N. 589 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 maggio 1998

                                N.  589
  Ordinanza emessa il 2 maggio 1998 dal giudice di pace di Cassino nel
 procedimento  civile  vertente  tra  Buttaglieri  Antonio e comune di
 Piedimonte S.  Germano
 Processo civile - Competenza del giudice di  pace  per  le  cause  di
    risarcimento del danno conseguente alla circolazione dei veicoli -
    Infortuni  dovuti  alle  insidie  ed  ai  trabocchetti  del  manto
    stradale - Omessa previsione - Incidenza sul principio del giudice
    naturale.
 (C.P.C., art. 38, primo comma).
 (Cost., art. 25).
(GU n.36 del 9-9-1998 )
                          IL GIUDICE DI PACE
   Ritenuto che nella causa vertente tra Buttaglieri Antonio e  comune
 di  Piedimonte S. Germano (Frosinone) iscritta al n. 96/1997 r.g.a.c.
 si rende necessario, ai fini della decisione, sollevare la  questione
 di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  38,  comma 1, c.p.c., in
 relazione dell'art. 25 della Costituzione nella parte in cui  prevede
 che  la  incompetenza  per materia e per valore "sono rilevate, anche
 d'ufficio, non oltre la prima  udienza  di  trattazione",  emette  la
 seguente ordinanza:
             Svolgimento del processo e premessa di fatto
   Con  atto notificato il 28 gennaio 1997, Buttaglieri Antonio citava
 in giudizio davanti a questo g.p. il comune di Piedimonte S.  G.,  al
 fine  di  sentirlo  condannare  al  ristoro dei danni da lui medesimo
 subiti,  a  seguito  di  incidente  stradale  dovuto   alla   cattiva
 manutenzione da parte dell'amministrazione convenuta.
   L'attore adduceva che il giorno 22 luglio 1995 la sua auto Fiat 131
 tg.  RM  W  42667 da lui guidata transitava per la strada "Parito" in
 agro del predetto  comune,  quando  finiva  in  una  buca  di  grandi
 dimensioni;  che  questa "insidia" era lungo la sua corsia di marcia,
 non  visibile  ne'  segnalata;  che,  a  seguito  del sinistro l'auto
 riportava vari danni e la propria persona varie lesioni.
   Riuscita  vana  ogni  iniziativa  di   risarcimento   bonario,   il
 Buttaglieri adiva questa magistratura di Pace.
   Si  costituiva  il comune che contestava il contenuto della domanda
 attorea.
   Esaurita la fase di trattazione  e  l'istruttoria,  all'udienza  di
 precisazione  delle  conclusioni, la difesa del convenuto eccepiva la
 incompetenza "per materia/valore"  del  giudice  adito.  Entrambi  le
 parti,  pero',  chiedevano  che  la  causa  venisse  riservata per la
 decisione  anche  nel  merito.  Il  giudice  di  Pace  disponeva   in
 conformita'.
                          Ritenuto in diritto
   1.  -  Questo  giudicante ritiene che la decisione sul merito della
 vertenza in esame non possa essere adottata, se non  sia  previamente
 risolta  la  questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 38,
 comma 1, c.p.c., che solleva d'ufficio, perche' ha  fondato  sospetto
 di  violazione  dell'art.  25  della Costituzione, il cui primo comma
 testualmente  recita:  "Nessuno  puo'  essere  distolto  dal  giudice
 naturale precostituito per legge".
   Tuttavia,   prima  di  procedere  nella  motivazione  del  ritenuto
 contrasto tra le norme suindicate, la normativa costituzionale impone
 che la  decisione  della  Corte  costituzionale  debba,  poi,  essere
 rilevante;  cioe' che il giudizio in corso "non possa essere definito
 indipendentemente dalla risoluzione della questione  di  legittimita'
 costituzionale"  (art.  23,  legge  n.  87). Ne segue che il presente
 discorso  debba  essere  articolato  e  graduato   in   quest'ordine:
 deliberazione  sulla eccezione relativa alla competenza, in quanto la
 proposizione della questione di costituzionalita'  richiede  che  sia
 acclarata  la  sussistenza  di  tutti  i  presupposti della lite e le
 condizioni di  ammissibilita'  dell'azione;  successivamente  occorre
 delibare  la  rilevanza  e la attendibilita', cioe' la "non manifesta
 infondatezza" della questione medesima.
