cui  agli
 artt.  da  53  a  61,  legge  689/1981,  o se si tratti di una misura
 amministrativa, seppure disposta dal giudice penale.  Ove si  ritenga
 che le definizioni date dal legislatore nelle rubriche degli articoli
 di  legge  siano fonte decisiva di ricostruzione della sua intenzione
 normativa, l'indagine finisce prima ancora di iniziare:   la  rubrica
 dell'art.   14  titola  infatti  "espulsione  a  titolo  di  sanzione
 sostitutiva  della   detenzione",   e   non   lascia   dubbi,   anche
 considerandosi  l'utilizzo  di espressione - "sanzione sostitutiva" -
 che nell'ordinamento ha significato normativo definito e tecnicamente
 pregnante (v. cit.  legge 698/1981 o, ad es., art. 444 c.p.p.).   Ove
 invece  -  come  per  chi  scrive  - si ritenga che le definizioni di
 rubrica siano solo un dato  indiziario  della  reale  intenzione  del
 legislatore, utilizzabile per chiarirla ove interpretazione letterale
 e   sistematica   delle  disposizione  di  legge  non  permettano  di
 individuare con sicurezza la norma che esprime,  l'indagine  e'  piu'
 complessa,  ma a sommesso avviso di questo pretore la conclusione cui
 si giunge e' identica: l'art. 14 istituisce non la  possibilita'  per
 il giudice penale di disporre una misura amministrativa, ma una nuova
 figura di sanzione sostitutiva della pena detentiva.
   Infatti.
   Vero  e'  che  la lettera della disposizione definisce l'espulsione
 "misura" che puo' sostituire "pena". Ma il dato pare frutto di scarso
 tecnicismo del linguaggio legislativo, nessun  altro  elemento  della
 disposizione autorizzando la conclusione che di misura amministrativa
 si tratti. Puo' infatti osservarsi:
     1)  rimanendo sul dato letterale, come non si dica che il giudice
 "in luogo di applicare una pena, dispone la misura  dell'espulsione",
 bensi'  che  con  l'espulsione  il  giudice puo' "sostituire" la pena
 detentiva, con cio' utilizzandosi verbo  ed  espressione  come  detto
 tecnicamente  nel  sistema a significato definito e pregnante, che si
 riferisce  a  punizioni  di  diverso  tipo  ma  appunto  appartenenti
 all'unico genere delle pene criminali;
     2)  a differenza dell'espulsione gia' regolata dall'art. 7, commi
 12-bis e 12-ter, legge 28 febbraio 1990, n. 39, (nel testo introdotto
 dall'art. 8, comma 1, d.-l. 14 giugno 1993,  n.  187  convertito  con
 modificazioni  nella  legge  12  agosto 1993, n. 296, ed ora abrogato
 dall'art. 46, comma 1, lett. e), legge 40/1998 in esame) - espulsione
 decisa con ordinanza e solo su richiesta dello straniero  o  del  suo
 difensore  -  quella  di  cui  si  discute  puo'  essere  dal giudice
 applicata in luogo della detenzione solo con sentenza  (anche  magari
 con   sentenza   ex  art.  444  c.p.p.):  sentenza,  che  nel  nostro
 ordinamento  e'   l'atto   per   definizione   di   esercizio   della
 giurisdizione  e non dell'amministrazione, l'atto dello juris dicere,
 con cui appunto si dichiara qual e' il diritto, con cui in penale  si
 accertano le responsabilita' e si applicano le pene, e non l'atto con
 cui  si  amminisra.  Cosi'  che  ove  si  voglia in ogni caso leggere
 nell'espressione "puo' sostituire la pena  con  la  misura"  un  modo
 magari  sbrigativo  ed  atecnico  dal  punto  di vista del lessico di
 istituire in capo al  giudice  la  discrezionale  possibilita'  nella
 ampia  generalita' di casi considerata dalla disposizione di disporre
 la rinuncia dello Stato italiano alla esecuzione della pena detentiva
 nei  confronti  dello  straniero  che  ha  commesso  reati  sul   suo
 territorio  in  favore  di  una espulsione in via amministrativa, per
 quanto eccezionalmente disposta dal giudice, deve ritenersi credibile
 un fenomeno di schizofrenia legislativa:  deve  ritenersi  plausibile
 che  il  legislatore, dopo aver titolato la rubrica dell'articolo con
 espresso riferimento all'istituto della  sanzione  sostitutiva  della
 detenzione,  abbia  voluto poi prevedere in forma invece implicita ed
 involuta, con norma ricostruibile solo in via interpretativa - e  non
 in  una  "leggina"  di  modifica  di preesistenti normative ma in una
 legge organica e di generale riordino della materia  come  quella  in
 esame  -  una  serie  di  rivoluzionarie  novita'  per l'ordinamennto
 italiano non solo penale quali l'irrompere del giudice  penale  della
 giurisdizione  alla  amminisrtrazione  diretta  di  un  settore ormai
 delicatissimo della vita  pubblica,  la  rinuncia  dello  Stato  alla
 esecuzione  carceraria in una serie amplissima di fattispecie in base
 ad una  condizione  personale  del  condannato,  l'applicabilita'  di
 misure   amministrative   con  sentenza,  e,  con  esse  nuove  serie
 procedimentali processuali di applicazione generale;
      3)  infatti, sul piano processuale, sempre tenendo presente come
 l'atto con cui tale espulsione  da  parte  del  giudice  puo'  essere
 disposta e' la sentenza, anche ex art. 444 c.p.p., ove si ritenga che
 di  misura  amministrativa  si  tratti,  deve  ritenersi  che  in via
 altrettanto rivoluzionaria ed eccezionale si sia  voluto  creare  uno
 speciale  patteggiamento  in cui in alternativa o si prevede che p.m.
 ed imputato possano accordarsi in ipotesi non su di una pena o su  di
 una sanzione sostitutiva (art.  444 c.p.p.) ma su di una pena e sulla
 sua  sostituzione  con  un  provvedimento  amministrativo,  oppure si
 prevede che p.m. ed imputato possano accordarsi ex  art.  444  c.p.p.
 come  da  regola  generale sull'applicazione di una sanzione penale e
 che il giudice, non richiesto e a sua discrezionalita',  possa  porre
 nel  nulla  il loro accordo, inerente e a sua discrezionalita', possa
 porre nel nulla il loro accordo, inerente sanzione, sostituendolo con
 una misura amministrativa;
     4) l'analisi dell'art. 14 nel sistema della legge 40/1998 fa  poi
 eslcudere  che  la  espulsione  regolata dall'art. 14 sia la medesima
 espulsione dell'art. 11,  solo  disposta  dal  giudice  anziche'  dal
 prefetto:    l'espulsione  in  esame  infatti  ha,  come uno dei suoi
 presupposti di fatto, il  trovarsi  lo  straniero  "in  taluna  delle
 situazioni  indicate nell'art. 11, comma 2", sopra sintetizzate, vale
 a dire presupposto  che,  a  prescindere  da  vicende  giudiziarie  e
 commissione di reati, ed in presenza delle altre condizioni di legge,
 gia'  legittima  l'espulsione  disposta  dal  prefetto, provvedimento
 istituito non come discrezionale ma  come  obbligatorio  (art.  11/2:
 l'espulsione  non  "puo'  essere" ma "e'" disposta), soggetto a nulla
 osta giudiziario per i soli ed e' facilmente prevedibile rari casi di
 "inderogabili esigenze processuali" (art. 11, comma 3):  sostenendosi
 che   l'art.   14   regoli   in  realta'  sempre  e  comunque  misura
 amministrativa, razionale ragione per spiegare per  quale  motivo  si
 sarebbe  voluto  affiancare il giudice al prefetto nella possibilita'
 di decretarla puo' essere quella del ritenere  essersi  residualmente
 voluta  prevedere,  per  economia  procedimentale,  la competenza del
 giudice nell'adozione del medesimo tipo di espulsione di cui all'art.
