N. 526 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 aprile 1998

                                N. 526
 Ordinanza  emessa  il  28  aprile  1998  dal tribunale di Pescara nel
 procedimento penale a carico di D'Alessandro Luigi ed altri
 Processo penale - Dibattimento - Esame di  coimputato  -  Ipotesi  di
 contumacia,  assenza o rifiuto di sottoporsi  all'esame - Lettura dei
 verbali contenenti le dichiarazioni rese  nel  corso  delle  indagini
 preliminari  -  Preclusione per il giudice di utilizzabilita' di tali
 dichiarazioni nei  confronti  di  altri  senza  il  loro  consenso  -
 Irragionevolezza  - Lesione dei principi del libero convincimento del
 giudice e di obbligatorieta' dell'azione penale.
 (C.P.P. 1988, art. 513, comma 1,  modificato  dalla  legge  7  agosto
 1997, n. 267, art. 1).
 (Cost., artt. 3, 25, 101 e 112).
(GU n.29 del 22-7-1998 )
 IL TRIBUNALE
   Ha   pronunziato   la   seguente   ordinanza   sulla  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 513,  comma  1,  c.p.p.,  nella
 formulazione risultante dalle modifiche operate con l'art. 1, legge 7
 agosto  1997, n. 267, per violazione, degli artt. 2, 3, 25, 101 e 112
 della Costituzione, nonche' dell'art. 6 della legge 7 agosto 1997, n.
 267,  per  violazione  degli  artt.  2,  3,  25,  101  e  112   della
 Costituzione  sollevata  dal  pubblico  ministero  all'udienza del 22
 aprile 1998 nel procedimento penale  nei  confronti  di  D'Alessandro
 Luigi, D'Alessandro Fabio Massimo, Di Cola Rocco, Di Lorenzo Massimo,
 Pasqualone  Michele, meglio generalizzati in atti. Imputati dei reati
 di cui ai decreti che dispongono il giudizio;
                             O s s e r v a
   I predetti imputati sono  stati  rinviati  al  giudizio  di  questo
 tribunale  con  decreto del giudice per le indagini preliminari del 4
 aprile 1996.
   La prima udienza dibattimentale fu fissata per il 9 luglio 1996, ma
 l'incompatibilita'  di  un  giudice   del   collegio   per   funzioni
 precedentemente  svolte  non  consenti' l'effettiva trattazione della
 causa. La fase istruttoria, dopo successivi rinvii  inizio'  il    30
 gennaio 1997.
   All'esito   dell'istruttoria   dibattimentale   il   solo  imputato
 D'Alessandro Luigi ha acconsentito all'esame, gli imputati Di Lorenzo
 Massimo e Zanchi Roberto - presenti all'udienza del 22 aprile 1998  -
 hanno,  infatti,  espressamente  rifiutato  di  sottoporvisi,  mentre
 D'Alessandro Fabio Massimo e Pasqualone Michele sono rimasti  assenti
 e Di Cola Rocco e' rimasto contumace.
   Il  pubblico  ministero ai sensi dell'art. 513, comma 1, c.p.p. ha,
 quindi,   chiesto   l'acquisizione   dei   verbali   relativi    alle
 dichiarazioni  predibattimentali  rese  da Di Lorenzo Massimo, Zanchi
 Roberto, D'Alessandro Fabio  Massimo,  Pasqualone  Michele,  Di  Cola
 Rocco  -  in atti specificati -. Tra tutti gli imputati D 'Alessandro
 Luigi ha acconsentito all'utilizzazione della dichiarazioni  rese  da
 D'Alessandro  Fabio  Massimo,  Zanchi  Roberto  e Pasqualone Michele.
 D'Alessandro   Fabio   Massimo   ha   prestato   il   consenso    per
 l'utilizzazione   delle  dichiarazioni  rese  dagli  imputati  Zanchi
 Roberto e Pasqualone Michele. E'  stato  invece  negato  il  consenso
 all'utilizzazione delle restanti dichiarazioni. Il pubblico ministero
 ha  quindi  proposta la questione di legittimita' cosi' come indicata
 in premessa.
