N. 514 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 gennaio 1996- 22 giugno 1998
N. 514 Ordinanza emessa il 9 gennaio 1996 (pervenuta alla Corte costituzionale il 22 giugno 1998) dal pretore di Brescia nel procedimento penale a carico di Vitale Salvatore Avvocato e procuratore - Procuratori legali - Esercizio della professione - Limitazione territoriale - Disparita' di trattamento rispetto agli avvocati, potendo questi esercitare la professione sull'intero territorio nazionale. (R.D.-L. 27 novembre 1933, n. 1578, artt. 4, 5 e 6, modificato dalla legge 24 luglio 1985, n. 406). (Cost., art. 3).(GU n.28 del 15-7-1998 )
IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento penale a carico di Vitale Salvatore, imputato del reato di cui all'art. 589 c.p., commesso ai danni di Pozzi Elsa il 24 aprile 1993, in Milano; Lette le ragioni poste a fondamento dell'istanza di sollevare questione di legittimita' costituzionale degli artt. 4, 5, 6 del regio decreto n. 1578/33, come modificati dalla legge 24 luglio 1985, n. 406, in relazione all'art. 3 Costituzione, presentata dal difensore, nominato d'ufficio all'imputato, il quale, invece, aveva nominato, quale difensore di fiducia, un procuratore legale iscritto nell'albo del distretto di Milano; Richiamata integralmente, per ragioni di economia espositiva, l'istanza scritta presentata in data odierna dal difensore d'ufficio, che deve ritenersi parte integrante della predetta ordinanza, facendo proprie il Pretore le obiezioni in essa contenute; Ritenuto che la questione e' rilevante, avendo l'imputato a suo tempo nominato, come difensore di fiducia, un procuratore legale iscritto nell'albo del foro di Milano, come tale non abilitato, ai sensi degli artt, 5, 6 del r.d. n. 1578/33, a esercitare la professione avanti a questa Pretura, competente ex art. 11 c.p.p., pena la nullita' degli atti compiuti con la sua assistenza; Rilevato che la questione e' rilevante, in quanto impedisce all'imputato, nel caso concreto, di avvalersi di un professionista di sua fiducia, all'uopo nominato; Ritenuto la questione, diretta e fatta rilevare l'illogicita' ed irrazionalita', alla luce dei criteri di cui all'art. 3 Cost., della normativa citata, non manifestamente infondata sulla scorta delle regioni esposte nell'istanza, richiamate integralmente;
P. Q. M. Sospende il presente procedimento; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, per violazione dell'art. 3 Cost., la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 4, 5 e 6 r.d. 11578/33, come modificati dalla legge 24 luglio 1985, n. 406; Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, ai sensi dell'art. 23 legge 87/53; Ordina, che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri, e comunicata al Presidente della Camera dei deputati ed al Presidente del Senato della repubblica. Brescia, addi' 9 gennaio 1996 L'assistente giudiziario: Abarabini Allegato PRETURA DI BRESCIA Udienza 9 gennaio 1996, n. 10327/93 n.r. Illegittimita' costituzionale degli artt. 4, 5 e 6 regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578 (come modificato dall'art. 4 della legge 24 luglio 1985, n. 406), per contrasto con l'art. 3 della Costituzione A norma degli artt. 5 e 6 - testo attualmente vigente - r.d.-l. n. 1578/1933 ("Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore"), "i procuratori legali possono esercitare la professione davanti a tutti gli uffici giudiziari del distretto in cui e' compreso l'ordine circondariale presso il quale sono iscritti nonche' davanti al tribunale amministrativo regionale competente nel distretto medesimo". Viceversa, a norma dell'art. 4 r.d.-l. n. 1578/1933, "gli avvocati iscritti in un albo possono esercitare la professione davanti a tutte le corti d'appello i tribunali e le preture della repubblica". Tale distinzione, allo stato attuale della normativa disciplinante l'esercizio della professione forense, appare in contrasto con l'art. 3, primo comma, Cost., in quanto pone una limitazione di natura meramente territoriale all'esercizio della professione da parte di una categoria di soggetti - i procuratori legali - rispetto ad altra categoria - gli avvocati - in assenza di qualsiasi ulteriore elemento di differenziazione tra l'attivita' dei primi e quella dei secondi. Cosicche' la sola ragione di tale limitazione risulta essere la volonta' del legislatore. E proprio in cio' risiede il sospetto di illegittimita', in quanto, per costante giurisprudenza costituzionale in materia, viola il principio di uguaglianza qualsiasi disparita' di trattamento che non risulti razionalmente motivata. Ebbene, nella fattispecie manca non solo una razionale motivazione, ma, addirittura, una motivazione purchessia. * * * E' opportuno ripercorrere brevemente l'evoluzione della normativa in esame. L'art. 2 r.d.