 11 per quei casi in cui l'espulsione per  qualsiasi  motivo  non  sia
 stata in fatto disposta dal prefetto: in tal modo opinandosi, diventa
 pero'    non    comprensibile,    nell'identita'    del   presupposto
 amministrativo e del tipo di provvedimento, per quale motivo che cio'
 che e' obbligatorio per il  prefetto  diventi  discrezionale  per  il
 giudice  (tantopiu'  dopo  la  commissione  di un reato accertato con
 sentenza pur non irrevocabile), per quale motivo il giudice non possa
 immediatamente decretarla con ordinanza  o  decreto  -  magari  salve
 "inderogabili  esigenze  processuali"  - e per poterla disporre debba
 accertare prima  la  responsabilita'  penale,  per  quale  motivo  il
 giudice  non possa disporla quando assolve, perche' infine il giudice
 non possa disporla per il solo fatto che  il  reato  che  accerta  e'
 colposo  o  per  il solo fatto che e' applicabile la condizionale. La
 conclusione si crede evidente e' che la espulsione  in  esame  e'  di
 natura diversa da quella dell'art. 11 legge 40 cit;
     5)  la lettera dell'art. 14 offre poi un ulteriore argomento alla
 tesi che si sostiene. Che il legislatore, scritta frettolosamente  ed
 in  modo  irriflesso  la rubrica, abbia poi voluto istituire, accanto
 alle espulsioni amministrative, una  autonoma  e  diversa  figura  di
 espulsione  a  natura  amministrativa  (per  quanto discrezionalmente
 ordinabile dal giudice penale) dello straniero irregolare  condannato
 per  reato  doloso  o  preterintenzionale  ad  oltre due anni di pena
 detentiva non sospendibile puo' anche sostenersi ritenendosi che  con
 il  nuovo  istituto  molto  semplicemente  si  sia  voluta  creare la
 possibilta' per il giudice penale di valutare,  come  prioritaria  ed
 assorbente  su  quelle  inerenti  l'esecuzione  della pena detentiva,
 l'esigenza  pubblicisticamente  apprezzabile  dal  punto   di   vista
 dell'amministrazione  penitenziaria  di  evitare  con  l'espulsione i
 costi sociali nel senso piu' ampio intesi dell'esecuzione carceraria,
 nei confronti di soggetto passibile di espulsione e nei confronti del
 quale scemano le  esigenze  punitive  e  di  un  reinserimento  senza
 possibile  concreto significato.  Una siffatta intenzione politica e'
 con ogni probabilita' vicina alle posizioni  delle  forze  che  hanno
 sostenuto  la  legge,  ma  si  e' trasfusa in un testo dal quale tale
 intenzione non e' ricavabile in alcun  modo  con  le  regole  di  una
 corretta  interpretazione:  oltre  che gli argomenti di cui sopra sub
 1), 2), 3), di ostacolo alla ricostruzione di una simile  "intenzione
 del   legislatore"   e'   infatti   la  limitazione  della  possibile
 operativita' dell'istituto ai soli reati non colposi:   la  ratio  di
 espellere   lo   straniero  irregolare  anziche'  eseguire  nei  suoi
 confronti  la  pena  detentiva  e'  infatti  scelta  legislativa  che
 evidentemente  puo'  estendersi  ai  casi  di  chi debba espiare pena
 detentiva  per  responsabilita'  penale   colposa.   La   limitazione
 impedisce  di  "leggere" nella norma l'esposta possibile intezione di
 politica giudiziaria e penitenziaria.
   Che si argomenti dalla lettera e quindi  anche  dal  lessico  usato
 nella  disposizione,  dalla natura dell'atto con cui il provvedimento
 puo' essere preso, dall'inserirsi del nuovo istituto nell'ordinamento
 non  solo  penale,  ed  in  quello  processuale,  dalla  collocazione
 dell'art.    14  nell'ambito  della legge n. 40/1988, o dalla rubrica
 della disposizione,  la  conclusione  a  sommesso  avviso  di  questo
 pretore  e'  la stessa:  l'espulsione ordinabile dal giudice ai sensi
 dell'art. 14, legge n. 40/1988 e' sanzione penale, sostitutiva  della
 pena detentiva in concreto irrogata entro il limite di due anni e non
 sospendibile, e non e' misura amministrativa.
   Con norma da ritenersi nella piu' parte dei casi piu' favorevole al
 reo  (in  un  sistema  come il nostro, che vede la liberta' personale
 bene inviolabile dell'uomo, artt. 2, 13, Cost., l'essere detenuti  se
 non  per  brevissimo  periodo  appare  trattamento comunque deteriore
 rispetto all'essere espulsi, liberi, in Paese in cui non si rischiano
 le persecuzioni  descritte  dall'art.  17  della  legge:  norma  piu'
 favorevole,  da  ritenersi  pero'  in  ogni  caso  non applicabile ai
 cittadini degli  Stati  membri  dell'Unione  europea,  nonostante  il
 disposto  dell'art.    1,  comma  2, legge n. 40, solo per l'espresso
 rinvio  ivi  contenuto  alla  futura  organica  regolamentazione  tra
 l'altro  dei  casi  di allontanamento dei cittadini U.e.), puo' dirsi
 qundi si sia  introdotto  un  nuovo  tipo  di  sanzione  sostitutiva,
 applicabile con sentenza anche ex art.  444 c.p.p., in presenza delle
 condizioni  di  cui all'art. 14, nei casi di condanna per ogni genere
 di reato doloso o  preterintenzionale  anche  contravvenzionale,  non
 applicabile   -   oltre   che   nei   casi   previsti  dall'art.  17,
 necessariamente riferibile a tutti  i  tipi  di  espulsione  previsti
 dalla  legge  -  altresi'  ai  casi  di  condanna per reati colposi a
 prescindere dalla loro gravita' e dalla pena per  essi  irrogata,  di
 durata stabilita solo nel minimo - "non inferiore a cinque anni" -, a
 contenuto  non  organicamente  regolato  come  per  semidetenzione  e
 liberta' controllata dagli artt. 55 e 56, legge n. 689/1981 ma  certo
 ricavabile  dalla  legge  n.  40  (v.  ad  es.  artt.  11/4 e 11/13),
 eseguibile infine "anche se la sentenza  non  e'  irrevocabile",  con
 accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica.
   C.   -  Ritenuta  la  non  manifesta  infondatezza  delle  seguenti
 questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 14, legge 6  marzo
 1998,  n.  40.    Accertata la natura di sanzione penale, sostitutiva
 della pena detentiva, dell'espulsione introdotta dall'art. 14,  legge
 n. 40/1998, puo' analizzarsi la legittimita' costituzionale del nuovo
 istituto; si profilano diverse questioni:
     1)  dell'art.  14,  legge  6  marzo  1998,  n. 40, in riferimento
 all'art.  3 della Cost., laddove istituisce, per  le  fattispecie  ed
 alle  condizioni ivi previste e per i soli stranieri ivi considerati,
 la  sanzione  sostitutiva  dell'espulsione   senza   subordinare   la
 possibilita'   di  applicazione  alla  richiesta  dell'imputato:  con
 disparita' di trattamento in relazione alla condizione  personale  di
 apolide  o  di  persona  non  appartenente a Stato membro dell'Unione
 europea.  La Corte costituzionale - con sentenza n. 62 del 1994 -  ha
 ritenuto  non  fondate  le  questioni  di legittimita' costituzionale
 dell'art.  7, commi 12-bis e 12-ter, d.-l. 30 dicembre 1989, n.  416,
 convertito  in  legge  n.  39/1990, nel testo introdotto dall'art. 8,
 comma 1, del d.-l. 14 giugno 1993, n. 187,  convertito  in  legge  12
 agosto  1993,  n. 296, sollevate in riferimento all'art. 3 Cost. Tali
 norme - sospettate di illegittimita' costituzionale per disparita' di
 trattamento tra cittadini e stranieri ed ora abrogate  dall'art.  46,
 comma 1, lett.  e), legge n. 40/1998 - prevedevano, a richiesta dello
 straniero o del suo difensore, "l'immediata espulsione nello Stato di
 appartenenza o di provenienza", salva la sussistenza di "inderogabili
 esigenze  processuali"  o di "gravi ragioni personali di salute" o di
 "gravi pericoli per la sicurezza e l'incolumita'  in  conseguenza  di
 eventi  bellici  o  di  epidemie",  nei  confronti degli stranieri in
 custodia cautelare per  uno  o  piu'  delitti  consumati  o  tentati,
 diversi da quelli indicati dall'art. 407, comma 2, lett. a), nn. da 1
 a  6,  c.p.p., ovvero condannati con sentenza passata in giudicato ad
 una pena che, anche se costituente parte residua di maggior pena, non
 fosse superiore ai tre anni di reclusione.   In  tale  occasione,  la
 Corte  - sostenendo con riguardo all'espulsione del condannato in via
 definitiva che trattavasi di misura  di  sospensione  dell'esecuzione
 della  pena  e  non  di  estinzione  della  stessa,  solo in concreto
 valutabile   come   maggiormente   afflittiva   o    meno    rispetto
 all'esecuzione   carceraria;   e   pur  ribadendo  che  il  principio
 costituzionale di eguaglianza in generale non tollera discriminazioni
 fra straniero e cittadino quando  venga  riferito  al  godimento  dei
 diritti  inviolabili  dell'uomo - ha affermato la "peculiarita' e non
 comparabilita'", anche  nella  Costituzione,  della  posizione  dello
 straniero  rispetto a quella del cittadino, al quale la Carta riserva
 (art. 16) rispetto al primo "in relazione alle possibilita' di uscire
 dal territorio  della  Repubblica  e  di  rientrarvi,  una  posizione
 assolutamente  opposta,  connotata da un generale status libertatis",
 il cittadino essendo parte del popolo, lo straniero non avendo invece
 tale "legame ontologico" con la Comunita'  nazionale  e  tale  "nesso
 giuridico  costitutivo  con  lo  Stato  italiano",  e rimanendo cosi'
 soggetto  a  discipline  legislative  e  amministrative  che  possono