   I difensori interpellati hanno motivato il loro dissenso - come  da
 verbale agli atti -.
   La  questione  proposta  concernente l'art. 5l3, comma 1, c.p.p. e'
 rilevante.
   La rilevanza della questione proposta si desume  dalla  circostanza
 che le dichiarazioni in parola sono state indicate al sensi dell'art.
 429,  lettera d), c.p.p tra le fonti di prova nel decreto che dispone
 il giudizio nonche' dalla relazione del pubblico ministero.
   L'esame degli imputati e', peraltro,  atto  istruttorio  sulla  cui
 rilevanza  questo  collegio si e' gia' pronunciato all'udienza del 30
 gennaio  1997  quando  all'esito  delle  richieste  istruttorie   con
 ordinanza  emessa  al sensi dell'art. 495 c.p.p. lo aveva ammesso tra
 gli altri  mezzi  richiesti  dalle  parti.  Con  tale  ammissione  il
 collegio  all'epoca dell'ordinanza ben sapeva che in caso di rifiuto,
 assenza  o  contumacia  degli  imputati   avrebbero   avuto   accesso
 nell'ambito  dell'istruttoria  dibattimentale i verbali relativi alle
 dichiarazioni  precedentemente  rese  dagli   imputati.   L'ordinanza
 ammissiva  avente  ad  oggetto  l'esame  degli  imputati  concerneva,
 infatti, indirettamente le dichiarazioni gia' rese  dai  medesimi  da
 assumere  proprio  nei  casi  di  rifiuto, assenza o contumacia degli
 imputati.
   La questione proposta concernente l'art. 6, legge  n.  267/1997  e'
 invece  irrilevante  non  trovando  affatto  applicazione nel caso in
 esame la citata disciplina transitoria. Ne' il pubblico ministero ha,
 in effetti, chiesto l'acquisizione dei verbali ai sensi della  citata
 disciplina transitoria.
   La questione non e' manifestamente infondata.
   L'art. 513 cosi' come riformulato dalla legge del 7 agosto 1997, n.
 267,  presenta  i  medesimi  vizi  di  incostituzionalita'  che hanno
 indotto  la  Corte  costituzionale  a   dichiarare   l'illegittimita'
 costituzionale  dell'art. 513 c.p.p. nella parte in cui non prevedeva
 che giudice potesse disporre  la  lettura  delle  dichiarazioni  rese
 dalle persone indicate nell'art. 210, c.p.p qualora queste si fossero
 avvalse  della  facolta'  di non rispondere. (Corte costituzionale n.
 254/1991).
   La Corte costituzionale con la citata sentenza affermo', cosi' come
 incisivamente sintetizzato  dal  tribunale  di  Lecco,  il  principio
 secondo il quale "il fine primario ed ineludibile del processo penale
 e' la ricerca della verita', sancito espressamente dalla legge-delega
 e   connesso   al   principio  costituzionale  della  obbligatorieta'
 dell'azione penale, il cui logico corollario e'  la  indisponibilita'
 della prova.  Invero il sistema processuale vigente non e' un sistema
 accusatorio  puro  in  cui  l'accertamento  dei fatti e' rimesso alla
 disponibilita' delle parti, ma e'  un  sistema  misto  nel  quale  il
 principio  dispositivo  deve comunque cedere il passo dinanzi al fine
 supremo dell'accertamento della verita' sostanziale e il  giudice  ha
 il   potere-dovere  di  accertare  la  verita',  anche  sostituendosi
 completamente  alle  parti  processuali  rimaste   inerti,   con   un
 intervento  integrativo  che  serve  a  realizzare  la  non eludibile
 esigenza di giudicare conoscendo" (ordinanza del tribunale  di  Lecco
 13 novembre 1997).