   2. - Questione pregiudiziale relativa alla competenza.
   I) La difesa del convenuto ha sostenuto che la fattispecie  portata
 all'esame  di  questo  G.d.P.  sia  sussumibile nell'ambito del primo
 comma dell'art. 7, c.p.c., cioe'  tra  "le  cause  relative  ai  beni
 mobili  di valore non superiore a L. 5.000.000", non tra "le cause di
 risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli" di cui
 al comma 2 del medesimo articolo. Cosicche', la domanda  di  condanna
 al  risarcimento di L. 29.000.000 proposta dall'attore supererebbe in
 valore la competenza del g.p.
   Questo giudicante, percio', ritiene che la questione  implichi  una
 ponderata  esegesi  dell'art.  7,  c.p.c., con attenzione particolare
 alla locuzione "danno prodotto dalla circolazione di veicoli", le cui
 relative cause sono attribuite alla competenza per  valore  del  g.p.
 fino  al  limite massimo di L. 30.000.000. Sembra a questo magistrato
 che il secondo comma della norma de qua costituisca eccezione,  cioe'
 sia  una  lex  specialis,  un aliud rispetto alla norma contenuta nel
 primo comma, che prevede  obbligazioni  nascenti  da  fatti  illeciti
 derivanti  dal  generale  principio  del  neminem  laedere consacrato
 nell'art.  2043, codice civile.
   Orbene,  l'ampia formulazione di questo articolo, ("qualunque fatto
 .... che cagiona ad altri un danno ingiusto") non ammette correttivi,
 se non per legge. Ed il secondo comma del ridetto art. 7, c.p.c.,  si
 prospetta appunto come riserva di legge, disciplinando separatamente,
 ai  fini  della  determinazione  della  competenza  per materia e per
 valore, "il danno prodotto dalla circolazione di veicoli".
   Non sfugge a questo giudicante la vexsata quaestio in  ordine  alla
 interpretazione  della locuzione ora riprodotta, la quale viene letta
 prevalentemente nel senso  che  le  controversie  di  competenza  del
 G.d.P.    afferiscono  al danno prodotto dai veicoli in circolazione,
 non anche al danno subito per eventi diversi.
   II) Il verum et certum legis colto da questa interpretazione, dalla
 quale il giudicante non ha motivo di discostarsi, e' fondato  su  due
 regole  di  ermeneutica:  a)  la  c.d.  interpretazione  letterale  o
 grammaticale; b) la coerenza sistematica introdotta da Celso (Dig. 1,
 3, 24);
     a) la grammatica italiana usa la preposizione da e le  sue  forme
 articolate per indicare i complementi di agente e di causa efficiente
 di  un  evento.  Ne  deriva che "danno prodotto dalla circolazione di
 veicoli" si presenta come una locuzione traslata per dire:  "prodotto
 da  veicolo  in  circolazione";  non  puo' significare - come pure e'
 stato  detto  -  "in  occasione"  della  circolazione   del   veicolo
 danneggiato da altra causa efficiente.
     b)  l'elemento  sistematico  fra  le leggi induce l'interprete ad
 accostare il secondo comma dell'art. 7, cit.  all'art.  2054,  codice
 civile  che  usa  una  terminologia identica, quando statuisce che il
 danno "prodotto dalla circolazione  del  veicolo"  e  risarcibile  da
 parte  del  conducente.  In breve, nella previsione del secondo comma
 dell'art. 7 rientra il danno prodotto dal veicolo circolante,  mentre
 il  danno  subito dal veicolo stesso in un processo causativo diverso
 in cui la causa efficiente sia data da un "qualunque" fatto  illecito
 forma oggetto di disciplina del primo comma del ridetto articolo.  Di
 conseguenza,  nel caso di specie la causa efficiente del danno subito
 dal veicolo dell'attore e' riposta nella "insidia"  o  "trabocchetto"
 costituito    dalla    buca    priva    di   segnaletica.   L'incuria
 dell'amministrazione convenuta e' fatto illecito violativo  del  gia'
 ricordato   precetto   del  neminem  laedere  e  lesivo  del  diritto
 soggettivo, tutelato, dell'attore.
   III) Quoad processum deriva che la fattispecie in esame cade  sotto
 il  regime giuridico processualcivilistico del comma 1, dell'art.  7,
 c.p.c., per cui la domanda  dell'attore  esula  dalla  competenza  di
 questo G.d.P.