 arrivare  a comportare l'espulsione, nell'ambito di una "ponderazione
 di svariati interessi pubblici,  quali  ad  es.  la  sicurezza  e  la
 sanita'   pubblica,   l'ordine   pubblico,  i  vincoli  di  carattere
 internazionale", che "spetta in via primaria al legislatore, il quale
 possiede in materia un'ampia  discrezionalita',  limitata,  sotto  il
 profilo della conformita' a Costituzione, soltanto dal vincolo che le
 sue  scelte non risultino manifestamente irragionevoli".  Argomentava
 ancora  la  Consulta  che  la  subordinazione  dell'espulsione   alla
 richiesta  dell'interessato  o  del  suo difensore non costituiva "un
 arbitrario elemento di favore nei confronti dello straniero", essendo
 "un requisito diretto ad armonizzare la condizione dello  straniero",
 essendo  "un  requisito  diretto  ad  armonizzare la condizione dello
 straniero ai valori costituzionali cui il legislatore deve  riferirsi
 nel   prevedere  una  misura  pur  sempre  incidente  sulla  liberta'
 personale,  cioe'  su  di  un  diritto  inviolabile   dell'uomo".   E
 concludeva  ritenendo "non arbitraria, ne' palesemente irragionevole,
 la   scelta   del   legislatore   di   permettere   la    sospensione
 dell'esecuzione    della    misura    custodiale,   o   della   pena,
 contestualmente all'allontanamento  definitivo  dello  straniero  dal
 territorio   dello  Stato".     Pur  non  sviluppandosi  l'argomento,
 affermandosi in tal modo da un lato che il  principio  costituzionale
 di  eguaglianza,  quando  venga  riferito  al  godimento  dei diritti
 inviolabili  dell'uomo  quale  la  liberta'  personale,  non  tollera
 discriminazioni,   e   dall'altro   che   la   necessaria   richiesta
 dell'interessato e'  requisito  di  armonizzazione  della  condizione
 dello  straniero ai principi costituzionali cui il legislatore "deve"
 riferirsi "nel prevedere" una misura quale l'espulsione "incidente su
 un diritto inviolabile dell'uomo", sufficientemente chiara appare  in
 tale  sentenza  l'affermazione  che  sia  stata  la  previsione della
 necessita' della richiesta dell'interessato prevista  dall'art.    7,
 12-ter    cit.    a    "salvare"   la   legittimita'   costituzionale
 dell'espulsione ivi prevista, ad incorporare il punto  di  equilibrio
 tra  principi  ed interessi pubblici, enucleato dalla "non arbitraria
 ne' palesemente irragionevole" ponderazione del legislatore.   L'art.
 14,  legge  n.  40/1998  non  prevede  la  necessita' della richiesta
 dell'interessato per sostituire,  nei  casi  ivi  previsti,  la  pena
 detentiva  con  l'espulsione.  E cio', nel regolare non una misura di
 sospensione dell'esecuzione della pena, ma  l'applicabilita'  di  una
 sanzione  criminale  per  quanto  sostitutiva, piu' favorevole o meno
 dipende effettivamente dall'entita' della pena detentiva  sostituita,
 ma  la  cui  irrogabilita' discende primariamente dalla condizione di
 straniero o di cittadino, anche dell'Unione europea.  Per un primo ed
 assorbente profilo, se non certamente fondato - potendo in ipotesi la
 Corte chiarire che il combinato disposto degli artt. 3 e 16 Cost.,  a
 prescindere  dalla previsione della richiesta, giustifichi una simile
 sanzione penale di esclusiva applicabilita' agli stranieri  -  almeno
 non  manifestamente infondata appare, applicando le motivazioni della
 citata sentenza, la questione  di  costituzionalita'  in  riferimento
 all'art.   3  Cost.,  per  disparita'  di  trattamento  derivante  da
 condizione personale dell'imputato;
     2) dell'art.  14,  comma  2,  legge  6  marzo  1998,  n.  40,  in
 riferimento  all'art.  127, comma 2 Cost., nella parte in cui prevede
 che l'espulsione di cui al comma 1, dello stesso art. 14 debba essere
 eseguita "anche se la sentenza non e'  irrevocabile"  per  violazione
 del  principio  secondo  il  quale  "l'imputato  non  e'  considerato
 colpevole sino alla condanna definitiva".  Essendo per  quanto  detto
 sanzione  penale,  applicabile  solo  in funzione sostitutiva di pena
 detentiva non superiore ai due anni, irrogabile - oltre che  in  sede
 di  "patteggiamento"  -  con  sentenza  penale  a seguito di giudizio
 ordinario od abbreviato (senza che sia necessaria peraltro  richiesta
 dell'imputato o del difensore, come gia' per l'art. 7/12-bis, 12-ter,
 cit. legge n. 39/1990), non puo' revocarsi in dubbio che l'espulsione
 di  cui  all'art.  14  in  esame  debba  avere  tra  i suoi necessari
 presupposti  l'accertamento  definitivo  di  responsabilita'  penale:
 cio',  quantomeno  nei  casi  in  cui  l'espulsione  e'  disposta con
 sentenza non ex art. 444 c.p.p., ed altresi'  in  tali  casi  ove  si
 ritenga  -  come  per  chi  scrive  -  che  anche la sentenza di c.d.
 "patteggiamento"  contenga   implicitamente   una   affermazione   di
 responsabilita'  (v., infra).   La Corte costituzionale, con numerose
 sentenze, ha piu' volte affermato che il principio costituzionale per
 cui "l'imputato non  e'  considerato  colpevole  sino  alla  condanna
 definitiva",    implicando    che    anteriormente   alla   data   di
 irrevocabilita' della  sentenza  di  condanna  l'imputato  non  possa
 essere  considerato  dalla  legge come sicuramente responsabile della
 commissione di un reato, e' leso ogniqualvolta vi sia  previsione  di
 misure,  applicabili  anteriormente  al  giudicato, che presuppongano
 accertata la  colpevolezza  ed  abbiano  la  funzione  di  anticipare
 l'effettiva  applicazione  della  pena  criminale  (principi espressi
 nelle sentenze 64/1970,  89/1970,  1/1980,  15/1982,  342/1983;  come
 pure,  si  vedano  sentenze  23/1964  e  78/1969,  che argomentano la
 legittimita' delle misure di prevenzione di  cui  all'art.  1,  legge
 1423/19565  e della applicazione provvisoria delle pene accessorie di
 cui all'abrogato art. 140 c.p. a partire dal fatto  che  tali  misure
 tutte   non   si   fondano   su  di  un  accertamento  definitivo  di
 resonsabilita'  penale).     L'anticipazione  dell'esecuzione   della
 sanzione  ad  epoca  antecendente  il  giudicato  e'  invece  proprio
 l'evidente funzione della disposizione di cui all'art. 14/2 in esame,
 nel  quale  l'espulsione  immediata  e'  regolata  addirittura   come
 obbligatoria  (vi  e'  uso  dell'indicativo:    "e' eseguita"), senza
 neanche che possano venire in considerazione  l'attuale  applicazione
 di misure cautelari o, per altro verso, quelle "inderogabili esigenze
 processuali"   invece  gia'  valutate  come  ostative  all'espulsione
 dell'abrogato e  piu'  volte  citato  art.  7,  comma  12-bis,  legge
 39/1990,  oltre  che  dall'art. 11/3 della stessa legge 40/1998.  Per
 tali ragioni, la questione appare in  ogni  caso  non  manifestamente
 infondata,   a   prescindere  dal  tipo  di  sentenza  con  la  quale
 l'espulsione viene irrogata.   La norma  presenta  pero'  un  profilo
 ulteriore,  in  relazione  alla  possibilita'  che l'espulsione venga
 applicata con sentenza ex art.  444 c.p.p.  Questo pretore ritiene di
 dover  aderire  all'autorevole  e  non  certo  isolato   orientamento
 giurisprudenziale, piu' aderente al sistema e alla ratio per la quale
 l'istituto   fu   introdotto,   per   il   quale   la   richiesta  di
 "patteggiamento"  -  essendo   funzionalmente   volta   ad   ottenere
 l'emissione  di  sentenza  "equiparata  ad  una sentenza di condanna"
 perche'  applicativa  di  sanzioni  nell'ordinamento   costituzionale
 legittimamente irrogabili solo in presenza di provata responsabilita'
 penale personale - sia nel sistema istanza normativamente configurata
 e   disciplinata  come  una  forma  di  oggettiva  volontaria  quanto
 implicita ammissione di responsabilita' da parte  dell'imputato,  con
 rinuncia  ad  avvalersi  del  diritto di contestare l'accusa e di far
 valere eccezioni e difese incompatibili  con  l'applicazione  di  una
 pena criminale, con accettazione della piena valenza probatoria degli
 elementi raccolti da p.g. e p.m., con rinuncia, ancora - oltre che al
 diritto  di difendersi provando - altresi' ad un grado di giudizio di
 merito, in appello; con la conseguenza, che la sentenza ex  art.  444
 c.p.p.,  se  non  e'  necessario  secondo  il  suo modello legale che
 contenga   motivazione   sulla   responsabilita'   dell'imputato    e
 dichiarazione  espressa  della  stessa  in  dispositivo, sia sentenza
 necessariamente contenente implicita affermazione di  responsabilita'
 (diversamente  opinandosi,  ed  in  tal  modo  allora prevedendosi la
 possibilita' ex art. 444 e ss. c.p.p. di applicare e poi  in  ipotesi
 eseguire  pene  criminali  in  difetto di una provata responsabilita'
 penale,   l'istituto   del   "patteggiamento"   venendo   ad   essere
 costituzionalmente illegittimo, per violazione quantomeno all'art. 27
 Cost.).   D'altra parte, e' noto come sia prevalente ormai la diversa
 opinione, secondo cui la sentenza ex art. 444 c.p.p. non  contiene  e
 non  puo'  nella  parte  dispositiva dichiarare alcun accertamento di
 responsabilita'  dell'imputato  in  ordine  al  reato  addebitatogli.
