N. 327 SENTENZA 14 - 24 luglio 1998

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Corte dei conti - Azione di responsabilita'  per  danno  erariale  -
 Mancato  esercizio  nei  confronti degli amministratori locali per la
 mancata  copertura  minima  del  costo   dei   servizi   comunali   -
 Orientamento  legislativo volto a salvaguardare maggiormente la sfera
 dell'autonomia gestionale e  a  rendere  recessivo  il  criterio  dei
 vincoli rigidi di copertura dei costi dei servizi - Non fondatezza.
 
 (D.-L.  23  ottobre 1996, n. 543, art. 3, comma 2-ter, convertito con
 modificazioni nella legge 20 dicembre 1996, n. 639).
 
 (Cost., artt. 3, primo comma, 24, primo comma, 25, primo  comma,  81,
 quarto  comma,  97,  primo  comma,  103,  secondo  comma, 113 primo e
 secondo comma, e 128).
 
(GU n.35 del 2-9-1998 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco GUIZZI, prof.
 Cesare MIRABELLI, prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI,
 dott.   Cesare   RUPERTO,   dott.  Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo
 ZAGREBELSKY,  prof.  Valerio  ONIDA,  prof.  Carlo  MEZZANOTTE,  avv.
 Fernanda  CONTRI,  prof.  Guido  NEPPI  MODONA,  prof.  Piero Alberto
 CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma  2-ter,
 del d.-l. 23 ottobre 1996, n. 543 (Disposizioni urgenti in materia di
 ordinamento  della  Corte  dei conti), convertito, con modificazioni,
 nella legge 20 dicembre 1996, n. 639, promossi con ordinanze emesse:
   1)  il  16  gennaio   1997   dalla   Corte   dei   conti,   Sezione
 giurisdizionale regionale per la Basilicata, di Potenza, nel giudizio
 di responsabilita' promosso dal Procuratore regionale della Corte dei
 conti  nei confronti di Signorella Maria ed altri, iscritta al n. 117
 del registro ordinanze 1997 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
 della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell'anno 1997;
   2) il 9 gennaio 1997 dalla Corte dei conti, Sezione giurisdizionale
 per la Regione Molise, di Campobasso, nel giudizio di responsabilita'
 a  carico  di  Meffe  Domenicantonio ed altri, iscritta al n. 275 del
 registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
 Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell'anno 1997.
   Visti  gli  atti  di  intervento  del  Presidente del Consiglio dei
 Ministri;
   Udito nella camera di  consiglio  del  25  marzo  1998  il  giudice
 relatore Massimo Vari.
                           Ritenuto in fatto
   1.1.  -  Con  ordinanza  emessa il 16 gennaio 1997 (r.o. n. 117 del
 1997), la Sezione  giurisdizionale  della  Corte  dei  conti  per  la
 Basilicata  ha  sollevato - in riferimento agli artt. 3, primo comma,
 24, primo comma, 25, primo comma, 81, quarto comma, 97, primo  comma,
 103,  secondo  comma,  113,  primo  e  secondo  comma,  e  128  della
 Costituzione - questione di legittimita' costituzionale dell'art.  3,
 comma 2-ter, del d.-l.  23 ottobre 1996, n. 543 (Disposizioni urgenti
 in  materia  di  ordinamento  della Corte dei conti), convertito, con
 modificazioni, nella legge 20 dicembre 1996, n. 639, secondo il quale
 l'azione di responsabilita' per danno erariale non  si  esercita  nei
 confronti  degli  amministratori  locali,  per  la  mancata copertura
 minima del costo dei servizi.
   1.2. - L'ordinanza e' stata emessa nel  corso  di  un  giudizio  di
 responsabilita'  promosso  dal Procuratore regionale nei confronti di
 tre componenti la giunta del comune  di  Miglionico,  in  carica  per
 l'anno  1989,  quali  presunti  responsabili  di danno all'erario per
 l'importo di L. 7.797.730 (oltre la  rivalutazione  monetaria  e  gli
 interessi  legali),  corrispondente al minore introito realizzato dal
 comune, in conseguenza del  mancato  adeguamento  delle  tariffe  del
 servizio  di  smaltimento  rifiuti  solidi  urbani,  prescritto dalla
 legislazione vigente, al fine di raggiungere la copertura minima  del
 50 per cento dei costi di gestione.
   Intervenuta  nel  corso  del giudizio la disposizione censurata, il
 rimettente ritiene che essa sia da  considerare  norma  di  carattere
 processuale  e quindi, come tale, di immediata applicazione, donde la
 rilevanza della sollevata questione.
   L'ordinanza   ritiene,  anzitutto,  che  la  norma  denunciata,  in
 contrasto con il principio di buon  andamento  di  cui  all'art.  97,
 primo  comma,  della  Costituzione,  comporti  "un'alterazione  della
 funzionalita'" degli enti locali, dal punto di vista del  reperimento
 dei   necessari   mezzi   finanziari,  inducendo,  da  un  lato,  gli
 amministratori  locali  a  non  sentirsi  vincolati  a  disporre   un
 impopolare  adeguamento  delle  tariffe, e, dall'altro, impedendo, il
 risarcimento dei danni  da  costoro  provocati  alle  amministrazioni
 locali gestite.