   3.  -  Questione di costituzionalita': Non manifesta infondatezza e
 rilevanza.
   A questo punto s'innesta la non meno  difficile  questione  insorta
 all'udienza  di  precisazione delle conclusioni, in cui la difesa del
 convenuto ha eccepito, sia pure  tardivamente,  la  incompetenza  per
 "materia/valore" di questo giudice di Pace. Ma l'attore ha contestato
 l'applicabilita' dell'art. 7, comma 1, c.p.c.
   Il  punctum dolens e' costituito dall'art. 38, comma 1, c.p.c., che
 dispone testualmente: "L'incompetenza per materia, quella per  valore
 ...  sono  sollevate,  anche d'ufficio, non oltre la prima udienza di
 trattazione". Uno sbarramento  insormontabile,  se,  facendo  ricorso
 all'elemento  storico-interpretativo, ci si ricordi che la precedente
 formulazione della norma  de  qua  consentiva  al  giudice  adito  di
 dichiarare la carenza del suo potere giurisdizionale anche nella fase
 decisoria  ("in  ogni  stato  e  grado  del processo") ed ordinare la
 trasmigrazione del processo al giudice  competente.  Quid  iuris  nel
 caso che attualmente ne occupa?
   La  risposta  all'interrogatorio  non  e'  facile. Il giudicante e'
 posto davanti al dilemma: decidere nel merito per essersi  verificata
 decadenza  ex  art.  38,  c.p.c.,  ovvero  non decidere nel merito in
 ossequio all'art. 25 della Costituzione. Tertium non dotur.
   Le  due  norme  appaiono  al  remittente  in  stridente  contrasto:
 l'applicabilita'  dell'una  esclude  l'applicabilita'  dell'altra, la
 quale   sembra   contrastare   anche    con    tutto    il    sistema
 processualcivilistico,   come   ad   esempio,   col  principio  della
 inderogabilita' della competenza consacrato nell'art.  6, c.p.c.
   Ma, come detto, l'art. 38 e' in contrasto  col  precetto  dell'art.
 25  della  Costituzione secondo cui "nessuno puo' essere distolto dal
 giudice naturale precostituito per legge" (comma 1).
   Cio' significa che il  principio  della  naturalita'  coincide  con
 quello  della  precostituzione  del  giudice,  nel senso che l'organo
 giudicante debba essere stato istituito dalla  legge  sulla  base  di
 criteri  generali  previamente  determinati rispetto a fattispecie da
 verificarsi in futuro.
   Nega il costituente che il potere decisionale  di  un  giudice  sia
 determinato  secundum  eventum, per evitare ogni pericolo di arbitrio
 nella determinazione della competenza a posteriori.
   Orbene  l'art.  38,  comma  1,  c.p.c,  contrasta  con  i  principi
 garantisti  della  Costituzione,  perche',  come  nel caso di specie,
 consente la trattazione di una singola causa da parte di  un  giudice
 carente  del  potere giurisdizionale, per cui l'eventuale sentenza di
 merito sarebbe una  Missa  sine  Domine,  una  sentenza  inesistente,
 rifiutata, cioe', dal nostro ordinamento giuridico.
   In  altri  termini, il primo comma dell'art. 38 si pone in antitesi
 con  il  precetto  dell'art.  25  della  Costituzione.  Infatti,  nel
 provocare  il  radicamento  di  un  procedimento  dinanzi  al giudice
 carente del potere giurisdizionale, per il  solo  fatto  materiale  e
 processuale  dell'intempestiva  eccezione o dell'intempestivo rilievo
 d'ufficio, deroga sostanzialmente al  dettato  costituzionale,  cioe'
 consente  di  sostituire  al giudice naturale altro giudice virtuale,
 speciale e per una sola causa, il quale,  pur  carente  in  nuce  del
 potere  giurisdizionale,  lo verrebbe ad acquisire non per previsione
 normativa generale, ne' per previsione normativa particolare, ne' per
 una disciplina predeterminata, bensi' per  un  fatto  endoprocessuale
 (rectius;   per   una  omissione  endoprocessuale)  che  finisce  per
 trasferire nella "disponibilita'" delle parti la scelta del  giudice,
 anzi,  addirittura,  consente  l'aberrazione  giuridica  di destinare
 all'attivita' o all'omissione del giudice  adito  di  autocostituirsi
 nel singolo procedimento quale giudice naturale.
