N. 545 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 maggio 1998
N. 545 Ordinanza emessa il 21 maggio 1998 dal pretore di Reggio Calabria, sezione distaccata di Melito Porto Salvo nel procedimento civile vertente tra Marrone Carmine e comune di Pozzuoli ed altro Esecuzione forzata per obbligazioni pecuniarie - Esecuzione per crediti nei confronti della pubblica amministrazione (nella specie: Comune) - Limiti - Ammissibilita' solo per le somme giacenti presso il tesoriere e non destinate all'assolvimento di un pubblico servizio - Inammissi'bilita' anche per le somme affluite in contabilita' speciale presso le sezioni decentrate di bancoposta e delle tesorerie provinciali - Rilevabilita' d'ufficio di detti vizi - Lesione del principio di eguaglianza - Violazione del diritto di difesa - Incidenza sul principio della precostituzione per legge del giudice naturale. (Legge 19 marzo 1993, n. 68, art. 11, p. 1-bis, e p. 4-bis; legge 29 ottobre 1984, n. 720, art. 1-bis, (recte: art. 11, comma 1-bis, d.-l. 18 gennaio 1993, n. 8, aggiunto dalla legge di conversione 19 marzo 1993, n. 68; art. 1-bis, comma 4-bis, legge 29 ottobre 1984, n. 720, aggiunto dall'art. 11, comma 1-ter, d.-l. 18 gennaio 1993, n. 8); d.lgs 25 febbraio 1995, n. 77, art. 113). (Cost., artt. 3, 24 e 25).(GU n.34 del 26-8-1998 )
IL VICE PRETORE Ha emesso la seguente ordinanza sciogliendo la riserva nella procedura esecutiva n. 15194/94 promossa da avv. Fulvio Ricca contro il comune di Pozzuoli, nonche' Ente Poste italiane; Ritenuto che: con ordinanza del 22 febbraio 1995 questo pretore rimetteva davanti la Corte costituzionale la legittimita' dell'art. 11 della legge n. 68/1993 nelle sue varie articolazioni, e cioe': art. 1-bis "inammissibilita' delle esecuzioni forzate presso soggetti diversi dal tesoriere" art. 4-bis "presso le sezioni decentrate del bancoposta e della sezione di tesoreria dello Stato" in quanto queste norme pongono gli enti pubblici territoriali in una situazione di privilegio rispetto ai debitori privati, con palese violazione dei principi ex art. 3 e 24 Cost.; con ordinanza del 3 aprile 1996, la Corte costituzionale rimetteva a questo pretore la questione perche' la norma dell'art. 11/1-bis era stata soppressa dall'art. 123 del d.lgs. n. 77/1995, omettendo pero' di pronunciarsi sulla questione di legittimita' dell'art. 11, punto 4-bis, della stessa legge n. 68/1993, che si inserisce nella legge n. 720/1984 (norme sulla tesoreria unica). La questione appare ancora rilevante nel procedimento di specie perche' una norma successiva, dal contenuto peraltro assolutamente identico, non puo' incidere sulla procedibilita' della esecuzione di specie perche' promossa in violazione di norme cogenti al momento della notifica dell'atto di pignoramento. Non pare dubbio che le norme censurate di costituzionalita' appaiono in tutta la loro illogicita' e manifesta incostituzionalita' alla luce del costante orientamento della Corte costituzionale e della Corte di cassazione. Infatti e' ormai pacifico nella giurisprudenza di tali massimi Collegi che, davanti ad una sentenza di condanna la p.a. si trovi in una posizione paritetica a quella del privato cittadino e che le somme depositate presso un istituto di credito possano essere pignorate, salvo che una specifica disposizione di legge od un atto amministrativo dia loro una univoca e precisa destinazione a pubblico servizio, e siano quindi legittimamente sottratte alla garanzia generica ex art. 2740 c.c. ed art. 2910 c.c. La norma dell'art. 11, della legge n. 68/1993, punti 1-bis e 4-bis, censurata di costituzionalita' ha la peculiarita' di rendere assolutamente indisponibili, con vizio rilevabile d'ufficio, le somme degli enti pubblici territoriali in regime di tesoreria unica sol perche' depositate presso l'allora Ministro delle poste e confluite nella contabilita' speciale di tali enti. Il sistema creato dal legislatore con le norme dell'art. 11/1-bis (riconfermato senza soluzione di continuita' nell'art. 113, comma 1, d.lgs. n. 77/1995) ed il punto 4-bis, inserito nella legge n. 720/1984, e' assolutamente irrazionale perche' impone al creditore di un ente pubblico un modus procedendi assolutamente atipico, costringendolo a ricercare somme utilmente pignorabili presso un soggetto, il tesoriere, che difficilmente puo' rendere dichiarazione positiva. Nel contempo, al creditore dell'ente territoriale, in netta violazione degli artt. 3 e 24 Cost., viene preclusa la possibilita' di pignorare i beni del patrimonio disponibile dell'ente e le entrate proprie dello stesso che, pur avendo natura privatistico, si trovano presso soggetti diversi dal tesoriere. In particolare, tale sistema individua un vizio rilevabile d'ufficio quando si aggrediscono le somme affluite in contabilita' speciale che si trovano presso l'E.P.I. Questa norma appare di analogo contenuto a quella dell'art. 157, del d.P.R. n. 156, del 29 marzo 1973. Infatti, dopo la trasformazione