   Nell'assumere  violato,  altresi',  il criterio dell'imparzialita',
 che  "si  risolve  essenzialmente  nel   rispetto   della   giustizia
 sostanziale",  il rimettente rileva, inoltre, la contraddizione della
 disposizione con i principi generali posti dalla legge 8 giugno 1990,
 n.  142,  e  dal  decreto  legislativo  25  febbraio  1995,  n.   77,
 sull'equilibrio  finanziario delle gestioni locali, tale da dar luogo
 di fatto ad una "sanatoria per le future violazioni di una importante
 legge che si lascia senza alcuna sanzione effettiva".
   Ricordato  che  l'ampia  discrezionalita'  del  legislatore,  nella
 valutazione  del rapporto di compatibilita' tra azione amministrativa
 (e finanziaria) e principio di buon andamento, trova un  insuperabile
 limite nel pubblico interesse, si osserva che, nel caso di specie, il
 precetto  non  rinviene  ne'  giustificazioni di ordine generale, ne'
 motivazioni in esigenze di natura economica o finanziaria.  Anzi,  la
 perdita  di  ingenti  fondi  senza possibilita' di recupero, sia pure
 attraverso il risarcimento dei  danni,  comporterebbe  la  violazione
 anche   dell'art.   128   della  Costituzione,  essendo  impedito  il
 perseguimento di finalita' di interesse delle comunita' locali.
   Nel porsi come negazione di una razionale e coerente  attivita'  di
 amministrazione  e fonte di un regime di irresponsabilita', anche per
 il futuro, "di amministratori infedeli", collocabile tra  gli  esempi
 di "diseducazione civile", sui quali la giurisprudenza costituzionale
 si  e' piu' volte pronunciata, la disposizione, ad avviso del giudice
 a quo, contrasta, altresi', con l'art. 3 della Costituzione,  per  la
 posizione di ingiustificato privilegio attribuita agli amministratori
 locali   (tra   i   quali   i  convenuti)  nei  confronti  sia  degli
 amministratori di enti non locali, sia dei  dipendenti  della  stessa
 categoria  di  enti, come pure dei dipendenti dello stesso "comune di
 appartenenza"; a sua volta si verificherebbe, in via  speculare,  una
 situazione  di  disparita'  di  trattamento fra gli enti locali e gli
 enti non inquadrabili in tale categoria, mentre, per converso, l'ente
 locale,  cui  appartengono  gli  amministratori   destinatari   della
 disposizione  in  questione,  verrebbe  a  trovarsi  in  posizione di
 svantaggio   altrettanto   ingiustificata   nei    confronti    degli
 amministratori medesimi e di quelli futuri.
   Dal  quadro normativo in questione scaturirebbe anche la violazione
 degli artt. 24, primo comma, e 113,  primo  e  secondo  comma,  della
 Costituzione,  risultando  il  comune  di Miglionico - come tutti gli
 altri  enti  locali  -  privato  della  tutela  innanzi  al   giudice
 contabile,  realizzata attraverso l'azione del competente Procuratore
 della Corte dei conti, nonche' innanzi a qualsiasi altro giudice.
   La disposizione censurata sarebbe, inoltre, irrispettosa  dell'art.
 81, quarto comma, della Costituzione, non recando la legge n. 639 del
 1996  una  previsione  di  copertura  finanziaria della minor entrata
 derivante, agli enti locali, dal mancato recupero dei danni provocati
 alla loro finanza.
   Atteso  il  c.d. carattere derivato della finanza locale, al minore
 introito realizzato dagli enti locali dovrebbe, infatti, sopperire il
 bilancio statale, con ulteriori trasferimenti di fondi.
   Risulterebbero violati, infine, gli artt. 103, secondo comma, e 25,
 primo  comma,   della   Costituzione,   giacche'   l'intervento   del
 legislatore  non  potrebbe,  ragionevolmente,  giungere  ad escludere
 ipotesi di responsabilita' rientranti nell'ambito della  contabilita'
 pubblica,  intesa  secondo l'accezione tradizionale della nozione. Al
 tempo stesso il principio  del  giudice  naturale  precostituito  per
 legge  impedirebbe  qualunque  sottrazione  di sfera giurisdizionale,
 successivamente   al   verificarsi   del    fatto    generatore    di
 responsabilita',  sia  nel  senso  di  attribuzione  ad  altro organo
 giudiziario  che  in  quello  di  esclusione   di   ogni   forma   di
 giurisdizione.
   1.3.  - E' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.
   L'Avvocatura  dello  Stato esclude, anzitutto, che, con la legge in
 questione, sia stata realizzata, in  contrasto  con  l'art.  3  della
 Costituzione,   una  limitazione  generale  ed  ingiustificata  della
 responsabilita' degli amministratori degli  enti  locali,  avendo  il
 legislatore conformato la responsabilita' degli stessi amministratori
 alle  mutate realta'.  La disposizione censurata ha escluso che possa
 essere esercitata l'azione di  responsabilita'  nei  confronti  degli
 amministratori  locali,  unicamente  nel  caso  di  mancata copertura
 minima del costo dei servizi, in quanto  esiste  gia'  una  "sanzione
 specifica",  costituita dalla riduzione del trasferimento di fondi da
 parte dello Stato, ferma restando la responsabilita'  politica  degli
 amministratori  locali, nei confronti della collettivita' locale come
 corpo elettorale.