 Partendosi  da  una tale concezione della sentenza di patteggiamento,
 ancora piu' gravi appariranno le conseguenze della  previsione  della
 immediata   obbligatoria   esecuzione,  prima  del  giudicato,  della
 sanzione dell'espulsione, a quel punto eseguibile non solo in assenza
 di una  sentenza  irrevocabile  ma  addirittura  in  assenza  di  una
 sentenza   che   accerti   la   responsabilita'   (ogni   dubbio   di
 costituzionalita'   per   questo   profilo   coinvolgendo    peraltro
 evidentemente  prima  la qui rifiutata interpretazione della natura e
 del valore della sentenza ex art.   444 c.p.p. che  non  direttamente
 l'art.  14  in  esame).    In  relazione  al  patteggiamento  ed alla
 eseguibilita' prima del  giudicato  emerge  peraltro  un  diverso  ed
 autonomo  profilo  di  possibile incostituzionalita' (v., di seguito,
 sub 3)), corollario  di  quello  sub  1)  e  da  esso  in  ogni  caso
 assorbito;
     3)  dell'art.  14,  commi  1  e  3, legge 6 marzo 1998, n. 40, in
 riferimento all'art. 3 Cost., nella  parte  in  cui,  prevedendo  che
 l'espulsione  ivi regolata sia irrogabile del tutto discrezionalmente
 dal giudice con sentenza emessa ex art. 444 c.p.p. anche nei casi  in
 cui  la  sanzione  sostitutiva  non  sia  parte  della  richiesta  di
 applicazione pena da parte dell'imputato, e  prevedendo  al  contempo
 che  l'esplusione  debba  essere  anche  in  tale  caso  se  disposta
 immediatamente eseguita prima dell'irrevocabilita' della  sentenza  e
 debba  avere  una  durata  minima  di  cinque anni, rende interamente
 eseguibile  la  sanzione  sostitutiva  dell'espulsione  irrogata  per
 delitto  in  ogni  caso  per data anteriore al decorso del termine ex
 art. 445, comma 2,  c.p.p.  e  quella  irrogata  per  contravvenzione
 addirittura  per  il  periodo  successivo al positivo decorso di tale
 termine, in tal  modo  svuotando  di  ogni  significato  concreto  il
 maturarsi del beneficio da tale disposizione previsto nell'estinzione
 del  reato  e  quindi  nella  non eseguibilita' della pena, beneficio
 quest'ultimo dall'imputato perseguito con la richiesta ex art. 444 di
 applicazione di pena detentiva da non sostituirsi:  per disparita' di
 trattamento nell'accesso al beneficio della non esecuzione della pena
 tramite "patteggiamento", in dipendenza della condizione personale di
 straniero..
   Dai logicamente pregiudiziali profili di incostituzionalita' sub 1)
 e 2) deriva come corollario l'ulteriore questione qui rubricata.
   Se  l'espulsione  dell' art. 14 e sanzione sostitutiva, essa potra'
 essere  direttamente  richiesta  dall'imputato   con   l'istanza   di
 applicazione  pena  ex  art. 444 c.p.p., come per ogni altra sanzione
 sostitutiva.  E' il caso in cui forse puo'  ritrovarsi  il  punto  di
 equilibrio   delle   diverse   esigenze  pubbliche  e  costituzionali
 implicate ritenuto da Corte  cost.  62/1994  nella  previsione  della
 necessita'  della  richiesta di cui all'art 7, comma 12-ter, legge n.
 39/1990.
    Per la lettera dell'art 14, il giudice del  patteggiamento,  nella
 sua  non regolata discrezionalita', bene puo' pero' altresi' disporre
 l'espulsione in presenza di una richiesta dell'imputato che si limiti
 a chiedere l'applicazione della pena detentiva, contando sull'effetto
 estintivo di reato e pena di cui all'art.  445,  comma  2  c.p.p.  Il
 carattere  eccezionale  della disposizione fa del resto escludere che
 si sia voluto implicitamente far riferimento  ai  caratteri  generali
 del  procedimento  per  patteggiamento,  nella  parte  - di creazione
 giurisprudenziale - in cui si esclude che il giudice  possa  adottare
 decisioni su cui non sia intervenuto il consenso-accordo tra imputato
 e p.m.  Anche in tale caso, l'espulsione dovra' essere immediatamente
 eseguita,  e  non  potra'  avere  durata inferiore a cinque anni. Con
 l'effetto che, se e' stata irrogata in relazione ad un delitto,  essa
 sara'  stata  gia'  interamente  scontata  al  maturarsi dell'effetto
 estintivo del reato per decorso del termine di  cinque  anni  di  cui
 all'art  445,  comma  2.  E  che  se  e'  stata  irrogata  invece per
 contravvenzione, l'espulsione  sara'  ultrattiva  all'estinzione  del
 reato  avvenuta  nei  due  anni  sempre ex art. 445, comma 2, cit. In
 entrambi  i  casi,  svuotandosi  di  ogni  significato  concreto   il
 maturarsi  dell'estinzione  del  reato  e quindi del diritto alla non
 esecuzione della pena, che aveva determinato l'imputato a  richiedere
 l'applicazione    di   pena   detentiva,   senza   sostituzione   con
 l'espulsione;
     4) dell'art.  14,  comma  1,  legge  6  marzo  1998,  n.  40,  in
 riferimento all'art. 25, comma 2 Cost., nella parte in cui prevedendo
 che   l'espulsione   quale  sanzione  sostitutiva  ivi  regolata  sia
 irrogabile "per un  periodo  non  inferiore  a  cinque  anni",  senza
 previsione  di  un  massimo  edittale, puo' essere interpretata quale
 norma che non statuisce pena in misura fissa ma pena senza limite  di
 durata,  con  violazione del principio di tassativita' della sanzione
 penale.  L'art. 14, comma 1, legge n. 40/1998 stabilisce l'espulsione
 quale sanzione sostitutiva puo' essere diposta dal  giudice  "per  un
 periodo non inferiore a cinque anni". L'utilizzo di tale espressione,
 anziche'   di   quella   "per  un  periodo  di  cinque  anni",  rende
 innegabilmente possibile  argomentare  da  tale  dato  letterale  che
 l'espulsione possa essere disposta - ad arbitrio del giudicante - per
 un  periodo  anche  superiore  ai cinque anni, ed anche sensibilmente
 superiore: anche, in ultima analisi, in via definitiva e perpetua.  A
 differenza che per le  pene  della  reclusione,  dell'arresto,  della
 multa  e dell'ammenda (artt. 23 e 26 c.p. ), non esiste d'altro canto
 una disciplina generale del tipo di  pena,  che  in  via  altrettanto
 generale stabilisca la sua durata massima.
