N. 495 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 novembre 1997- 18 giugno 1998

                                N. 495
 Ordinanza   emessa   il   20  novembre  1997  (pervenuta  alla  Corte
 costituzionale il  18  giugno  1998)  dal  giudice  per  le  indagini
 preliminari  presso  il  tribunale  di  Caltagirone  nei procedimenti
 penali riuniti a carico di Di Grande Francesco ed altri.
 Elezioni  comunali - Reati elettorali - Prescrizione - Termine di due
    anni dalla data del verbale  ultimo  delle  elezioni  -  Lamentata
    brevita'  di  tale  termine a fronte di quello ordinario decennale
    previsto  per  delitti  di  pari  gravita'  -  Irragionevolezza  -
    Incidenza  sulla  liberta'  di  voto - Violazione del principio di
    obbligatorieta' dell'azione penale.
 (D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, art. 100).
 (Cost., artt. 1, 3, 48, secondo comma, e 112).
(GU n.28 del 15-7-1998 )
                             IL TRIBUNALE
   Ha  emesso  la  seguente  ordinanza  con  riferimento  ai  capi  di
 imputazione  di  cui  ai  punti  A1,  1,  3  e 4 della rubrica (reato
 contestato:  art.    87  del  d.P.R.  16  maggio   1960,   n.   570),
 preliminarmente  deve  essere  esaminata la questione di legittimita'
 costituzionale sollevata dal pubblico ministero per violazione  degli
 artt.  3,  48,  secondo  comma  e  112  della  Costituzione  ad opera
 dell'art. 100 del d.P.R. 16 maggio 1960, nella parte in  cui  prevede
 un  termine  di  prescrizione  di  due  anni  (prolungabile a tre) in
 relazione ai reati elettorali.
   La questione di legittimita' costituzionale appare rilevante e deve
 essere preliminarmente esaminata, posto che,  dalla  decisione  della
 stessa  discende  la  possibilita'  per  il  giudice  delle  indagini
 preliminari  di  dichiarare  prescritti  i  reati   contestati   agli
 imputati,  siccome asseritamente commessi dal 1989 fino al 1993 (capi
 1, 3 e 4 della rubrica) e fino al 1994 (capo A1).
   In  base  alle  argomentazioni  espresse  dal  pubblico   ministero
 all'udienza  preliminare,  la  questione  non  appare  manifestamente
 infondata.
   Invero, in via preliminare, occorre  rilevare  che  sebbene  l'art.
 100  del citato c.p.v. d.P.R. preveda che "l'azione penale, per tutti
 i reati contemplati nel presente testo unico,  si  prescrive  in  due
 anni  dalla  data  del  verbale  ultimo  delle elezioni", la Corte di
 cassazione, con orientamento costante e condivisibile  (sentenze  nn.
 547/1967,  219/1973,  6643/1973  e  n.  705/1976), ha statuito che il
 termine in questione deroga alle norme generali dell'art. 157 e segg.
 c.p. e cioe', nella sostanza,  che  il  detto  termine  determina  la
 prescrizione del reato e non dell'azione penale.
   Questo  giudice  non  ignora  che  la  Corte  costituzionale  si e'
 indirettamente pronunciata sulla materia oggi in esame con  ordinanza
 del  29  marzo  1989,  n.  171, ritenendo manifestamente infondata la
 questione di legittimita' costituzionale del d.P.R. 30 marzo 1957, n.
 361, nella parte in cui non prevede l'applicabilita'  della  speciale
 prescrizione  biennale  per  i reati elettorali, cosi' come stabilito
 dall'art. 100 del d.P.R. 16 maggio  1960,  n.  570  per  le  elezioni
 comunali, in riferimento all'art. 3 della Costituzione.
   In   estrema  sintesi,  la  Corte  aveva  rigettato  la  questione,
 sollevata dal tribunale di Roma con  ordinanza  del  2  maggio  1988,
 ritenendo  che  per  i  reati  elettorali  commessi  in  occasione di
 elezioni politiche sia giustificata una maggiore severita', e  dunque
 un  piu'  lungo  termine prescrizionale, rispetto ai reati elettorali
 commessi in occasione  di  elezioni  amministrative,  a  causa  della
 "maggior importanza" delle prime rispetto alle seconde.
   Tuttavia,   la   delicatezza  della  materia,  il  mutato  contesto
 normativo (entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale)  e
 l'aggiunta  di  ulteriori  possibili  profili di incostituzionalita',
 rendono opportuna una nuova, diretta  e  piu'  approfondita  verifica
 della legittimita' costituzionale della norma in questione.
   Orbene, l'art. 100 del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570 sembra violare
 l'art.   3   della  Costituzione  per  disparita'  ingiustificata  di
 trattamento,  riservando,  appunto,  all'autore  del  reato  di   cui
 all'art.  87  dello  stesso  d.P.R.  un trattamento diverso da quello
 previsto per chi si renda responsabile di ogni altro  delitto  punito
 con  la  pena  della  reclusione  non  inferiore a cinque anni ed, in
 particolar modo, per colui il quale  sia  autore  dell'analogo  reato
 previsto  dall'art. 97 del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, in ordine al
 quale, invece,  si  applica  il  termine  di  prescrizione  ordinario
 previsto dal codice penale.