   Rilevato che la previsione di  statuti  differenziati  in  tema  di
 responsabilita'  non  da'  luogo,  di  per  se', ad un ingiustificato
 trattamento di favore, l'Avvocatura reputa, inoltre, insussistente la
 violazione degli artt. 24 e 113  della  Costituzione,  in  quanto  il
 comune  potrebbe sempre avvalersi degli strumenti ordinari di tutela,
 nei confronti degli amministratori infedeli, per il  danno  erariale,
 rappresentato,  in  questo caso, dalla riduzione del trasferimento di
 fondi statali.
   Neppure  pertinente  alla  fattispecie  sarebbe  il   richiamo   al
 principio  del  giudice  naturale,  di  cui all'art. 25, primo comma,
 della  Costituzione,  il  quale  non  impedisce  al  legislatore   di
 "escludere che un determinato atto sia suscettibile di danno erariale
 dopo che l'atto sia stato posto in essere". Ne' puo' dirsi violata la
 disposizione di cui all'art.  103, secondo comma, della Costituzione,
 che  riserva  alla  Corte  dei  conti  la giurisdizione in materia di
 contabilita' pubblica, e che va letta in collegamento con  l'art.  97
 della  Costituzione,  atteso  che,  in  tema  di  responsabilita' nei
 confronti  dei   pubblici   amministratori,   non   puo'   affermarsi
 l'esistenza di un principio di inderogabilita' delle comuni regole di
 responsabilita'.   Si   tratta,   quindi,  di  materia  rimessa  alla
 discrezionalita' del legislatore, sindacabile unicamente in  caso  di
 arbitrarieta' e manifesta irragionevolezza delle scelte.
   In  realta',  la  disposizione  censurata  andrebbe  inquadrata nel
 contesto  del  mutato  assetto  dell'organizzazione  della   pubblica
 amministrazione  scaturente  dal decreto legislativo 3 febbraio 1993,
 n.  29,  che  collega  la  valutazione  del  personale  ai  risultati
 conseguiti;  richiedendo  che  la  responsabilita'  venga vagliata in
 concreto, sulla base dei canoni di prevedibilita' e prevenibilita', e
 prendendo in considerazione non  solo  la  produzione  di  un  "danno
 patrimoniale  conseguente  ad  una  condotta  gravemente colposa", ma
 anche "l'utilita' conseguita dall'amministrazione o dalla comunita'".
   Ne'  la  norma  censurata  presenterebbe  una  valenza  diretta  ad
 introdurre  un  onere  per  il bilancio dello Stato, in contrasto con
 l'obbligo di copertura sancito dall'art. 81  della  Costituzione,  in
 quanto  si  limita  ad  escludere l'azione di responsabilita', ma non
 nega l'esistenza del principio della copertura minima dei  costi  dei
 servizi pubblici.
   D'altra   parte  -  prosegue  l'Avvocatura  erariale  -  lo  stesso
 procedimento di risarcimento del danno erariale non assicurerebbe "in
 modo  indefettibile"  l'integrale  recupero,   da   parte   dell'ente
 pubblico,  della  somma  corrispondente alla mancata entrata, poiche'
 sulla quantificazione del danno  viene  ad  incidere  sia  l'elemento
 psicologico,  sia l'eventuale esercizio del potere riduttivo da parte
 della Corte dei conti.
   2.1. - Con ordinanza emessa il 9 gennaio  1997,  anche  la  Sezione
 giurisdizionale  della  Corte  dei  conti  per il Molise ha sollevato
 questione di legittimita' costituzionale del predetto art.  3,  comma
 2-ter,  del  d.-l.  23  ottobre 1996, n. 543 (Disposizioni urgenti in
 materia di  ordinamento  della  Corte  dei  conti),  convertito,  con
 modificazioni, nella legge 20 dicembre 1996, n. 639, denunciandone il
 contrasto  con gli artt. 24, primo comma, 25, primo comma, 81, quarto
 comma, 103, secondo comma, 97, nonche' con  l'art.  3,  primo  comma,
 della Costituzione, con riferimento all'art. 1 della legge 14 gennaio
 1994,  n.  20  (Disposizioni  in materia di giurisdizione e controllo
 della Corte dei conti), all'art. 58 della legge 8 giugno 1990, n. 142
 (Ordinamento delle autonomie locali), ed alla normazione  in  materia
 di copertura dei costi dei servizi comunali.
   2.2.  -  L'ordinanza  e'  stata  emessa nel corso di un giudizio di
 responsabilita' promosso  dal  Procuratore  regionale  nei  confronti
 dell'ex  sindaco  nonche'  di quattro assessori del comune di Torella
 del Sannio, in carica nel periodo tra il settembre-dicembre  1987  ed
 il  1988,  quali  presunti responsabili del danno, quantificato in L.
 4.600.000 circa (oltre rivalutazione monetaria,  interessi  legali  e
 spese di lite), per l'asserita violazione delle disposizioni che, per
 l'anno  1988,  prescrivevano  la  copertura  obbligatoria  dei  costi
 complessivi del servizio comunale di  nettezza  urbana,  nella  quota
 percentuale minima del 60 per cento.