    Ne'  viene  posto un parametro di ragguaglio tra la pena detentiva
 da sostituirsi e  la  sanzione  sostitutiva,  come  per  le  sanzioni
 sostitutive  previgenti  dagli  artt.  135  c.p.  e  57/3,  legge  n.
 689/1981.  Il principio di tassativita' della pena incluso  nell'art.
 25, comma 2, Cost. - integrato dalla necessita', al fine di escludere
 ogni  possibile  arbitrio  del  giudice, della predetermiazione della
 sanzione penale in un minimo ed un massimo irrogabile nell'ambito  di
 una  serie  data  di  istituti  generali  utilizzabili nella concreta
 configurazione della pena (attenuanti, recidiva ecc. ) - appare  leso
 da   una   interpretazione   della  disposizione  che  ne  ricavi  la
 statuizione di una pena regolata  nel  minimo  ma  non  nel  massimo.
 Unico   modo   di   salvare   la  legittimita'  costituzionale  della
 disposizione  in  esame  -  in  presenza  della  nota  giurisprudenza
 costituzionale sulla legittimita' della previsione di pene fisse - e'
 allora quello di darne una interpretazione conforme a Costituzione, e
 di  ritenere,  forzandone  pero'  la  lettera,  che  l'art.  14 abbia
 istituito una sanzione sostitutiva dalla misura fissa di cinque anni.
   La diversa e sopra esposta interpretazione atteso il dato letterale
 e' in ogni caso del tutto possibile ed in ogni caso corretta, e  puo'
 portare  a  gravi arbitrii ed alle piu' diverse applicazioni concrete
 della norma. Ed e' per tale ragione - pur conoscendosi  il  principio
 piu' volte affermato dalla Corte costituzionale secondo cui, tra piu'
 possibili    interpretazioni   della   norma,   si   deve   scegliere
 l'interpretazione ritenuta  conforme  a  Costituzione  (  v.  ad  es.
 sentenza   171/1986,   ordinanze  491-584/1987,  63/1989)  -  che  la
 questione  di  legittimita'  costituzionale,  superabile  dando  alla
 disposizione  il visto significato normativo conforme a Costituzione,
 non appare manifestamente infondata, si' da far ritenere in ogni caso
 utile una  pronuncia  interpretativa  della  Corte  Costituzionale  a
 validita' erga omnes.
     5) dell'art.14 comma 1, legge 6 marzo 1998, n. 40, in riferimento
 agli  artt.  3 e 27 comma terzo, Corte Costituzionale, nella parte in
 cui, prevedendo la possibilita' di sostituire, nei casi e nelle forme
 ivi previste, la pena detentiva con la sanzione sostitutiva fissa  di
 anni cinque di esplusione, senza istituire un parametro di ragguaglio
 tra  giorno  di  pena  detentiva sostituita e durata dell'espulsione,
 rende possibile al  giudice  punire  in  modo  identico  condotte  di
 gravita'  ed  offensivita'  la piu' diversa, anche in concreto punite
 dal  giudice  con  pene  detentive  di  entita'  molto  diversa,  con
 irragionevole ed arbitrario utilizzo della discrezionalita' spettante
 al legislatore, determinante disparita' nel trattamento sanzionatorio
 identico  di  casi  di  rilievo  criminale diverso; con lesione della
 funzione di prevenzione generale e difesa sociale della pena.  Si  e'
 gia   espressa   l'opinione  che  unica  interpretazione  conforme  a
 Costituzione  dell'art.  14,  comma  primo  -  in  esame  -   laddove
 stabilisce  che  l'espulsione-sanzione sia irrogabile "per un periodo
 non inferiore a cinque anni" - sia quella di ritenere che si  sia  in
 realta'  istituita  una  sanzione  a  misura  fissa,  appunto di anni
 cinque.  Quindi, nella sussistenza di tutti  i  presupposti  previsti
 dall'  art. 14, il giudice si trova a poter discrezionalmente ridurre
 alla pena fissa di anni cinque di espulsione sia la pena di anni  due
 di  reclusione,  infiitta  in ipotesi per una rapina, un sequestro di
 persona ex art. 605 c.p., uno spaccio di stupelacenti o  altro  reato
 di  rilevante  gravita',  sia  la  pena  di  giorni cinque di arresto
 irrogata per turpiloquio in luogo pubblico.
   L'art.  14 non istituisce infatti alcun parametro di ragguaglio tra
 pena detentiva e pena sostitutiva, come per la  pena  pecuniaria,  la
 semidetenzione  e la liberta' controllata fanno gli artt. 135 c.p.  e
 57/3 legge 689/1981.  Ora. Se la  legittimita'  costituzionale  della
 previsione di una sanzione sostitutiva quale l'espulsione applicabile
 solo  allo  straniero  puo'  forse  ancora fondarsi, come sopra si e'
 visto con le motivazioni della sentenza Corte costituzionale 62/1994,
 in presenza di una non irragionevole  ponderazione  di  diversificati
 interessi   di   natura  pubblica,  sulla  natura  "peculiare  e  non
 comparabile" in Costituzione della posizione del  cittadino  e  dello
 straniero  (potrebbe  aggiungersi:    extracomunitario)  in ordine al
 diritto di entrare ed uscire dal territorio della  Repubblica,  e  se
 tale  ponderazione  puo'  portare a valutare favorevolmente la misura
 dell'espulsione  in  luogo  dell'esecuzione  carceraria  della   pena
 detentiva  per  esigenze  di  politica penitenziaria, francamente non
 pare   sufficientemente   ponderata    la    scelta    di    ancorare
 l'applicabilita'  della espulsione/sanzione sostitutiva tra gli altri
 presupposti alla natura non colposa del reato per  cui  e'  condanna,
 anziche'  ad una data pena edittale o unicamente ad un dato limite di
 pena irrogata in concreto. Non si  vede  infatti  per  quale  ragione
 l'esigenza  di  sfoltire  le  carceri  e  di  evitare i costi sociali
 dell'esecuzione di pena detentiva non debba  essere  operante  quando
 due anni di reclusione eseguibile vengano irrogati allo straniero per
 un  reato  colposo  e  debba  invece essere operativa se si tratta di
 cinque giorni di arresto per contravvenzione  dolosa.  Inoltre,  tale
 scelta del legislatore - ove si consideri l'espulsione trattamento di
 favore  -  puo'  finire  per creare sostanziali iniquita', sol che si
 pensi al caso  di  chi  venga  espulso  libero  dopo  aver  riportato
 condanna  per  delitto  doloso  a  due  anni di reclusione e a quello
 parallelo di chi invece debba scontare un mese di arresto  per  reato
 colposo.  Tale  scelta,  pur  non  essendo  coerente  con le evidenti
 premesse  di  politica  penitenziaria  e   criminale   della   norma,
 discendendo  tuttavia  dalla  valutazione  di  rendere  possibile  la
 sanzione  dell'espulsione  solo  a  carico  di  chi   si   sia   reso
 responsabile  di  violazioni  alla  legge  penale  italiana  dolose o
 preterintenzionali, assunte evidentemente in via generale ed astratta
 quali violazioni indice di maggiore capacita'  a  delinquere  perche'
 poste  in  essere, da chi non puo' piu' usufruire della condizionale,
 con volonta' non colposa, non appare sindacabile in sede di  giudizio
 di  legittimita'  costituzionale,  essendo per quanto discutibile non
 manifestamente  irragionevole  o  arbitraria.    Al  contrario,   non
 manifestamente infondato appare invece il dubbio circa la rispondenza
 o  meno  a  criterio  di  ragionevolezza e ai principi costituzionali
 inerenti la funzione della pena - nonche' al principio di uguaglianza
 - della scelta di rendere possibile in concreto  il  trattamento  sul
 piano sanzionatorio, con espulsione di durata identica, di situazioni
 di  rilievo  penale  le  piu' diverse, con creazione di disparita' di
 trattamento: in assenza di parametro di ragguaglio tra  durata  della
 pena  detentiva  sostituita  e  durata  dell'espulsione  tale  ultima
 sanzione con il sistema istituito finendo  con  l'essere  trattamento
 piu' favorevole per chi sia condannato a pena detentiva di due anni o
 vicina  ai  due  anni,  per  condotte  evidentemente di una rilevante
 gravita',  ed   innegabilmente   invece   trattamento   in   concreto
 incommensurabilmente  piu'  rigido  e  deteriore per chi, magari dopo
 anni in Italia, essendo autore di una lieve contravvenzione di minimo
 se non  irrilevante  rilievo  dal  punto  di  vista  "della  concreta
 offensivita'  del reato" (v. espressione usata dall'art 227 d.lgs. 19
 febbraio 1998 n.51), venga punito con alcuni giorni di  arresto.  Con
 trattamento   penale   in  concreto  irragionevolmente  identico  per
 situazioni diversissime,  altrettanto  irragionevolmente  tanto  piu'
 favorevole  tanto  piu' grave e' il reato commesso. Con conseguente e
 parallela lesione - per  tale  appiattimento  sanzionatorio  -  delle
 funzioni di intimidazione e difesa sociale/prevenzione generale della
 pena,   certo   secondarie   e   deteriori   rispetto   a  quella  di
 risocializzazione  del  colpevole,   ma   pur   sempre   coessenziali
 all'articolato  concetto  di  sanzione  criminale  accolto  -   anche
 secondo la giurisprudenza costituzionale: v.,  tra  le  altre,  Corte
 cost. 313/1990 - dall'art. 27, terzo comma, Cost.