   Le  dichiarazioni  rese  dall'imputato  in  fase  predibattimentale
 all'autorita' giudiziaria o  alla  polizia  giudiziaria  delegata  da
 pubblico  ministero assumono l'indubbia qualita' di atti irripetibili
 qualora come nel caso di specie, l'imputato non acconsenta  all'esame
 oppure  rimanga assente o contumace nella fase di esperimento di tale
 mezzo istruttorio.
   L'irripetibilita' derivante  da  atto  volontario  dell'imputato  -
 manifestazione  del  diritto di difesa costituzionalmente garantito -
 costituisce irripetibilita' sostanzialmente non dissimile  da  quella
 derivante  dalla  non  rinnovabilita' dell'atto conseguente da eventi
 indipendenti dall'umana volonta' o meglio non volontariamente diretti
 a tal fine.
   Del tutto inifluente parrebbe sul piano fattuale  dell'accertamento
 della  verita'  la causa della non rinnovabilita' dell'atto una volta
 che questo tale sia divenuto per fatto comunque imprevedibile.
   L'irrepetibilita' imprevedibile del materiale probatorio  acquisito
 con  le  garanzie  di  difesa  in fase di indagini preliminari per il
 cosiddetto  "principio  della  non  dispersione   della   prova   non
 compiutamente  (o  non genuinamente) acquisibile con il metodo orale"
 (Corte  cost.    n.  254/1991),  principio  informatore  dell'odierno
 sistema  processuale,  legittima  l'acquisizione e l'utilizzazione di
 tale emergenze predibattimentali al fini della decisione.
   In base a tale principio e' dunque consentito  pieno  accesso  agli
 atti  del  fascicolo  per  il  dibattimento  -  anche  alla  luce  di
 successive pronunce della Corte costituzionale  nell'ipotesi  di  cui
 agli  artt.    512, 512-bis, c.p.p., 199 (Corte cost. n. 159/1994) ed
 inoltre 513, comma 2, prima parte - nuova formulazine c.p.p..
   A   proposito   dell'ipotesi   di   accesso   delle   dichiarazioni
 predibattimenatali  previste  dall'art.  513,  comma 2, seconda parte
 c.p.p  -  premesso  che  lo  status  di   coimputato   nel   medesimo
 procedimento  penale  e quello di coimputato in procedimento connesso
 e' sostanzialmente analoga - appare illogico  ed  ingiustificato  che
 non  possano  essere  utilizzate, nei confronti del coimputato che lo
 vieti, le dichiarazioni  rese  da  altro  coimputato  nella  fase  di
 indagini   preliminari,   mentre   possano  essere  utilizzate  senza
 preclusione alcuna le dichiarazioni del coimputato del quale non  sia
 possibile  ottenere  la  presenza  in  dibattimento  o  che  non  sia
 possibile escutere a domicilio o con altra specifica modalita'.
   La norma impugnata appare altresi' in  evidente  contrasto  con  il
 disposto   di  cui  agli  artt.  101,  secondo  comma,  e  102  della
 Costituzione norme dalle quali discende  l'inesistenza  di  un  pieno
 potere dispositivo delle parti in ordine alla prova.
   La Corte costituzionale ha piu' volte affermato in proposito che il
 potere   di  decisione  del  giudice  non  puo'  essere  condizionato
 dall'esercizio meramente discrezionale di un  potere  delle  parti  e
 dalle  scelte  di carattere processuale, in ipotesi anche immotivate,
 di costoro.
   "L'art.   101   cit.,  infatti,  non  consente  l'applicazione  del
 principio   dispositivo    nel    processo    penale    in    ragione
 dell'indisponibilita'  degli  interessi  pubblici  e  delle posizioni
 soggettive che di questo costituiscono l'oggetto;  la  disponibilita'
 della  prova  renderebbe  disponibile,  indirettamente, la stessa res
 iudicanda come affermato nella nota sentenza (sempre appartenente  al
 genus  delle  interpretative  di  rigetto:  Corte  costituzionale  n.