   La  conseguenza  di  simile  scelta  normativa e' evidente: parti e
 giudice diventano arbitri del procedimento legibus solutiĀ³
   D'altra  parte  a  questa  sconcertante  conclusione  si   potrebbe
 giungere anche per collusione delle parti, le quali si accorderebbero
 per  scegliere  il  G.d.P. incompetente, al fine putacaso di ottenere
 una rapida decisione o per altri reconditi motivi.
   Ora,  non occorre risalire alla concezione Kelsiana della gerarchia
 delle  norme  per  convincersi  di  cio'  che  e'  ovvio  nel  nostro
 Ordinamento giuridico, cioe' che le norme costituzionali appartengono
 al  massimo  rango gerarchico e, percio', ad esse debbono uniformarsi
 le norme di fonte legislativa.
   IV) Ne' puo' essere pretermessa un'altra considerazione  di  ordine
 sistematico.  La predeterminazione della competenza (ratione materiae
 ac valoris) e' scelta dal legislatore e  mirata  a  precostituire  la
 quantita'   (o   se   aggrada,   i   limiti   legittimi)   di  potere
 giurisdizionale attribuita a ciascun giudice,  inteso  come  ufficio:
 essa  predeterminazione  e'  garanzia  democratica,  perche' chiunque
 sappia e' il magistrato che giudichera' una sua eventuale domanda,  e
 risponde all'esigenza garantistica di una gerarchia giudiziaria nella
 valuitazione del thema decidendum. Ne segue che al giudice di pace e'
 assegnata  (mi  si  passi la terminologia chiavendiana) una "fetta" o
 "misura"  della   funzione   giurisdizionale   correlata   alla   sua
 presumibile  esperienza giudicatrice, mentre al pretore e' attribuita
 una  "fetta",  qualitativamente  o  economicamente,   superiore;   al
 tribunale,  in  sede  monocratica,  una fetta ancora piu' elevata; al
 tribunale collegiale il top della casistica.
   Orbene,  ammettere  la  derogabilita'  della   competenza   ratione
 materiae ac valoris significherebbe non piu' garantire la competenza,
 che  i  nostri  padri  hanno  definito  "per  gradi"  del giudice; ma
 significherebbe favorire la  demolizione  del  sistema  ordinamentale
 giudiziario  generale,  che  determina  il  rigoroso  principio della
 pluralita' dei gradi di giurisdizione, che nel nostro sistema, com'e'
 noto, sono tre.
   V) Le superiori considerazioni, a parere  del  remittente,  valgono
 quale "filtro" o "selettore" per sostenere che la sollevata questione
 di   legittimita'   costituzionale,   lungi   dall'essere   una  mera
 esercitazione intellettuale, ben  dimostra  la  sussistenza  dei  due
 requisiti  voluti  dalla  legge  n. 87/1953: la c.d. "rilevanza" e la
 "non manifesta infondatezza della questione".
   La rilevanza di questa poggia sulla rilevanza dell'art.  38,  comma
 1, da applicare nel caso di specie.
   Il  secondo  "filtro"  (non  manifesta  infondatezza) e' dato dalla
 serieta' della questione, la quale  prima  facie  non  e'  infondata:
 questo  G.d.P. dubita della legittimita' costituzionale del cit. art.
 38, per cui ritiene gli sia vietato applicarlo, e  che  anzi  gli  e'
 doveroso  sospenderne  l'applicazione fino alla pronuncia della Corte
 costituzionale.
                               P. Q. M.
   Visti gli artt.  1,  legge  costituzionale  n.  1/1948,  23,  legge
 costituzionale n. 87/1953 e 134 della Costituzione;
   Ritenuta  rilevante  e non manifestamente infondata la questione di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  38,  comma  1,  c.p.c.,  per
 contrasto  col  parametro  consacrato  nell'art.  25,  comma 1, della
 Costituzione, con gli effetti di cui in motivazione, cosi' provvede;
   Sospende il giudizio in corso;
   Dispone la immediata trasmissione degli atti processuali alla Corte
 costituzionale a cura della cancelleria;
   Manda la cancelleria per la notifica della presente ordinanza  alle
 parti  in  causa  e al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonche'
 per la comunicazione della medesima ai Presidenti  delle  due  Camere
 del Parlamento.
   Cosi' deciso in Cassino, addi' 2 maggio 1998.
                    Il giudice di pace: Manfellotto
 98C0962