-l. n. 1578/1933 statuisce che "le professioni di avvocato e di procuratore sono distinte". Tale distinzione trovava fondamento nell'originario art. 6 r.d.-l. n. 1578/1933, che disponeva: "nei giudizi penali davanti al tribunale, alla Corte d'appello ed alla Corte d'assise il patrocinio degli imputati e' riservato agli avvocati; i procuratori possono rappresentare la parte civile". Il legislatore del 1933 aveva cioe' distinto la funzione di difesa, riservata agli avvocati, dalla funzione di rappresentanza processuale della parte, riservata ai procuratori legali. Al punto di precisare, al citato art. 4, che per l'esercizio cumulativo delle funzioni "e necessaria l'iscrizione in entrambi gli albi professionali". Tale distinzione di funzioni induceva un'ulteriore conseguenza di natura territoriale, e cioe' che "i procuratori possono esercitare la professione avanti alla Corte d'appello, alle sezioni distaccate della stessa Corte ed a tutti i tribunali e le preture del distretto in cui e' compreso il tribunale a cui sono assegnati" (art. 5 r.d.-l. n. 1578/1933). Questa la disciplina normativa sino al 1985. Una disciplina che fondava la distinzione funzionale tra avvocati e procuratori sulla distinzione tra difesa e rappresentanza processuale e che, sulla base di tale distinzione, applicava ai procuratori legali una restrizione di natura territoriale all'esercizio dell'attivita' professionale. * * * Coerente con tale impostazione legislativa e' la giurisprudenza della Corte Costituzionale in materia. Come noto, la Corte si e' pronunciata in tre distinte occasioni sulla questione. Con sentenza n. 54/1966 (peraltro relativa ad una dedotta violazione dell'art. 24 Cost.), la Corte sottolineava che l'obbligo di risiedere nel capoluogo del circondario imposto al procuratore legale dall'art. 10, r.d.-l. n. 1578/1933, consente allo stesso di "svolgere con la necessaria tempestivita' l'attivita' processuale di cui la parte e' onerata, spesso collegata al rispetto di termini perentori, e a rappresentare al giudice con la necessaria immediatezza ogni esigenza della difesa". Orbene; se tale affermazione dovesse essere intesa nel senso che la limitazione territoriale imposta ai procuratori legali e' funzionale al miglior esercizio del diritto di difesa, essa risulterebbe paradossale. Infatti, essendo l'obbligo di residenza imposto al solo procuratore legale, e potendo invece l'avvocato esercitare la professione avanti a qualsiasi ufficio giudiziario, ne scaturirebbe una violazione del diritto di difesa laddove non risulti previsto, anche per l'avvocato, l'obbligo di residenza. L'avvocato, infatti, sarebbe posto in condizione menomata, rispetto al procuratore legale residente, quanto alla tempestivita' degli adempimenti defensionali, con inevitabili conseguenze sotto il profilo del diritto alla difesa. Non potendo immaginarsi che la Corte abbia inteso attribuire al legislatore tale discriminatoria intenzione, la sentenza sembra doversi invece interpretare nel senso che l'obbligo di residenza, conseguente alla limitazione territoriale all'esercizio della professione, e' funzionale alle specifiche incombenze riservate al procuratore legale, vale a dire, appunto, la rappresentanza processuale della parte con tutti gli incombenti ad essa connessi. Funzionale al miglior espletamento di tale compito, sembra dire la Corte, e' la circoscrizione dell'ambito territoriale di attivita', coerente alla quale risulta l'obbligo di residenza. Ancor piu' esplicito il ragionamento della Corte nella successiva sentenza n. 54/1977, che si pronuncia anche, per la prima volta, sulla violazione dell'art. 3 Cost., dedotta sotto il profilo dell'irrazionale disparita' di trattamento. Dopo avere richiamato la precedente sentenza, la Corte osserva che eventuali limitazioni all'esercizio della professione forense possono essere legittimamente poste dal legislatore "a tutela non solo della funzionalita' dell'organizzazione giudiziaria ma anche di altri interessi meritevoli di protezione". Tale premessa porta ad escludere "che le norme denunziate, ponendo limiti territoriali all'attivita dei procuratori legali, importino violazione del principio di uguaglianza creando irrazionale disparita' di trattamento tra i procuratori legali e gli avvocati. Giacche', salvo eventuali future scelte legislative e perdurando, il principio della separazione delle due professioni, le norme in vigore mirano a garantire il regolare adempimento delle specifiche funzioni demandate ai procuratori legali". Successivamente, con ordinanza 8 dicembre 1979, il pretore di Napoli rimetteva nuovamente alla Corte, questa volta sotto il profilo della violazione degli artt. 4 e 33 Cost., la questione della legittinnita' degli artt. 1, 2, 4, 5, 6, 20 e 27, r.d.