 111/1993) relativa alla definizione del potere istruttorio suppletivo
 riservato al giudice dibattimentale dall'art. 507 c.p.p.;  nel  nuovo
 codice  di  rito  il  metodo  dialogico  di formazione della prova e'
 stato, invero, prescelto come metodo di conoscenza dei fatti ritenuto
 maggiormente  idoneo  al  loro  per  quanto  piu'   possibile   pieno
 accertamento,   e  non  come  strumento  per  far  programmaticamente
 prevalere  una  verita'  formale  risultante   dal   mero   confronto
 dialettico  tra  le parti sulla verita' reale: altrimenti, ne sarebbe
 risultata tradita la funzione conoscitiva del processo, che  discende
 dal  principio  di  legalita'  e  dal  quel  suo  particolare aspetto
 costituito dal principio di obbligatorieta' dell'azione penale".
   (Ordinanza del tribunale di Milano del 24 ottobre 1997).
   La norma impugnata appare in evidente contrasto  con  il  principio
 dell'obbligatorieta'  dell'azione penale, anche in considerazione del
 rilievo che sulla base  delle  dichiarazioni  rese  nel  corso  delle
 indagini  il  pubblico  ministero,  effettuati i necessari riscontri,
 puo' chiedere provvedimenti limitativi della liberta' personale e  ha
 l'obbligo di esercitare l'azione penale, il cui esercizio puo' essere
 sostanzialmente  vanificato  nel  caso  in cui in dibattimento quello
 stesso dichiarante si avvalga della facolta' di non rispondere ed  il
 coimputato non consenta all'utilizzazione di tali dichiarazioni.
   Sul  piano  concettuale non ci si puo' esimere dall'evidenziare che
 ad    una    soggettiva    utilizzabilita'    delle     dichiarazioni
 predibattimentali,  in  relazione  a taluni degli imputati in ragione
 del  prestato  consenso,  consegue  l'accertamento  di  una   verita'
 polimorfa e conseguentemente una sentenza contraddittoria laddove, in
 ipotesi,  per un imputato potrebbe venire affermata l'esistenza di un
 fatto-reato negato invece, sul piano oggettivo per mancanza di prove,
 per altro coimputato.  Contraddittorieta' ancor piu'  palese  proprio
 nei casi come quello di specie di concorso necessario.
    Va  evidenziato,  infine,  che  l'irragionevolezza  dell'art. 513,
 comma 1, cosi' come riformulato, stride ancor di piu' con i  principi
 costituzionali  nei casi, come quello in esame, in cui all'entrata in
 vigore della nuova legge il processo era nella fase  dell'istruttoria
 dibattimentale.  In  tali casi, infatti, assume carattere di maggiore
 gravita'  e  irragionevolezza  la  sottrazione  alla  conoscenza  del
 giudice  di  un materiale probatorio non piu' surrogabile, non avendo
 piu' il pubblico ministero la disponibilita'  delle  indagini  e  non
 potendo che subire la scelta processuale degli interessati.
                               P. Q. M.
   Visti  gli  artt. 134 della Costituzione; 23 e seguenti della legge
 11 marzo 1953, n. 87;
   Ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza;
   Solleva in relazione agli artt. 3, 25, 101,  secondo  comma  e  112
 della   Costituzione,   questione   di   legittimita'  costituzionale
 dell'art.  513, comma 1, c.p.p. come modificato dall'art. 1, legge  7
 agosto 1997, n. 267;
   Dispone  la  trasmissione  degli  atti  del procedimento alla Corte
 costituzionale;
   Manda  alla  cancelleria  per  la  notificazione   della   presente
 ordinanza  al  presidente  del  Consiglio dei Ministri nonche' per la
 comunicazione  ai  Presidenti  delle  Camere  del  Parlamento   della
 Repubblica;
   Sospende il dibattimento fino all'esito del giudizio incidentale di
 legittimita' costituzionale.
     Pescara, addi' 28 aprile 1998
 Il presidente: Spinaci
 I giudici: Filippi-Carbone
 98C0805