del Ministero delle P.T. in E.P.I. S.p.a. e le sentenze n. 187/1995, ed altra di pari contenuto della Corte costituzionale che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 157, primo comma, del d.P.R. n. 156 del 29 marzo 1973 in quanto: "si trattava di un privilegio dell'amministrazione postale solitamente giustificato con il rilievo dell'esigenza di evitare intralci nella gestione del servizio, impedendo l'esercizio da parte di singoli creditori di azioni cautelari o esecutive". Secondo la sentenza della Consulta, questo privilegio e' venuto meno con la trasformazione dell'amministrazione postale in ente pubblico economico, ora in S.p.a., con la conseguenza che venuta meno la differenza tra sistema pubblico e privato, la norma censurata si traduceva in un privilegio ingiustificato dei titolari di crediti iscritti in libretti postali (o di c.c.p.), i quali vengono sottratti al principio dell'art. 2740, primo comma, c.c. Se cio' e' vero, le norme dell'art. 11/1-bis, della legge n. 68/1993, appaiono perfettamente identiche a quelle dichiarate incostituzionali, in quanto hanno operato una discriminazione ingiustificata a favore di una particolare categoria di correntisti postali (gli enti in tabella A), senza che cio' sia finalizzato alla funzione pubblica da essi svolta. Si deve considerare inolte che la p.a., nel sistema voluto dalla giurisprudenza piu' volte richiamata, e' un soggetto posto sullo stesso piano del privato, per cui il diritto positivo che ad essa si applica e' quello del codice di rito e quindi non pare logico che da parte del legislatore possano ancora essere dettate norme procedurali peculiari che privilegino la p.a. Le norme censurate dell'art. 11/1-bis, della legge n. 68/1993, ed ora art. 113, d.lgs. n. 77/1995, si pongono anche in contrasto con il principio del giudice naturale ex art. 25 Cost., perche' sottraggono al creditore di un ente pubblico la possibilita' di escuterlo laddove questi abbia beni e crediti utilmente pignorabili, e cioe' che non siano sottratti alla espropriazione forzata in virtu' di una specifica disposizione di legge o atto amministrativo che dia loro una univoca destinazione ai fini pubblici dell'ente. Inoltre il diritto di difesa e' violato perche' i vizi riconducibili alle norme censurate prescindono dagli schemi dettati dal codice di rito il quale agli artt. 615 e ss. c.p.c., prescrive con quali forme e con quali termini siano proponibili le opposizioni agli atti esecutivi. Le norme che oggi vengono censurate di costituzionalita' hanno la loro rilevanza nel procedimento de qua,in quanto, essendo stata proposta opposizione, sono di impedimento all'emissione del procedimento di assegnazione somme. Bisogna altresi' evidenziare che la Consulta ha omesso di fatto di pronunciarsi sulla questione, emettendo una ordinanza che non pare esaustiva delle legittime aspettative del cittadino. Il lungo tempo trascorso ed inutilmente perso ha inciso sul diritto del creditore che ha visto vanificare il proprio diritto sul presupposto errato dell'abrogazione di norme che invece non e' avvenuta.
P. Q. M. Nel richiamare tutte le motivazioni addotte nella precedente ordinanza del 22 febbraio 1995, nel ritenere rilevanti e non manifestamente infondate le questioni emerse con l'atto di opposizione, da atto che: 1) le questioni emerse dopo l'approvazione dell'art. 113, comma 1, d.lgs. n. 77/1995, (inammissibilita' delle esecuzioni forzate presso soggetti diversi dai tesorieri degli enti pubblici territoriali) hanno l'identica portata e rilevanza dell'art. 11/1-bis, della legge n. 68/1993, in quanto, in violazione degli artt. 3, 24 e 25 Cost., sottraggono alla garanzia generica ex art. 2740 e 2910 c.c., a prescindere dal fatto che sia data loro una specifica ed univoca destinazione ai fini pubblici dell'ente, ed impediscono al creditore privato di agire per la tutela del proprio diritto davanti tutti i giudici virtualmente competenti, laddove si trovino beni e crediti degli enti pubblici utilmente pignorabili, nonche' esulano dagli schemi procedurali degli artt. 615 e ss. c.p.c., violano il diritto di difesa dei loro creditori; 2) l'art. 11, punto 4-bis, della legge n. 68/1993, inserito nell'art. 1-bis, della legge n. 720/1984 (inammissibilita' delle esecuzione forzate presso le sezioni decentrate del bancoposta, pur limitta alle somme affluite in contabilita' speciale), si pone in contrasto con gli art. 3, 24 e 25 Cost., perche' garantisce all'ente pubblico, con vizio rilevabile d'ufficio, una garanzia maggiore di quella attribuita agli altri correntisti postali ed a quelli inerenti i rapporti con gli istituti di credito; Sospende pertanto la procedura esecutiva de qua e manda alla cancelleria di trasmettere alla Corte costituzionale il fascicolo e di notificare la presente ordinanza alle parti ed a tutti i destinatari previsti dalla legge. Cosi' deciso in Melito P. S., addi' 21 maggio 1998. Il vice pretore: Palermo 98C0855