     6)  dell'art. 14, comma primo, legge 6 marzo 1998, in riferimento
 all'art. 25, secondo comma della Costituzione,  nella  parte  in  cui
 prevede  che  il  giudice,  nella  sussistenza  dei  presupposti  ivi
 indicati, possa discrezionalmente sostituire la pena detentiva con la
 sanzione   sostitutiva   dell'espulsione   senza   specificazione   e
 predeterminazione    di    condizioni    oggettive    soggettive   di
 applicabilita' ed in genere di parametri per il concreto utilizzo  di
 tale  discrezionalita':  con violazione del principio di tassativita'
 delle pene; nonche', in riferimento all'art. 24, comma secondo, nella
 parte in cui, in  tal  modo  non  predeterminando  i  presupposti  di
 applicabilita'  dell'espulsione,  e  prevedendo che tale misura possa
 essere sostituita alla pena principale anche nei casi in cui la  pena
 detentiva  sia  richiesta  ai  sensi  dell'art.    444  c.p.p.  senza
 contemporanea richiesta di sostituzione,  impedisce  all'imputato  di
 difendersi  appieno,  utilizzando  in  un  quadro  certo gli istituti
 processuali comuni  al  fine  di  perseguire  i  benefici  da  questi
 previsti.    Principio  fondamentale  del diritto penale moderno e di
 ogni ordinamento penale  democratico  e'  quello  della  tassativita'
 della  pena,  gia'  descritto  dall'art. 1 c.p. e costituzionalizzato
 dall'  art.  25,  secondo  comma  Costituzione.  Nella  sua  funzione
 garantista  di  certezza  ed  uguaglianza giuridica volta ad impedire
 arbitrii del giudice  nell'applicazione  della  legge,  e'  integrato
 dalla norma per cui "nessuno", - e quindi certo neanche l'apolide, lo
 straniero  o  comunque il non cittadino - puo' essere punito con pene
 che - oltre ad essere prevedute da legge entrata in vigore prima  del
 fatto  commesso  - non siano dal legislatore predeterminate oltre che
 nel tipo e nella misura quantomeno massima, nei presupposti oggettivi
 e soggettivi di applicazione.  Come si e' visto, l'art. 14  in  esame
 istituisce,  per  tutti  i reati non colposi, nella sussistenza delle
 condizioni ivi previste, un nuovo tipo di sanzione sostitutiva  della
 pena  detentiva non superiore a due anni: l'espulsione "non inferiore
 a cinque anni".  Per le sanzioni sostitutive  gia'  in  via  generale
 presenti  nel  nostro  ordinamento,  gli  artt. 58-60 legge 689/ 1981
 disciplinano   analiticamente    e    limitano    drasticamente    la
 discrezionalita'  del  giudice  nella  scelta  di  sostituire la pena
 detentiva, stabilendo una serie  di  condizioni  soggettive  relative
 alla  persona  del  condannato,  una serie di esclusioni oggettive in
 relazione al titolo di reato per cui e' condanna,  stabilendo  ancora
 come la sanzione sostitutiva non sia applicabile se si presume che le
 prescrizioni inerenti la pena sostitutiva non saranno adempiute e che
 in  presenza  di  tutte  le condizioni di legge la sostituzione debba
 essere decisa "tenuto conto dei criteri  indicati  nell'  art.    133
 c.p.".    Con    tale   assetto,   pur   lasciandosi   una   notevole
 discrezionalita' al giudice, si realizza un punto di equllibrio e  di
 incontro  tra  le esigenze di legalita' e tassativita' della pena, le
 esigenze di adeguamento della stessa alla gravita' del caso concreto,
 le esigenze di individualizzazione della  sanzione  inerenti  al  suo
 finalismo  rieducativo  ("tra  le pene sostitutive il giudice sceglie
 quella piu' idonea al reinserimento sociale del condannato").   Nulla
 di  tutto questo per l'art. 14 in questione, si' che si profilano due
 ulteriori questioni di legittimita' costituzionale.
   1. -  La  norma  si  limita  a  stabilire  che  il  giudice  "puo'"
 sostituire  con  l'espulsione  la pena detentiva. Non pone condizioni
 soggettive, ne' esclusioni oggettive. Nulla stabilisce in  ordine  ai
 parametri da utilizzarsi nella scelta tra esecuzione carceraria della
 pena  detentiva  non  sospendibile ed espulsione dal territorio dell'
 Unione europea.   Neanche puo' ritenersi  che  sia  applicabile  alla
 nuova  sanzione  sostitutiva la disciplina generale di cui agli artt.
 da 58 a 60, legge 689/1981. E non tanto per il pur  solido  argomento
 letterale del mancato richiamo a tali criteri (ubi lex voluit dixit),
 quanto  per  la natura eccezionale della disposizione, in riferimento
 sia al dato soggettivo (si tratta di sanzione sostitutiva applicabile
 solo allo straniero extracomunitario o apolide che si trovi in taluna
 delle condizioni personali di cui all'art. 11/2, legge 40), sia  alla
 natura   della   sanzione   sostitutiva   (che  connotandosi  appunto
 nell'espulsione dal territorio e quindi dalla Comunita' residente  in
 Italia  si  sostanzia in misura che per definizione evidentemente non
 tende "al reinserimento sociale  del  condannato",  finalita'  comune
 alle  sanzioni  sostitutive  "generali").    L'art. 14 avrebbe potuto
 stabilire che in presenza delle condizioni ivi descritte  il  giudice
 sia   obbligato   a  decidere  l'espulsione,  in  dipendenza  di  una
 valutazione di politica criminale e penitenziaria operata  una  volta
 per  tutte  dal legislatore: ed il quadro sanzionatorio sarebbe stato
 sufficientemente predeterminato e quindi rispettoso del principio  di
 tassativita' della pena. Ha invece stabilito che in quei casi "possa"
 adottare  quella  sanzione.  L'assoluta  assenza  di regolamentazione
 della discrezionalita' con cui il potere di sostituzione  della  pena
 detentiva e' istituito ridonda in incertezza del quadro sanzionatorio
 predeterminato per tutti i reati che con l'intervento di attenuanti e
 diminuenti  possono  permettere in concreto l'irrogazione di pena non
 superiore ai due anni di reclusione e arresto, in puro  arbitrio  del
 giudice,   in  impossibilita'  di  verificare  la  correttezza  della
 motivazione sul punto,  per  rispetto  o  meno  di  parametri  legali
 (motivazione  che  non  puo'  non essere ritenuta necessaria, pur non
 essendo espressamente  richiesta  dall'art.  14,  pena  un  ulteriore
 profilo   di   possibile   incostituzionalita',   questo   certamente
 manifestamente infondato, con l'art. 111, primo comma, Cost. - atteso
 che l'espulsione in parola viene irrogata con sentenza).  Neanche  e'
 previsto,   inoltre,  come  si  e'  visto,  a  superare  i  dubbi  di
 legittimita' costituzionale che si espongono - che  -  predeterminato
 con  le  pene  usuali  essendo il quadro sanzionatorio - l'espulsione
 possa poi solo essere richiesta dall'extracomunitario condannato,  in
 alternativa  al  carcere: cosi' come gia' per l'ora abrogato art.  7,
 commi  12-bis e 12-ter, d.-l. 30 dicembre 1989 n. 416, conv. in legge
 39/1990, nel testo introdotto dall'art. 8, comma  1,  d.-l.  187/1993
 conv.  in legge 12 agosto 1993 n. 296.  A tutto cio' puo' aggiungersi
 che tra i presupposti di applicabilita' della sanzione sostitutiva in
 parola vi  e'  la  "non  ricorrenza  delle  cause  ostative  indicate
 nell'art. 12, comma 1", vale a dire la non esistenza di situazioni di
 fatto  (tipica  la  indisponibilita'  di  vettore  o  altro  mezzo di
 trasporto idoneo) che possono sussistere o non sussistere per i  piu'
 svariati motivi, tutti estrinsechi al reato. Presupposto che aggiunge
 ulteriore  indeterminatezza  al quadro sanzionatorio applicabile alle
 fattispecie che possono venire "toccate" in concreto dall' art.  14.
