N. 252 ORDINANZA 30 giugno - 9 luglio 1998

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Reati in genere - Abuso d'ufficio - Formulazione della fattispecie -
 Proposizione della questione in via meramente eventuale e sfornita di
 congrua  motivazione  in  ordine  alla  rilevanza  (cfr. sentenze nn.
 195/1982,   182/1984   e   ordinanza   n.   207/1993)   -   Manifesta
 inammissibilita'.
 
 (C.P.,  art.  323,  nel  testo  antecedente alla novella recata dalla
 legge 16 luglio 1997, n. 234).
 
 (Cost., art. 25, secondo comma).
 
(GU n.28 del 15-7-1998 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: prof. Giuliano VASSALLI;
  Giudici: prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.  Cesare  MIRABELLI,  prof.
 Fernando  SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott.
 Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo  ZAGREBELSKY,  prof.  Valerio  ONIDA,
 prof.  Carlo  MEZZANOTTE,  avv.  Fernanda  CONTRI,  prof. Guido NEPPI
 MODONA,  prof.  Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 323 del  codice
 penale  nel  testo  antecedente  alla  novella  recata dalla legge 16
 luglio 1997, n. 234 (Modifica dell'art. 323  del  codice  penale,  in
 materia di abuso d'ufficio, e degli articoli 289, 416, 555 del codice
 di  procedura  penale),  promosso  con ordinanza emessa il 10 ottobre
 1997 dal tribunale di  Sondrio,  iscritta  al  n.  863  del  registro
 ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 52, prima serie speciale, dell'anno 1997.
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del  20 maggio 1998 il giudice
 relatore Valerio Onida.
   Ritenuto che, con ordinanza emessa il 10 ottobre 1997, pervenuta  a
 questa Corte il 3 dicembre 1997, il tribunale di Sondrio ha sollevato
 questione  di  legittimita'  costituzionale,  in riferimento all'art.
 25, secondo comma,  della  Costituzione,  dell'art.  323  del  codice
 penale  (Abuso  d'ufficio), nel testo antecedente alla novella recata
 dalla legge 16 luglio 1997, n. 234 (Modifica dell'art. 323 del codice
 penale, in materia di abuso d'ufficio, e degli articoli 289, 416, 555
 del codice di procedura penale);
     che il giudice a quo, chiamato a  giudicare,  dopo  l'entrata  in
 vigore  della  legge  di  riforma  che  ha  ridefinito la fattispecie
 incriminatrice, un imputato di abuso d'ufficio per un fatto  commesso
 sotto  il  vigore  dell'art.  323  cod.  pen.  nella  sua  precedente
 formulazione, afferma di dovere fare comunque  applicazione  di  tale
 ultima norma, onde verificare, ai fini dell'applicazione delle regole
 sulla  successione  delle norme penali nel tempo, dettate dall'art. 2
 cod. pen., se la condotta ascritta all'imputato sia  sussumibile  sia
 nella  fattispecie  astratta descritta dalla norma previgente, sia in
 quella descritta dalla norma attualmente in vigore;
     che, sempre secondo  il  remittente,  ai  fini  del  giudizio  di
 rilevanza della questione dovrebbe aversi riguardo "alla formulazione
 della  fattispecie  astratta"  e  non  gia'  "all'eventuale  concreta
 determinatezza del capo di imputazione";
     che, in ordine alla non manifesta infondatezza, il giudice a  quo
 osserva  che, secondo l'interpretazione corrente del testo previgente
 dell'art.  323  cod.  pen.,  venivano   ricompresi   nella   condotta
 incriminata ogni violazione del parametro di doverosita' come risulta
 dalle   regole   normative   improntate  ai  principi  di  legalita',
 imparzialita' e buon andamento della pubblica  amministrazione,  ogni
 comportamento   esplicantesi   in  un'illecita  deviazione  dai  fini
 istituzionali, nonche' gli atti viziati da eccesso di potere;
     che,    ad    avviso    dell'autorita'    remittente,    siffatta
 interpretazione,   la  quale  costituirebbe  "diritto  vivente",  non
 consentirebbe  di   escludere   dubbi   sull'indeterminatezza   della
 fattispecie  penale,  in relazione ad espressioni quali "parametro di
 doverosita'" o "fini istituzionali", o alla figura normativamente non
 definita e in costante evoluzione dell'eccesso di potere;
     che non vi e' stata costituzione  di  parti  ne'  intervento  del
 Presidente del Consiglio dei Ministri.
   Considerato  che  una questione di legittimita' costituzionale puo'
 bensi' essere proposta nei confronti di una disposizione abrogata, ma
 solo in quanto il giudice remittente motivatamente ritenga  che  essa
 sia ancora applicabile alla fattispecie dedotta in giudizio, in forza
 delle regole sulla successione delle norme nel tempo;
     che,  nella specie, il giudice a quo e' chiamato a confrontare le
 due norme incriminatrici, quella precedentemente in vigore  e  quella
 risultante  dalla  legge  di  riforma,  in  relazione  alla  condotta
 concretamente contestata all'imputato, allo  scopo  di  stabilire  se
 l'una  o  l'altra  delle  due  norme  risulti applicabile ai fini del
 giudizio, in osservanza  delle  regole  sulla  successione  di  norme
 penali nel tempo;
     che,  dunque,  solo  all'esito di tale operazione di raffronto il
 giudice individuera' quale sia la norma applicabile nel giudizio,  in
 ordine   alla   quale  possa  proporsi  una  eventuale  questione  di
 legittimita' costituzionale rilevante nel giudizio;
     che  in  assenza di tale determinazione la questione sollevata si
 presenta, invece, come meramente  eventuale  e  sfornita  di  congrua
 motivazione  sulla  rilevanza  (cfr. sentenze n. 195 del 1982, n. 182
 del 1984; ordinanza n. 207 del 1993);
     che il raffronto fra le due  norme  incriminatrici,  ai  fini  di
 determinare  la  norma  applicabile, non comporta alcuna applicazione
 giudiziale delle norme stesse, ma  costituisce  una  mera  operazione
 logica  di  confronto  fra  due  descrizioni  di  fattispecie,  e fra
 ciascuna di esse e la condotta  contestata  all'imputato,  operazione
 preliminare   e   strumentale   rispetto   alla  scelta  della  norma
 eventualmente applicabile, e non condizionata  dall'eventuale  dubbio
 sulla illegittimita' costituzionale dell'una o dell'altra norma;
     che  pertanto  la  questione  e' manifestamente inammissibile per
 difetto di attuale rilevanza.
   Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11  marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara   la   manifesta   inammissibilita'   della  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 323 del  codice  penale  (Abuso
 d'ufficio),  nel testo antecedente alla novella recata dalla legge 16
 luglio 1997, n. 234 (Modifica dell'art. 323  del  codice  penale,  in
 materia di abuso d'ufficio, e degli articoli 289, 416, 555 del codice
 di  procedura penale), sollevata, in riferimento all'art. 25, secondo
 comma, della Costituzione, dal tribunale di Sondrio  con  l'ordinanza
 in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 30 giugno 1998.
                        Il Presidente: Vassalli
                          Il redattore: Onida
                       Il cancelliere: Fruscella
   Depositata in cancelleria il 9 luglio 1998.
                       Il cancelliere: Fruscella
 98C0837