   Sopravvenuta, nel corso del giudizio, la disposizione censurata, il
 giudice  a  quo,  muovendo,  cosi'  come  l'altro  rimettente,  dalla
 premessa  che  si  tratti  di   norma   processuale,   immediatamente
 applicabile ai giudizi in corso, reputa la norma stessa in contrasto,
 anzitutto,  con  l'art.  24,  primo comma, della Costituzione, avendo
 l'effetto di impedire alla collettivita' locale  di  adire  qualsiasi
 sede  giurisdizionale,  per  ottenere  il  ristoro del danno subito a
 causa del comportamento antigiuridico dei suoi amministratori.
   La  disposizione  risulterebbe  contraria  anche all'art. 25, primo
 comma, della Costituzione, in quanto, intervenendo  a  posteriori  su
 specifiche  situazioni  e controversie analiticamente individuate, le
 sottrarrebbe    arbitrariamente    al    giudice     legislativamente
 precostituito,  nel caso di specie, dall'art. 58 della legge 8 giugno
 1990, n. 142 e dalle altre norme piu' generali da esso richiamate.
   Il rimettente ritiene, altresi', violato l'art. 103, secondo comma,
 della Costituzione, in correlazione con i principi di razionalita'  e
 ragionevolezza   desumibili   dall'art.  3,  in  quanto  la  disposta
 esclusione dell'azione  di  responsabilita'  amministrativa,  per  la
 mancata  copertura  dei  costi  dei  servizi  comunali,  verrebbe  ad
 incidere sulla stessa sfera delle attribuzioni riservate  alla  Corte
 dei  conti  dal  predetto  articolo  della  Costituzione, al quale il
 legislatore ordinario ha dato attuazione, con le  leggi  n.  142  del
 1990  (art.  58),  n.  19 e 20 del 1994 e - da ultimo - con la stessa
 legge n. 639 del 1996, riservando  alla  giurisdizione  contabile  la
 cognizione  delle  ipotesi  di  responsabilita'  derivanti  da  fatti
 illeciti commessi dagli amministratori locali. La deroga in questione
 si presenterebbe incoerente con il sistema  delineato  attraverso  le
 norme di carattere generale sopraindicate, nonche' arbitraria perche'
 influente  su  singoli  giudizi  gia' incardinati, senza che si possa
 individuare alcun interesse pubblico, tale da giustificare l'elisione
 della garanzia giurisdizionale prevista dal  legislatore;  nei  sensi
 sopraesposti  la  nuova disposizione, nel quadro di una piu' radicale
 violazione della garanzia fondamentale di tutela offerta dall'art. 24
 della Costituzione, risulterebbe, quindi, collidere con  l'art.  103,
 secondo  comma,  della  Costituzione.    Ne'  la disposta deroga alla
 generale regola della perseguibilita' degli illeciti  commessi  dagli
 amministratori dell'ente locale, si puo' giustificare con l'esercizio
 della  discrezionalita'  riservata  al legislatore ordinario: invero,
 quest'ultima non puo' consentire l'introduzione di una limitazione  o
 preclusione  meramente  processuale,  in  contrasto  immotivato con i
 principi generali individuati, dallo stesso legislatore, in  tema  di
 responsabilita'   amministrativa.    Secondo  il  giudice  a  quo  la
 disposizione si pone, percio',  in  contrasto  con  il  principio  di
 ragionevolezza  desumibile  dall'art.  3  della  Costituzione, per il
 diverso trattamento riservato ad una  fattispecie  non  dissimile  da
 quelle  che  danno  luogo  alla  responsabilita'  amministrativa.  Si
 osserva, altresi', che, specularmente, in violazione del principio di
 uguaglianza e della certezza del diritto (art. 3, primo comma,  della
 Costituzione),  risultano  previsti  trattamenti analoghi sia per gli
 amministratori che hanno  rispettato  l'obbligo  di  provvedere  alla
 copertura  minima  dei costi dei servizi, sia per quelli che, invece,
 l'hanno disatteso.  La mancata perseguibilita'  degli  amministratori
 locali,  disposta  dalla  norma  censurata,  risulterebbe  contraria,
 altresi', al principio  di  cui  all'art.  81,  quarto  comma,  della
 Costituzione,  nel  cui  ambito  di  applicazione rientrano anche gli
 interventi legislativi  che  addossino  oneri  finanziari  agli  enti
 ricompresi  nella  cosiddetta  "finanza  pubblica allargata", secondo
 quanto enunciato dalla giurisprudenza costituzionale, atteso  che,  a
 causa  dell'imperseguibilita'  dei  responsabili  del  danno, l'onere
 finanziario corrispondente al costo minimo  dei  servizi  verrebbe  a
 gravare,  inevitabilmente,  sui  bilanci degli enti locali - mancando
 l'indicazione  della  relativa  copertura  -   con   il   conseguente
 aggravamento delle situazioni di squilibrio tra entrate e spese.