   2. - In relazione alla  indeterminatezza  dei  presupposti  per  la
 sostituzione,  si  profila  poi la seconda questione sopra rubricata,
 questa volta in riferimento al diritto di difesa.
   Si e' visto sub 3)  come  l'imputato  possa  limitarsi  a  chiedere
 l'applicazione  della  pena  detentiva,  senza al contempo richiedere
 l'applicazione della sanzione sostitutiva della espulsione,  come  si
 ritiene  sia  abilitato  a  fare. E come anche in tal caso la lettera
 dell'art.  14  non  vieti  che  il  giudice  possa,  accogliendo   il
 patteggiarnento,  anziche'  applicare  la  pena  detentiva,  disporre
 l'espulsione.
   Evidente   come   l'indeterminatezza   dei   presupposti   per   la
 sostituzione impedisca all'imputato di detenninarsi alla richiesta di
 "patteggiamento"  in  un quadro certo delle conseguenze sostanziali e
 processuali delle sue iniziative, e finisca  con  il  ledere  -  come
 sempre  ogni violazione del principio di tassativita' di pene e reati
 - il diritto di difendersi.
   Tale questione naturalmente resta non impostabile  ove  si  ritenga
 che   in   caso  di  richiesta  di  patteggiamento  l'espulsione  sia
 applicabile solo in presenza di richiesta dell'imputato. Ma  come  si
 e'  detto,  non  pare  ne'  dalla lettera della disposizione, ne' dal
 contesto della legge che il legislatore  abbia  voluto  statuire  una
 tale limitazione.
     7)  dell'art.  14,  comma  1,  legge  6  marzo  1998,  n.  40, in
 riferimento all'art. 27, terzo comma della Costituzione, nella  parte
 in  cui,  prevedendo  la possibilita' per il giudice, alle condizioni
 ivi previste, di sostituire alla pena detentiva non superiore ai  due
 anni  la  sanzione  sostitutiva dell'espulsione non inferiore ad anni
 cinque istituisce pena che per la sua connotazione non puo'  "tendere
 alla  rieducazione del condannato".  Per l'art. 27, terzo comma Cost.
 "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al  senso  di
 umanita'"  e "devono tendere alla rieducazione del condannato". Viene
 istituito  da  tale  norma  un  finalismo  rieducativo   della   pena
 criminale,   in   cui   -   come   dottrina  e  giurisprudenza  anche
 costituzionale  hanno  spiegato  nei  decenni  -  "rieducazione"  non
 significa  personale  emenda morale, correzione politico ideologica o
 anche  solo  imposi'zione  di  modelli  comportamentali   socialmente
 adeguati,  bensi' opportunita' di reinserimento sociale, e incide sul
 piano dell'attuazione costituzionale non certo solo  sulle  modalita'
 di  esecuzione  delle  pene,  inanzitutto  detentive, ma altresi' sul
 momento della individualizzazione prima legislativa e poi giudiziaria
 delle sanzioni applicabili.  La  stessa  Corte  costituzionale,  dopo
 avere a lungo sostenuto la non sindacabilita' in sede di legittimita'
 costituzionale  dell'efficacia  rieducativa  del  tipo  di  pena - in
 termini  diversi,  v.  sentt.  167/1973,  143  e  264/1974, 119/1975,
 1023/1988, 102 e 169/1985 - ha afferamato - sent. 4 luglio  1990,  n.
 313  -  che  il  finalismo  rieducativo della pena non e' confinabile
 nella fase esecutiva del trattamento  penitenziario,  ma  che,  oltre
 alle  modalita'  di  esecuzione,  anche  il  tipo di pena e la sua la
 misura o durata sono elementi da determinarsi in sede  legislativa  e
 giudiziario-applicativa   in   relazione   al   prevalente  parametro
 costituzionale della finalita' risocializzante  della  pena,  il  cui
 rispetto  rende la conformita' a Costituzione, violata invece da ogni
 concezione ed applicazione della pena che strumentalizzi  l'individuo
 a  fini  di  prevenzione generale e che sia orientata prevalentemente
 verso le altre funzioni della sanzione criminale.
   L'evoluzione del nostro ordinamento penale e penitenziario, seppure
 con qualche  marcia  indietro,  puo'  dirsi  abbia  tenuto  la  rotta
 dell'attuazione    costituzionale   del   principio   del   finalismo
 rieducativo della pena.
   Cio' - venendo alla materia in questa sede in parola - e'  avvenuto
 anche, nella enucleazione, conformazione e statuizione delle sanzioni
 sostitutive  delle pene detentive brevi, la cui introduzione e' stata
 anzi storicamente uno dei momenti di piu' incisiva  ricerca  di  pene
 alternative   alla   detenzione,  maggiormente  idonee,  piu'  che  a
 reinserire socialmente, a mantenere  l'inserimento  sociale  di  quei
 colpevoli  per  i quali, al di la' della commissione di un reato e di
 ogni costruzione teorica al  riguardo,  tale  inserimento  non  possa
 all'atto  pratico dirsi mai venuto meno. ll piu' volte citato art. 58
 legge 689/1981, espressamente, dopo aver  richiesto  al  giudice  uno
 sforzo di individualizzazione del trattamento sanzionatorio, art. 133
 c.p.  alla  mano,  tra pene principali e sostitutive, richiede che si
 scelga tra le pene  sostitutive  possibili  "quella  piu'  idonea  al
 reinserimento  sociale  del  condannato".    L'art. 14, legge 40/1998
 appare un punto di cesura di tale evoluzione  normativa.  E'  infatti
 del  tutto evidente che l'espulsione dal territorio dello straniero o
 dell'apolide irregolarmente presente in  Italia,  ivi  prevista  come
 sanzione  sostitutiva  irrogabile  in  presenza  di  date condizioni,
 sostanziandosi in  un  ostracistico  allontanamento  dalla  comunita'
 molto  simile al bando per secoli applicato da tanti ordinamenti, non
 puo' avere tra le sue finalita', per  definizione,  il  reinserimento
 sociale  del soggetto, proponendosi l'esatto contrario.  L'obiezione,
 possibile, che argomenti dal dato per cui presupposto primo che rende
 applicabile l'istituto in esame e' la condizione ex art. 11/2,  legge
 40/1998 del soggetto, e quindi la condizione di soggetto che, essendo
 entrato  o  essendosi  trattenuto  nel territorio irregolarmente, non
 puo' ritenersi sia mai stato socialmente inserito ed  in  riferimento
 al  quale  il concetto di reinserimento non puo' avere alcun concreto
 significato, non terrebbe conto ne' del fatto che in ogni  caso  tale
 argomento   non  e'  utilizzabile  per  chi  invece  si  trovi  nella
 condizione  di  cui  all'art.  11/3,  legge  40  -  terza   possibile
 condizione  soggettiva  di applicabilita' della misura in questione -
 ne'  della  circostanza  per  cui   irregolarita'   ammistrativa   in
 riferimento   all'ingresso  in  Italia  non  e'  sinonimo  e  non  e'
 situazione  che  necessariamente  coincida  con  un  non  inserimento
 sociale:  come  per l'imputato Ali' Mohamed - in Italia almeno dal 28
 maggio 1993 - in Italia  vi  sono  ormai  centinaia  di  migliaia  di
 persone irregolari dal punto di vista del permesso di soggiorno ma di
 fatto  (magari  in  posizioni di poverta' e marginalita') socialmente
 inserite.   L'obiezione pero',  sottolineando  la  palese  logica  di
 politica  criminale  e penitenziaria sottesa all'espulsione dell'art.
 14,  e'  utile  ad  evidenziare  come  l'introduzione   dell'istituto
 risponda  nella  sostanza  ad  una  esigenza amministrativa, a quella
 stessa esigenza  cui  presiede  l'espulsione  ammistrativa  in  senso
 proprio,  con  appena  "l'addizione"  di  qualche  preoccupazione  di
 politica penitenziaria:   vale a dire alla  esigenza  di  allontanare
 l'irregolare  dal territorio nazionale e U.e.: nonche' ad evidenziare
 la sostanziale irriducibilita' di una misura come  l'espulsione  alla
 logica  costituzionale  della  pena,  alla  sua  assorbente funzione:
 quella, avente ad oggetto  il  consociato  anche  non  cittadino,  di
 risocializzare   il   reo   dopo   la  devianza:  logica  e  funzione
 costituzionale   della    pena,    che    rendono    l'illegittimita'
 costituzionale   della   espulsione   quale   sanzione  penale  anche
 sostitutiva.