-l. n. 1578/1933 e successive modificazioni. Con ordinanza n. 58/1988 la Corte, premesso in motivazione che "la separazione delle professioni forensi deriva ed e' giustificata dalla diversa ampiezza dei compiti e delle funzioni (di mera rappresentanza processuale ovvero anche di difesa) rispettivamente attribuiti al procuratore legale ed all'avvocato, nell'ambito di una scelta riservata alla discrezionalita' del legislatore", dichiarava "la manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale degli arrt. 1, 2, 4, 5, 6, 20 e 27 r.d.-l. 27 novembre 1933 n. 1578 ("Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore" e successive modificazioni, sollevata, in riferimento agli artt. 4 e 33 Cost., dal Pretore di Napoli con l'ordinanza in epigrafe. E' opportuno rilevare che le successive modificazioni cui fanno riferimento il Pretore di Napoli e, per relationem alla sua ordinanza, la Corte, altre non possono essere, evidentemente, che quelle antecedenti l'ordinanza di rimessione, emanate cioe' sino al 1979. * * * Con successiva legge 24 luglio 1985, n. 406, sono stati abrogati proprio gli artt. 5 e 6 r.d.-l. n. 1578/1933, che oggi, come gia' rammentato, recitano unicamente: "I procuratori legali possono esercitare la professione davanti a tutti gli uffici giudiziari del distretto in cui e' compreso l'ordine circondariale presso il quale sono iscritti nonche' davanti al tribunale ammininistrativo regionale competente nel distretto medesimo". Il legislatore ha cioe' abrogato (e proprio questo, peraltro, e' il principale contenuto normativo della legge citata) proprio la differenziazione funzionale tra le due categorie in esame, che era oggetto del combinato disposto degli artt. 5 e 6 nel testo originario. Allo stato attuale, pertanto, non v'e' piu' norma alcuna a riempire di contenuto il disposto del citato art. 2. r.d.-l. n. 1578/1933, laddove postula che "le professioni di avvocato e di procuratore sono distinte". Ne', scorrendo l'intera legge professionale, e' dato individuare una sola norma che sancisca l'attribuzione di diverse funzioni agli uni e agli altri. Si potrebbe per la verita' sostenere che la distinzione e' conservata in virtu' del combinato disposto degli artt. 82 e 87 c.p.c., per effetto dei quali "davanti ai tribunali e alle corti d'appello le parti debbono stare in giudizio col ministero di un procuratore legalmente esercente" (art. 82, comma terzo, c.p.c.) e possono "farsi assistere da uno o piu' avvocati" (art. 87 c.p.c.). Ma, ferma restando la difforme volonta' espressa dal legislatore con norma posteriore, a tutto concedere le disposizioni citate porrebbero un ulteriore problema di irrazionale disparita' di trattamento tra l'esercizio della professione avanti al giudice civile ed avanti a tutte le altre giurisdizioni ordinarie, di fronte alle quali la distinzione risulta oggi non piu' vigente, vuoi per l'abrogazione delle norme di segno contrario (come e' avvenuto per la giurisdizione penale a seguito della novella dei citati artt. 5 e 6 r.d.-l. n. 1578/1933), vuoi per espressa disposizione legislativa in tal senso (come e' avvenuto per la giurisdizione amministrativa a seguito della gia' rammentata novella). Potra' quindi invocarsi ad ogni costo il permanere di una distinzione funzionale all'interno del processo civile, pur determinando cosi' la totale irrazionalita' del quadro normativo attuale. Ma in nessun caso potra' negarsi che, con riferimento alle altre giurisdizioni ordinarie, tale distinzione e' venuta meno; anzi, proprio la circostanza che solo invocando le norme "speciali" di cui agli artt. 82 e 87 c.p.c. sia possibile postulare la differenziazione funzionale nel processo civile costituisce la prova definitiva dell'assenza di una qualsiasi altra disposizione "generale" dalla quale desumere che le "due" professioni siano ancor oggi distinte. "Salvo eventuali future scelte legislative e perdurando il principio della separazione delle due professioni...", aveva premesso la Corte nella gia' richiamata n. 54/1977. Sono passati da allora quasi vent'anni e il panorama e' mutato: le scelte legislative sono state compiute e il principio della separazione delle professioni e' tale ormai solo sulla carta. * * * L'unica differenziazione oggi esistente tra avvocati e procuratori e' pertanto la limitazione territoriale portata dal piu' volte citato art. 5 e 6 r.d.