   Infine,  il  giudice a quo rileva che la disposizione censurata, in
 contrasto con l'art. 97 della Costituzione,  prevede  una  "sorta  di
 immunita'  personale  sopravvenuta in capo agli amministratori locali
 colpevolmente inadempienti", che priva le  norme,  che  impongono  la
 copertura  minima  del costo dei servizi, della loro forza persuasiva
 ed  incide  "negativamente  sul  raggiungimento  di  quelle  espresse
 finalita'  di  buona  amministrazione che lo stesso legislatore aveva
 inteso perseguire".
   2.3. - Intervenendo anche in questo  giudizio,  il  Presidente  del
 Consiglio  dei  Ministri  ha  chiesto che la questione sia dichiarata
 infondata, svolgendo argomentazioni sostanzialmente analoghe a quelle
 contenute nell'atto depositato nel giudizio di cui al r.o. n. 117 del
 1997.
                        Considerato in diritto
   1. - Entrambe le ordinanze in epigrafe -  emesse,  rispettivamente,
 dalla  Sezione giurisdizionale regionale della Corte dei conti per la
 Basilicata (r.o. n. 117 del 1997) e da quella per il Molise (r.o.  n.
 275  del  1997)  -  dubitano,  evocando  parametri  in   gran   parte
 coincidenti,  della  legittimita'  costituzionale  dell'art. 3, comma
 2-ter, del d.-l.  23 ottobre 1996, n. 543  (Disposizioni  urgenti  in
 materia  di  ordinamento  della  Corte  dei  conti),  convertito, con
 modificazioni, nella legge 20 dicembre 1996, n. 639, il quale dispone
 che "l'azione di responsabilita' per danno erariale non  si  esercita
 nei  confronti  degli  amministratori locali per la mancata copertura
 minima del costo dei servizi comunali".
   Le censure sollevate dai giudici rimettenti attengono agli  effetti
 che la contestata disposizione comporta, in contrasto con vari canoni
 costituzionali,  da  un canto, sugli equilibri di gestione degli enti
 locali e sulle connesse  responsabilita'  e,  dall'altro,  sui  mezzi
 riservati agli enti medesimi per la tutela in via giurisdizionale dei
 loro interessi.
   2.  -  Sotto  il primo aspetto, assume rilievo, fra i vari articoli
 della Costituzione evocati dai giudici rimettenti, anzitutto,  l'art.
 3  della  Costituzione,  che, secondo la prima ordinanza (r.o. n. 117
 del 1997), risulterebbe inciso per l'inammissibilita' del  privilegio
 cui  da'  luogo una condizione di "perpetua" irresponsabilita', anche
 futura, per atti dannosi; ne  discenderebbe,  altresi',  una  diffusa
 disparita'  di  trattamento  fra  soggetti che versano nella medesima
 situazione giuridica, e  cioe'  fra  gli  amministratori  degli  enti
 locali  e  quelli  di  enti  non  locali,  come  pure fra i primi e i
 dipendenti  dei  medesimi  enti  locali   che   abbiano   partecipato
 all'illecito;  ed,  infine,  fra  il  comune  e  gli  altri  enti non
 rientranti nella medesima categoria.
   A  sua  volta,  la  seconda  ordinanza  (r.o.  n.  275  del  1997),
 nell'evidenziare  il trattamento singolarmente derogatorio riservato,
 in  maniera  irragionevole  ed   immotivata,   ad   una   fattispecie
 astrattamente  inquadrabile  nell'ipotesi generale di responsabilita'
 per danno, quale si desume dai principi recati,  tra  l'altro,  dalla
 legge  n.  20  del  1994  e dall'art. 58 della legge n. 142 del 1990,
 lamenta la violazione dello stesso art.  3,  primo  comma,  sotto  il
 profilo  del  principio  di eguaglianza e della certezza del diritto,
 per aver riservato il medesimo trattamento  agli  amministratori  che
 hanno rispettato le norme in materia e a quelli che le hanno violate.
    3.  -  Le ordinanze ritengono, poi, che la denunciata disposizione
 contrasti con:
     l'art. 97, primo comma, della Costituzione, per la lesione recata
 al principio di buon andamento, dal momento che essa,  da  un  canto,
 induce  gli  amministratori  a  non  sentirsi vincolati a disporre un
 impopolare adeguamento delle  tariffe  e,  dall'altro,  impedisce  il
 risarcimento   dei  danni,  cosi'  violando  anche  il  principio  di
 imparzialita' (r.o. n. 117 del 1997);
     il medesimo art. 97, giacche' viene a mancare, per le norme sulla
 copertura minima del costo dei servizi, "una parte della  loro  forza
 persuasiva", con riflessi negativi sul raggiungimento delle finalita'
 di  buona  amministrazione  che  lo  stesso  legislatore aveva inteso
 perseguire (r.o. n. 275 del 1997);
     l'art. 81, quarto  comma,  della  Costituzione,  per  la  mancata
 indicazione  dei  mezzi  di copertura della minore entrata, derivante
 dal mancato recupero delle somme andate perdute dalle finanze locali.