   D. - Ritenuto in punto di rilevanza.
     che in presenza della situazione processuale descritta sub  A,  e
 ben   potendosi   e  dovendosi  nel  caso  disporre  l'espulsione  in
 sostituzione  della  pena  detentiva  -   Ali'   Mohamed   risultando
 oltretutto  a  suo  tempo  gia'  espulso  in via amministrativa -, il
 giudizio  non   possa   essere   definito   indipendentemente   dalla
 risoluzione   delle   questioni   di   leggittimita'   costituzionale
 evidenziate;
     che nel caso, attesa la  brevita'  della  pena  della  reclusione
 chiesta  ai  sensi  dell'art. 444 c.p.p. (due mesi), l'espulsione per
 cinque anni  costituisca  nei  confronti  dell'imputato  sanzione  in
 concreto  certamente  piu'  rigorosa: con la conseguenza che la norma
 dell'art.   14 in  questione  che  rende  applicabile  tale  sanzione
 sostitutiva   vada   ritenuta  in  concreto  piu'  sfavorevole  della
 normativa che residuerebbe  come  applicabile  ad  una  dichiarazione
 d'incostituzionalita'  dell'art.    14,  con la conseguenza anche per
 tale via della piena "rilevanza" delle  questioni  che  si  sollevano
 (secondo  i  principi  espressi  dalle  sentt.  n.  15/1982,  1/1980,
 88/1976, 146/1975, 74 e 147/1973, citate dalla stessa n. 62/1994).
                               P. Q. M.
   Visti gli artt. 1, legge costituzionale 1/1948 e 23, legge 11 marzo
 1953 n. 87;
   Solleva  d'ufficio,  ritenendole  rilevanti  e  non  manifestamente
 infondate, le seguenti questioni di legittimita' costituzionale:
     1)  dell'art.  14,  legge  6  marzo  1998  n.  40, in riferimento
 all'art.  3, Cost., laddove istituisce, per  le  fattispecie  e  alle
 condizioni  ivi  previste  e per i soli stranieri ivi considerati, la
 sanzione   sostitutiva   dell'espulsione   senza   subordinarne    la
 possibilita'   di  applicazione  alla  richiesta  dell'imputato:  con
 disparita' di trattamento in relazione alla condizione  personale  di
 apolide  o  di  persona  non  appartenente a Stato membro dell'Unione
 europea;
     2) dell'art. 14,  comma  2,  legge  n.  40/1998,  in  riferimento
 all'art.    27,  secondo  comma Cost., nella parte in cui prevede che
 l'espulsione di cui al comma 1 dello  stesso  art.  14  debba  essere
 eseguita  "anche  se la sentenza non e' irrevocabile", per violazione
 del  principio  secondo  il  quale  "l'imputato  non  e'  considerato
 colpevole sino alla condanna definitiva";
     3)  dell'art.  14,  comma  primo  e  secondo,  legge  40/1998, in
 riferimento all'art. 3, Cost., nella parte  in  cui,  prevedendo  che
 l'espulsione  ivi regolata sia irrogabile del tutto discrezionalmente
 dal giudice con sentenza ex art. 444 c.p.p. anche nei casi in cui  la
 sanzione  sostitutiva  non  sia parte della richiesta di applicazione
 pena  da  parte  dell'imputato,  e   prevedendo   al   contempo   che
 l'espulsione   debba   essere   anche   in   tal   caso  se  disposta
 immediatamente eseguita prima dell'irrevocabilita' della  sentenza  e
 debba  avere  una  durata  minima  di  cinque anni, rende interamente
 eseguibile  la  sanzione  sostitutiva  dell'espulsione  irrogata  per
 delitto in ogni caso per data anteriore al decorso del termine di cui
 all'art.   445,   comma  secondo  c.p.p.     e  quella  irrogata  per
 contravvenzione addirittura per il  periodo  successivo  al  positivo
 decorso  di  tale  termine, in tal modo svuotando di ogni significato
 concreto il maturarsi del beneficio  da  tale  disposizione  previsto
 nell'estinzione  del  reato  e  quindi  nella non eseguibilita' della
 pena,  beneficio  quest'ultimo  dall'imputato   perseguito   con   la
 richiesta  di  applicazione di pena detentiva da non sostituirsi: per
 disparita'  di  trattamento  nell'accesso  al  beneficio  della   non
 esecuzione  della  pena  patteggiata,  in dipendenza della condizione
 personale di straniero;
     4) dell'art. 14,  comma  1,  legge  n.  40/1998,  in  riferimento
 all'art.  25, secondo comma Cost., nella parte in cui, prevedendo che
 l'espulsione  quale  sanzione sostitutiva ivi regolata sia irrogabile
 "per un periodo non inferiore a cinque anni", senza previsione di  un
 massimo  edittale,  puo'  essere  interpretata  quale  norma  che non
 statuisce pena in misura fissa ma pena senza limite  di  durata,  con
 violazione del principio di tassativita della sanzione penale;
     5)  dell'art.  14,  comma 1, legge n. 40/1998 in riferimento agli
 artt. 3 e 27, terzo comma Cost., nella parte in  cui,  prevedendo  la
 possibilita'  di  sostituire, nei casi e nelle forme ivi previste, la
 pena detentiva con la sanzione sostitutiva fissa  dell'espulsione  di
 cinque anni, senza istituire un parametro di ragguaglio tra giorno di
 pena  detentiva  sostituita e durata dell'espulsione, rende possibile
 al  giudice  punire  in  modo  identico  condotte  di   gravita'   ed
 offensivita'  la  piu'  diversa, anche in concreto punite dal giudice
 con pene detentive di entita' molto  diversa:  con  irragionevole  ed
 arbitrario  utilizzo della discrezionalita' spettante al legislatore,
 determinante disparita' nel  trattamento  sanzionatorio  identico  di
 casi  di  rilievo  criminale  diverso;  con lesione della funzione di
 prevenzione  generale e difesa sociale della pena;
     6) dell'art. 14,  comma  1,  legge  n.  40/1998,  in  riferimento
 all'art.   25, secondo comma Cost., nella parte in cui prevede che il
 giudice,  nella  sussistenza  dei  presupposti  ivi  indicati,  possa
 discrezionalmente  sostituire  la  pena  detentiva  con  la  sanzione
 sostitutiva dell'espulsione senza specificazione e  predeterminazione
 di  condizioni  oggettive e soggettive di applicabilita' ed in genere
 di parametri per il concreto utilizzo di tale  discrezionalita':  con
 violazione  del  principio  di  tassativita'  delle  pene; nonche' in
 riferimento all'art. 24, secondo comma Cost., nella parte in cui,  in
 tal   modo   non  predeterminando  i  presupposti  di  applicabilita'
 dell'espulsione, e prevedendo che tale misura possa essere sostituita
 alla pena principale anche nei casi in  cui  la  pena  detentiva  sia
 richiesta ai sensi dell'art. 444 c.p.p. senza contemporanea richiesta
 di   sostituzione,  impedisce  all'imputato  di  difendersi  appieno,
 utilizzando in un quadro certo gli  istituti  processuali  comuni  al
 fine di perseguire i benefici da questi provisti;
     7)  dell'art.  14,  comma  1,  legge  n.  40/1998, in riferimento
 all'art 27,  terzo comma Cost., nella parte  in  cui,  prevedendo  la
 possibilita'  per  il  giudice,  alle  condizioni  ivi  previste,  di
 sostituire alla pena detentiva da eseguirsi non superiore ai due anni
 la sanzione sostitutiva dell'espulsione non inferiore ad anni  cinque
 istituisce  pena  che  per la sua connotazione non puo' "tendere alla
 rieducazione del condannato";
   Sospende il giudizio in corso, e dispone  l'immediata  trasmissione
 degli atti alla Corte costituzionale;
   Comunicata  al p.m., agli imputati ed al difensore mediante lettura
 in pubblico dibattimento all'udienza del 5 maggio 1998;
   A  cura  della  cancelleria,  si  notifichi  alla  Presidenza   del
 Consiglio dei Ministri, e si comunichi ai Presidenti del Senato della
 Repubblica e della Camera dei deputati.
     Roma, addi' 5 maggio 1998
                           Il pretore: Savio
 98C0702