-l. n. 1578/1933. Ma, evidentemente, non potrebbe sostenersi che la stessa rientri nella discrezionalita' del legislatore in materia di disciplina delle libere professioni, in quanto l'argomento si risolverebbe in una tautologia. Ogni differenza di trattamento, specie se riferita a principi anche internazionalmente riconosciuti quali il diritto al libero esercizio delle libere professioni (diritto che oggi assume addirittura dimensione transnazionale) deve trovare una propria razionale giustificazione nel complessivo assetto normativo, predisposto dallo stesso legislatore. La razionalita' della disciplina predisposta e' infatti l'unica legittimazione costituzionale di qualsiasi scelta legislativa che determini una disparita' di trattamento. In assenza di una giustificazione razionale, la discrezionalita' legislativa eventualmente invocata si riduce a mero arbitrio, con cio' violando il disposto dell'art. 3 Cost. Nel caso di specie, dopo la novella portata con la citata legge n. 406/1985 e' venuta meno ogni distinzione funzionale tra avvocati e procuratori legali, al punto che oggi non si sarebbe in grado di individuare non si dice una differenza ragionevole tra le incombenze riservate agli uni e agli altri, ma neppure una differenza irragionevole. Qualsiasi differenza e' oggi completamente e definitivamente scomparsa. La relativa questione di legittimita' costituzionale non e' mai stata esaminata dalla Corte costituzionale, posto che, come si e' rilevato, i riferimenti alle modifiche della legge sull'ordinamento delle professioni forensi contenuti nella citata ordinanza n. 58/1988 si riferivano a quelli indicati dal pretore remittente (ed infatti nessun accenno alla fondamentale novella del 1985 e' rinvenibile nel provvedimento). Vale la pena di sottolineare, incidentalmente, che le prese di posizione nei confronti di una norma ormai incomprensibile quanto foriera di pratiche conseguenze si moltiplicano, anche sotto il profilo della sua legittimita'. L'autorita' antitrust ha di recente avviato, secondo i poteri conferitole dalla legge istitutiva, una indagine conoscitiva tesa a verificare, tra l'altro, la sospetta violazione della libera concorrenza arrecata dalla norma in esame Ed appare significativo che il piu' autorevole commentatore italiano in materia di deontologia e disciplina professionale, annotando il provvedimento, abbia plaudito all'iniziativa, apertamente manifestando il sospetto di illegittimita' costituzionale nei confronti dell'art. 5 piu' volte citato. Pur senza farne autonoma questione di illegittimita' costituzionale per le molteplici difficolta' che derivano dal ruolo interpretativo della Corte di giustizia delle comunita' europee, non puo' non sottolinearsi la recentissima pronuncia della stessa Corte nel caso Bosman, con la quale si e' affermato che in alcun caso la peculiarita' di una professione puo' giustificare una limitazione legislativa al libero esercizio della professione. La fattispecie, e' il caso di rammentarlo, riguarda uno sportivo, ed implica percio' una serie di intuibili conseguenze in ordine alla libera circolazione, in tutti i paesi comunitari, di sportivi anche di altre nazionalita'. Di fronte alle attuali interpretazioni del principio del libero esercizio delle professioni, non casualmente l'autorita' antitrust sottolinea, nel proprio provvedimento, che non risultano esistere negli altri paesi comunitari limitazioni territoriali analoghe a quelle imposte in Italia ai procuratori legali. Affermazione che pare preludere inevitabilmente ad una successiva declaratoria di non conformita' della norma in esame alla disciplina della concorrenza. Le osservazioni che precedono intendono semplicemente sottolineare il contrasto del citato art. 5 con il trattato C.E.E. E' questione indubbiamente delicata se tale contrasto possa assurgere ad autonoma ragione di illegittimita' costituzionale in forza del disposto dell'art. 10 Cost. Ma non v'e' dubbio che, dalla giustapposizione della normativa italiana a quella comunitaria, esce rafforzato il giudizio di irrazionalita' ed anacronismo della norma di cui si invoca la declaratoria di illegittimita'. E' noto, d'altra parte, che i molteplici disegni di legge aventi ad oggetto la riforma dell'ordinamento professionale forense, presentati negli ultimi anni e sempre decaduti per lo scioglimento anticipato delle camere, contemplano l'abrogazione della limitazione territoriale imposta ai procuratori legali. Per queste ragioni si chiede che il pretore, ritenuta la questione rilevante e non manifestamente infondata, voglia rimettere gli atti alla Corte costituzionale, sollevando ex officio la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 4 e 5 e 6, r.d.-l. n. 1578/1933, come modificati dalla legge n. 406/1985, in relazione all'art. 3 Cost. Con osservanza. Brescia, addi' 9 gennaio 1996 Il pretore: (firma illeggibile) 98C0791