    4. - Inoltre, in relazione ai  mezzi  di  tutela  giurisdizionale,
 apprestati  dall'ordinamento  in  favore  dell'ente  locale, la prima
 ordinanza (r.o. n. 117 del 1997), ritiene incisi:
     gli artt. 24, primo comma, e 113, primo e  secondo  comma,  della
 Costituzione,  venendo  meno  la  possibilita'  per  il comune di far
 valere i suoi  diritti  innanzi  al  giudice  contabile  o  ad  altro
 giudice;
     gli   artt.   103,  secondo  comma,  e  25,  primo  comma,  della
 Costituzione,   per   l'esclusione   di   ipotesi    specifiche    di
 responsabilita', "tradizionalmente e genericamente", rientranti nella
 materia  della  contabilita'  pubblica, nonche' per la sottrazione al
 giudice di una sfera di giurisdizione, successivamente al verificarsi
 del  fatto  generatore  della  responsabilita',  sia  nel  senso   di
 attribuzione  ad altro organo giudiziario che in quello di esclusione
 di ogni forma di giurisdizione.
   In termini piu' o meno analoghi, la seconda ordinanza (r.o. n.  275
 del 1997) denuncia violazione:
     dell'art.  24,  primo  comma,   della   Costituzione,   a   causa
 dell'esclusione  della  tutela  giurisdizionale  delle  collettivita'
 locali, in ordine al ristoro del danno ingiustamente cagionato  dagli
 amministratori;
     dell'art.  25,  primo  comma,  della  Costituzione,  in quanto la
 norma,  intervenendo  a  posteriori   su   specifiche   controversie,
 analiticamente    individuate,   le   sottrae,   arbitrariamente   ed
 irrazionalmente, al giudice precostituito per legge, senza che se  ne
 possa individuare alcun altro competente a giudicare;
     dell'art. 103, secondo comma, della Costituzione, per l'incidenza
 che la censurata disciplina ha sulla sfera di attribuzione riservata,
 in  via  generale,  alla Corte dei conti, appalesandosi la deroga ora
 introdotta  incoerente  con  il  sistema  preesistente,   come   pure
 irragionevole  ed arbitraria, perche' interferisce su singoli giudizi
 gia' incardinati, al di fuori di alcun interesse  pubblico  che  tale
 interferenza giustifichi.
   5.  -  Infine,  la sola prima ordinanza ritiene che la disposizione
 collida anche con l'art. 128 della Costituzione, per  l'ostacolo  che
 da  essa  deriverebbe  al  perseguimento  di  finalita'  di immediato
 interesse per le comunita' locali.
   6.  -  I  giudizi,  avendo  ad  oggetto  questioni  analoghe ovvero
 connesse, possono essere  riuniti  per  essere  decisi  con  un'unica
 sentenza.
   7.  -  Le  questioni  non sono fondate in riferimento ad alcuno dei
 richiamati parametri.
   8. - Onde delineare il quadro normativo nell'ambito  del  quale  le
 stesse  si collocano, giova rammentare che la contestata disposizione
 ha il suo presupposto sistematico nelle varie  leggi  in  materia  di
 finanza  locale,  che  hanno  previsto, nel tempo, l'obbligo, per gli
 enti locali, di adeguare le  tariffe  dei  servizi  pubblici  erogati
 (segnatamente,   quelli   c.d.   a  domanda  individuale,  quello  di
 smaltimento  dei  rifiuti  solidi   urbani   nonche'   quello   degli
 acquedotti),  al  fine  di raggiungere il livello minimo di copertura
 del  costo  di  erogazione   fissato   in   misure   legislativamente
 predeterminate, contemplando, come sanzione, in caso di inosservanza,
 la  perdita  di una quota del c.d. fondo perequativo. Tali leggi, per
 quanto riguarda particolarmente lo  smaltimento  dei  rifiuti  solidi
 urbani,  hanno  disposto  -  negli  anni  in contestazione innanzi ai
 giudici rimettenti, e cioe' gli anni 1988 e 1989 - una percentuale di
 copertura ammontante,  rispettivamente,  al  60  per  cento,  secondo
 quanto  stabilito  dall'art.  16  del d.-l.   31 agosto 1987, n. 359,
 convertito, con modificazioni, nella legge 29 ottobre 1987, n. 440, e
 del 50 per cento, in virtu' dell'art.  9 del d.-l. 2 marzo  1989,  n.
 66,  convertito,  con  modificazioni,  nella legge 24 aprile 1989, n.
 144; a sua volta seguito dall'art. 14 del d.-l. 28 dicembre 1989,  n.
 415,  convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio 1990, n.
 38, che stabili' tale percentuale del 50  per  cento,  quale  livello
 minimo a regime.
   Senonche',  detti  criteri,  con  gli  elementi  di  rigidita'  che
 comportavano   nella   gestione   di   enti   dotati   di   autonomia
 costituzionalmente garantita, sono stati in gran parte superati dalla
 legislazione  successiva  che,  a  partire dal decreto legislativo 30
 dicembre  1992,  n.  504   (Riordino   della   finanza   degli   enti
 territoriali,  a  norma  dell'art. 4 della legge 23 dicembre 1992, n.
 421), ha ristretto in linea di massima l'obbligo di copertura  minima
 ai servizi degli enti in situazione strutturalmente deficitaria (art.