   A cio' si aggiunga un ulteriore considerazione.
   La  detta norma appare in contrasto con l'art. 3 della Costituzione
 sotto l'ulteriore profilo del  difetto  di  ragionevolezza,  rendendo
 notevolmente  difficile,  senza apparente valido motivo, la pronuncia
 di una sentenza definitiva entro il ristretto termine di prescrizione
 del reato.
   invero, occorre tenere presente  il  fisiologico  allungamento  dei
 tempi  processuali  introdotto  dal nuovo codice di procedura penale,
 specie nell'ipotesi in cui non si pervenga ad  un  rito  alternativo,
 rispetto  al codice abrogato; in particolare, si rileva che lo stesso
 legislatore ha previsto una (questa volta  si  ragionevole)  sequenza
 temporale  per cui, prima di giungere ad una sentenza definitiva, dal
 momento del raccoglimento della notizia di reato, possono trascorrere
 oltre due anni. A dimostrazione di cio' si consideri  che  gli  artt.
 405  e  407  c.p.p.  prevedono  un  termine massimo di 18 mesi per le
 indagini preliminari; che l'art. 418 c.p.p. fissa un termine  massimo
 di  30  giorni  tra  la  data di deposito della richiesta di rinvio a
 giudizio e la data  di  celebrazione  dell'udienza  preliminare;  che
 l'art.  429,  comma  3,  c.p.p. prevede un termine non inferiore a 20
 giorni tra la data del decreto che dispone  il  giudizio  e  la  data
 fissata  per  il  giudizio;  che,  inoltre,  a  tutto  cio' si devono
 aggiungere i tempi tecnici necessari per lo svolgimento delle udienze
 dibattimentali, i termini per il  deposito  della  motivazione  della
 sentenza  (che  ex art. 544, comma 3, c.p.p. possono essere fino a 90
 giorni da quello della pronuncia) ed, infine, i termini per le  varie
 impugnazioni previste dall'ordinamento processuale.
   Sotto  il profilo della ragionevolezza, un'ulteriore considerazione
 si impone.
   Le norme sulla prescrizione dei reati  sono,  fra  le  altre  cose,
 dirette  a  realizzare  il  principio  della  durata  ragionevole del
 processo penale, tutelato anche dall'art. 6 della Convenzione europea
 dei  diritti  dell'uomo.  Detto  principio  se  da  un  lato   tutela
 l'inquisito dai tempi eccessivamente lunghi del processo, dall'altro,
 per  converso, impone che il processo possa essere celebrato in tempi
 non  eccessivamente  ristretti,  tali,  comunque,  da  consentire  un
 effettivo  svolgimento di tutte le necessarie attivita' processuali e
 cio' al fine di consentire l'accertamento della verita', scopo ultimo
 di tutta l'attivita' giudiziaria.  Orbene, e' di tutta  evidenza  che
 la previsione normativa di un termine oltremodo breve per il giudizio
 definitivo equivale ad impedire l'utile esercizio dell'azione penale.
   L'art.  100  del  citato  d.P.R.  sembra inoltre violare l'art. 48,
 secondo comma della Costituzione che assicura la liberta' di  voto  e
 conseguentemente,  ad  avviso di questo giudice, anche l'art. 1 della
 Suprema Carta, laddove viene sancito il principio cardine dell'intero
 ordinamento statuale per cui la sovranita' appartiene al popolo.
   Invero, il termine prescrizionale  de  quo  siccome  eccessivamente
 breve,  determina  una compressione del potere punitivo dello Stato a
 salvaguardia della liberta' di voto, cosi  favorendo  l'impunita'  di
 colui  il  quale  attenta  alla  liberta'  degli  elettori,  con atti
 previsti dalla legge come reato, e  vulnerando,  di  conseguenza,  il
 principio  della  sovranita'  popolare che per potersi effettivamente
 esplicare, anche  attraverso  libere  competizioni  elettorali,  deve
 essere adeguatamente tutelato.
   In  ultimo,  per  le  considerazioni  sopra  esposte,  la  norma in
 questione  sembra  violare  anche  l'art.  112  della   Costituzione,
 svuotando   di   ogni   concreto   significato   il   dettato   della
 obbligatorieta'    dell'esercizio     dell'azione     penale,     che
 irragionevolmente   rischia,   a  causa  del  termine  prescrizionale
 oltremodo ristretto, di venire inutilmente iniziata.
                                P. Q. M.
   Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
   Dichiara rilevante  nel  presente  giudizio  e  non  manifestamente
 infondata in relazione agli artt. 1, 3, 48, secondo comma e 112 della
 Costituzione  la  questione  di legittimita' costituzionale dell'art.
 100 del d.P.R.  16 maggio 1960, n. 570, nella parte in cui prevede un
 termine di prescrizione di due anni in relazione ai reati elettorali;
   Sospende il presente giudizio con riferimento ai capi A1, 1, 3 e  4
 della   rubrica   e   dispone  l'immediata  trasmissione  alla  Corte
 costituzionale degli atti del procedimento;
   Ordina che, a cura della cancelleria, la presente  ordinanza  venga
 notificata  al  Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai
 Presidenti dei due rami del Parlamento.
     Caltagirone, addi' 20 novembre 1997
                         Il giudice: Scialabba
 98C0772