 45),  di  pari  passo con il potenziamento della capacita' impositiva
 degli  enti  locali,  a   seguito   della   contestuale   istituzione
 dell'imposta  comunale  sugli  immobili.  Tenuto  conto,  poi,  degli
 ulteriori piu' recenti interventi, e' dato, allo stato, rilevare  che
 detto  obbligo, ormai, risulta di portata generale soltanto in ordine
 al  servizio  comunale  di  smaltimento  dei  rifiuti  solidi  urbani
 interni,  secondo  la  disciplina  dettata dal decreto legislativo 15
 novembre 1993, n. 507, restando,  viceversa,  limitato,  quanto  agli
 altri  servizi,  solo  agli enti che denotano disfunzioni gestionali,
 secondo le ipotesi legislativamente  previste  (per  cui,  vedi,  tra
 l'altro,  l'art.  19  del  decreto  legislativo 13 settembre 1997, n.
 342).
   In  via  del  tutto  generale  non  va,  inoltre,   ignorato   che,
 correlativamente  all'abbandono  del  menzionato  sistema  di vincoli
 gestionali, in tempi piu' recenti e'  venuta,  invece,  emergendo  la
 tendenza verso regole volte piu' ad orientare, che a condizionare, le
 scelte  degli enti locali, in modo maggiormente rispettoso della loro
 autonomia decisionale.  In tal senso va considerata l'introduzione di
 un sistema di indicatori delle linee di politica tariffaria e fiscale
 dell'ente  (il  c.d. "sforzo tariffario" e il c.d. "sforzo fiscale"),
 previsto dalla legge delega 23 dicembre 1996, n. 662, alla  quale  ha
 dato  attuazione  il decreto legislativo 30 giugno 1997, n. 244, che,
 fra gli strumenti di  provvista  finanziaria  in  favore  degli  enti
 locali,  ha  annoverato  (art. 1) il fondo per "la perequazione e gli
 incentivi", destinato, tra l'altro, all'erogazione  degli  "incentivi
 allo  sforzo  tariffario", che vengono commisurati al "maggiore tasso
 di copertura dei costi, con  introiti  da  tariffa,  realizzato,  nel
 corso  dell'ultimo  biennio  precedente".   I singoli contributi sono
 attribuiti "agli enti  che  hanno  valori  superiori  a  quelli  medi
 generali",  nell'ambito  degli  "aggregati"  in  cui sono suddivisi i
 comuni.
   A fronte di  un  orientamento  legislativo  volto  a  salvaguardare
 maggiormente  la  sfera  dell'autonomia  gestionale ed a rendere, nel
 contempo, recessivo il criterio dei vincoli rigidi di  copertura  dei
 costi  dei  servizi,  non  puo'  ritenersi impedito al legislatore di
 stabilire che il  mancato  rispetto  dei  parametri  legislativamente
 predeterminati,  in  tema  di  copertura  del  costo dei servizi, non
 costituisca  in  se'   fonte   di   responsabilita'   amministrativa,
 riconducendo,  in  tal modo, le determinazioni che incidono sul grado
 di copertura all'area della discrezionalita'.  E cio' avuto  riguardo
 anche  ai  nuovi  principi  introdotti  in materia di responsabilita'
 proprio dall'articolo in cui e' contenuta la contestata disposizione;
 e cioe' l'art. 3 del d.-l. 23 ottobre 1996, n. 543,  convertito,  con
 modificazioni,  nella  legge  20  dicembre 1996, n. 639, il cui primo
 comma espressamente contempla, con riferimento ai soggetti sottoposti
 alla giurisdizione della Corte  dei  conti,  "l'insindacabilita'  nel
 merito delle scelte discrezionali".
   9.-  Innanzitutto,  la  norma  impugnata  non  puo' considerarsi in
 contrasto con l'art. 3 della Costituzione, invocato  da  entrambe  le
 ordinanze  sotto  il  profilo  della  irragionevolezza  del peculiare
 trattamento  riservato,  in  deroga  alle   regole   generali   della
 responsabilita'  amministrativa,  agli amministratori che non abbiano
 osservato l'obbligo di copertura minima e, per  converso,  agli  enti
 locali danneggiati.
   Invero,  il parametro della eguaglianza contenuto nel predetto art.
 3, come la Corte altra volta ha avuto occasione di rilevare (sentenza
 n.  89  del  1996),  non  determina  affatto  l'obbligo  di   rendere
 immutabilmente  omologhi  fra  loro fatti e rapporti, ma individua la
 relazione che deve funzionalmente correlare la positiva disciplina di
 quei fatti o rapporti al paradigma dell'armonico trattamento  che  ai
 destinatari  di  tale disciplina deve essere riservato. Lo stesso non
 impedisce,  dunque,  al  legislatore  ordinario  di   emanare   norme
 differenziate  quando  la  disparita'  di  trattamento sia fondata su
 presupposti logici obiettivi, i quali razionalmente ne  giustifichino
 l'adozione,  purche'  si  rinvenga  una  motivazione  obiettivata nel
 sistema, che consenta di riscontrare  una  "causa"  o  ragione  della
 disciplina  introdotta, tale da renderla non irragionevole e per cio'
 stesso non arbitraria.
   Per le stesse ragioni, non appare fondata,  nel  quadro  dei  nuovi
 indirizzi  legislativi in tema di gestioni locali, nemmeno la censura
 sollevata sotto il profilo della violazione  dei  principi  dell'art.
 97 della Costituzione.
   10.   -   Quanto  agli  altri  parametri  evocati  con  riferimento
 all'ambito dei rimedi giurisdizionali, e' sufficiente rilevare che la
 garanzia apprestata dall'art. 24 della Costituzione opera attribuendo
 la tutela processuale  delle  situazioni  giuridiche  soggettive  nei
 termini in cui queste risultano riconosciute dal legislatore; di modo
 che  quella garanzia trova confini nel contenuto del diritto al quale
 serve e si modella sui concreti  lineamenti  che  il  diritto  riceve
 dall'ordinamento  (sentenza  n.  118 del 1969). E' evidente, percio',
 che tale tutela resta esclusa quando  il  legislatore,  in  modo  non
 irragionevole  e non arbitrario, stabilisce - sia pure attraverso una
 norma riguardante lo jus postulandi del Procuratore della  Corte  dei
 conti  - di far venir meno, come e' dato ritenere dalla ricostruzione
 del quadro normativo piu' sopra operata,  proprio  il  riconoscimento
 delle  situazioni sottostanti. Nel contempo va negato anche il vulnus
 all'art. 25 e all'art. 103 della  Costituzione,  dovendosi  rilevare,
 quanto  alla  prima  disposizione,  che  la finalita' della stessa e'
 quella di assicurare che  il  giudice  venga  individuato  attraverso
 criteri   precostituiti   per  legge,  e  non  in  vista  di  singole
 controversie, si' da garantirne l'assoluta imparzialita';  e,  quanto
 alla  seconda, che il suo obiettivo e' quello di riservare alla Corte
 dei conti la giurisdizione nelle materie  di  contabilita'  pubblica,
 secondo  ambiti  la  cui  concreta  determinazione  e'  rimessa  alla
 discrezionalita' del legislatore.  Ma ne' l'uno ne' l'altro  precetto
 sono tali da impedire al legislatore stesso di escludere, in modo non
 irragionevole  e  non  arbitrario, dal novero dei casi fonte di danno
 erariale, una fattispecie dopo che la stessa sia venuta in essere.
   Cio' non induce,  percio',  a  considerare  illegittima  la  norma,
 essendo  evidente che, come gia' altra volta rilevato, il legislatore
 e il giudice agiscono su piani diversi: l'uno su quello  suo  proprio
 introducendo  nell'ordinamento  un  quid  novi; l'altro applicando al
 caso concreto la legge (sentenza n. 155 del 1990).
   11. - Non maggiore appare il fondamento della  censura  prospettata
 in  riferimento  all'art.  81,  quarto  comma, della Costituzione, il
 quale contempla per il legislatore ordinario l'onere - a fronte della
 previsione di nuove spese ovvero, come chiarito dalla giurisprudenza,
 di minori entrate - di indicare i mezzi  di  copertura,  secondo  una
 regola  che  questa Corte ha ritenuto valere anche per il caso in cui
 detti oneri ricadano sugli enti  rientranti  nella  finanza  pubblica
 allargata.
   Infatti l'art. 81 esprime un principio che attiene ai limiti che il
 legislatore  ordinario  e'  tenuto  ad  osservare  nella sua politica
 finanziaria, ma non puo' certo investire la scelta che il legislatore
 compie nel ben diverso ambito della disciplina della  responsabilita'
 amministrativa.
   12. - Non pertinente appare, infine, l'evocazione sia del parametro
 dell'art.  113,  primo  e  secondo  comma,  della  Costituzione,  che
 assicura la tutela giurisdizionale contro  gli  atti  della  pubblica
 amministrazione, sia del parametro dell'art. 128, il quale stabilisce
 che  le  province  ed  i  comuni  sono  enti autonomi nell'ambito dei
 principi  fissati  da  leggi  generali  della  Repubblica,   che   ne
 determinano   le  funzioni;  articoli,  entrambi,  che,  invero,  non
 appaiono assumere specifico rilievo ai fini  della  problematica  qui
 affrontata.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti i giudizi, dichiara:
     non fondate le questioni di legittimita' costituzionale dell'art.
 3,  comma  2-ter,  del  d.-l.  23  ottobre 1996, n. 543 (Disposizioni
 urgenti in materia di ordinamento della Corte dei conti), convertito,
 con modificazioni, nella legge  20 dicembre 1996, n. 639,  sollevate,
 in  riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, primo comma, 25, primo
 comma, 81, quarto comma, 97, primo comma, 103,  secondo  comma,  113,
 primo  e  secondo  comma,  e  128  della  Costituzione, dalla Sezione
 giurisdizionale regionale della Corte dei conti  per  la  Basilicata,
 con la prima delle ordinanze in epigrafe;
     non  fondate  le  questioni  di legittimita' costituzionale della
 medesima disposizione sollevate, in riferimento agli artt.  3,  primo
 comma,  24, primo comma, 25, primo comma, 81, quarto comma, 97 e 103,
 secondo comma,  della  Costituzione,  dalla  Sezione  giurisdizionale
 regionale  della  Corte dei conti per il Molise, con la seconda delle
 ordinanze in epigrafe.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 14 luglio 1998.
                        Il Presidente: Granata
                          Il redattore: Vari
                       Il cancelliere: Fruscella
   Depositata in cancelleria il 24 luglio 1998.
                       Il cancelliere: Fruscella
 98C1013